04 settembre 2019

Il sacrificio della patria nostra è consumato ...


Roma, 4 settembre 2019

La provincia, che innervò l’Enciclopedia del bello italiano, la Commedia dantesca, è in via di disfacimento. La colpa, ammesso che sia onorevole trovare colpe nella Caporetto più rovinosa dell’Italia, risiede nella democrazia. La democrazia liberale, con l’illusione del controllo sulla res publica, ha dissolto i fondamenti di Siena, Arezzo, Perugia, Viterbo; e di quei centri minori, sconosciuti ai più, che conservano, nel proprio seno, ricchezze naturali e artistiche oggi incredibili, almeno agli occhi di chi, come me, le aveva temporaneamente dimenticate poiché troppo avvezzo a esse. Delegare a un geometra o a un architetto à la carte le chiavi per amministrare tali sedimenti, di millenni, equivale a rinunciare alla lotta. Solo un’aristocrazia potrebbe salvare ciò che resta. Ma viviamo ormai nel miraggio dell’uno vale uno; un’utopia auspicabile, persino: se fosse vera. In realtà - la sola realtà - un gregge ottuso e immusonito vota; il voto elegge alcuni figuri che, nelle more del loro mandato (democratico), lasciano cadere favori e minuscoli privilegi; il gran corpo tecnico-amministrativo, complice dei figuri anzidetti, si acconcia, quale complice, alla devastazione. Conventi secenteschi risolti in bed and breakfast (previa scialbatura degli affreschi), centrali biogas nel cuore di boschi sacri, macchie secolari riorganizzate per parchi a tema naturalistico-fantasy: onde soddisfare le voglie d’evasione dei micchi internazionali (svizzeri, svedesi e crucchi hanno da sculettare lungo i diverticoli della Francigena), larghe pianure, prossime a fonti sacre etrusche, predisposte per l’accoglienza della merda: ché l’ominicchio del futuro meno pensa più merda produce.

Lo schianto della Chiesa e dei partiti storici (socialista, cattolico, fascista) ha sancito l’Ite missa est della scuola. Un diplomato d’oggi stenta a compitare un passo di Ugo Foscolo (quelle “lagrime”, quel “divino Plutarco”; per tacere dell’incipit: “Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia”). Eppure tale caprone, al limitare dell’analfabetismo, viene detto pronto, per un giuoco di clientele, ad amministrare città e borghi che, presi da soli, assommano più ricchezza antropologica e culturale di New York. Basti questo a presagire il disastro. L’Assessore d’un capoluogo di provincia ignora non solo Ugo Foscolo, ma anche, cito a caso, ma non troppo, Rodolfo Wilcock, Cardarelli, Balthus o Castellani. Egli, di fatto, non sa nulla. Finge di sapere, lautamente stipendiato, grazie al bavoso biascicare del consueto imparaticcio della domenica. Il suo quoziente d’intelligenza non sfonda la fatidica quota 100, diamolo per certo. Vivacchia nei bassifondi dello spirito. Non sa, non può sapere. La gerarchia della conoscenza vive di studio assiduo e d’esperienze mistiche: per il sapiente anche un muretto a secco cementato dall’erba vetriola parla dell’Italia, commovendolo.

La merda dà un gran pensiero alla civiltà del post. Chi l’avrebbe mai detto? Ho visto mandarini, ridotti a spicchi, avvolti nel cellofan dell’irresponsabilità, lungo i banchi di un supermercato vicino casa: un totale di ventidue spicchi, a essere precisi, ritenuti, per il micco più ozioso (odia le bucce, il furbone), entro il metraggio d’una confezione ingombrante come sei I-Phone (l’unità di misura della merda). Come amava dire Gadda: io stupiva. Una pizzetta di carne da un paio d’etti (carne sceltissima, signore e signori, carne chianina), invece, l’ho sorpresa a innescare la follia di un plateau di plastica 25 cm x 25 cm. (il sedicesimo d’un metro quadro di merda, insomma; al netto della carne). Per tacere delle mer(en)dine: da ammannire, onde tacitare, con gli scarti degli zuccheri industriali (pare abbiano effetti potentissimi da droga soporosa; e inneschi da diabete già nella prima età), quelle prefigurazioni di essere umano una volta note come bambini: oggi ridotti a viziatissimi frignoni, svogliati, stupidi come zucche e privi di quella innocenza, dolce e creativa, che ne faceva un popolo nel popolo: a risarcire le nostre bassezze di adulti. Sei mer(en)dine di plastica, con gromma interna che richiama il gusto delle marmellate d’antan, richiede ineluttabilmente una base di cartone cm. 40 x cm. 20 (dodicesimo d’un metro quadro); oltre all’involucro generale in plastica, rumorosissimo durante l’accartocciamento, esornato da menzogne e disegni pubblicitari, accesi e anch’essi fraudolenti (la gromma anzidetta lì cola abbondante come ambrosia: nella mer[en]dina reale ristà, invece, quale annoso grasso di rugginoso giunto cardanico) e a sei, dico sei, ulteriori involucri, sempre in plastica, trasparente stavolta, a proteggere (da cosa?), le altrettali entità: talmente gonfie di conservanti da rassomigliare a molluschi lovecraftiani renitenti alla decomposizione. Il raduno d’una quindicina di pre-adolescenti vocianti ha prodotto, perciò, fra bottiglie, pizzettine, paninetti, mer(en)dine, patatine e altra merda assortita almeno quattro sacchi di spazzatura: oltre a carie, scompensi cardiaci e tumori che, qui, in un giardinetto della Tuscia, all’ombra dell’ultimo sole agostano, Anno Domini 2019, hanno cominciato ad allignare nelle fibre di questi poveri meschinelli, ottusi e incolpevoli assieme: sacrificabili esserini del futuro.

Le due crostate alla marmellata, di fichi e more (produzione del sottoscritto, che si è persino acconciato a frullarle con cura), hanno raccolto, purtroppo, poche e tiepide adesioni.

La iozza, chi era costei? La iozza era la sciacquatura dei piatti; arricchita da olio di fritture, grasso, avanzi di minestrone, scarti di verdure, patate marce, mollica di pane o da croste rafferme di cacio. Costituiva la base del pastone dei maiali. La iozza veniva ambita dalle famiglie più povere: bambini col secchio della iozza si recavano ogni sera presso i casali dei dintorni a elemosinare quella sbobba da riversare nel trogolo; lo si vedeva poi crescere, il porco, mese dopo mese, col distacco indifferente dei contadini i quali, lo so da sempre, non concedono nulla alla goffa empatia postmoderna nota come animalismo; la compagnia dell’animale a loro nulla dice; solo tollerano la convivenza con quelli utili. Un cane da salotto è da deridere; un cane, infatti, è un cane: da caccia; o da guardia, al massimo. E anche un cane da caccia, pure quello allevato con passione e competenza, deve dimostrare il proprio valore altrimenti viene abbandonato al proprio destino. Non infrequente è il caso di cani bellissimi, da ferma o da tana, lasciati alla deriva nelle campagne. Aristocratici, tristi, inavvicinabili. Per molti giorni, questo agosto, ho ammirato un pointer macchiato, che vagava solitario; usciva dalla macchia al tramonto; ci si guardava, di lontano, a lungo, mentre il sole, sempre più debole e basso, circonfuso d'un arancio da olio tizianesco, rispecchiava sé stesso e la corte di nubi oltremare nelle vasche pietrose d’un fontanile vicino. La sospensione metafisica di quei luoghi: i calanchi alle spalle, come ferite dolci nei corpi delle collinette verdi delle inestricabili ginestre, le regolari spianate dei campi sin al corso del Tevere, disseccato dall’arsura, irto di sassaiole e macigni dilavati. Il mio amico usciva dall’erba alta con passo regolare e si bloccava quando la mia presenza pareva risultargli invadente; coi giorni istituimmo un accordo fra gentiluomini, una sorta di distanza accettabile dalle convenienze contingenti. Di solito gli lasciavo qualcosa in prossimità del sentiero. Mangiava, con calma. Poi prendevamo a fissarci, in quella terra di nessuno che è ormai la Tuscia arcaica. Refoli freschi calavano ad accarezzare i dorsi delle vallette; solo lo sgocciolare della fonte rompeva il silenzio altissimo, ora reso perfetto da quella cullante intrusione.

