Antefatto. Un losco gruppo di goliardi con parecchio tempo a disposizione ha voglia di lanciare provocazioni. Questa in particolare:
Qualche tontolone abbocca in nome di un goffo anti-islamismo e mitraglia stupidaggini sui numeri arabi che toglierebbero dignità ai numeri italiani (o castronerie del genere).
Fatto. Un milionario, tale Massimo Gramellini, giornalista, opinionista, scrittore (di libri!), tra una sfogliatella e l'altra, mentre compulsa il PC per sincerarsi o d’un bonifico della Rai o d’uno del “Corriere della Sera”, su cui scrive, la scrivania ingombra di pieghevoli sulle vacanze alle Seychelles, incappa in tale notizia. Un filo di saliva di concupiscenza sfugge ratta all'angolo della bocca.
Sopra
potete ammirare una carta geopolitica a cura di Laura Canali:
esornava un numero di "Limes" del 2012 titolato, adeguatamente, A
che serve la democrazia.
I più attenti la metteranno sicuramente in relazione con quella,
simile, dell'espansione della multinazionale McDonald's nel mondo (Perdere, e perderemo!).
Vi sono differenze, certo, ma i sei anni intercorsi fra la mappa
della Canali e quella di Wikipedia hanno appianato alcune
differenze. Cuba, Ucraina, Corea del Nord (e Mongolia), a esempio,
hanno ceduto. Potrete notare, altresì, come gran parte dei paesi
listati come “antidemocratici” abbiano dei gravissimi problemi
interni. Tali gastriti geopolitiche sono il segno dell’avanzamento
della democrazia che, avviene, come sempre, a fil di melliflue spade
(ONG, rivoluzioni colorate, strozzinaggi, governi Quisling, traditori
a libro paga). La conquista del mondo va avanti.
Dalla canzone Marcia
delle Sturmtruppen di Strumpete und ‘Ndranghete (1980)
Il
Programma va avanti, indisturbato.
L’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità), uno dei bracci armati del Potere
(versante PolCor), ha deciso che la transessualità è uno stile di vita, non
affine (almeno sinora), ma di eguale dignità a quello del buon padre di
famiglia.
“L’incongruenza di genere è stata rimossa
dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of
Diseases per essere inserita in un nuovo capitolo delle ‘condizioni di salute
sessuale’ … è ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e
classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone
transgender”.
Le
organizzazione che si occupano di tale melma gioiscono: è “l’equivalente di aver tolto l’omosessualità dai disordini psichiatrici,
è una pietra miliare”, ha commentato Sally Goldner dell’australiana
TransGender Victoria. In tal modo si potrà combattere la transfobia.
Sally
Goldner, inevitabilmente ebrea, è attratta, naturaliter, da abissi antropologici,
dal mondo al contrario. E, infatti, la vediamo lì, sulle barriere; in Australia,
stavolta; Gerusalemme non vanta ancora una Sally Goldner, o una Marcelle
Appelbaum, o una Edith Cohen, che i rabbini hanno ancora qualche dubbio sulla
transfobia e sullo stigma: verrà, tuttavia, anche il loro turno (prima di
quanto si creda. A piccoli passi, come sempre. Inavvertiti zampettii: occorre
avere padiglioni allenati per udirli). Tutta la “psicologia” ebraica del mondo
al contrario, distillata per sopravvivere in condizioni estreme, è ora al
servizio del Potere (versante PolCor). Ne abbiamo già discusso.
Su
tale inversione verranno eiaculati fiumi d’inchiostro, più o meno digitale:
Shakespeare vi dedica sette parole definitive: “Fair is foul, and foul is fair”.
Frattanto
si apprende che nello 007 del 1981, Solo
per i tuoi occhi, una procace Bond girl era, in realtà, un ex ragazzo: la
stampa strimpella la notizia, ci si rivoltola: il brago è troppo invitante.
Vera? Falsa? Tutte e due: l’importante è miscelare, sformare, corrodere; in
attesa di uno 007 frou frou o di nuovo conio (negro?) o, magari, questo il
sogno, di una 008 fiera, muscolata, indipendente, un po’ lesbica e un po’ no:
liquida, diciamo. L’immaginario del maschio bianco dominante, insomma, deve
essere stekkiten, kaputt!
Questo estratto proviene dal film Roma, di Federico Fellini.
Dura 12'24'': un po' troppo per il cono di luce dell'attenzione che oggi si riesce a gettare nel buio dell'inesplorato.
Per tale motivo potete saltare al minuto otto (nessuno la prenda come una scortesia).
Come sempre accade in Fellini il messaggio è veicolato in maniera inavvertita, assolutamente non didascalica.
