11 settembre 2022

Il sapore della ciliegia

Roma, 22 settembre 2022
 
Jorge da Burgos, trasportato al 2022 come lo stilita di Luis Buñuel, rimarrebbe disgustato dalla clownerie dilagante, a ogni livello; organizzata, compiaciuta, devastante: uomini vestiti da donna, bagascioni, drag queen, negri biondi, rapper delinquenti, invertiti psicopatici e pedofili formano, oramai, la classe dirigente occidentale del Nuovo Millennio. Le femmine, poi, hanno un che di indefinibilmente deforme: abbronzature da mulatte, pelli tirate come tamburi apocalittici, acconciature da mignottone di Tor di Quinto, occhi sbarrati, movenze lardose, dentature isteriche. Osservando l’International Barnum Circus, giorno dopo giorno, riesco a intimamente comprendere la profonda razionalità dell’Inquisizione spagnola, altro che repressione. Questi uomini operavano per contenere the overwhelming chaos … e li han fatti passare per semplici reazionari! Reazionari lo erano di sicuro, come il sottoscritto, peraltro … ma, incredibile dictu, agivano sulla base di norme distillate nei secoli … per durare, ecco il succo, per durare! … per difendere l’umanità dalla dissoluzione … ma cosa sta dicendo! Ma lei è folle! Difendere l’umanità! Ma cosa dice! Eppure è così. Finalmente libero dalla destra, dalla sinistra, dalle prudenze, dai retaggi e dai vincoli del perbenismo … come Marlow, come Kurtz … libertà persino dalle proprie opinioni … vi dono la verità in un pugno di polvere: la storia universale, del più minuscolo e insignificante pertugio della Totalità, di cui l’uomo è parte ancor più insignificante, è un galoppo sfrenato e ineluttabile verso la distruzione. La legge divina par excellence … la dissoluzione … di cosmi, pianeti, sentimenti … metaforizzata da qualche povero trombone quale Seconda Legge della Termodinamica … tale la dannazione cui solo Dio può sottrarsi, fuori delle coordinate della mortali … resistere, ecco la legge divina cui dobbiamo attenerci … durare … costruire confini, trincee e palizzate contro la corrente che ci travolge eternamente: ciò è l’etica che ci attiene. Conservare, durare, definire. Il primo Pontefice si chiama Pietro. Immortalare, rendere eterno, opporsi al cambiamento in ogni sede dell’anima … opporre il rifiuto … rimanere sé stessi, per sempre! Ecco la gravitas, quella mozione in cui la lugubre certezza della fine si sposa allo stoicismo della resistenza.
La ridda stregonesca, il sabba, il Carnevale della logica … la mutevolezza e l’ambiguità dionisiache, ecco cosa temevano i Greci … hanno dovuto sussumere quel cialtrone ubriaco e transessuale nel loro Olimpo, per neutralizzarlo … così come l’Inquisizione dovette bruciare, taglieggiare, torturare … l’Arcinemico voleva cambiare, sempre, devastare la forma e quindi assumere, scriteriatamente, ogni forma, a piacere, proprio per irridere la Forma … ciò che si era concepito in ogni epoca escogitando i multiformi vestimenti delle figure sempiterne del Santo, dell’Artista e del Sapiente …
 
Il nuovo primo ministro inglese (in assenza d’Inghilterra, beninteso) ha il nome d’una glam rocker (Joan Jett, Suzi Quatro) e la faccetta bruttina d’una comprimaria da serial TV anni Settanta.
Ricordate George e Mildred (George & Mildred, 1976)? Così.
Possiamo immaginare la scena:
Interno giorno. Casa dei coniugi Roper. George seduto sulla poltrona, la coperta sulle ginocchia, un bicchiere di birra nella destra. Suona il campanello. Mildred, già contrariata dopo una serie di punzecchiature col marito - a rinfacciargli  la scarsa vitalità sociale e matrimoniale - accorre alla porta in un abito multicolore, largo e svolazzante, il foulard stretto al collo. Gli squilli si fanno insistenti.
Mildred: “Arrivo!
Ancora squilli in serie, petulanti.
Mildred: “Ma chi diavolo …”. Apre bruscamente la porta per sorprendere l’importuno seccatore. È la vicina. “Liz …! Quale piacere”, dice sarcastica.
Liz: “Miiiildred … yuhuuu … come va …”, ride, roteando il palmo della mano destra in segno di saluto, il sorriso da inglese bislacca.
Mildred: “A cosa dobbiamo l’onore?” domanda sgarbatamente.
Liz, indifferente all’ironia: “Oh Dio … Dio, Mildred … Dio … non sto più nella pelle!”. Si torce le mani, rotea gli occhi, saltella. “Devo dirvelo, devo dirvelo!”.
Mildred: “Prego, entra pure”, fa contrariata, perché Liz ha già invaso l’ingresso.
Liz: “Oh Dio! … C’è anche George?”.
Mildred: “E dove vuoi che sia? Eccolo là!” e lo indica come un soprammobile detestato, sorpreso nell’atto di bere, uno sbuffo di spuma sul naso.
Liz. “Devo fare un annuncio incredibile, sensazionale! Oh, che gioia, che felicità … Gni gni gni!!”.
George, fintamente cordiale: “Siamo tutto orecchi!” e poi, bofonchiando sottovoce per il pubblico: “Purché te ne vada in fretta!”.
Risatine preregistrate in sottofondo.
Liz: “Allora ve lo dico, eh!”. Si rivolge a entrambi, il sorriso stampato in faccia. “Voglio dirvelo! Ve lo dico!”.
Mildred: “Diccelo Liz, ti prego, non tenerci sulla corda … siamo elettrizzati …” concede esasperata.
Liz: “Allora … allora …”.
George: “Allora cosa?” e riprende annoiato a vuotare il boccale.
Liz: “Io e Klaus ci sposiamo!”.
Mildred: “Coooosa?!”, quasi grida, con gli occhi sbarrati per la rivelazione.
Liz: “Sabato prossimo!” e prende a saltellare e a emettere ritmici gridolini di gioia.
George,  cui è andata di traverso la birra, incredulo: “K-K- Klaus? ... Quel Klaus?”.
Liz: “Sììììììììì …”.
Scroscio di risate preregistrate, insistenti.
George e la moglie si guardano a bocca aperta, costernati.
 