Mi rendo conto che il destino, quello più personale, sciocco e superficiale, ama assediare alcuni animi. “Io sono leggenda”, mi dissi. E come il protagonista di Matheson eccomi qui a parlare, muto, con un cane.

Quell’ammasso di grugniti e carne, il porco, che sciaguattava in un recinto basso di pietra, tra piscio e fanga, il nino, come lo si chiamava fra di noi, ancora bambini a ogni effetto, setoloso e lutulento, placava la sua unica aspirazione, masticare e ingoiare, in un freddo mattino d’autunno. L’alba caliginosa attutiva il grido, umano e straziante, dell’esecuzione. L’acqua bollente, i ganci, il sangue fumante, la pulitura delle setole. Lì non v’erano scarti. Agiva, in quelle menti e in quelle mani, un’industriosità raffinata nei secoli, ignorata la colpa; era lo spreco, invece, a coincidere col peccato. Carne, sangue, ossa venivano razionalizzati dall’istinto della fame, pur in assenza di fame, poiché le ansie ancestrali per il cibo furono gradatamente sublimate in una crudele fordizzazione; poiché fu la fame, in ogni tempo, a formare psicologicamente l’uso del coltello e a sobillare la produzione metodica e spietata di sanguinacci, salsicce e spallette. Unica concessione alla frivolezza: la vescica del porco, gonfiata sin alla grandezza d’un pallone per i giochi degl’infanti.

Parte del grasso della vittima era la festa. La festa interrompeva il lavoro. Il lavoro rendeva onore alla festa e la festa gratificava il lavoro: in una simbiosi distillata nelle caverne del tempo e della consuetudine. Settimana lunga, festa lieta. Lo devo ripetere ancora? Amore e Morte, Fame e Sazietà, Pace e Guerra. La saggezza contadina ed Eraclito, l’Oscuro, ripetono i medesimi adagi, senza sospettare l’uno dell’altro, poiché alla verità possono abbeverarsi tutti. Anche nella fiaba, la multiforme costellazione che raccoglie timori e tremori della vita nelle campagne, si ritrova quel detto: la durezza della vita esalta il riposo. La festa. Il sacrificio degli animali costituiva il preludio alla festa: il grasso sfrigolava sul pane, colava profumato sui fagioli, erbe e rosmarini insaporivano quelle elementari pietanze. Attorno a una ciotola enorme si riunivano intere famiglie, amici e vicini; ognuno, col proprio cucchiaio, pescava il boccone sgocciolante a riempire le fauci, avide e soddisfatte, ognuno rilassato, ché le fatiche erano finite; uve, vino, conserve d’ogni sorta, ortaggi marinati, olive, frutta; grani e legname accatastati con cura; si aprivano le mollezze del tardo autunno, quindi la stasi paralizzante dell’inverno quando il seme, come l’uomo, indugia, nascosto e accorto: per non farsi avvertire, occulto, e preparare il nuovo ciclo: the force that through the greeen fuse drives the flower. In ciò era il nulla di troppo greco: chinare il capo silenti davanti all’inverno che non avrebbe così infierito con le gelate, le febbri e le infiammazioni. Una furbizia spirituale, superstiziosa, bertoldesca in ultima analisi, di chi è sopravvissuto nei millenni: il contadino agisce, suo malgrado, con tali attitudini. Di qui i difetti proverbiali: renitenza ai doveri civici, avarizia, trucchi da cialtrone, diffidenza verso gli estranei e persino verso la moglie e i figli: con la pelle non si scherza.

Solo Piero Camporesi, nel mio ricordo, ha rievocato con vivezza tale Stimmung del mondo contadino. Nella poesia l’unico a suggerire la bellezza dei trapassi stagionali fu, invece, per paradosso, un probabile aristocratico: Folgóre da San Gimignano.

Tutto ciò che è progettato per durare, io lo amo. Monumentum aere perennius, afferma Orazio. Ma anche le piccinerie della vita contadina, oggi scomparse, eran lì da sempre, per l’eternità a venire. Il contadino di Bruegel, come quello della Tuscia, ancora nel secondo dopoguerra, arrivava al pranzo della festa con un semplicissimo cucchiaio di legno infilato nel cappello. Il tavolaccio, una panca, mestoli, pane e vino. Bruegel il Vecchio, forse il miglior pittore di ogni tempo, impasto fra aristocrazia e popolo: il suocero traduttore di Vitruvio, i contatti stilistici con Bosch, i viaggi a Roma e Napoli, il rientro in patria: Il banchetto nuziale, Il ladro di nidi, Farandola di fanciulli; i bellissimi paesaggi invernali, che Tarkovsky incluse in Solaris, e lo straordinario Giornata buia ove si ritrova tutto quello che conforta la mia anima: i raccoglitori di ramaglie in primo piano, immersi in una tonalità più calda - rossi, bianchi, gialli, ocra - e raccolti in un tableau quieto e domestico: il villaggio che riposa nella serenità, sullo sfondo medio; e, quindi, di lontano, il mare in burrasca, schiumante di furia, predatore di navigli e vaselli, e quel cielo apocalittico, di un livido chiarissimo, rigato dalle sagome scheletrite degli alberi, appena sopra la maestà delle cime innevate - un cielo che s’incupisce, sulla destra, sin al bruno più torvo. La definizione certosina, derivata da talenti di incisore e miniaturista, non prevarica un messaggio simbolico, atmosferico. Come in Gadda ove, spesso, il linguaggio di derivazione classica, nitido e inappuntabile nella sua potenza etimologica, si allarga in elegie metafisiche di dolore e pensosità stoiche. Tale il genio.

