Roma, 25 aprile 2018
Elezioni e governo. Mai vista tanta esagitazione fra i commentatori. Ipotesi, insulti, giustificazioni, retroscena, dietrologie. Io mi limito a citare Luigi Pulci, ovvero quel famoso dialoghetto fra il gigante Morgante e lo sgraziatissimo mezzo gigante Margutte (colui che ambiva a farsi gigante intero poi, pentitosi, s’arrestò a uno stadio né carne né pesce):
Morgante:
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
se se’ cristiano o se se’ saracino,
o se tu credi in Cristo o in Apollino.
Margutte:
… a dirtel tosto,
io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto,
e molto più nell’aspro che il mangurro;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi gli crede …
Non luoghi e luoghi. Proprio venerdì scorso ha aperto i battenti un centro commerciale dalle mie parti. Fermata della metropolitana Valle Aurelia. Nome: Centro Commerciale Aura. L’afflusso di persone è stato travolgente: “58 negozi e un ipermercato PAM, Palestra Virgin, Mondadori Bookstore - Libreria, 13 ristoranti e bar”. L’ultimo piano è esclusivo per la gozzoviglia: piadinerie, Old Wild West, delicatessen giapponesi, botteghe del caffè, pizzerie, McDonalds’, squisitezze olandesi, rivendite internazionali di pollo fritto. La metà dei divoratori al tavolo era di origine orientale: cinesi, filippini. Nei piani sotterranei, di fronte alla libreria (bookstore!), il consueto supermercato, gigantesco. Passare lungo le sue navate, da antropologo, mi ha recato un brivido: qui non siamo in presenza di cibo: siamo in un delicato salotto dove tutto è igienicamente sublimato in porzioni simboliche. Due cingalesi sovrappeso si fanno un selfie con le confezioni di latte a lunga scadenza. I pensionati vagano assieme stupefatti e atterriti: nonostante l'abitudine, quell’epitome dell’abbondanza e della vittoria li ha storditi. Lo stile è anonimo, globalista, così come sono anonimi, nel loro generico fascino cosmopolita, i cibi, le marche, le luci, le prospettive. Ogni tanto, per ricordare che siamo in Italia, si ricorre al trucco della nostalgia: un locale si chiama “Il Pane d’una Volta”. Al netto della clientela, potremmo essere nella periferia di Parigi o Melbourne. Gli Italiani credono d’essere i protagonisti di un evento; invece rilevano esclusivamente come la molle cera d’un ennesimo esperimento.
Sono i luoghi, infatti, a determinare comportamenti e appetiti degli uomini quando essi cessano d’essere creatori; non viceversa. Gli Italiani, ormai una sterile accozzaglia di individui senza alcuna peculiarità, vengono qui plasmati quale innocua legione del futuro.
Elezioni e governo. Mai vista tanta esagitazione fra i commentatori. Ipotesi, insulti, giustificazioni, retroscena, dietrologie. Io mi limito a citare Luigi Pulci, ovvero quel famoso dialoghetto fra il gigante Morgante e lo sgraziatissimo mezzo gigante Margutte (colui che ambiva a farsi gigante intero poi, pentitosi, s’arrestò a uno stadio né carne né pesce):
Morgante:
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
se se’ cristiano o se se’ saracino,
o se tu credi in Cristo o in Apollino.
Margutte:
… a dirtel tosto,
io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto,
e molto più nell’aspro che il mangurro;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi gli crede …
Non luoghi e luoghi. Proprio venerdì scorso ha aperto i battenti un centro commerciale dalle mie parti. Fermata della metropolitana Valle Aurelia. Nome: Centro Commerciale Aura. L’afflusso di persone è stato travolgente: “58 negozi e un ipermercato PAM, Palestra Virgin, Mondadori Bookstore - Libreria, 13 ristoranti e bar”. L’ultimo piano è esclusivo per la gozzoviglia: piadinerie, Old Wild West, delicatessen giapponesi, botteghe del caffè, pizzerie, McDonalds’, squisitezze olandesi, rivendite internazionali di pollo fritto. La metà dei divoratori al tavolo era di origine orientale: cinesi, filippini. Nei piani sotterranei, di fronte alla libreria (bookstore!), il consueto supermercato, gigantesco. Passare lungo le sue navate, da antropologo, mi ha recato un brivido: qui non siamo in presenza di cibo: siamo in un delicato salotto dove tutto è igienicamente sublimato in porzioni simboliche. Due cingalesi sovrappeso si fanno un selfie con le confezioni di latte a lunga scadenza. I pensionati vagano assieme stupefatti e atterriti: nonostante l'abitudine, quell’epitome dell’abbondanza e della vittoria li ha storditi. Lo stile è anonimo, globalista, così come sono anonimi, nel loro generico fascino cosmopolita, i cibi, le marche, le luci, le prospettive. Ogni tanto, per ricordare che siamo in Italia, si ricorre al trucco della nostalgia: un locale si chiama “Il Pane d’una Volta”. Al netto della clientela, potremmo essere nella periferia di Parigi o Melbourne. Gli Italiani credono d’essere i protagonisti di un evento; invece rilevano esclusivamente come la molle cera d’un ennesimo esperimento.