Me ne giro per il fantasma dell’ex Roma. A via Condotti, via Frattina. Non vi mettevo piede da qualche anno, se non per un rapido passaggio. È tutto involgarito, sciatto, sporco. Solo barbagli della gloria edonista che fu. Ma ciò che respinge, o attrae, se si è degli entomologi della disfatta, è il materiale umano che si trascina per le vie luride. Gli Italiani sembrano usciti dal Trionfo della morte di D’Annunzio: grassi, storti, gozzuti, pelati; acciabattati, quasi tutti, gli stramaledetti tatuaggi da galeotto a marchiare avambracci e popliti; ragazze candide sfregiate da rutilanti idiozie: un nome, una data, un fiore; tredicenni con hot pants e chiappe debordanti, culturisti in canottiera, invariabilmente calvi, aggraziati come pachidermi; occhiali da sole, anche in assenza di sole, barbette, pizzetti, mèches ordite da un tricologo omicida, mendicanti a piedi nudi, squatter coi soliti cani pulciosi, i piercing fetidi, sacchetti della spazzatura a vista che penzolano come preservativi usati, confezioni da hamburgeria, bicchieri di carta e cannucce abbandonate agli angoli, e ancora ciabatte, da suk: calcagni in vista, dita aperte come mazzi di asparagi; e poi: camicie aperte su trippe flaccide, visi rossi per la calura, mal rasati, cinquantenni con sgargianti fuseaux pastello che  sagomano cosce lardose e femori disallineati; sono brutti gli Italiani, per tacere dei turisti da banane che ancora si spingono da noi; “anvicchiuzziti”, cioè malamente e rapidamente invecchiati, in seguito a occulta malattia che sbianca capelli e indebolisce la muscolatura; persino le ragazze, di cui una volta si era ghiotti di occhiate, sono meno in salute, più goffe, meno libere nei movimenti: più bruttine, a dirla tutta; al massimo graziose, d’una grazia prestampata, favorita da eyeliner e fondotinta mondialisti in offerta online, da Calcutta a Palos: a livellarne le sembianze peculiari; e poi il lardo, signori, il lardo: bozze tumorali che crescono asimmetricamente sulla figura un tempo umana, insensibili a qualsiasi dieta, deformità da cibo trash; mammelle mostruose, da tempo consenzienti alla forza di gravità, chiappe cementate dal sudore e dai trigliceridi sin a densità da stella nana: metri quadri di pelle, nemmeno buona per la conceria, ulcerata dalla cellulite; e poi i selfie, le foto inutili, le borsette inutili; e il vano andirivieni da e verso luoghi oramai estranei alla sensibilità europea, come un monolite lunare: a che pro affaticare con piedi ingombranti e aliti pestilenziali le delicate navate di San Luigi dei Francesi?

Una giovane coppia di giapponesi sembra uscita da un gore psicopatico: lei, trentacinque chili per centotrenta centimetri, di cui cinquanta inguainati in stivaletti di pelle sadomasochistici, ricchi di lacci e incipienti fetori, hot pants lillipuziani e toppino rosa shocking, il collo esile appesantito da una Nikon, lo sguardo allucinato volto verso Trinità de’ Monti: che la riguarda indifferente; l’altro muso giallo, altezza media e una dozzina di chili in più, si diporta con un parasole bianco (di cui solo gode i servigi), mocassini, bermuda e camicia fiorata: forse rinvenuta frugando nel backstage di Takeshi Kitano; occhiali da quadro impiegatizio, sguardo spaesato da nerd: due esserini, evidentemente, ripuliti dall’igienismo montante, e psicologicamente confezionati per qualche Soylent Green di Osaka.

Il circo continua, è una processione inarrestabile; a volte si ha un mancamento, per l’impossibilità a fermare gli occhi su un centro di gravità permanente, solido, normale. Anche le insegne congiurano alla deriva da avanspettacolo postmoderno: la pizzeria è “Gnam Gnam”, il bar per ludopatici “Barlotto”, la panineria “Porcadella”, a mezzo fra una bestemmia mariana e l’invito a uno sfilatino ipercalorico.

I Måneskin scandalizzano: Damiano, infatti, il sedicente frontman, mostra le pallide terga durante un live. Alla nostra generazione, che ammirò David Lee Roth davvero col culo glam di fuori (1983-1984), vien da ridere e piangere, alternativamente.

I giornali italiani: sul delitto X l’ombra della mafia. Nel 2022. L’ombra. Come se qualche cavernicolo siciliano con la doppietta armeggiasse nel buio della cospirazione; contro lo Stato italiano. La mafia è l’ombra dello Stato, semmai; così come l’antisemitismo è l’ombra dell’Ebreo.

A questo giro si sparano tutte le cartucce possibili: portuali di Trieste, gilet gialli, novax, leghisti pentiti, grillini pentiti, sovranisti, monetaristi, dannunziani col diploma. Il loro ruolo è far aumentare la percentuale di votanti differenziando fraudolentemente l’offerta. I partiti candidano, invece, le mogli e i parenti. Un bel gruzzoletto in famiglia fa sempre comodo. Chi vinca, poi, è indifferente purché il sistema regga. Per tale motivo Salvini se la ride a Venezia nonostante i sondaggi disastrosi. Chiunque vinca, va bene; l’importante è la tenuta della truffa nella credulità popolare. Vincitori e vinti, alla fine, quello devono fare: e faranno. Se si presentano alle elezioni sono dei loro; se vanno in televisione sono dei loro. Difficile? Non sembra, eppure … eppure la delegittimazione non arriva, il crollo dell’affluenza nemmeno; così come nemmeno si pensa che l’arma è un’etica diversa, vivere al contrario: il contrario del contrario: in modo giusto.

Sangue di condor (Sangre de cóndor, Jorge Sanjinés, 1969) è un bel film boliviano che si amava citare (nessuno l’aveva mai visto, in realtà) quando sopravviveva ancora qualche comunista: “Il film racconta la storia di una comunità indigena boliviana che riceve cure mediche dal Peace Corps, un'agenzia americana che segretamente pianifica una sterilizzazione delle donne locali”.
Proprio questa estate un novantenne mi raccontava del pisciaiuolo. Tale figura biancovestita, a simulare il candore igienizzante del medico che raccoglie sempre empatia fra gli strati più umili del contado, si aggirava nei paesetti dell’entroterra viterbese, fra i Sessanta e i Novanta: raccoglieva, appunto orina; orina delle femmine dei trogloditi, quelle in menopausa. Di solito lasciava una bottiglia sterile e ritirava quella piena; il giallino in controluce lo soddisfaceva parecchio. In cambio, a fine mese, regalava posate e bicchieri di vetro da quattro soldi che gli aborigeni continentali accoglievano come tesori, forse saziati dalle rilucenze metalliche delle forchette inox.

