Unreal City, 23 luglio 2021
In questi giorni si celebra la
morte, il sacrificio, l’assassinio, di Carlo Giuliani. Giuliani, a sentire le
campane, protestava contro la globalizzazione. A Genova, infatti, sfilavano i
No-global. C’è chi è d’accordo, chi non è d’accordo; piccole zuffe digitali si
accendono, a distanza di vent’anni, nei pollai sociali della nazione. Un fatto
di cronaca nera, nemmeno eclatante, ancora brilla di luce propria, agli occhi
di tanti: dissenzienti, nostalgici, destrorsi, sinistrati.
E perché?
Siamo un’epoca ormai catalettica,
amorfa, spenta. Quel colpo di pistola risuona, quindi, nella interminata
vastità dei nostri cuori cavi, incapaci di pompare il sangue della passione,
come l’ultimo colpo di artiglieria mai sparato. Riconosco agli anni del
terrorismo, ma anche a quelli delle stragi di Stato e della Guerra Fredda, una inarrivabile
altezza di sentimenti. Errori e crudeltà inutili erano dettati da una volontà
di sopraffazione, segno indiscusso di vitalità. Negli ultimi quarant’anni
invece? Nulla. Solo qualche omicidio politico mirato, a ricordare chi comanda,
scosse la putredine delle mozioni dell’animo. La morte di Giuliani, quindi, il
corpo esanime a terra, il sangue, il carabiniere, la camionetta; i pestaggi
susseguenti; tutto ha risvegliato in noi un mondo perduto e, oggi,
inattingibile. Ci siamo attaccati a questa morte come assetati nel deserto:
finalmente la vita! Il sangue! L’orrore, la paura! Il pericolo, la minaccia! La
guerra! L’uomo è violenza, cioè vita, eppure nega a sé stesso la violenza e,
quindi, la vita. Reprimere la propria essenza lo porta a costruire sopra questi
episodi un mito fondativo: la sinistra, ma anche la destra che lo rinnega! D’altra parte, riflettiamo: in tutto ciò che si scrive come si
etichetta l’interlocutore? O col termine comunista o col termine fascista o
nazista et cetera. Ciò cosa dice, segretamente? Che il senso pieno della vita
risiedeva nella violenza, nella disputa, nel confronto duro delle opinioni.
Oggi, rammolliti in una pappa uniforme, esitanti (perché scientificamente
impauriti dal Potere: è un Programma ben preciso) persino nel dare del trippone a un trippone, o del frocio
a un frocio, o della racchia a un manico di scopa con le verruche, al massimo
ci sfoghiamo a parole, anzi a fonemi digitali: e dove attacchiamo questi ansimi
di violenza onde donargli una qualche credibilità vitalistica? A ciò che
ricordiamo: il comunismo, il razzismo, il fascismo, il nazismo. Fra una o due
generazioni non avremo nemmeno questi ricordi. I dialoghi nemmeno fioriranno
più. Perché dialogare se tutto nasce e muore in una palude mefitica? Dove
l’orgoglio, la lealtà, la forza delle idee senza un confronto con l’Altro? Il
sangue di Carlo Giuliani riesce ancora a vivificare i nostri motteggi
inconcludenti. Il suo corpo possiede il labile lucore d’una reliquia salvifica.