Sono i luoghi, infatti, a determinare comportamenti e appetiti degli uomini quando essi cessano d’essere creatori; non viceversa. Gli Italiani, ormai una sterile accozzaglia di individui senza alcuna peculiarità, vengono qui plasmati quale innocua legione del futuro.
Tradizione. La forza di creare, traendo da sé e dalla tradizione forme e oggettivazioni simboliche: tutto questo appartiene a momenti fugaci dell’esistenza di un popolo. Più naturale è la stasi conservativa. Durante tali epoche stazionarie un popolo preserva le brucianti conquiste e accumula. E un popolo accumula quando è sé stesso, a volte rozzamente e senza logica se non quella della propria affermazione. Poi, improvvisamente, eventi augurali o fortuiti permettono l'inverarsi di personaggi o incroci di intelligenze inconsuete: ciò che riposava come un drago possente, quel patrimonio lungamente depositato, viene ora risvegliato: esplodono forme e saperi. Com'è possibile, si chiedono gli storici? Come è stato possibile il Trecento e il Quattrocento a Firenze? Il Seicento spagnolo? La tragedia ateniese? Si indaga esclusivamente la testa mostruosa del drago, non il suo letargo millenario, in una tana pestilenziale, dove il corpo s'è ingrossato per rivoli e linfe sconosciuti.
Sono, come detto, momenti d’eccezione. Finita l'eccezione, un popolo ancora forte si predispone alla conservazione: si avrà allora la maniera, l'accademia, il minuetto del commento.
Supponiamo, però, che quest'ultimo stadio venga cancellato tramite l’acculturazione coatta, la spersonalizzazione, la colonizzazione delle menti, il mercenariato dell’intelligencija.
Il popolo, allora, regredirà ai suoi tratti più primitivi, privo, tuttavia, di quella forza d'ascesa naturale nei primitivi; diverrà parodia, così come il greculo era la parodia dell’ateniese forte: non infantile bensì puerile. Un adulto che fa capricci, ottuso e arrogante. L'Italiano d'oggi, insomma, una tabula rasa su cui ognuno può scrivere le lutulenze che vuole.
Basta con l'accademia, diceva il '68, finiamola col nozionismo e il sette in condotta, liberiamoci dalle triade Pascoli-Carducci-D'Annunzio! E sia! Ecco qui, a ricominciare, da bassezze sconfortanti. Basti confrontare la fisiognomica del giornalista schiaffeggiato da Landolfi con quelle dei giornalisti del dopoguerra: osserviamo, di grazia, i tratti di Bocca, Pastore, Montanelli, Guareschi, Malaparte.
L'Italiano castrato di sé stesso, questo Margutte da tre palle un soldo, vaga alla mercé di chiunque come un animale deprivato dell'istinto di sopravvivenza.
E sono, perciò, i non-luoghi a divenire calco di un’etnia. Un ipermercato, col suo corredo di lavoricchi, brama digitale e svago transeunte, assume la valenza di scuola per i comportamenti futuri. Le architetture asfittiche, fintamente innovative, il degrado incipiente, i rifiuti che proliferano come il kipple di Philip Dick, la distruzione del tessuto umano e comunitario circostante: ogni cosa forma il nuovo italiano senza più difese.
Sono non-luoghi, secondo una fortunata definizione, tali agglomerati di follia? Sono non-luoghi rispetto all'Antico Ordine; luoghi a tutti gli effetti per il futuro. Qui si sta forgiando una nuova umanità, non prendiamo tutto alla leggera. La mancanza di pudicizia e ordine, i costi altissimi, l'accalcarsi insensato di fronte a oggetti inutili: ciò vanta un senso e il senso è: tale è l'uomo di cui noi siamo matrice, l'uomo cavo, tutto potenzialità, abile a riempirsi della zavorra più disparata. Cosa dovrebbe opporre un Italiano a tali concrezioni nichiliste se egli stesso è stato ridotto a un castrone?
E l'ansia di nulla, signore e signori, piace. Le moltitudini scelgono questo stile di vita, non altro. Aspetto con noncuranza l'obiezione fatale: in fondo all'anima qualcuno ancora sente il richiamo verso la rettitudine e, perciò, è, in realtà, un disperato combattente!
Advocatus diaboli. Gettandomi una toga diabolica sulle spalle posso ribattere: sì, ma tale rovello appartiene a chi ancora ricorda il passato. I più anziani sanno cos'era l'Italia. Altre due generazioni, tuttavia, e ogni testimone sparirà. Fisicamente. Avremo, quindi, individui totalmente appagati, di quella felicità neutra e diabolica che non è felicità, ma diversione e inversione. Una koiné virtualmente infinita, parassitaria, inerte, insulsa, innocua. A costo d’esser banale: a loro non dirà più niente il Colosseo, il Partenone, San Pietro; a meno che tali evidenze non siano sfruttate quali parchi giochi.
Qualsiasi giudice, altrettanto diabolico, che mi ascolti con uno stuzzicadenti fra le labbra (la mediocrità è, infatti, diabolica), scatterebbe in un applauso per tale arringa inoppugnabile. L'intelligenza pubblica, se non conservata, svanisce irrimediabile. Per tale motivo erano importanti le scuole, i collegi, le confraternite, le caserme, le corporazioni.
