Parliamo
di triage, ma non di quella ospedaliera.
Immaginiamo
di trovarci ad affrontare un’emergenza politica nella nostra “cara” Europa.
Stiamo
parlando dell’Europa Unita di popoli mai chiamati alle urne per sceglierla; un’
unione forzata di genti, calata dall’alto; milioni di umani che non
parlano la stessa lingua e che per
alcune radici storiche, sembrano affini.
Ma
non è vero che si considerano tali, ad eccezione delle accolite universitarie
imbevute di viaggi e soggiorni Erasmus, anche perché, dopo secoli di
spietati e maschi conflitti, in mezzo a questo ultrasettantenne simulacro di
pace post bellica, ancora si detestano cordialmente; e per cordialmente
s’intende una serqua di imposizioni giuridiche emanate dagli Stati del centro
contro le periferie, dardi avvelenati scagliati da una sofisticata, soffocante
arma tecno-burocratico-finanziaria.
Vi
chiederete che cosa significhi un’emergenza politica in seno alle cosiddette
democrazie mature, nel cuore repubblicano quasi infartuato all’interno dei
geografici confini di terra e di mare, isole e penisole comprese, che definiamo
Europa … Russia esclusa.
Significa
questo: quando i popoli di siffatte repubbliche, in risposta al loro grave malessere
socio-economico e identitario, fregandosene delle sirene del politicamente corretto, bramano di
eleggere leader appartenenti a partiti che s’ispirano alla sovranità popolare,
scattano le medesime regole di salvaguardia applicate alle distorsioni del
mercato.
Come
scattano?