Un ingegnere della futura metropolitana (il film è del 1972), laconico Caronte, guida un gruppo di giornalisti entro le viscere della terra; e quella terra è Roma: otto strati: la catabasi è, quindi, fisica e temporale.
Si è sotto l'Appia Antica. Si allude a un fiume sotterraneo: probabilmente l'Almone, terzo fiume della Capitale; a una località: i Cessati Spiriti; a una necropoli con quattrocento scheletri.
Improvvisamente un vuoto: la fresa che erode la roccia sfonda una parete.
Al di là, ecco una domus romana. Statue, affreschi, i Lari. Acque antiche e lustrali ricoprono i pavimenti musivi. Una scultura misteriosa e imponente dà le spalle ai nuovi arrivati. Intanto un componente del gruppo, Amerigo, si sente poco bene.
Le pitture parietali ritraggono una famiglia: i personaggi, che spirano una quiete composta e lontanissima, osservano la scena: tacendo. Fra di essi, a ben guardare (occorre sempre guardare bene), si scorge un personaggio dalla notevole rassomiglianza proprio con l'uomo che ha accusato il malessere.
Il vento, incessante, assordante, penetra infine nella fessura, violando quella misura perfetta. I colori iniziano a sbiadire veloci, progressivamente, irresistibilmente.
In pochi minuti ciò che ornava una dimora ricca dei tratti dell'eternità si dilegua.
Una donna strilla: stanno scomparendo! è l'aria esterna, è l'aria esterna! Bisogna fare qualcosa, fate qualcosa! Ma nessuno può fare alcunché, perché ognuno non sa fare più nulla, né ordire più nulla, né trarre forza, orgoglio e volontà attiva da ciò che, fino a pochi decenni or sono, era terreno comune presso gli intellettuali migliori.
Gli uomini d'oggi sono impotenti; crescono sofferenza e insoddisfazione; la voce degli spiriti eroici tace: cosa potrebbe dire di comprensibile a delle scimmie?
Si va avanti, però. La sciocca speranza, che sostituisce l'odio e l'azione nei popoli in rovina, anima ancora gli Italiani.
Qui
non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei,
italiani o messicani! Qui vige l'eguaglianza: non conta un cazzo nessuno!
Sergente Hartman
Reiterare
questa “santa” parola, democrazia, è lo scopo precipuo dell’ovvio politico, è
il riempire quest’aria di veleni, questo vuoto/pieno normativo, questi codici
che non conosciamo, ma ai quali ci sottomettiamo, questa trappola di leggi che
imbalsama ciò che si sarebbe già decomposto da tempo: il vivere pacificamente,
il sopportarsi reciprocamente, il tollerarsi sfiorandosi per strada,
rispettando le giuste distanze, le linee gialle di cortesia, l’erba del vicino
che è sempre più verde, gli orari notturni, i contratti, le obbligazioni, le
opinioni, la mediocrità della quale non si fa più carico nessuno, o, chi se ne
fa carico, la spaccia per superiorità culturale, artistica, arricchendosi sulla
disperata incapacità individuale di non saper riconoscere i pregi atavici di
una vita semplice, appartata il giusto e anonima.
La
democrazia è il vivacchio costituzionale, uno strascicare i piedi da una stanza
all’altra del Grande Edificio Stato, che è stato, ma non sarà, perché si
consumerà nel privato dei privati, participio passato di privare.
La
democrazia è commedia, la rappresentazione nemmeno tanto sublime di un mondo
drammaticamente buffonesco; è una collisione/collusione di parti sceniche,
phoné, brusio, applausi che sottolineano risse tra potenti, quasi sempre
concertate.
Qualche tempo fa vidi una foto d’alto valore simbolico.
Due giovani musulmane, paludate nel niqab che le copriva
quasi integralmente, passeggiavano su un’assolata spiaggia occidentale (dove
tutti, ovviamente, erano in costume o bikini). Nell’immagine si concentrava, insomma, ciò che altri hanno
denominato “scontro di civiltà”. E io concordo: è uno scontro di civiltà. Lo scontro fra una civiltà trionfante (il neocapitalismo) e
una civiltà morente (l’Islam). È una mia certezza. Così come sono certo che i figli e le figlie delle due donne
velate, fra pochi anni, saranno proprio lì, su quella spiaggia, in costume e
bikini. La forza di tale convinzione deriva dall’esperienza: noi
Italiani quello scontro di civiltà l’abbiamo già combattuto e perso; con una
disfatta. Chi è abbastanza maturo ricorda ancora cos’era l’Italia nei
Sessanta e nei Settanta e cos’è oggi. Anche le nostre donne avevano i loro niqab. I loro figli e
figlie e nipoti, no. Anche gli uomini possedevano un loro codice di
comportamento, il loro niqab etico: i loro figli e figlie e nipoti, no. La secolarizzazione neocapitalista avanza e ci rende tutti
eguali. È toccato agli Italiani e ai cattolici del Sud europeo; toccherà agli
Islamici; ai cinesi; e a tutti coloro i cui stili di vita sono alternativi al
canone occidentale, o vi confliggono.