Dove andare. La destra e la sinistra, l’alto e il basso. Il ribelle che fugge si reca in alto, lontano dalle paludi, dalle putrescenze, dagli abissi. I proscritti vanno sui monti, sempre più in alto, fuori del raggio dei loro persecutori. I sani ambiscono le vette. Anche King Kong va in alto. Celeste e infero hanno qui riflessi umani, assai poco mistici. Solo i malati e gli ignavi affogano nella melma.
Violenza. Si cicala incessantemente di società violenta, di femminicidio, di omicidio, ma la violenza fra esseri umani, entro l'Impero, è in costante calo. Si profila un brodo primordiale di dodici miliardi d’esserini in pace con sé stessi, liberi di girare dove vogliono, in città tutte eguali, miserabili, con livelli ameboidi di spiritualità. Solo la violenza dei plutocrati è in aumento. L’1% attinge al serbatoio molliccio di tale nuova umanità al guinzaglio come e quando vuole, con sadismo postmoderno, privo di emozioni, implacabile.
Alto e basso. La sparizione delle tre chiese del dopoguerra (socialismo, fascismo, cattolicesimo) ci ha consegnato una umanità vagula blandula, incapace di mettersi d’accordo persino su una manifestazione per l’asfaltatura d’una via urbana. Il narcisismo di massa lo impedisce. Lo stesso narcisismo che, vellicato dai libertari a oltranza, ostacola la magnanimità: il naturale processo di rinuncia a parte delle proprie convinzioni per fondersi in un’entità più alta.
Impero. L’Impero promuove guerre sempre al di fuori d’esso. E inutile dire: c’è la guerra. E dov’è? Non certo fra di noi. Il De monarchia dantesco parla chiaro: l’Impero non ha altro fuori di sé, per questo regna la pace. L’attuale Impero ha ancora qualcosa fuori di sé: la civiltà. Per questo le muove guerra. La guerra alla Siria è ansia di desertificazione. L’Impero che reca il deserto è immenso e ha quasi ricoperto il globo. La linea di resistenza cede. Difficile, peraltro, resistere al fascino protozoico del Nulla. Le rovine di Palmira sono parte di questo disperato “non serviam”.
Solo una guerra interna all’Impero del Nulla potrebbe salvarci.
Nothing Belt. La Nothing Belt, tale immenso territorio in cui ogni cosa è dappertutto e mai al proprio posto naturale, ha fame. Il suo limite è l’illimite. Voracità. Il capitalismo terminale non divora sé stesso: divora, invece, tutto, in modo che non rimanga che sé stesso. Lo stomaco di tale dieta è la pace. E come placherà l’ingordigia tale orrido Fenrir? Chi lo sa. Il cielo l’ha già ingoiato.
The Force. Essere tutto e persuadere al Nulla. Qui si scopre la vocazione del buddismo da ciarlatani e delle credenze new age. Esse predicano la fine, la pace e la quiete. Sono attitudini generiche, di uno spiritualismo universale, poco invasive, buone per ogni palato, vaselineggianti. Ci si interroghi a tal proposito sull’incontrastabile successo della “Forza”, il memorabile topos del film più decisivo degli ultimi cinquant’anni. Luke Skywalker e la “Forza” … si capisce?
Questo, e non altro. Una vera religione non è mai generica, se è radicata e forte; divide; anela la spada; provoca lo scontro poiché esclusiva e altamente definita. Il vero Cristianesimo non era una indistinta missione al servizio degli umili in ossequio a un ebreo crocifisso; aveva, al contrario, una immagine netta degli umili e delle proprie vocazioni. Tutta l’arte e la letteratura che tale empito produsse ha contorni inequivocabili, minutamente circostanziati. Il San Francesco di Giotto si inginocchia in luoghi specifici, accanto a ruscelli ben conosciuti, al limitare di boschetti medioevali, ricchi di paesaggi turriti; quelli e non altri; egli si prostra su pietre ghiacciate e usa un linguaggio spesso aspro. Chi ha letto le più risalenti storie ne Le fonti francescane si rende conto di tale non detto, abrasivo, buono per alcuni palati, e non altri. Francesco ama la vita nelle espressioni del proprio Dio: la Morte, il Cielo, l’Acqua e Sorella Povertà sono alcune delle rappresentazioni benigne di una gioia irrefrenabile e narrata con i modi che solo i veri cristiani intendono.
Solo dopo aver dilavato questa ricchezza può sorgere il papa dell’ipermercato, Bergoglio, a vendere cianfrusaglie francescane buone per qualsiasi latitudine: a vendere la “Forza”.