Ogni tanto, per ritemprarmi, devo salire fra i redneck, ancora immuni dalle fole del cambiamento climatico e di sesso. A prima vista sono persone infide; ingrate, tirchie, ipocrite. Solo a contatto per qualche tempo (prima devono annusarti), ci si accorge che quella patina non è altro che un secolare vestimento per la sopravvivenza. La cosa notevole è che ogniqualvolta si fa ritorno al villaggio, la procedura di riconoscimento parte da zero, come se il sottoscritto, mezzo cavernicolo per sangue pure lui, fosse un estraneo. I cani hanno più memoria. Un di questi neandertaliani possiede, in uno scantinato lercio, centinaia di decespugliatori. Non sono mai riuscito a capire dove li piglia. Li conserva accatastati come scopettoni, d'ogni marca e cilindrata. "Se ti serve un pezzo, te lo posso trovare". Trentenne, un figlio piccolo, la moglie sboccata e lardosa. Esile, l'occhio sfuggente, una tuta da lavoro grigia annerita sulla patta; gli dico: "Efco, da 33. La testina". E lui s'illumina, è nel suo campo, va a colpo sicuro. Ne prende uno, lo pone cautelosamente su un banchetto come una fanciulla che dorme e prende a smontarne il pezzo con leggiadra delicatezza; le viti seguono docili l'ipnotico lavorio delle dita; ed eccola, la testina, escissa come il fegato sul tavolo autoptico di qualche obitorio ghiacciato. Prende l'EFCO e la monta pazientemente, scrollando i capelli lerci raccolti in una coda di cavallo. Non è che sia sporco, però; è così e basta, come lo ero io a queste latitudini, quarant'anni fa, da ragazzino: inattuali.

Presso una vietta secondaria di via Gregorio VII ammazzarono, non molto tempo fa, un cinghiale. Sceso probabilmente dalla spalletta del Gelsomino dove ancora sopravvive una macchia abbastanza estesa. Nemmeno il tempo di far raffreddare le spoglie che era partito il can can animalista. Sul luogo del massacro si eresse un cenotafio: mercé il lavoro dei bimbetti d'una scuola vicina che, al defunto, diedero pure un nome. I fogli multicolori vergati da atti di dolore postmoderni popolavano una rete metallica; fiori e bigliettini vari ingombravano, invece, parte della sede stradale: maledizioni all’assassino, viva la natura, viva i cinghiali, siamo tutti sorelle e fratelli nell’universo. Se gl’infanti in tal caso furono scusabili (in vita loro han visto solo gatti e cani), è difficile, per chi non è avvezzo all’esame quotidiano della distruzione italiana, comprendere i moti emozionali dei genitori quarantenni. Gente che ormai intrattiene con gli animali da compagnia rapporti paritari (generatori, in occasioni non residuali, di soddisfazione maritale) se non di sudditanza assistenzialista (Fuffy ha fame, Rover ha le pulci, Blackie si gratta, Isidoro piscia troppo, Rover ha la cacarella); mentre d'altre umili creature del creato vanta esclusivamente una conoscenza per interposto supermercato (bistecchine di collo di suino, coscette di pollo, filetto di scottona: chi di loro sa com'è fatta una vacca o un maiale?); a ignorare, poi, la fauna selvatica nel suo insieme: chi, delle numerose prefiche del cinghiale, ha mai visto un serpente, un barbagianni, una volpe, una spinosa? A parte alcuni d’essi spiaccicati sulla sede stradale, intendo. Il loro animalismo è puramente ideologico, cioè televisivo. Non per questo meno feroce. Il cinghiale morto è un’offesa, ovviamente; come se avessero mollato un calcio a Rover. I cani, d’altra parte, ascendono la scala sociale, gli umani la discendono: e ciò, tuttavia, è spia di una crescente disumanizzazione dell’umano, completamente scollato dalla vita nel suo farsi incandescente, lutulento, contraddittorio. I rapporti con la carne, e con la terra, con i frutti ubertosi della terra, sono, di fatto, inesistenti. Anche in provincia il capolavoro democristiano della distruzione dell’agricoltura (in vista di una industrializzazione promessa e non mantenuta) ha prodotto legioni di statali tripponi, pensionati e percettori indebiti di invalidità inventate dal generoso moloch burocratico: in nemmeno una generazione. Lo schianto della provincia, inabile a metterci in tavola carne, pane e frutta, ci ha conseguentemente assoggettati ai ricatti del mercato internazionale, generato decine di migliaia di supermarket e preparati, annientando la multiforme profondità del gusto, alla farina di grilli. L’esserino del futuro che compiange il cinghiale non ha mai assaporato nulla, non ha la forza di cacciare un topo di casa (dato che il gatto domestico è, oramai, un sacco di pelo viziato da scatolette proteiche) e vive di idioti luoghi comuni sullo stato di natura felice che farebbero arrossire un Rousseau all’ultimo banco. L’uomo da ipermercato ha perduto la profondità dei sapori tanto che ne ha orrore, dei sapori: il fetore d’un formaggio stagionato, un uovo lordato, un quarto sanguinolento lo mettono in subbuglio; ne fugge via atterrito. È troppo per lui, troppa esperienza, troppa vita; troppa lingua, naso, tatto; le rugose superfici delle trippe, le timide efflorescenze muffose, le cotenne e il grasso, le verdure terrose … egli anela la confezione, l’ordine psicopatico e, soprattutto, l’igienismo da operetta del sottovuoto … oramai prosciutti, mozzarelle, hamburger e insalate han tutti lo stesso sapore: ma lui dice: che buoni! Come quelli che s’ingozzano in via Frattina: sbracati per strada, a frugare confezioni di cartone ripiene di patate lorde di ketchup rossastro: che buoni! E addentano quel pane da insetti con la misera carne insapore, e gli sembra di stare in paradiso, che buoni! Li ho sentiti io, i ragazzini, con le mie orecchie: che buoni! Probabilmente una delle droghe del futuro sarà il gorgonzola verace ordito in qualche fattoria clandestina del Biellese: solo il profumo dovrebbe far sballare questi eunuchi. L’igienismo, inteso come livellamento continuo di gusti, sapori, maniere, è il contrario dell’igiene. E tutto è stato ottenuto in una generazione! Da adolescente ricordo ancora la tavolata di parenti dopo lo scannamento del maiale: le enormi zuppiere di fagioli fumanti in cui sciogliere il grasso, con olio d’oliva e aromi: e i trogloditi intorno, ognuno col suo cucchiaio, ad affondare i colpi in quel trogolo comune: a rievocare, nella testa di chi sapeva, il contadino di Bruegel che se ne veniva alla festa di matrimonio solo col cucchiaio infilato nel cappello. … chissà quando cominciammo a diventare schifiltosi: forse quando iniziarono a inondarci di surgelati. Ah, i surgelati … così comodi … li tiri fuori e son pronti subito! Comodi, ragazzi, adesso che i nonni sono in campagna, i figli in città e anche la donna lavora! Mica ha tempo di farci la zuppa! La donna si emancipa, l’omarino pure, i figli non ti dico: quest’anno vanno al liceo … a imparare tanto: come diventare i coglioni del futuro innanzitutto.
Il bello è che più scompare una cosa maggiore è la feticizzazione d’essa. A esempio il vino. Un mio parente prossimo, un aborigeno della Tuscia gonfio d’orgoglio, mi mostra botti, serbatoi, passatoi, cannelle, bottiglie, etichette: se la ride, lui: vedi come ti frego il prossimo! Il vino produce, questo Bertoldo in via d’estinzione, ma il vino, quello vero, se lo beve in famiglia, agli altri (i micchi) somministra oculate porzioni distillate dagli alambicchi del malaffare gastronomico; a regola di legge: perché lui rispetta la legge! Solfiti, incroci, percentuali d’alcool, bevete fratelli e sorelle! E lo applaudono tutti, anche i cretini nordici che han preso la voga del vinello italico; e sciamano da Svezia e Norvegia per pagare a peso d’oro quei distillati; non solo, ma anche l’olio congelato dell’anno scorso, purificato per l’occasione e servito a cinque euro il quarto di litro; con i fiocchetti colorati, però. Il vino scompare dalle tavole, dalla cultura, dalle libagioni familiari e, per puro processo psicologico postmoderno, proliferano gli intenditori, gli enologi, i sommelier, le trasmissioni sul vino, sul gusto, sull’anima dei mortacci loro; così come, in assenza di leoni e gorilla, si moltiplicano documentari su leoni e gorilla: inesistenti. E li vedi, i coglioni, che non sanno manco come è fatto un tralcio o un grappolo, seduti nei bar del centro, ai tavoli, tavoli di plastica come loro, ma ambiziosi e sofisticati, in mezzo al luridume da Malagrotta che si insinua fra le pietre secolari, di un secolo straniero, farsi l’aperitivo: sono dei coglioni  a tutto tondo, davvero; non puoi dirgli nulla, son esseri superiori, hanno i soldi; agitano con le man destre i calici, vetrini da discount, ma a loro sembrano i cristalli della corte di Boemia; aprono la mano come ungulati, anulare e mignolo da una parte, medio e indice dall’altra, e stringono, le dita arrovesciate, il gambo del calice in cui brilla porpora o giallino: e agitano, con fare destrogiro, a volte antiorario, e annusano, poi sorbiscono a millilitri: buono il piscio? Ma gli piace così, vecchi gaglioffi, maturi viveur, matrone rintronate, zoccoloni in libera uscita, supporter del buon gusto e tifosi del turismo lento e parassiti del residuo stato italiano. Han tutti il ticchio d’emulare Vissani o Borghese, e discorrono … parlano … con la convinzione dell’essere superiore … di nulla, rimettendosi l’un l’altra le flatulenze sentite mille volte al mercato della vacche dei telegiornali … mentre figli e nipoti s’ingozzano di non so cosa, mezzi e mezzi, mezzi maschi e mezzi femmine.
Il sapore della ciliegia, chissà qual è. Dei fichi, delle mandorle, delle castagne, dei cachi, delle pere coscia-di-monica, delle melette verdi … che la cornucopia delle campagne italiane produceva un po’ di tempo fa, non molto … quanti adolescenti ignorano il sapore della ciliegia? E altri barbarici gusti, oggi impensabili: dei ficarelli, quelli piccoli, tagliati a metà, spurgati e ripassati in padella con aglio e olio; dei tarli, cioè delle escrescenze dell’aglio, da intrugliare con le patate più farinose, sempre in padella; delle loffie o vesce di lupo, funghetti del bosco da infarinare leggermente, una volta lessati. I sapori perduti, vien da dire, sentendosi per l’ennesima volta dei passatisti; la verità, purtroppo, è sempre banale. Son tempi monocolori, in grigio sbiadito, unilaterali, gli stessi tempi asettici provati sulla pelle dalle razze in estinzione, private di gerarchie e spiritualità, e incapaci di generare, di creare: parassitarie, domate, le loro campagne devastate dall’abbandono.