Folgóre da San Gimignano è uno scavezzacollo. Scrive dodici sonetti - più altri due, trascurabili, a mo’ di introduzione ed exeunt omnes - in onore del signore senese Nicolò di Nigi o di Nisi; un sonetto/un mese. Il calco dotto di tali liriche è il genere provenzale del plazer (piacere) contrario a quello dell’enueg in cui, al contrario, si citano spiacevolezze. In Folgóre tutto invita alla convivialità felice, lasciate fuori le brutture del mondo. Un escapismo raffinato, virile; mangiare, bere, divertirsi; rinserrarsi entro una comunità di pari. Gli elenchi di oggetti, servitori del meraviglioso, aggravano godibilmente gli endecasillabi; ecco la gioia di vivere (di vivere: in opposizione alla sorella Morte, sempre in attesa, tacita, dietro ogni sillaba) che è scintillio, folgóre, splendore: monete, broccati, lenzuola, belle donne, chiare acque. La caccia è il diporto consueto della “brigata nobile e cortese” o della “brigata franca”. Nel mese di gennaio durante il giorno si esce, brevemente: il manto delle nevi bianchissime fa da scenografia allo scherzo amabile con le signore (“gittando  … neve bella … alle donzelle che saran d’intorno”); a sera, davanti ai fuochi di legno di quercia (la bellezza di quelle “salette accese”!), si arrostiscono le vivande, con letizia, condecentemente vestiti: con pellicce di vaio, di doagio o racese (dalle francesi Douai e Arras); le gote s’infiammano pei vini, la notte scende fuori delle mura, oltre l’enclave sancita dall’amicizia. Di là, nelle fredde gole dell’Italia immortale, soffiano i venti estremi dell’inverno, tramontane e rovai, levigando le pietre di chiese e villaggi; il gelo si insinua nelle cortecce, posano i cuori dei popoli dell’aria e della terra. Si sospende la vita, impercettibilmente. L’uomo avverte, leggero, la disfatta costituita dalla propria ineliminabile caducità. Ecco i rintocchi delle campane, smorzati dalla lontananza. I contorni sfumano, in un azzurro cupo, gelido e, tuttavia, amico. Vivere, nonostante la consapevolezza della Morte, che appartiene, come ogni cosa, compreso il Male, a Dio. La bella brigata. In attesa dell’eterna notte. Come i baci di Catullo a Lesbia. Ma questa fu, da sempre, l’essenza dell’Occidente: in tristitia hilaris, in hilaritate tristis. Non è possibile comunicare tale Stimmung. Il prescelto può ancora avvertirla, però: in un luogo, in una poesia. A frequentarle negli anni.

I’ doto voi, nel mese di gennaio
corte con fuochi di salette accese,
camer’e letta d’ogni bello arnese,
lenzuoi di seta e coperti di vaio,

tregèa, confetti e mescere a razzaio,
vestiti di doagio e di rascese:
e ’n questo modo stare a le difese,
muova scirocco, garbino e rovaio.

Uscir di fuor alcuna volta il giorno,
gittando de la neve bella e bianca
a le donzelle, che saran da torno;

e, quando fosse la compagna stanca,
a questa corte facciasi ritorno:
e si riposi la brigata franca


A volte, in un banale dormiveglia, durante i primi pomeriggi più assolati, certi suoni e immagini, persino alcune essenze, tornano alla mente con una vivezza sconcertante e palpabile; familiari alla coscienza, poiché vissuti decenni prima. Altre suggestioni, però, tornano a riva dai recessi d’una coscienza più ampia, dapprima sconosciuta: suggestioni impastate in un’essenza più antica, sovraindividuale, eterna. Qui l’anima cede il passo a qualcosa di più vasto ove stinge la singola personalità. Suoni, colori, passioni, figure e visioni sono ridonati da laghi profondi e inaccessibili nelle veglie: non sono madelaines, queste, ma la verità su noi stessi. L’Occidente emerge, per attimi fuggevolissimi: tutto sembra allora a portata di mano, chiarissimo, inoppugnabile: da Cinocefale a Sikander, dal terribile e duplice gesto di Eteocle e Polinice alla disfida fra Parrasio e Zeusi.

Non sarà immune Dante Alighieri dai giochi dotti dell’escapismo. In lui risaltano con forza incomparabile:

Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare,
lepri levare, ed isgridar le genti,
e di guinzagli uscir veltri correnti,
per belle piagge volgere e imboccare …


Dante, nel prosieguo del sonetto, si scusa poi con le signore: il piacere, grossolano e un po’ volgare, per la caccia, roba da maschi, l’ha distratto dai cori gentili.
Solo col più bel sonetto fantastico della letteratura italiana riuscirà a coniugare indissolubilmente sogno aereo, amicizia virile e amore cortese:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi


Vasel”, “incantamento”, “quivi ragionar d’amore”, “monna Lagia”, “il buono incantatore” (Merlino) e il vocativo “Guido”, ovvero Guido Cavalcanti, il “primo amico”. Qualcuno di voi penserà che tale sonetto l’ha già letto a scuola. Lo devo deludere. Non l’ha mai letto. Per leggere tali quattordici versi (ABBA ABBA CDE EDC) in cui si ritrova l’Italia, compiutamente, la leggerezza, il viaggio, il mare, la fuga e la bellezza, occorre comprendere l’Italia. Non è facile, oggi, poiché le parole suonano a vuoto, quali gusci d’un animale estinto. “Vasel”: cos’è? Sono i navigli delle miniature medioevali, schiacciati in un commovente stilizzazione bidimensionale, tremolanti per la minaccia del dissolvimento; e le pergamene, la calligrafia, il simbolismo raffinato e profondo dei colori, distillati da pietre e piante, dalle ossa dell’Italia stessa, vien da dire; la Francia, il Tristano; e poi il mito: la montagna del Purgatorio; il Monte della Calamita che divelle i chiodi del fasciame dei “vaselli” sino a ridurli a relitti: metafore del cuore e dell’amore inappagato; il prete Gianni, il nestoriano che dal cuore dell’Asia manda lettere al Papa: apocrife, forse, come le missive fra San Paolo e Seneca, eppure generatrici di poesia e vita; la navigazione di San Brandano; gli unicorni di Marco Polo; la vertigine della lista che compone il meraviglioso; boschi e torri che, di lontano, formano il paesaggio di riferimento per il cammino. Occorre vedere dove non vi fanno più guardare. Scorticare le parole, opache d’una vernice anonima, e ritrovare il lustro d’esse. Queste metafore, i colori soprattutto, le sfumature di antiche pitture o del volgere degli astri, albe e tramonti, tutto questo forma il corpo mistico dell’Italia e l’unica linea di resistenza possibile. Che un sonetto di Folgóre da San Gimignano o di Dante Alighieri possa costituire una delle rocce delle nostre Termopili appare all’uomo volgare una pazzia. È indubbio, però, che sia così. Ritenere che il nostro immediato passato sia inutile: ecco il peccato che rende inutile qualsiasi tentativo di ribellione. Ogni metafora racchiude secoli di storia e uomini ed esperienze. Ignorare il vasel “ch’ad ogni vento/per mare andasse al voler vostro e mio” equivale a consegnarsi vuoti di fronte al potere: uomini secchi, di paglia, dalle voci flebili e inaudibili, pronti a sbriciolarsi.

Dante assorbe ogni modello precedente e prepara gli ultimi fuochi della letteratura italiana: Boiardo, Ariosto. In Dante, nonostante la concettosa razionalità, vive ancora la meraviglia; nei successori tale attitudine verrà recuperata solo con operazioni dotte, nostalgiche. Boiardo comporrà L’Orlando innamorato con la certezza della fine d’un epoca mirabile. Dal Cinquecento in poi avremo solo scettici o filosofi, come Leopardi o Montale. Pochi i poeti. L’autunno del Medioevo apre la stagione dell’angoscia moderna, mai lenita.

In alcune zone della Tuscia arsenico e piombo sono a livelli sette volte superiori al limite di guardia. Ma ci si accapiglia per le borracce ecologiche.
Gli insetticidi e i diserbanti più letali hanno da favorire la coltura della nocciola. Le nocciole: quindi il cioccolato. Cioccolato per merendine. Le merendine passano per le budella dei bimbi. I bimbi affollano, inevitabilmente, i reparti dei cancerosi, gli occhi spaesati, incapaci di dare un senso a quell’esistenza. Padri e madri, intanto, recano visita a chi, a breve, non sarà più, improvvisando, col cuore devastato, il simulacro della speranza a cui è impossibile prestare fede. La borraccia ecologica nella borsa, intanto, cozzando contro le chiavi della casa solitaria, rimanda suoni metallici, sinistri.