Addio Bibi. L’Impero del Nulla avanza nuove esigenze. L’Islam sarà distrutto dall’incontro con esso. E così l’Ebraismo. Gli Ebrei, popolo fatale, coloro che donarono il proprio modello per la dissoluzione (l’inversione del naturale), cadranno essi stessi sotto tale giogo. I grandi Ebrei dell’Antico Ordine, con le loro ruvidezze e meschinità e bagliori grandiosi, sono già impensabili per un nichilista come Netanyahu. E, tuttavia, anche Netanyahu e il rabbinato mediorientale dovranno dissolversi per far luogo all’Ebreo del Nulla, l’Individuo Postmoderno. L’Impero aborre il proprio sangue, la violenza interna, il disordine. Esso ama l’ordine: non quale kosmos, bensì quale entropia morale massima. Gli eunuchi che popoleranno tale paradiso (ovvero: l’inferno del mondo al contrario) non possono consentire a un tale zoticone, coi suoi muri e i suoi revanscismi razziali, di entrare nel nuovo tempio luciferino. I Cazari si rassegnino, quindi, così come tutti gli antisemiti. Alcuni segnali già ci sono. La creazione di Ahed Tamimi, la bionda sirena palestinese, di un biondo televisivo, da telefilm, è una prima avvisaglia; nell’episodio dello schiaffeggiamento si notano le bellurie propagandistiche già evocate in Son tutte belle le signore dell’Occidente: stavolta, però, a godere delle buccine del vittimismo è una esponente dell’Asse del Male. Come mai? Non si starà preparando un breve massaggio sudafricano per Bibi? Nulla di devastante, per carità, solo avvertimenti: un inaudito embargo commerciale, le menate sul razzismo, l’ansia di libertà per il popolo oppresso. Bibi è troppo, insomma. Urge un Cazaro dal volto umano. Nelle mie fantasie vedo, come novella Presidente d’Israele, Natalie Portman: Natalie, l’hollywoodiana di Gerusalemme, quella che non ritira un premio Nobel ebraico perché scossa “dai recenti avvenimenti in Israele”: una seconda tromba di Gerico. Fantasie? Ma no, il mondo ha bisogno di pace. I confini dell’Impero della Pace e della Letargia devono pur estendersi a costo di qualche piccolo sacrificio. Anche l’avvocatessa di Tamimi, Gaby Lasky, ha un bel volto umano. Anche Jesse Rosenfeld del Daily Beast, colui che ha propalato le immagini dell’interrogatorio di Ahed. Go, Ahed! Vai avanti, insomma, giovane donna e giovane speranza della pace!
Solo dopo aver dilavato questa ricchezza può sorgere il papa dell’ipermercato, Bergoglio, a vendere cianfrusaglie francescane buone per qualsiasi latitudine: a vendere la “Forza”.
Addio Bibi. L’Impero del Nulla avanza nuove esigenze. L’Islam sarà distrutto dall’incontro con esso. E così l’Ebraismo. Gli Ebrei, popolo fatale, coloro che donarono il proprio modello per la dissoluzione (l’inversione del naturale), cadranno essi stessi sotto tale giogo. I grandi Ebrei dell’Antico Ordine, con le loro ruvidezze e meschinità e bagliori grandiosi, sono già impensabili per un nichilista come Netanyahu. E, tuttavia, anche Netanyahu e il rabbinato mediorientale dovranno dissolversi per far luogo all’Ebreo del Nulla, l’Individuo Postmoderno. L’Impero aborre il proprio sangue, la violenza interna, il disordine. Esso ama l’ordine: non quale kosmos, bensì quale entropia morale massima. Gli eunuchi che popoleranno tale paradiso (ovvero: l’inferno del mondo al contrario) non possono consentire a un tale zoticone, coi suoi muri e i suoi revanscismi razziali, di entrare nel nuovo tempio luciferino. I Cazari si rassegnino, quindi, così come tutti gli antisemiti. Alcuni segnali già ci sono. La creazione di Ahed Tamimi, la bionda sirena palestinese, di un biondo televisivo, da telefilm, è una prima avvisaglia; nell’episodio dello schiaffeggiamento si notano le bellurie propagandistiche già evocate in Son tutte belle le signore dell’Occidente: stavolta, però, a godere delle buccine del vittimismo è una esponente dell’Asse del Male. Come mai? Non si starà preparando un breve massaggio sudafricano per Bibi? Nulla di devastante, per carità, solo avvertimenti: un inaudito embargo commerciale, le menate sul razzismo, l’ansia di libertà per il popolo oppresso. Bibi è troppo, insomma. Urge un Cazaro dal volto umano. Nelle mie fantasie vedo, come novella Presidente d’Israele, Natalie Portman: Natalie, l’hollywoodiana di Gerusalemme, quella che non ritira un premio Nobel ebraico perché scossa “dai recenti avvenimenti in Israele”: una seconda tromba di Gerico. Fantasie? Ma no, il mondo ha bisogno di pace. I confini dell’Impero della Pace e della Letargia devono pur estendersi a costo di qualche piccolo sacrificio. Anche l’avvocatessa di Tamimi, Gaby Lasky, ha un bel volto umano. Anche Jesse Rosenfeld del Daily Beast, colui che ha propalato le immagini dell’interrogatorio di Ahed. Go, Ahed! Vai avanti, insomma, giovane donna e giovane speranza della pace!
Padmé Amidala. Natalie Portman in Guerre stellari: la regina Padmé Amidala. Padma, nome sia maschile che femminile, new age, di quell’India mistica e liofilizzata buona per i bamboleggiamenti spirituali; un nome non insozzato dalle ricorrenze cristiane; Amidala, ovvero il centro neurologico delle emozioni. Simbolo perfetto per il nuovo individuo: pacificato, inerte, androgino, tutto emozioni e nessuna razionalità. Sarebbe la regressione perfetta dell’Occidente, presagita in un aneddoto di tremila anni fa: Talete, il primo filosofo della storia, simbolo della razionalità, per il troppo pensare cade in un fosso: lo deride una allegra servetta che lì passa per caso.