Ne Il pendolo di Foucault, i protagonisti (Belbo, Casaubon, Diotallevi), gravitanti attorno a una piccola casa editrice, s’inventano una nuova storia dell’Europa basata sul complotto: il Piano. Stimolati dalle sciocchezze che alcuni saggisti esoterici propongono per la stampa, ordiscono, poco alla volta, una trama fitta di Illuminati, Massoni, Templari, Rosacroce, Bogomili, tesori di Rennes-le-Chateau. Umberto Eco chiude la vicenda con una svolta da pensiero debole (ognuno ha i propri limiti), ma ci dona la chiave del post-postmoderno: la gratuità dell’argomentazione (di cui fu sanguinoso complice), non più tenuta dai vincoli della logica classica bensì dall’associazione di idee. Dal falso (leggi: da premesse non vagliate dal rigore logico-storico) segue tutto, a piacere. Nel romanzo (si ricordi: 1988) fan le propria timida apparizione i computer. Proprio il computer simboleggia, da macchina pervertitrice, la gratuità alogica che, oggi, infatti, domina il mondo; i collegamenti che i tre lentamente costruiscono, da veri goliardi della controinformazione, sono, infatti, il Carnevale della logica; affascinanti, appetitosi, ma falsi. Ne segue, come detto, non solo il falso, ma qualsiasi cosa si voglia. A un certo punto uno dei protagonisti attribuisce, fantasticando, una simbologia esoterica alla patente B … perché no? Tutto ora è possibile. Le combinazioni sono innumeri, la storia si dispone a piacere, come i pezzi del Lego, e quando nulla s’incastra lo si fa a forza, abbandonando la blanda causalità per la similitudine o l’associazione tra fenomeni: operata per capriccio o per la fascinazione che esercita sull’interlocutore. Ciò è peccato e predispone alla rovina: l’ebreo Diotallevi s’ammala. Tumore. Cellule impazzite: “Sto esperimentando nel mio corpo quello che noi abbiamo fatto per gioco nel Piano ... Che cosa hanno fatto le mie cellule? Hanno inventato un Piano diverso, e ora vanno per conto proprio. Le mie cellule stanno inventando una storia che non è quella di tutti. Le mie cellule hanno ormai imparato che si può bestemmiare anagrammando il Libro e tutti i libri del mondo”.
I computer, la gratuità, la bestemmia contro Dio, google. Google ci riserva miliardi di miliardi di combinazioni seppur mai la verità. La verità, la natura delle cose, ama nascondersi. Invece noi permutiamo, instancabilmente, parole, locuzioni, in un gioco continuo che perverte la vita e ci convince della menzogna. I corpi e le anime seguono tale vano azzardo. Le perversioni multiformi, la follia che dilaga, i ragionamenti fuori di senso son lo specchio della nuova bestemmia digitale.

