Roma, 10 dicembre 2018
La prima alla Scala (o:
della Scala) fu, decenni fa, un evento importante. Non tanto per la borghesia
italiana, ma per la sinistra italiana. Lanciare uova sulle pellicce era ritenuto
un atto sovversivo davvero katanga; comunisti e borghesi, invece, dissentivano,
a diversi livelli da tali modi della contestazione più crassa. I primi poiché
avevano ereditato corpi e ideologie severi, poco inclini all’esibizionismo; i
comunisti disprezzavano quelle sfilate, certo, ma solo quali offensive
manifestazioni di vanità di classe; il pelo di visone o ermellino, gli sparati
impeccabili, metaforizzavano un periodo storico di ingiustizie da sovvertire
colle conquiste nel lavoro e nell’educazione, la lotta in fabbrica, il
ciclostile e il dialogo-scontro, duro, con le istituzioni. I secondi, invece,
avevano in orrore le uova e le vernici katanga per due motivi: in quanto latori
delle pellicce e degli sparati medesimi, ovviamente; e perché (questo, però, lo
scoprimmo decenni più tardi) le Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare e i Direttori
Meganaturali, gli industrialotti, i vescovoni e i dignitari statali,
rappresentavano, pur nella parodia, uno degli ultimi lasciti vitali e
produttivi dell’essenza italiana; a differenza dei Katanga, mosconi
improduttivi e fuoricorso, di cui annusavano, a pelle, l’antitalianità oggi
trionfante.