Guerra. Finiti gli uomini della guerra, finita l’Italia. Quando inizia il declino dell’Italia? Col consumismo di massa? Forse. Ma chiediamoci: c’è un rapporto fra la progressiva forza di persuasione del consumismo e la scomparsa delle generazioni della guerra?
Nexus 6. I Nexus 6 di Blade runner conservano foto di famiglia false. Basti questo a comprendere. Gli androidi di Ridley Scott impazziscono appena desti dai tavoli della cibernetica. I demiurghi sono costretti a innestare falsi ricordi: madri immaginarie, una mattina d’estate, un vecchio amore. Solo a tale prezzo sopportano la vita quotidiana in cui li hanno immessi a forza. L’umanità senza passato sta impazzendo, infatti: solo grazie all’impoverimento spirituale, alle droghe, alla pornografia e alla letargia da social che non lascia spazio al pensiero si scongiurano suicidi di massa.
Protozoa. “Vorrei essere un paio di ruvide chele trascinate sul fondo del mare”. Così Thomas Eliot esemplifica, in due versi, nel Prufrock, l’anelito di dissoluzione dell’uomo desolato nella waste land, la terra guasta. Sciogliersi nel tutto, farla finita col principium individuationis. Riflettiamo: Schopenahuer, il buddismo, il neoplatonismo, la conflagrazione finale o Grande Botto, voluto anche dai controinformatori, son tutti modi per liberarsi della carne, della struttura, dell’Istituzione, dell’Italia maledetta e del suo preciso, grandioso, opprimente passato: finalmente tornare nell’eterno grembo protozoico da cui, quattro miliardi di anni fa, è cominciato tutto.
La pozza primordiale ci aspetta da sempre: il Perseo di Cellini, gli acquedotti romani, le piramidi di Saqqara furono eccezioni, brevi e arroganti dimenticanze dell’abisso.
L’abisso è in noi e ci reclama da sempre. Si è costruita la civiltà occidentale per dimenticarne il richiamo. Sfuggirgli sembra impossibile, oggi.
Edipo. Edipo, inconsapevole, uccide il padre e giace con la madre. Edipo uccide Laio, re dell’antico ordine matriarcale, e sale il monte della Sacerdotessa; i piedi, deturpati dalle ferite infantili, vanno sicuri; crocchiano cumuli di ossa; macigni ancestrali ingombrano il passo; le ripe sono brulle; dietro ogni giro, ansante, l’eroe crede di vedere qualcosa; a volte un animale veloce o l’ombra di un cespuglio lo ingannano; improvvisamente, dal nulla, ecco l’apparizione meridiana, fatale. Lo sguardo della Sfinge, alta e immobile, osserva tutto senza fissare nulla. Edipo, fintamente umile, si reca presso la sua ombra; aspetta la sfida; la Sfinge muove le mascelle feroci in un turbinio insensato; l’indovinello, il gioco: Edipo, però, sa ben definire: è la sua natura. Preciso, semplice, profondo. La risposta è chiara, irrefutabile. Il monte è suo, a lui le altezze, finalmente; il nemico, le cui ali sono ora inservibili, è scagliato nell’abisso. Edipo “piedi gonfi” aspira l’aria sottile, quindi scende a regolare i conti con la Regina.
Edipo/2. Edipo fonda un nuovo ordine, il nostro, quello attualmente in dissoluzione. Egli è un fondatore per eccellenza. Verrà accolto da Teseo, l’apollineo, colui che tutto definisce, domatore di dee (Elena), e uccisore di mostri.
Hommelette for Hamlet. Anche Amleto è un Edipo, ma perdente. Egli uccide il vero padre (lo zio Claudio) in nome di uno fantasmatico, frutto esclusivo del desiderio. Giace con la madre. Ma tutto, dagli ebrei Rosencrantz e Guildenstern, allo sciocco Laerte alla corte di imbonitori muove contro di lui. Non c’è nessun Teseo a ravvivarne la volontà. “Il tempo è fuor di sesto”, saltato via dai cardini; le stelle non seguono il corso naturale; i cavalli si azzannano nella notte danese; il vento marino, invece di asciugare i cuori, imputridisce gli atti. Egli esita poiché, in realtà non crede più, sin troppo consapevole. Un eroe che riflette su sé stesso non è un eroe, ma un morto che cammina. Troppi dubbi, troppe sottigliezze. Amleto vuole sciogliere il nodo gordiano con un eccesso di filosofia, mancandogli la saggezza. Con lui inizia la dissoluzione dell’Antico Ordine di Edipo e Teseo.