Per tale motivo i figuranti dominano il discorso politico. C’è ancora chi crede che Oriana Fallaci e Maria Giovanna Maglie abbiano azzeccato tutto sull’Islam Cattivo … ma, di grazia, cosa ne è dell’Islam Cattivo: per curiosità. Dove sono i minareti, le moschee .. ci invadono con i gommoni, attentati a raffica … Isis, Al Qaeda … il nemico, l’arcinemico … gli asciugamani in testa, le ciabatte, le bombe, i poveri coloni ebrei … spariti … come nel burlesque … dove le donnine e i Fregoli appaiono e scompaiono alla voce del domatore, il cono di luce che lo circonfonde … siore e siori! Ecco la donna serpente, Mary Lou, Lily Itsi, la drag queen Darla … e tutti applaudono … roteando i calici di piscio … siamo in piena Weimar, con tale differenza: la vogliono rendere strutturale.

Non avete ancora letto Pabst e Lulu di Louise Brooks? Male.

Per il citrullo medio l’intellettuale è Sgarbi, il riparatore di torti il Gabibbo, lo Scienziato un doppiatore di documentari inglesi recentemente defunto, l’avventuriero salgariano un’astronauta coi capelli in aria, il campione sportivo un portoghese con le sopracciglia passate al setaccio dell’estetista. E tale allocco dovrebbe subodorare qualcosa sul proprio destino?

Si suicida un tredicenne. Lo bullizzavano via whatsapp. Comprendo. Questo poverino era vuoto; il primo colpo di vento l’ha portato via. Accade quando si rinuncia alla tradizione in nome della finta libertà. Scavato dal di dentro, un guscio leggero recato via da un alito di scirocco, come la muta essiccata d’un serpente ormai estinto. Una piccola spinta, un calembour, una battuta: basta questo. La prudenza, il bigottismo, la scaramanzia, la vergogna, quel retaggio considerato medioevale, e di cui ci si è fatti il vanto di liberarci, ancorava tutti noi alla terra. Perché non di bigottismo e scaramanzia si trattava, ma di un insieme di accortezze per la sopravvivenza. Il bigottismo si incrostò nella nostra anima, per difenderci. Ora non lo si è più bigotti, si è liberi: liberi di suicidarsi in effetti. Il pulviscolo di credenze, regole interne di comportamento, pruderie, aveva la magica facoltà di pensare in nostra vece liberandoci (liberandoci!) da un fardello che oggi appare troppo oneroso per noi. Gli esserini del futuro non riescono a sopportarlo, la vita gli è di troppo: eppur si dicono liberi. Moriranno a migliaia.

Nel 1995 uno Stefano Accorsi fintamente giovane (ventiquattro anni suonati, in realtà) simula un adolescente che cerca d’accalappiare due ragazzette in spiaggia. Trangugia un Maxibon Motta: “The best del mond … very mitic … mitic … granel … stracciatel … du gustis is megl che uan …”. L’elogio dell’ignoranza c’è già tutto, si era agli inizi, certo, un po’ rozzi e perdonabili … da allora montò un compiacimento luciferino … una rivendicazione crassa e potente dell’ignoranza … il giovin attore, ebbe una qualche notorietà postuma, interpretava il prototipo dell’esserino. C’era ancora la lira, si era in fase di lancio del cretino 2.0 …

Il Festival di Venezia se la spassa fra Coppe Volpi a una botulinata (interpreta la prima donna direttrice d’orchestra; in un mondo dominato dai pregiudizi del patriarcato e via sbadigliando), registi iraniani perseguitati (registi americani o francesi perseguitati non esistono, secondo loro) e la consueta infornata di parafilie variamente assortite. Eppure manca il guizzo. Il colpo da maestro. Che, invece, io ho in mente da lungo tempo. Eccolo qua: l’assegnazione a una donna della migliore interpretazione maschile. Ci pensino, lorsignori, è una botta geniale, in contemporanea con la Treccani, peraltro, che pospone al genere femminile quello maschile: in aggettivi e sostantivi.

Studio Aperto inneggia al camper. Un servizio entusiastico sulle vacanze in libertà, senza prenotazioni, senza hotel, senza scadenze. Dopo le parole inutili di una tizia, brand manager della manifestazione (scrivere direttrice non è à la page), ecco tre dichiarazioni - di tre allocchi lì convenuti - che mettono davvero a fuoco il problema. Perché il camper? Risposte: “Così abbiamo una maggiore libertà”, “Una vita senza limiti”, “Dobbiamo ridurre gli sprechi”. Decodifichiamo: in futuro vivremo tutti nei camper, come nei suburbi della colonia inglese oltreatlantica. Minori consumi, niente casa, niente lavoro, niente carne; la domenica, invece del suono delle campane, il trillo del microonde: ad annunciare lo sformato di grilli.

Venezia, la Treccani, Studio Aperto. Com’è possibile la sincronia anche di tali insulsi subdominanti? Esiste una sola risposta: anche le multinazionali si sono ridotte a un centro direttivo di poche unità. Qualche manager, chi ne conosce il nome?, dirige il mondo. Ogni suo spetezzo ideologico, quindi, si ripercuote plotinianamente a cascata su vassalli valvassori e valvassini planetari. Nulla è lasciato al caso.

Un uomo muore soffocato. Causa: un boccone di carne. Avesse mangiato la soia … Ripeto: nulla di ciò che trapela è lasciato al caso.