Vivere in un paese
in putrefazione ... chissà, forse costituisce un privilegio. Qualcuno di noi si
sarà chiesto, per mero esercizio intellettuale: cosa pensavano i popoli in via
d'estinzione mentre ogni loro speranza scivolava dalle dita, irrimediabilmente,
e ciò che rappresentava una forza più non faceva presa sulla realtà? Gli atti e
i sortilegi che legavano clan, genti e uomini venivano derisi e schiacciati con
facilità: il compromesso ignominioso, la ritirata, la delusione, la morte della
cerchia intellettuale ... tutto questo è già stato provato nella storia. Chi
poteva dargli credito qui, da noi, con un passato e un territorio così ricchi?
Eppure ecco che un futuro umiliante incombe. Per distruggere,
prima, servivano secoli, fra massacri, pestilenze e decimazioni; genti riottose
si rifugiavano nelle catacombe mentali, risorgevano sotto altre vesti, si
infiltravano nelle fila del nemico, vivevano una doppia vita, fra ossequio
falso e autentica fede. E ora? Son bastati trent'anni per ridurre il nostro
giardino a un cumulo di insensate sterpaglie; abbattuti i labili confini, i più
volgari ciarlatani scorrazzano per esso, in piena libertà, sradicando alberi,
trascurando siepi e orti, lasciando al solleone o al gelo le colture più
delicate, mentre eleganti gazebo rovinano su sé stessi, i ponticelli si
sbriciolano lentamente e le voliere, una volta chiassose incette dei popoli
dell'aria, restano deserte; carcasse qua e là, lezzo di disfacimento; i padroni
si disinteressano, come aristocratici preda delle estreme febbri del vizio,
garzoni e inservienti sono a ubriacarsi in qualche bettola, scannandosi per un
punto alle carte.
Non
ho mai avuto la fortuna di incontrare un archetipo per la strada. E credetemi,
mi sarebbe piaciuto.
Che
cosa ci saremmo detti?
Qualcosa
di simile al dialogo che segue.
Io
- Ciao Archetipo, come va?
Archi
- Non c’è male, a parte il riscaldamento globale.
Io
- Io adotto un rimedio inuit.
Archi
- E sarebbe?
Io
- Mi faccio un igloo.
Archi
- Èda qualche milione di anni che lo
faccio anch’io, non è il ghiaccio, certo, ma l’inconscio collettivo: malgrado
ciò, non sento il benché minimo sollievo nel leggere Jung.
Io
- Mi rincresce. Pensavo che incontrarti avrebbe dato una svolta alla mia vita e
invece noto con dispiacere che anche tu divaghi sul tempo e sull’uso bellico
della tragedia greca da parte dei fondatori della psicanalisi: devo attendermi
un commento ai quarti di finale degli europei di calcio o cosa?
Archi
- Io non ti conosco e non saprei quali argomenti affrontare, stavo facendo due
passi con il mio volpino Fuffy amputato delle zampe posteriori e come vedi,
essendo molto piccolo, i miei discorsi sono limitati.
Una
cosa devo confessarla: Beppe Grillo mi è simpatico. Anzi, lo ammiro.
In
lui ritrovo il mestiere, l’artigianato lungamente appreso in
periodi oscuri e umidi di gavetta, e in decenni di fuoco sul palco;
il mestiere, quello che oggi tutti cercano di scansare ricorrendo a
scorciatoie e trucchi. I ballerini, i cantanti, i pittori, tutti
ambiscono di arrivare alla vetta in poche settimane, come se una
tradizione potesse rifluire nelle distratte circonvoluzioni del
cervello con una portentosa iniezione digitale. Ma lui no: egli sa. Seguo
da tempo i suoi spettacoli, ero anche a San Giovanni, alla chiusura elettorale del
2013. Lui conosce il pubblico perché, in fondo, lo ama. Appena entra
in un’arena sa
chi è con lui e chi contro di lui, a naso, come un vecchio segugio
sulle tracce di una volpe; allo stesso tempo conosce l’arte di
blandire, facendosi suadente o ricorrendo alle astuzie dell’insulto
ben temperato.