Quando tutto sembra perduto. Boriska, Rublëv. Nel film Cuore di vetro (Werner Herzog, 1976) muore l'ultimo custode della fabbricazione del vetro rubino. Gli uomini impazziscono, ma, anni dopo, trovano la forza di rimettersi in viaggio. Anche in Andrej Rublëv si perde un segreto: l'arte di fondere campane. Il giovane Boriska, figlio dell’Artigiano, ha smarrito l’antica sapienza; e però la finge, e, a rischio della vita, si lancia nella terribile impresa della fusione. Acquista una autorità impensabile: ordina, con arrogante sicurezza, dà sulla voce agli operai più intelligenti; ignora coscientemente, ma, forse, per miracolo, conserva, nelle circonvoluzioni del cuore, lungo strade segrete e inaccessibili ai deboli, ciò che si credeva perduto. La campana suonerà perfettamente, davanti ai nobili e al popolo tutto. Il genio trae da sé un nuovo inizio. Andrej Rublëv assiste al prodigio, si commuove e rompe il voto del silenzio interrogando quell’artigiano celeste. Ne fa un suo compagno: egli fonderà campane, lui riprenderà a dipingere icone. Una di queste icone, il Cristo di Zvenigorod, ci osserva ancor oggi da lontananze amiche.
Anch’esso, come l’Italia, rischiò di scomparire. Smembrato dalla deesis di cui costituiva il centro ineffabile, finì in una legnaia; secondo una leggenda ulteriore, più ammaliante, la tavola di Rublëv venne utilizzata come palanca di transito verso una stalla o una porcilaia. L’imago del Cristo terreno e divino ebbe a ripetere il Calvario di duemila anni fa: l’umidità, l’incuria e la dimenticanza sostituirono i centurioni e Caifa, Barabba lo Zelota e Pilato. E, come duemila anni fa, risorse. Il passato risorse, inaspettato per le scimmie scettiche da ipermercato. Ora il volto ci guarda: gli sfregi del tempo l’hanno reso testimone benigno d’una vera speranza.
Quando tutto sembra perduto. Ulisse. Ulisse è di fronte a Scilla e Cariddi, i suoi compagni muoiono, uno dopo l’altro, le navi sono distrutte, gli dei sembrano abbandonarlo. Odisseo, l'Astuto, rosso di capelli, fustigatore di Tersite, gobba e ripugnante scimmia scettica, Ulisse l'Accorto, espugnatore di Troia, l'Obliquo: tutto sembra rovina attorno a lui, eppure non cede, abbarbicato a un fico per ore, mentre il mare mugghia spaventoso e i mostri incombono. Potrebbe lasciarsi andare, attirato dall’occhio fascinoso del Maëlstrom, del nulla: non cede, però. I rottami della nave (o del passato) riaffiorano: ciò gli basta per non spezzare il filo tenue del Nostos. Qualche asse, una tenacia impossibile da piegare, la razionalità tratta da un andito profondo e indistruttibile. Quando tutto sembrava perduto. Dieci giorni da naufrago sul fasciame superstite: Ogigia, Calipso. Poi la reggia dei Feaci, Alcínoo. L'incontro con Nausicaa, figlia di Aretè, la Virtù, favorito da Atena, la Saggezza. Nudo, stremato, smagrito, l’eroe risorge alla spiaggia purgatoriale dei Feaci, come il Cristo corroso di Rublëv: vivo, però. Non si pone domande, sa qual è il suo compito. Rinuncia a Nausicaa, dalle bianche braccia. E via, verso la Patria, Itaca, Terra del Sole.
Tutta la notte fui trascinato, e al levarsi del sole
giù sino allo scoglio di Scilla e all'atroce Cariddi.
Questa rumoreggiando ingoiava l'acqua salsa del mare;
ma io verso l'altissimo fico presi lo slancio
e là stetti attaccato come una nottola, perché non potevo
né puntellarmi saldo coi piedi, né arrampicarmi su in cima:
le radici lontane e altissimi erano i rami,
lunghi e grossi, e ombreggiavan Cariddi.
Così senza lasciar la presa, mi tenni, finché vomitò fuori ancora
albero e chiglia; li sospiravo e finalmente tornarono
fuori ...
E io staccai mani e piedi per cadere là sopra,
e in mezzo, fra le lunghe assi precipitai, con fragore;
seduto su quelle remai con le mani.
Quando tutto sembra perduto. Ulisse. Ulisse è di fronte a Scilla e Cariddi, i suoi compagni muoiono, uno dopo l’altro, le navi sono distrutte, gli dei sembrano abbandonarlo. Odisseo, l'Astuto, rosso di capelli, fustigatore di Tersite, gobba e ripugnante scimmia scettica, Ulisse l'Accorto, espugnatore di Troia, l'Obliquo: tutto sembra rovina attorno a lui, eppure non cede, abbarbicato a un fico per ore, mentre il mare mugghia spaventoso e i mostri incombono. Potrebbe lasciarsi andare, attirato dall’occhio fascinoso del Maëlstrom, del nulla: non cede, però. I rottami della nave (o del passato) riaffiorano: ciò gli basta per non spezzare il filo tenue del Nostos. Qualche asse, una tenacia impossibile da piegare, la razionalità tratta da un andito profondo e indistruttibile. Quando tutto sembrava perduto. Dieci giorni da naufrago sul fasciame superstite: Ogigia, Calipso. Poi la reggia dei Feaci, Alcínoo. L'incontro con Nausicaa, figlia di Aretè, la Virtù, favorito da Atena, la Saggezza. Nudo, stremato, smagrito, l’eroe risorge alla spiaggia purgatoriale dei Feaci, come il Cristo corroso di Rublëv: vivo, però. Non si pone domande, sa qual è il suo compito. Rinuncia a Nausicaa, dalle bianche braccia. E via, verso la Patria, Itaca, Terra del Sole.