La mediocrità distrugge. L’utilitarismo annienta. Nemmeno trent’anni di lezioni commerciali anglosassoni su come vendere libri e il libro è sparito dalla circolazione. Non ingannino i finti numeri, gonfiati, fino a ieri, anche dagli inserti da edicola. Ridurre il libro al puro testo (id est: le nude parole di Padri e figli) ha prodotto l’estinzione anche del testo. Il libro si compone di elementi apparentemente inessenziali al testo: preziosità e sobrietà della copertina, legatura, impaginazione, carattere, qualità della carta. Padri e figli in una edizione del 1950 sono un libro di Turgenev; la brossura di Padri e figli del 2022, goffamente rutilante e di mediocrissimi materiali, non è che il testo scritto del romanzo. La gradevolezza della grana della pagina al tatto, la pulizia della struttura, persino l'odore delle colle, tutto questo forma anche la bellezza del libro, oltre al testo. È impossibile leggere Padri e figli oggi: si rischia di odiarlo e di equivocarne la profondità. Per colpa di elementi che i più ritengono estranei. Ma i loro calcoli sono sbagliati, come sempre. Il direttore del Salone del Libro di Torino ne sa meno, sul libro, di un rilegatore. Scrittori falliti, lesbiche superciliose e raccomandati di partito hanno reso la letteratura un cimitero.

La casa calda, questo il rimprovero dei sinistrati più ottusi nei caldi anni Ottanta. Voi, nelle vostre case calde … gli Altri (i poveri: emarginati, proletari, barboni) al freddo. La casa divenne il simbolo della iniquità capitalistica. Come se un pugno di Italianuzzi,  per il semplice fatto di aver lavorato in un periodo della storia patria fortuitamente favorevole, avesse sviluppato il germe della sopraffazione. Sottinteso: dovete lasciare le vostre case calde ai nostri fratelli più sfortunati. Tale seme maligno crebbe a dismisura. Col tempo proletari ed emarginati lasciarono il campo al Migrante Metafisico: qualunque belinone accampasse diritti in nome d’una presunta povertà causata dall’Occidentale Medio. Questo fino a ieri. Oggi nemmeno il Migrante Metafisico basta più. Soccorre, quindi, la Terra Malata. La Terre Guaste … la ferita a Gaia … una colpa da sanare … con il ritorno alle pezze al culo. Il sinistrato oggi s’è evoluto: Macron, Trudeau, la Truss ragionano con le stesse modalità da pilota automatico. Colpa, espiazione. Come i sinistrati d’allora, essi non dicono che se un tale possiede la casa calda è perché dietro d’essa ci sono decine di generazioni affamate e al freddo che, quella casa, l’hanno strapagata mille volte. Perché i Trudeau d’ogni tempo, oltre che invertiti, son pure parassiti: l’inversione, infatti, la usano in ogni declinazione del bispensiero. Chi lavora deve dare, i parassiti ricevere. I sinistrati nostrani ne sono paurosa e goffa parodia: minacciano come anacoreti pauperistici, incassano in quanto moralmente superiori. Non a caso le più esplosive trombette residuano negli scantinati statali: l’impiegatuzza ministeriale ciacola contro le case calde, fonte d’inquinamento e della morte dell’Amazzonia; quindi pretende tasse e imposte (via Draghi o chi per lui), indi le ingoia a stretto giro di posta il 27 di ogni mese: esimendosi, in nome d’una pretesa pulizia morale, alla stretta pauperistica che invoca, sobillata dai media di regime ormai a spetezzo unico. 
Nel passaggio da Autonomia Proletaria a Liz Truss ci sono meno gradi di separazione di quanto sembri.

20 commenti :

  1. Non credo sia per emulare le gesta dei personaggi del Pendolo, ma qualcuno (fonte: post di fb) ha intravisto il "piano" anche nella tessera elettorale, visto che ci sono tre file di sei spazi per i timbri, ovvero il 666...
    Mi dica Lei.
    A proposito poi, ma il pisciaiuolo del liquame che se ne faceva? Tingere o trattare tessuti, concimare?...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'orina delle donne in menopausa francamente non so a cosa serva. Magari c'era qualche ditta farmaceutica in agguato. Il commercio è andato avanti per anni senza che nessuno avesse a ridire, men che mai il medico condotto ... per quanto riguarda il 666 della scheda ... non escludo niente, anche se i controinformatori, pur di stupire il popolicchio digitale, tendono a piegare gli eventi alle proprie asserzioni, diciamo così ... "defraudando il caso della propria innocenza" (cit. F. Nietzsche). Come nel caso dei malori da vaccino: che i vaccini facciano male è indubbio, che ogni malore in Italia sia causato dalla puntura è ridicolo ... è un criterio che mi infastidisce poiché tende a spostare l'attenzione dal quadro generale alle minuzie ... al pari del tifo da stadio che si è creato attorno alla guerricciola (finora) fra Russia e Ucraina.

      Elimina
    2. Effettivamente, spulciando al solito in rete, è uscito fuori un vecchio articolo sulla raccolta delle urine di suore in menopausa, per ottenere farmaci riguardo problemi di fertilità...

      Elimina
  2. È un disastro; sta andando tutto in vacca. Nel paesino in cui abito, arroccato sulle montagne campane, ha chiuso i battenti l’unico fruttivendolo. Ultrasessantenne, Don Pasquale non c’è la faceva più ad andare ogni due giorni a Napoli, alle quattro di mattina, ai mercati generali. Così adesso per raccattare un po’ d’erbaggio, mi devo recare allo sfavillante supermercato della nota catena nazionale, che ovviamente vende solo pomodori olandesi al triplo del prezzo di quelli di Don Pasquale. In Campania, nella “Campania Felix”, sono costretto a mangiare pomodori olandesi. Cianciando delle prossime elezioni con l’impiegata del banco salumi (un’ultracinquantenne evidentemente attaccata all’ultimo lavoricchio trovato) ad un certo punto l’ultima erede dell’arte norcina sbotta: “ma si, che vadano a quel paese tutti quanti. Tanto io a mia figlia l’ho sistemata: lavora in Inghilterra. L’Italia è un paese di merda!”. Sentendo l’escrementizia sentenza mi sono venute in mente le parole di quel gobbetto marchigiano, che in una lettera si struggeva d’amore per l’Italia: “mia patria è l’Italia per la quale ardo d’amore, ringraziando il cielo d’avermi fatto italiano”. Ma evidentemente quello “sfigato” di Recanati non aveva capito nulla della vita. Il bello è che le stesse idee, la stessa mentalità la riscontrai in un neolaureato in ingegneria con cui mi ritrovai a conversare. Il dottor ingegnere era giubilante perché si preparava per fare un concorso per ottenere un posto in una certa azienda in Qatar per 80’000 baiocchi l’anno: “Se lo vinco mando a fare in culo a tutti. Col cazzo che mi rivedete qua!”. Non è che io voglia criticare chi emigra per lavorare, anzi gli porto il massimo rispetto. Ma il fatto è che per questa gente non c’è nessuna differenza fra l’Italia ed il Gabon: se in Gabon riescono ad avere un tenore di vita leggerissimamente superiore a quello che hanno in Italia, non hanno nessun problema a svignarsela, anzi son ben contenti. Prima di salutarti voglio segnalarti un piacevole sito web affine al tuo per un certo verso: “ https://www.istantidibellezza.it/index.html ”. Cordiali saluti,
    EB.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E pensare che il Gabon è divenuto il mio cavallo di battaglia ... a un presidente di municipio che si lamentava della trafila burocratica per spostare un semaforo: "E intanto il Gabon avanza". Lo stesso a una scimunita delle cosiddette Poste Italiane: "Due mesi per consegnare un plico ordinario. Da Roma a Roma! E intanto il Gabon avanza!". A un tizio che sminuiva la disfatta delle professioni per colpa della mancanza di formazione universitaria: "Sì ... sì ... e intanto il Gabon avanza!". Sbarrano gli occhi senza capire un tubo. "Ma tu l'hai vista la capitale del Gabon?" e così via. C'è da dire che i gabonensi se ne vanno lo stesso dal Gabon perché in Gabon, scusami, non c'è un cazzo ... qui da noi c'è la storia del mondo, persino in paesi che non trovi manco sulla cartina del Lazio ... una chiesina, un sepolcro, un arco, una cappelletta ... Giacomino, ovviamente, aveva ragione.