Cosa manca a Matteo Salvini? Manca il sangue; e la conoscenza di Dante e Folgóre. Il sangue, il sangue della guerra intendo, quello di Mussolini, Franco, Guevara, Hitler e Giorgio Bocca, non posso farglielo conoscere: mancanza di trincee. E Dante? La vedo dura. La mancanza di un retroterra culturale profondo e delle esperienze virili comuni deformano, poi, volti e gesti. Un uomo deprivato di tali prassi interiori è inadatto a capire luoghi e recessi dell’anima; egli manca proprio dei fondamenti psicologici buoni a ricevere in sé, quale fiammata immediata, il senso dell’essere italiano. E ciò vale per gli altri: non ne voglio citare nemmeno i nomi. Il Papeete, al di là delle esagerazioni, è questo. Il tribalismo, la sciatteria, l’esibizione deriva da tale peccato originale. Non lo dico per polemizzare. Per me Salvini è sempre stato quel che è. Son solo noterelle sull’orlo della dissoluzione. Che tale gaglioffame sia la speranza dei sovranisti è, invece, fonte di sconcerto inesauribile. Sovranisti di destra, poi! Ma, dico io, questa gente si rende conto di chi erano gli uomini della destra tradizionale? E del cattolicesimo, anche il più morbido? Fa niente, però. La commedia è in atto. Chissà se qualcuno almeno sospetta che, dietro al vorticare di dichiarazioni e ai tonfi delle porte che si aprono e chiudono, ci sia, come sempre, il Programma. E il Programma va avanti. Fra le speranze del tifo più assordante.

Dopo un anno circa, il partito dei traditori torna al governo. Mister “non si interrompino i sogni” è lì, le leve del potere nelle mani. Come si era preconizzato facilmente. Per molti i traditori erano già finiti, appesi o fucilati, nel piazzale Loreto delle loro sicumere. Il miccus digitalis vive di tali fantasticherie masturbatorie, di rodomontate ed esplosioni vaticinanti: sempre sbagliate. La guerra! Uccidiamo i traditori! Come no, sicuro … Uno Zingaretti qualunque vale cento controinformatori: figurina scaltrita, certo, ma soprattutto esperta nella prassi anempatica del maneggio politico. La militanza antiitaliana avrà, nei prossimi mesi, soddisfazioni quasi erotiche. E così ciucceremo il biberon dello ius soli, a esempio. Salvini e Meloni consenzienti. Consenzienti. Questo il segreto. Un annetto di sbruffonate e poi cedo il passo! Fra un anno o due, tuttavia, tornerò, ve lo prometto! Il ciclo continua, il Programma avanza. 

In sessant’anni di politica al vertice assoluto, nazionale e internazionale, Giulio Andreotti fu sorpreso solo una volta in atteggiamento sgraziato: quando, costretto dall’occasione, e dall’ortaggio, impossibile a ridursi al galateo della posata, ebbe a protrudere le labbra, in una incolpevole e peritosa foga d’ingurgitazione, verso una fetta di cocomero.

I brevi attimi di quella caduta, esaltati dalla malizia dello scatto fotografico, vennero risarciti, però, dalla storica battuta sui Verdi: “I Verdi sono come i cocomeri, verdi di fuori e rossi di dentro”: motto minuscolo e insinuante, in cui convivono, al solito, la faciloneria del sarcasmo pievano, assolutamente italiano, e lo sprezzo di chi conosce, dall’alto, da le superne cose dell’etternal gloria, le piccinerie del tramestio politico.

Ripugna parlare di queste cose, eppure mi tocca farlo. Il rimorchio. Rimorchiare, vecchi di mezzo secolo, è uno sport talmente agevole, in questa estate 2019, da regalare una vertigine di stupori: facile come pescare le trote in un acquario. Le cinquantenni, o giù di lì, ma anche su, una volta testata la sodezza dei quarti, affollano le battigie estive e i calpestamenti termali; curate, affabili, malinconiche, nonostante estroversioni galeotte che l’occhio attento riconoscerà per false, macerate come sono in una incipiente disperazione. Unici requisiti del gallinaccio: saper parlare italiano e inscenare due o tre frizzi di buona lega. Si colgono dal ramo, le monne Lagie del Ventunesimo Secolo, senza sforzo; alcune ti cadono in grembo, fuor di metafora. Son le bellurie del Sessantotto, rese globali: abbandonati i molesti talami patriarcali e le incombenze del mocciosame, le Italiane, totalmente liberate, si ritrovano tagliate via ben presto dal mercato sessuale; il riassestamento poggia su ridicoli surrogati: new age, yoga, viaggi, droga, solidarietà terzomondista, prostituzione maschile, blande esperienze saffiche. Inevitabile che il tarlo dell’infelicità si insinui, spietato, nelle pieghe della carne ancor fremente. Perché una cosa rimane certa, come ebbe a dire Cesare Pavese, eiaculatore precoce: puoi fare tante manfrine, esibirti e roteare la coda della cultura e della gentile affabilità, ma poi, al dunque, una donna va soddisfatta.

In La guerra lampo dei Fratelli Marx (Duck soup, 1933), trionfo dell’irrisione dissolutoria ebraica più genuina, Rufus T. Firefly (Groucho), fresco presidente di Freedonia, assolda gli uomini di governo direttamente dal balcone. Un venditore ambulante, Chicolini (Chico), che passa lì per caso, è nominato, issofatto, Ministro della Guerra. Sulla scrivania di Firefly il telefono squilla incessante. Chicolini se ne impossessa ogni volta, sempre negando che Firefly, proprio davanti a lui, sia presente. Al che Groucho commenta, preoccupato: “Mi domando cosa mi sarà successo”. Lo stesso per me questa estate. Un silenzio di nemmeno un mese e già, per qualche frequentatore del blog, la figura evanescente di Alceste trascolorava nella malattia o nel romitaggio o, perché no, nella morte. Tanto che, a fine agosto, la mattina, guardandomi nello specchio, mi chiedevo, con una punta d’ansia: “Chissà cosa mi sarà successo”.

Altre battute del film, a caso e a mio ricordo: “I miei avi si rivolteranno nella tomba e dovrò rimboccargli la lapide!”; “Il bilancio? Lo capirebbe anche un bambino di tre anni! Presto, un bambino di tre anni! Io non ci capisco nulla”; “Può darsi, signori, che Chicolini si comporti come un idiota e abbia una faccia da idiota, ma non lasciatevi ingannare: è davvero un idiota”.

Gli Ebrei, popolo fatale: sempre al contrario. A me il contrario piace: come eccezione. I Saturnali dei Romani, con l’ordine civico al contrario per poco tempo, così come il postumo Carnevale, a questo servivano: all’eccezione costituita dall’inversione di ruoli e senso. Il gravame del quotidiano si liberava in follia anarchica. Giusto. Ma se, invece, fosse Carnevale tutti i giorni? Un Carnevale della logica, del gusto, dell’istinto? Semplice, avremmo il mondo attuale, da Lady Gaga a Bergoglio.