Tutta la notte fui trascinato, e al levarsi del sole
giù sino allo scoglio di Scilla e all'atroce Cariddi.
Questa rumoreggiando ingoiava l'acqua salsa del mare;
ma io verso l'altissimo fico presi lo slancio
e là stetti attaccato come una nottola, perché non potevo
né puntellarmi saldo coi piedi, né arrampicarmi su in cima:
le radici lontane e altissimi erano i rami,
lunghi e grossi, e ombreggiavan Cariddi.
Così senza lasciar la presa, mi tenni, finché vomitò fuori ancora
albero e chiglia; li sospiravo e finalmente tornarono
fuori ...
E io staccai mani e piedi per cadere là sopra,
e in mezzo, fra le lunghe assi precipitai, con fragore;
seduto su quelle remai con le mani.
Sono intontito; imbelle, sottomesso.
RispondiEliminaAnnientato nel carcere dorato di questa vita.
La diffidenza, l’odio, la separazione, i pregiudizi.
Il dolore...
" Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei.. Ma non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di far questo. Ma non ha il diritto di giudicarmi. E’ impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto. E bisogna farsi amico l’orrore…orrore, terrore, morale e dolore sono i tuoi amici. Ma se non lo sono, essi sono nemici da temere. Sono dei veri nemici.
Ricordo, quand’ero nelle forze speciali, sembra migliaia di secoli fa, andammo in un campo, per vaccinare dei bambini. Lasciammo il campo dopo aver vaccinato i bambini contro la polio. Più tardi venne un vecchio correndo a richiamarci, piangeva, era cieco. Tornammo al campo: erano venuti i vietkong e avevano tagliato ogni braccio vaccinato. Erano là in un mucchio. Un mucchio..di piccole braccia. E..e mi ricordo..che ho pianto..pianto come…come…come…una madre.
Volevo strapparmi i denti di bocca, non sapevo quel che volevo fare. E voglio ricordarlo, non voglio mai dimenticarlo, non voglio mai dimenticarlo. Poi mi sono reso conto, come fossi stato colpito..colpito da un diamante, una pallottola di diamante in piena fronte.. e ho pensato: mio Dio che genio c’è in questo..che genio, che volontà per far questo..perfetto, genuino, completo, cristallino, puro. E così mi resi conto che loro erano più forti di noi, perchè loro la sopportavano…
Questi non erano mostri, erano uomini, quadri addestrati, uomini che combattevano col cuore, che hanno famiglia che fanno figli che sono pieni d’amore ma che..ma che avevano la forza..la forza..di far questo. Se io avessi dieci divisioni di questi uomini, i nostri problemi qui, si risolverebbero molto rapidamente. Bisogna avere uomini con un senso morale, e che allo stesso tempo siano capaci di utilizzare i loro primordiali istinti di uccidere…senza emozioni, senza passione…senza…discernimento, senza discernimento.
Perchè è il voler giudicare che ci sconfigge. Mi preoccupa che mio figlio…possa non capire ciò che ho cercato di essere. E se dovessi essere ucciso, Willard, vorrei che qualcuno andasse a casa mia e dicesse a mio figlio..tutto. Tutto quello che ho fatto, tutto quello che lei ha visto. Perchè non c’è nulla che io detesti di più del…fetore delle menzogne. E se lei mi capisce Willard…lei farà questo per me…"
Ti ho scoperto su CDC, e chi ti lascia scappare.
RispondiEliminaSplendido articolo grazie.
Grazie a te.
EliminaAlle volte è dentro di noi qualcosa
RispondiElimina(che tu sai bene, perché è la poesia)
qualcosa di buio in cui si fa luminosa
la vita: un pianto interno, una nostalgia
gonfia di asciutte, pure lacrime.
Camminando per questa poverissima via
di Casarola, destinata al buio, agli acri
crepuscoli dei cristiani inverni,
ecco farsi, in quel pianto, sacri
i più comuni, i più inutili, i più inermi
aspetti della vita: quattro case
di pietra di montagna, con gli interni
neri di sterile miseria - una frase
sola sospesa nella triste aria,
secco odore di stalla, sulla base
del gelo mai estinto - e, onoraria,
timida, l’estate: l’estate, con i corpi
sublimi dei castagni, qui fitti, là rari,
disposti sulle chine - come storpi
o giganti - dalla sola Bellezza.
Ah bosco, deterso dentro, sotto i forti
profili del fogliame, che si spezzano,
riprendono il motivo d'una pittura rustica
ma raffinata - il Garutti? il Collezza?
Non Correggio, forse: ma di certo il gusto
del dolce e grande manierismo
che tocca col suo capriccio dolcemente robusto
le radici della vita vivente: ed è realismo...
Sotto i caldi castagni, poi, nel vuoto
che vi si scava in mezzo, come un crisma,
odora una pioggia cotta al sole, poco:
un ricordo della disorientata infanzia.