      Elimina
    2. Credo che il problema sia proprio l'imborghesimento (lavorativo e culturale) della provincia di cui parlava Alceste. Per fare i signori vanno in Ghana, come i nostri lontanissimi e sgraditi nemici coloniali. Dubbay poi...non ne parliamo, cito Alceste: buono il piscio? Massi... andate a dubbai e e restateci, pure. Però una cosa la devo dire, se in questo paese sei l'eccezione che conferma la regola ovvero non hai santi in paradiso, amici, parenti e case di proprietà, non campi facile.

      Sitka

      Elimina
    3. Questo è sicuro, senza spintarelle devi guardagnarti il pane dieci volte tanto.

      Elimina
    4. "Non hanno nessun problema a svignarsela, anzi son ben contenti". Ebbene sì, ne sono stato ben contento. Perché in 5 anni sono passato dalla miseria di poco più di un millino al mese, di questi tempi oro colato per coloro che non fanno parte del patriziato, a circa 6k mensili, che oltretutto mi godo da remoto proprio in Italia, ma con tassazione esigua in quanto Renzi, nella sua inettitudine, fece per sbaglio un grosso favore a una ristretta fetta di italiani, permettendo al sottoscritto rimpatriato di vivere per 5 anni come alle Cayman. Terminato il lustro ovviamente leverò le tende nuovamente perché non resterò certo a pagare lo stipendio a Di Maio et similia, o a regalare i miei soldi a qualche falso rifugiato percettore dell'RDC. L'Italia è finita. Punto.

      Elimina
    5. Sono contento che tu abbia trovato, nelle pieghe dell'inettitudine, un paradiso fiscale. Sono quasi d'accordo con te sulla capitolazione italiana; sarebbe bene, però, non scrivere "punto" per dare forza alle proprie argomentazioni. Così, per pulizia formale ...

      Elimina
  3. Tutto è iniziato con Mary Quant pronunciato come Mary Cunnus

    RispondiElimina
    Risposte
    1. C'è stato di peggio, vecchio mio ... a leggere gli opuscoletti anni Settanta si trova già tutto. Ma che dico? A leggere gli opuscoletti socialisti del 1870 già si trova tutto.

      Elimina
  4. Proteggetemi
    custodi miei silenziosi
    perché il sole si raffredda
    e l'ultima foglia dell'alloro
    era polverosa
    e non servì nemmeno per la casseruola
    dell'arrosto -
    proteggetemi da questa pellicola
    da quattro soldi
    che continua a svolgersi
    davanti a me
    e pretende di coinvolgermi
    come attore o comparsa
    non prevista dal copione -
    proteggetemi persino dalla vostra presenza
    quasi sempre inutile
    e intempestiva
    proteggetemi
    dalle vostre spaventose assenze -
    dal vuoto che create
    attorno a me
    proteggetemi dalle Muse
    che vidi appollaiate
    o anche dimezzate a mezzo busto
    per nascondersi meglio
    dal mio passo di fantasma -
    proteggetemi o meglio ancora
    ignoratemi
    quando entrerò nel loculo che ho già pagato da anni -
    proteggetemi dalla fama/farsa
    che mi ha introdotto nel Larousse illustrato
    per scancellarmi poi
    dalla nuova edizione -
    proteggetemi
    da chi impetra la vostra permanenza
    attorno al mio catafalco -
    proteggetemi con la vostra dimenticanza
    se questo può servire a tenermi in piedi
    poveri lari sempre chiusi nella vostra
    dubbiosa identità -
    proteggetemi senza che alcuno
    ne sia informato
    perché il sole si raffredda e chi lo sa
    malvagiamente se ne rallegra
    o miei piccoli numi
    divinità di terz'ordine scacciate
    dall'etere.
    e.m.

    RispondiElimina
  5. Si certo ... a leggerli
    Ho iniziato casualmente con "Gli Adelphi della dissoluzione" di Blondet alla fine degli anni '70: gironzolavo per la Tuscia senza una meta precisa, quando improvvidamente mi ricordai che mi trovavo in prossimità della sede dell'editore FdiF; mi procurai il loro numero di telefono e li chiamai per sapere se potessi passare per fare qualche acquisto; fui ricevuto in modo squisito: la moglie dell'editore ci porto - al marito, a Blondet (all'epoca FdiF era il suo editore ed era presente) e me - il tè con alcuni dolcetti, poi ci mettemmo a cercare degli improbabili conoscenti in comune, come si usava nelle conversazioni dabbene; invece ben presto ne saltò fuori uno con il quale, l'editore ed io, andavamo in barca a vela; dalla barca a vela a mio nonno, Ufficiale della Regia Marina Militare su un sommergibile, il passo fu breve; quando dissi che mio nonno era monarchico, l'editore (non riesco più a ricordare il nome: la censura lavora sempre, alla grande anche dopo 50 anni) se ne uscì con una frase, quanto meno, infelice: "Quindi era un traditore !"; inutile dirti che posi fine alla conversazione, acquistai 3 o 4 libri, tra i quali gli Adephi della dissoluzione, e me ne andai; non fu una fuga, semplicemente non sapevo nulla su quali argomentazioni fondasse la sua affermazione, non sapevo niente di niente: l'unica cosa che sapevo è che mi aveva fatto da padre, e che padre !, quando mio padre era all'estero - era un diplomatico, un console - e non potevo accettare un affronto simile; ma non avevo argomenti con cui controbattere; ho cercato poi di capire ma le letture non coincidevano con la realtà che conoscevo: la storia narrata ha la valenza di una statistica, le persone sono un'altra cosa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Per alcuni sono tutti badogliani. Avviene anche il contrario: per l'antifascista tutti i militari furono fascisti. Atteggiamenti datati, oggi da considerare addirittura fatui.