Gli Ebrei, ebrei sino al midollo, veri e istintivamente ebrei, sono al tramonto. Al pari di rabbini, mattacchioni sionisti e spianatori di moschee. Urge un Ebreo davvero internazionale, irenico, che piaccia a tutti; un ebreo che non sembri un ebreo, insomma; gli Epstein, i Netanyahu, i Polanski, i Kissinger andranno al macero. Un ebreo meno scostante, adunco, rompiscatole, abrasivo; empatico; o dovrei dire: empatica? Avanzano figure nuove, da videogioco: Natalie Portman è la mia favorita, l’ho già detto: un’americana di Gerusalemme, graziosa, mondialista, perfetta per incarnare il falso sentimento di giustizia, solidarietà ed equidistanza che va tanto per la maggiore, oggi. Sì, pure Israele, dovrà riadattarsi ai tempi nuovi, terribili, di pace.

Anche la Cina, l’Iran e la Russia verranno massaggiati in tal senso. Un Sessantotto cinese sembra alle porte. Chissà. Estirpare una cultura antichissima non sarà facile, ma i Signori del Mondo non hanno fretta. La fretta attanaglia chi non ha un’utopia; chi la possiede può veder spegnere tranquillamente i propri giorni: i fratelli, solidali, agiranno anche in sua vece. Assente, egli sarà presente: rivivrà nell’Idea.

A bordo piscina, privo di cellulare e connessione, Alceste ha sorriso, ogni tanto.

36 commenti :

  1. E' valsa proprio la pena aspettati per un mese intero, controllando quotidianamente con un po' di delusione… Non penso sia stata tattica femminile: anche tu necessiti di sorridere e staccare per poi dare il solito e oltre il solito meglio.
    Ora rileggo.

    RispondiElimina
  2. Ben tornato. E io che pensavo che la data del tuo ultimo post,la stessa del giorno in cui fu decisa la caduta del governo gialloverde, fosse la firma della tua preveggenza intorno alle umane cose, il Programma del Nuovo Universo da far ingurgitare ai renitenti italiani. Pensavo tra me, caspita, un ultimo commento la mattina prima che la sera Salvini gettasse la spugna e poi sparire. Incredibile.
    Senza i tuoi interventi eccezionali non si potrebbe nemmeno iniziare a pensare alla possibile resistenza contro l'onda anomala preparata per noi che stavolta rischia di spazzarci via per sempre.
    Antonio

    RispondiElimina
  3. Ben tornato, touche', non ti si dava per deceduto, era un modo per esprimere vicinanza; però, di fatto, hai ragione.
    Bellissimo scritto, come sempre.
    Adriano

    RispondiElimina
  4. Ritengo doveroso controllare, ogni tanto, se si è ancora in vita.
    Apprezzo, ovviamente, le vostre premure.
    Quando scrivo tendo a provocare un poco ...
    Prima o poi, comunque, si dovrà sparire.

    RispondiElimina
  5. Allora, grazie di esserci ancora..s.

    RispondiElimina
  6. Alohaaa Alceste, sei ancora tra noi, incredibile! E ti sei pure quasi divertito quest'estate, impensabile!
    Stai davvero diventando leggenda.

    Ho creduto che alcuni commentatori fossero in contatto diretto con te e parlassero per conoscenza dei fatti, altrimenti non mi spiegavo il pessimismo sulle sorti del blog o le tue...quindi ho scritto il mio encomio piu' commiato a te e al blog, e' senza scadenza, valido per qualsiasi momento e situazione ok?  
    Non e' che sei dovuto rientrare prima dalle vacanze e scrivere questo post perche' preoccupato per i frequentatori preoccupati? Cosa sara' successo loro? 
    Almeno sei tornato un poco piu' leggero e di buon umore, cosi' sembra a leggerti.

    Io invece ho passato agosto con un po' d'ansia, aspettandomi la scomparsa dell'Italia da un momento all'altro. Ogni tanto controllo se l'Italia e' ancora col suo nome sulle carte geografiche e se i confini tra Europa e Africa sono sempre gli stessi. D'altronde anche in Asia si fa la stessa cosa, pezzi di territori nazionali, o intere nazioni, su certe mappe esclusive sono gia' parte del Greater China, si e' solo in attesa dell' ufficializzazione che arrivera'. 

    Un caro saluto,
    Ise

    RispondiElimina
  7. A proposito di morti,sinistra,cibo e agricoltura:

    Pasquale Fusco, 55 anni, padre di tre figli, è morto d’infarto in una serra delle campagne di Varcaturo, nel comune di Giugliano, vicino a Napoli. Lavorava in nero per 40 euro al giorno. Si sono subito scatenati i sindacati, sempre pronti a strillare a morto caldo, ma assenti o distratti nella lotta al caporalato e al lavoro nero nelle campagne, anche perché dissuasi dagli stessi braccianti, che senza quei lavori sarebbero letteralmente alla fame.

    Ora non voglio far polemiche sul fatto che il nesso causa-effetto fra lavoro e infarto è tutto da dimostrare (c’è gente che muore d’infarto facendo jogging, o seduta allo stadio durante le partite o a letto facendo l’amore) né sul fatto che vi sono ambienti di lavoro come le fonderie in cui il calore è ben superiore a quello della serra, con in più fatiche e rischi che in serra non esistono. 40 euro esentasse corrispondono a 60 lordi, cioè la paga di un operaio che asfalta tetti o strade sotto il piccante. Osservazioni fastidiose anche per chi le scrive.

    Ma, detto ciò, la borsa agricola della CCIA di Bologna indica il 13 giugno scorso la quotazione di 20 cents al Kg per i pomodori (datterini, ciliegini e tondi lisci). Con quei 20 cents il padrone della serra li deve seminare, trapiantare, annaffiare e concimare per mesi, rischiando tempeste e malattie, poi raccoglierli, venderli e pagarci le tasse. Sono gli stessi pomodori che troviamo nei supermercati a 4 euro al Kg. Un aumento di venti volte.

    È la GDO (Grande Distribuzione Organizzata, di cui le Coop rosse hanno il controllo) che fa cartello, imponendo prezzi e condizioni. Chi è allora il responsabile di caporalati e paghe di fame? La fatica non uccide, ma che almeno sia pagata da chi davvero con essa si arricchisce.

    Manlio

    RispondiElimina
  8. L'altra notte I had a dream, anzi nightmare. 

    Ero all'aeroporto per tornare in Italia. 
    La signorina gentilmente mi fa notare che c'e' stato un errore nell'emissione del mio biglietto e che l'unico modo per partire e' acquistare un nuovo biglietto. 

    Chiedo lumi e con gentilezza mi spiega che la mia destinazione, Italia, non esiste, probabilmente la travel agency cinese mi ha truffata. Che luogo volevo raggiungere? Dunque le spiego che voglio andare in Italia, volo per Roma. Mi dice che queste localita' non esistono. Allora cerco su google per mostrarle la mappa. Trovo che l'area un tempo chiamata Italia e' divisa in due, la parte superiore di colore verde e' chiamata Culonia e quella inferiore di colore giallo-deserto-rosso e' senza nome. 

    Le indico il punto esatto della mia citta' e mi dice "Ah ma lei vuole andare in Culonia, southern democratic province of Culona! Allora guardi le faccio il biglietto per San Silvio Mediolanum e poi puo' prendere il treno per casa."

    Le faccio notare che a guardare bene la mia citta' e' fuori dai confini di Culonia, e' appena dentro l'area giallo-rossa. "Ma come si chiama quest'area? Perche' non ha nome? Ma da quando l'Italia e' diventata un semaforo per il traffico?", le chiedo sconcertata. 

    "Mi scusi ma questa e' l'Africa! Guardi, il nome e' scritto qui", e con l'indice disegna una linea immaginaria diretta verso il profondo sud. Dopo una decina di secondi si ferma nel cuore di una terra, sempre dai colori giallo-rossi, su cui e' scritto "Africa".

    "Puo' prendere un volo diretto per Nigeria, da li' deve attraversare con mezzi propri il deserto ed arrivare in Libia. Di solito bisogna attendere qualche giorno in Libia, ci sono hotel di accoglienza 5 stelle, provvedono a tutte le necessita', persino i telefoni cellulari se dovesse perdere il suo nel viaggio. Poi deve prendere la linea privata Open Arms. E' un po' costosa ma fa servizio a domicilio, la fara' scendere in qualsiasi porto da lei desiderato, in barba a qualsiasi regola o divieto locale, non si preoccupi." Stavo per cadere a terra a causa di un forte capogiro quando la sveglia mi ha fatta trasalire; ho aperto gli occhi guardandomi attorno col terrore di essere in un hotel libico 5 stelle. Per fortuna I just had a dream. Ogni tanto sogno di tornare in Italia ma tale destinazione si fa sempre piu' difficile.
    Saluti,
    Ise  

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco brava, immagina quando ho visto oggi il nuovo Governo. Altro golpe senza morti all'italiana. Sempre più schiava e sempre più sottomessa.
      In silenzio è passata una notizia pericolosa: hanno arrestato appena arrivato a Napoli il manager russo Aleksandr Korshunov, è ritenuto una spia.
      Alto dirigente della Odk (società statale russa che produce motori) sarebbe stato arrestato su richiesta degli USA.
      Sarebbe accusato di essersi appropriato illegalmente di documenti della General Electric e di informazioni protette, le avrebbe poi utilizzate nel programma russo Pd-14 (sviluppo di motori per i nuovi aerei civili Ms-21).
      Pessima pratica americana che complica i rapporti tra USA e Russia

      Elimina
  9. Mannaggia...ancora non ho metabolizzato le "spigolature estive" che già sotto a studiare...:-)
    Grazie, come al solito tanti spunti, tante cose da andare a scoprire. Un sincero saluto.
    Paolo

    RispondiElimina
  10. insomma alla fine l'hai pescata qualche trota? ;)

    RispondiElimina
  11. Gentile Alceste, sono ben felice di ritrovare la sua prosa rinvigorita e croccante, ancor più adesso che rischiamo di perderci Blondet, innamorato tradito da Don Giovanni al secolo Salvini, finirà come Donna Elvira a terminare i suoi i suoi giorni in un buen retiro.
    Finalmente in questa estate abbiamo ripristinato l'ordine naturale delle cose...e non è stato neanche necessario scomodare la statua del commendatore.

    "Questo è il fin chi fa mal
    È de perfidi la morte
    Alla vita è sempre ugual"

    Ce lo eravamo detti, la monarchia non ama i contrattempi e i fastidi, per quanto evanescenti e beceri...sia mai che nella loro improvvisata dabbenaggine non ridestino dal profondo sonno sabelliche tempeste ormonali.
    Un saluto

    RispondiElimina
  12. Gentile Alceste, sono ben felice di ritrovare la sua prosa rinvigorita e croccante, ancor più adesso che rischiamo di perderci Blondet, innamorato tradito da Don Giovanni al secolo Salvini, finirà come Donna Elvira a terminare i suoi i suoi giorni in un buen retiro.
    Finalmente in questa estate abbiamo ripristinato l'ordine naturale delle cose...e non è stato neanche necessario scomodare la statua del commendatore.

    "Questo è il fin chi fa mal
    È de perfidi la morte
    Alla vita è sempre ugual"

    Ce lo eravamo detti, la monarchia non ama i contrattempi e i fastidi, per quanto evanescenti e beceri...sia mai che nella loro improvvisata dabbenaggine non ridestino dal profondo sonno sabelliche tempeste ormonali.
    Un saluto

    RispondiElimina
  13. Tempo fa stracciai la tessera elettorale e ieri mi sono cancellato dalla piattaforma 5 stalle dopo aver votato no a questo governo. È stato il mio ultimo voto. Non sarebbe corretto dire che provo ribrezzo. Il mio è piuttosto un disgusto generalizzato che avvolge tutto e tutti. Ho appena finito di rileggere 1984 di Orwell. Sembra scritto la settimana scorsa. Siamo alla neolingua dei piddioti-grullini. Il bispensiero italiota. Due più due uguale a gender, oppure Bergoglio, oppure 7 risorse, più un set di diritti supercazzolati. Il cielo è fucsia e l'erba verde è fascista e rassista.
    Mi raccomando a tutti i lettori del blog (Alceste compreso) di fare una bella scorta di negri per l'inverno altrimenti Bergoglio si incazza. E cercate almeno di comprare o molestare un bambino o di venderne gli organi, in caso contrario sarete esiliati al Papeete...

    RispondiElimina
  14. c'è veramente da imparare soprattutto parole che io devo andare a cercare su " inFernet...che poi non ricordo. Però, incosciamente, sapevo il significato di "refolo"
    Ho molto apprezzato il commento di Ise del sogno-incubo e dell'anonimo che termina col papetee...spero proprio che gorgoglio rimanga per sempre incazzato, così da non non potersi far vedere dai babbei dalla cintola in giù...per il resto: la forza dell'odio...compriamo solo prodotti mangerecci al 4% di IVA...niente cadaveri di carne o pesce, e votiamo quell* che gli sta più sul "gorgoglio" sia alla Culonia che all' "africa" giallo rosso fucsia fucsia fucsia...con due positivi o due negativi si rimane al buio...bambazzi de' governazzi

    RispondiElimina
  15. Gentile Alceste, grazie per i suoi scritti realmente notevoli. Spero di leggerla ancora a lungo.

    RispondiElimina
  16. Ero sull'apprensivo anche io che ti credi...

    RispondiElimina
  17. Caro Alceste, ti domando solo una precisazione su un concetto che mi appare incerto: quando tu parli di "patria", a cosa esattamente ti riferisci?
    Cerco di spiegarmi. Cicerone nel De Legibus scriveva: "Sono nato proprio qui, quando era ancora in vita mio nonno e la villa era piuttosto piccola.."Questa è la patria nostra, mia e di mio fratello. Qui infatti siamo nati da gente d'una volta, quanto ci è sacro sta qui, quid plura?"
    Quindi uno stato particolare dell'anima, un nesso materno ai luoghi, ai minimi affetti, molto diverso dall'accezione statuale, civile, tipica, per esempio, della concezione francese o da quella che ci è stata imposta, risorgimentale e poi fascista che non è mai stata nel sentire italico e che solo ha causato infiniti guai.
    Naturalmente poi, da buon avvocato e rappresentante della classe dominante patrizia, seguita: "Due sono, ritengo le patrie: una della natura e l'altra della nostra dignità civile". E continua affermando che bisogna votarsi alla seconda, dare la vita per essa, eccetera, ma senza rinnegare la prima.
    Leggendoti da tempo, mi è parso di capire, specie dai tuoi passi più lirici e rimemoranti, geograficamente collocati, che ti avvicini più alla prima concezione di patria; e pienamente condivido.
    O, forse, esprimi una ancor diversa visione di patria come appartenenza culturale sedimentata a valori e forme materiali persistenti sul territorio (ma quale?).

    Termino con la solita citazione di Alvi: "L'Italia è struggente stato del guardare indietro e stupirsi materno. Perciò, l'esilio è forse la soglia indispensabile al nostro essere davvero in patria, giacché implica l'atto rimemorante, ch'è la sua essenza e la sua distanza". (Ise capirà…)
    E questo per distinguerci dalla rissa da bar Sport soranisti-antisovranisti….