      Elimina
  6. Quando scricchiola il ghiaccio
    ed animali in ansia là sulla banchisa
    guardano i mari disfatti, la deriva di icebergs

    e sussulti di squali trafitti dalla fiocina
    s'agitano, si spengono e il salmone
    avido di procreazione e moribondo
    nuota a ritroso nei torrenti in piena

    e il lupo
    con spasimo di tutta la sua vita
    di quella dei suoi padri e dei suoi cuccioli
    con questa ressa nel cuore

    prende la via dei monti e si ritrova
    agile sulle vecchie zampe, pronto
    al richiamo dei venti originari
    che squillano l'amore il viaggio e la rapina,

    vita non mia, dolore
    che porto dalla notte
    e dal caos,
    ti risenti improvvisa nel profondo,
    ti torci nelle angustie, sotto il carico.

    Vivere vivo come può chi serve
    fedele poi che non ha scelta, Tutto,
    anche la cupa eternità animale
    che geme in noi può farsi santa, Basta
    quel poco, quel poco che come spada taglia
    m.l.

    RispondiElimina
  7. Anonimo.bravo.noi poveri gentili,nelle grinfie della mantide,proteggete i bambini che saranno i demoni di domani e proteggete gli anziani,che i vermi hanno la tavola apparecchiata.viviamo in un'incatesimo nero...la piattaforma che galleggia nel freddo universo..salvate la vostra anima,che il corpo biologico dopo muore.

    RispondiElimina
  8. Sull'Italia dei trogloditi

    "Era scoppiata una guerra tra Assisi e Perugia. Adesso si usa dire in tono satirico che quelle guerre in realtà non scoppiavano, in quanto si trascinavano indefinitamente tra le città-stato del medioevo italiano.
    Basterebbe dire che se una di quelle guerre fosse durata per un secolo senza interruzioni, avrebbe forse potuto fare una quantità di vittime pari a quella che fa in un anno uno dei nostri grandi conflitti tecnologici tra i nostri grandi, moderni Imperi industriali.
    Ma ai cittadini di una repubblica medievale italiana veniva soltanto chiesto di morire per le cose con cui avevano sempre vissuto, le case in cui abitavano, i loro luoghi di culto, i loro reggenti e i loro rappresentanti; non avevano uno scenario allargato che li chiamava a morire in nome delle ultime voci messe in giro da anonimi giornali, a proposito di certe remote colonie. E se, in base alla nostra esperienza di moderni, arriviamo alla conclusione che la guerra paralizza la civiltà, dobbiamo almeno riconoscere che queste bellicose città italiane hanno prodotto una quantità di paralitici che si chiamano Dante e Michelangelo, Ariosto e Tiziano, Leonardo e Colombo, per non parlare di Caterina da Siena e del protagonista di questa storia.
    Mentre ci lagniamo che tutto questo patriottismo locale non è altro che la grande confusione prodotta dai Secoli Bui, dovrebbe sembrarci quantomeno strano il fatto che circa tre quarti dei più grandi uomini mai esistiti fossero originari di queste piccole città, di queste litigiose piccole repubbliche italiane, e che spesso avessero partecipato a quelle piccole guerre".

    G. K. Chesterton, San Francesco, cap. "Francesco soldato"

    RispondiElimina
  9. La cosa che mi ha fatto più ridere (si fa per dire) del caso Treccani è stata la voce "gatta-gatto".
    Ho immaginato quei fessi (ne conosco) che hanno subito abbracciato la dicitura "diversamente abile" esclamare: "guada quelle gatte là fuori!".

    RispondiElimina
  10. giuseppe

    gio 15 set, 23:00 (14 ore fa)

    a me


    Un grido nel sonno; per neri vicoli si abbatte il vento,
    L’azzurro della primavera ammicca da rami che si spezzano,
    Purpurea rugiada notturna, e si spengono intorno le stelle.
    Verdognolo albeggia il fiume, argentei i vecchi viali
    E le torri della città. Oh mite ebbrezza
    Nella chiatta che scivola e le grida oscure del merlo
    In giardini infantili. Già si dirada la rosea peluria.

    Solenni mormorano le acque. Oh le umide ombre del prato,
    L’animale che incede; Rami in fiore che inverdiscono
    Agitano la fronte di cristallo; chiatta che ondeggia luccicante.
    Piano risuona il sole tra le nubi di rosa sul colle.
    Grande è la quiete dell’abetaia, le ombre serie sul fiume.

    Purezza! Purezza! Dove sono gli orrendi sentieri della morte,
    Del grigio silenzio di pietra, gli scogli della notte
    E le ombre senza pace? Abisso raggiante di sole.

    Sorella, quando ti trovai in solitaria radura
    Del bosco ed era mezzogiorno e grande il silenzio dell’animale;
    Bianchezza sotto quercia selvatica, e argenteo fioriva il duomo.
    Morte possente e la fiamma che canta nel cuore.

    Più cupe le acque circondano i bei giochi dei pesci.
    Ora del lutto, sguardo silente del sole;
    L’anima è uno straniero sulla terra. Sacra albeggia
    Azzurrità sopra il bosco abbattuto e rintocca
    A lungo una campana cupa nel villaggio; in pace estremo saluto.
    Silenzioso fiorisce il mirto sopra le palpebre bianche del morto.

    Piano risuonano le acque nel pomeriggio al declino
    E verdeggia più cupa la sterpaglia alla riva, gioia nel roseo vento
    Il canto lieve del fratello sul colle vespertino.

    Es ist die Seele ein Fremdes auf Erden...
    G.T.

    RispondiElimina
  11. He came dancing across the water
    Cortez, Cortez
    What a killer...

    https://www.youtube.com/watch?v=k3LxyiW7-o8

    RispondiElimina

Siate gentili ...