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non mi ricordo chi, per significare il sentimento dominante della destra fascista, usò la locuzione "idee senza parole".
      Qualche parola voglio, invece, spenderla.
      A circa dieci chilometri da me r-esiste un casale, squadrato e con bei contrafforti. Un casale moderno, con stanze chiare e idromassaggio; lo stesso lo si ricorda in epoca pre-novecentesca come semplice epicentro di una vasta tenuta gentilizia. Nelle mappe risalta, con l'identica mole, già nel Settecento. I basamenti sono medioevali, forse trecenteschi: vennero usati, per tale fine, i basolati di una strada romana oggi scomparsa. In epoca cristiana fu, secondo la mia interpretazione, una delle costruzioni di un'antica diocesi cristiana (III secolo d. C.), edificata, a sua volta su preesistenze repubblicane (II a. C.).
      Questa lista, inutile e fantasmatica, mi si presenta, a volte, con una immediatezza sconcertante. Improvvisa. Patria è la terra dei padri. In quei momenti ne faccio parte. Arrivare a tale bruciante consapevolezza non è da molti: servono letture e studi assidui, di cui, per puro caso, sono beneficiario. L'aristocrazia, i 10000, questo sono.

      Elimina
    2. Grazie per la puntuale precisazione, perfettamente condivisibile.
      I Diecimila... Rimane ormai solo l'amarezza di una Catabasi spirituale che dovrebbe paradossalmente precorrere un'Anabasi impossibile e, come probabile, mai avvenuta.
      Non manca il ripiegamento, manca l'Azione, avrebbe detto Mazzini.
      E le idee senza l'azione…
      Non saremo per caso già tutti teneri esserini del futuro, senza neppure Speranza?

      Elimina
    3. Caro Loris,

      credo di capire Alvi...per me la patria e' "naturalmente" il luogo di nascita e prima crescita, quello che rilascia il cosidetto imprinting: luoghi, persone e retaggi che s'imprimono come un sigillo. Poi la patria ha cominciato a delinearsi meglio nel tempo grazie a tutte le cose che mi mancavano di essa. All'inizio numerose, infine solo le essenziali. Ossia, come spesso accade (almeno a me), si raggiunge l'affermazione di qualcosa tramite la sua negazione/assenza. Per questo sopporto sempre felicemente le privazioni, e' un ottimo test!

      Tempo fa un' amica cinese si trasferi' in Giappone. Le chiesi per curiosita' "Cosa ti manca della Cina?" E lei: "Le distanze! Qui se viaggio verso ovest dall'estremo est del paese in poche ore sono gia' arrivata al confine! In Cina ci sono giorni di viaggio e diversi fusi orari, mi sembra un posto davvero tanto piccolo e stretto...e a te cosa manca dell'Italia?"

      "Eheh vecchia volpe della prateria! A me manca la bellezza!" (detto incredibilmente prima di leggere il blog di Alceste). Presi ad esempio le passeggiate nei vicoli che portano al centro storico della mia citta' e le tappe casuali che mi capitava di fare...chiese, palazzi, qualsiasi porta aperta in cui infilarsi...con continue sorprese di bellezza e la sensazione di muoversi dentro un quadro antico che ha viaggiato nel tempo.

      Un caro saluto,
      Ise

      Elimina
  18. Volevo segnalare un post di Maurizio Blondet sull'Economia Circolare. Leggetelo, sembra il migliore Alceste d'annata quando riesce a farsi capire quasi da tutti.

    RispondiElimina
  19. Oggi e' l'8 settembre. 
    Il mio pensiero va alla madre, al padre e alla madrepatria. Anche se orfana di tutti e tre non importa, il lutto prima o poi viene elaborato e trasformato in forza.  

    Nel caso dell'Italia poi, e' vero che sta semplicemente venendo a galla cio' che esisteva sommerso da molto tempo, nulla di cui meravigliarsi infine. 
    Certo fan tenerezza le analisi sulla strategia sbagliata di Salvini (quelle che...se mi davi retta, mannaggia a te...), la sua poca prudenza, la sua ingenuita'! In politica e nelle decisioni politiche non esiste ingenuita' o stupidita'. Se c'e' qualcosa che anche uno qualsiasi del popolino vede e capisce, non puo' essere che chi ricopre certe cariche e posizioni non lo veda. Se anche fosse stupido di suo, ha una corte di consiglieri e consulenti che sanno tutto e di piu'. Quando si smettera' di pensare di essere in mano solo a piccoli criminali per caso o per sbaglio, allora forse anche chi ha un certo potere dovra' cominciare ad usarlo per il bene e non solo per il male. Gli italiani sono davvero troppo buoni con chi li ha illusi ed incantati. Che spirito di sopportazione e sacrificio che hanno, che capacita' di dimenticanza, li ammiro. 

    Ora siamo a un ulteriore step dell'agenda di distruzione di un popolo. Ne ho viste altre, con modalita' simili. L'unica anomalia che riscontro e' che nessuno si da' fuoco, nessuno infila una bomba da qualche parte compreso se stesso...o piu' semplicemente, nessuno mostra il suo odio e dolore, anzi, il contrario, tende a nasconderlo. Amazing! Uomini e donne ridotti a insensibili prodotti da mercato e marketing, in balia di desideri con  data di scadenza di una o due settimane al massimo, devoti solo al loro nichilismo roboante e narcisista. Qui li ammiro un po' meno. 

    L'unico peccato che credo sia degno di punizione e di colpa e' il tradimento, in particolare quello della madre e del padre, che infine e' il tradimento di se stessi. 
    Un brindisi a tutti i traditori di tutti i popoli traditi ed ingannati. Alla fine i veri illusi sono i traditori, l'anima di un popolo, quella che sa e che vede, non li perdonera' e li allontanera' per sempre da se'.  

    P.S. Che foto anomala che ha messo Alceste. Quel giovane gagliardo ubiquamente onnipresente nella politica italiana lo intende per caso complice del sacrificio della nostra patria?

    Ise

    RispondiElimina
  20. Ho sempre pensato che lo stile comunicativo di Salvini (intonazione, tempi, eloquio, velocità, pause) mi ricordasse qualcuno, ora dopo anni ce l'ho: Mike Buongiorno.

    Se si pensa che Craxi è andato a lezione da Strehler...

    RispondiElimina
  21. Quello che manca a Salvini, per quel poco che ho visto, e' la statura morale, ha un fare da bottegaio (con tutto il rispetto dei bottegai, lo sono stato anch'io...), trasandato e vanamente minuzioso, vacuamente cinguettante; la statura morale ho la si ha o non la si ha, non la si puo' acquistare, ha le sue radici profondamente conficcate nella tradizione. Salvini ha forse buone intenzioni, vorrebbe fare la cosa giusta, ma non e' per ingenuita' o mancanza di cinismo politico che sinora ha ha fallito, si muove nel vuoto, senza appigli senza una mitologia (che non e' altro che un'utopia proiettata nel passato), ha rinunciato allo pseudo-mito Padano, le sue azioni sono piu' virtuali che reali, come i suoi discorsi, e' ridotto a mero simbolo, il simbolo della fine della stagione delle "buone intenzioni". Non c'e' che dire, e' proprio un "avversario" scelto su misura dai nostri "Signori dell'Alto Castello". E Se veramente fosse in buona fede e onesto, piu' grande sara' la sconfitta sua e dello sparuto popolo che lo ha votato.
    'Allegria'... per citare il Buongiorno evocato da Sitka

    Un caro saluto

    il fu rabal

    RispondiElimina
  22. Un vecchio impiegato (diplomato perito industriale) di una grande azienda, ora felicemente in pensione, ripeteva ai giovani colleghi laureati, specialmente ingegneri: "tu queste cose le dovresti capire perché sei laureato e conosci Dante e L'Ariosto...". Aveva capito tutto fuorché il reale spessore culturale dei giovanotti di belle speranze che si presentavano con dovizia di chiacchiere e distintivo; la differenza non la fa il titolo di dottore, ingegnere, avvocato etc... ma il fatto di conoscere Dante e l'Ariosto. peccato che costoro di Dante e dell'Ariosto ne sapevano il minimo politico per arrivare al diplomicchio di maturità, il lasciapassare per quel supremo diplomificio che è il sistema universitario che li ha piazzati sul mercato con quel titolo tanto ostentato quanto vuoto. I vecchi geometri o periti industriali sapevano di Dante e dell'Ariosto molto più degli imberbi ingegneri che li hanno rimpiazzati nei ruoli tecnici delle grandi aziende o delle amministrazioni pubbliche.
    Si diceva anche che un tempo i vecchi dirigenti e quadri d'azienda reggevano le sorti con competenza ed arroganza ma ora permane solo quest'ultima... nell'amministrazione pubblica lo scempio, poi, diviene catastrofe quando il creativo di turno sente l'esigenza di installare un parco a tema fantasy (e non sono solo nella Tuscia, sono ovunque!) in un territorio nel quale ogni pietra potrebbe narrare storie millenarie. Ma Dante e l'Ariosto ormai sono stati cancellati dai programmi, non si sa mai, qualcuno potrebbe comprenderne lo spirito e diventare qualcosa di diverso dal tecnocrate richiesto dal mercato. si, dal mercato ortofrutticolo delle zucche vuote.
    esprimendo il vivo piacere di tornare a leggerLa su questo blog, cordialmente
    Platypus

    RispondiElimina
  23. Ma perchè la foto che è stata questa volta usata dovrebbe essere "anomala"? e a chi sarebbe "Quel giovane gagliardo ubiquamente onnipresente nella politica italiana lo intende per caso complice del sacrificio della nostra patria?"
    nella foto, se non mi sono completamente cecato, ci sta dustin hoffman sopra una barca. O no?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una foto di Andreotti che ride, quasi felice. Quante ce ne sono? Una.
      Volevo solo significare la pudicizia del potere.
      A differenza dell'esibizionismo dell'impotenza (Salvini).

      Elimina
    2. Certo che i nostri politici, quando non sono attori, riescono comunque sempre a sembrarlo!

      Esibizionismo dell'impotenza e' un'ottima definizione: e' il reflusso residuo dell'occidente post-globalizzazione (e a mio parere quello di qualsiasi cosa diventi o pretenda di divenire universale). Equivale a ipocrisia e arroganza: fingere di essere quel che non si e' e volerlo imporre con supponenza e arroganza, poiche' e' talmente tanta la debolezza e la paura che essa si riveli, che si puo' solo pompare la finzione e il finto orgoglio di essere all'altezza di tale farsa.
      Saluti,
      Ise

      Elimina
  24. Caro Alceste, quando leggo i suoi scritti mi s'infuoca di nuovo l'anima! Oggi leggere dei brani come i suoi e' un esperienza quasi trascendentale! Grazie.

    RispondiElimina
  25. Alceste la tua voce è roboante! È una voce, una vera e propria voce che si staglia netta e cristallina al di sopra del chiacchiericcio internettiano continuo. C’è autorevolezza d’antico stampo in ciò che scrivi. Un uomo in mezzo alla marmaglia. È fa la differenza! Meravigliosa la citazione di Dylan Thomas e stupena la foto di un giovane e spensierato Andreotti. Dove l’hai scovata? Non ho mai visto una foto così del Divo. Crumbo

    RispondiElimina
  26. Parlando con un collega:" Il problema è Salvini".
    Dovete sapere che dalle mie parti da tempo immemorabile a livello di quartiere governa il PD. Al comune lo stesso. Alla provincia ( o città metropolitana) idem. Alla regione sempre PD. Ora anche a livello nazionale. Per il mio collega però il problema era Salvini. È un po' come se vi entrassero in casa gli zingari a rubare e voi diceste che è tutta colpa del gatto ( magari il gatto neanche ce lo avete). Comincio a pensare che il lavaggio del cervello mediatico (rai, giornaloni ecc.) e la maledetta legge Basaglia abbiano generato generazioni di piddioti e non solo che ormai impestano ogni luogo.
    Io non ho votato Salvini però noto pure da queste parti il sinistro riecheggiare dell'anima sinistrata:" Ha stato Salvini, ha stato Salvini!".
    Mala tempora currunt...

    RispondiElimina
  27. Cantavan gli uccelli
    al levar del dì
    Ricomincia daccapo
    li sentii dire
    Non indugiare
    su quel che è stato
    o che ancora non è.Saranno le guerre
    combattute ancora
    La sacra colomba
    verrà catturata ancora
    comprata e venduta
    e comprata ancora
    la colomba mai libera non è.

    Suonate le campane che possono ancora suonare
    Dimenticate la vostra offerta perfetta
    c’è una crepa in ogni cosa
    È così che entra la luce.

    Chiedemmo dei segni
    i segni furono inviati:
    il natale tradito
    il matrimonio esaurito
    la vedovanza
    di ogni governo –
    segni che ognuno può vedere.

    Non posso più correre
    Con quel branco senza legge
    mentre gli assassini negli alti lochi
    recitano le loro preghiere ad alta voce.
    Ma hanno chiamato a sé
    una nube tempestosa
    E avranno mie notizie.

    Suonate le campane che possono ancora suonare
    Dimenticate la vostra offerta perfetta
    c’è una crepa in ogni cosa
    È così che entra la luce.

    Potete sommare le parti
    Ma non avrete il tutto
    Potete attaccare la marcia
    Non c’è il tamburo
    Ogni cuore, ogni cuore
    verrà all’amore
    ma come un fuggiasco.

    Suonate le campane che possono ancora suonare
    Dimenticate la vostra offerta perfetta
    c’è una crepa in ogni cosa
    È così che entra la luce.

    Suonate le campane che possono ancora suonare
    Dimenticate la vostra offerta perfetta
    c’è una crepa in ogni cosa

    RispondiElimina
  28. Il ricordo del passato, la nostalgia del passato. Che non tornera' piu'. Come un vecchio amore. Il caos oggi e' massimo, come da programma. Per i pochissimi con le idee chiare, e' gia' molto conservare un poco di memoria, e rialzarsi tra le rovine. L'Italia e' stata bombardata come Dresda: cosa rimane dell'Italia? Ha ancora senso l'Italia, ovvero questa Italia? Cento anni di massacri culturali e fisici comunisti (un secolo di attacco famelico al cattolicesimo) han portato a questo! Gioite quindi! Hollywood nei suoi eroi solitari ci dice cosa sara' il futuro.
    Io non vado piu' al cinema da anni. In questo sbaglio, lo ammetto.
    Ora pero' sta nascendo la futura star politica, in sostituzione all'affannato insetto (Grillo), ovviamente di formazione ed osservanza marxista pero' populista con inclinazione sovranista: Fusaro, che gia' (pure lui ti pareva) attacca Salvini! Dio sia lodato!
    Uguccione Nostradamus, art director di Studio 666

    RispondiElimina

Siate gentili ...