E, lì in fondo, il muricciolo remoto
del cimitero. So che per te speranza
è non volerne, speranza: avere solo
questa cuccia per le mille sere che avanzano
allontanando quella sera, che a loro,
per fortuna, così dolcemente somiglia.
Una cuccia nel tuo Appennino d'oro.
La Guinea... polvere pugliese o poltiglia
padana, riconoscibile a una fantasia
così attaccata alla terra, alla famiglia,
com'è la tua, e com'è anche la mia:
li ho visti, nel Kenia, quei colori
senza mezza tinta, senza ironia,
viola, verdi, verdazzurri, azzurri, ori,
ma non profusi, anzi, scarsi, avari,
accesi qua e là, tra vuoti e odori
inesplicabili, sopra polveri d'alveari
roventi... Il viola è una piccola sottana,
il verde è una striscia sui dorsali
neri d'una vecchia, il verdazzurro una strana
forma di frutto, sopra una cassetta,
l'azzurro, qualche foglia di savana
intrecciata, l’oro una maglietta
di un ragazzo nero dal grembo potente.
Altro colpo di pollice ha la Bellezza;
modella altri zigomi, si risente
in altre fronti, disegna altre nuche.
Ma la Bellezza è Bellezza, e non mente:
qui è rinata tra anime ricciute
e camuse, tra pelli dolci come seta,
e membra stupendamente cresciute.
Il mare è fermo e colorato come creta;
con case bianche, e palme: «tinte forti
da tavolozza cubista», come dice un poeta
africano. E la notte! Sensi distorti
da ogni nostro dolce costume,
occorrono, per cogliere i folli decorsi
che accadono, come pestilenze, a queste lune.
Perduti dietro metropoli di capanne
in uno spiazzo tra palme nere come piume,
alberi di garofano, di cannella - e canne
uguali alle nostrane, quelle sparse intorno
a ogni umano abitato - come tre zanne,
tre strumenti suonati quasi dal fuoco di un forno
inestinguibile, da gote nere sotto le falde
dei cappelli flosci presenti a ogni sbornia -
urlavano sempre le stesse note di leopardi
feriti, una melodia che non so dire:
araba? o americana? o arcaici e bastardi
resti di una musica, il cui lento morire
è il veloce morire dell'Africa?
Questo terzetto era al centro, scurrile
e religioso: neri-fetenti come capri
i tre suonatori, schiena contro schiena,
stretti, perché, intorno, in due sacri
cerchi di pochi metri, rigirava una piena
di migliaia di corpi. Nel cerchio interno
erano donne, a girare, addossate, appena
sussultanti nella loro danza. All'esterno
i maschi, tutti giovani, coi calzoni
di tela leggera, che, intorno a quel perno
di trombe, stranamente calmi, buoni,
giravano scuotendo appena spalle e anche:
ma ogni tanto, con fame di leoni,
le gambe larghe, il grembo in avanti,
si agitavano come in un atto di coito
con gli occhi al cielo. Al fianco
le donne, vesti celesti sopra i neri cuoi
delle pelli sudate, gli occhi bassi,
giravano covando millenaria gioia..,
Ah, non potrò più resistere ai ricatti
RispondiEliminadell'operazione che non ha uguale,
credo, a fare dei miei pensieri, dei miei atti,
altro da ciò che sono: a trasformare
alle radici la mia povera persona:
è, caro Attilio, il patto industriale.
Nulla gli può resistere: non vedi come suona
debole la difesa degli amici laici
o comunisti contro la più vile cronaca?
L'intelligenza non avrà mai peso, mai,
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da una dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola, puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, con la più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
Nulla è insignificante alla potenza
industriale! La debolezza dell'agnello
viene calcolata ormai più senza
fatica nei suoi pretesti da un cervello
che distrugge ciò che deve distruggere:
nulla da fare, mio incerto fratello...
Mi si richiede un coraggio che sfugge
del tutto al reale, appartiene ad altra storia;
mi si vuole spelacchiato leone che rugge
contro i servi o contro le astrazioni
della potenza sfruttatrice:
ah, ma non sono sport le mie passioni,
la mia ingenua rabbia non è competitrice.
Non c'è proporzione tra una nuova massa
predestinata e un vecchio io che dice
le sue ragioni a rischio della sua carcassa.
Non è il dovere che mi trattiene a cercare
un mondo che fu nostro nella classica
forza dell'elegia! nell'allusione a un fatale
essere uomini in proporzioni umane!
La Grecia, Roma, i piccoli centri immortali...
Un'ansia romantica che pareva esanime
RispondiEliminasopravvivenza, mostruosamente s'ingrandisce,
occupa continenti, isole immani...
annette Dei di milioni di guadi, percepisce
l'odore dell'umidità dei quaranta gradi
sopra zero immobili nelle coste, Mogadiscio
e le buganvillee di Nairobi, gli odori bradi
delle bestiacce scomposte in un selvatico
galoppo, per gli sventrati, i radi
orizzonti pervasi d'un funebre stallatico;
la quantità, l'immensità che pesa
inutilmente nel mondo, i cui prati bruciati
o marci d'acqua, sono una distesa
priva di possibile poesia, rozza cosa
restata lì, ai primordi, senza attesa,
sotto un sole meccanico che, annosa
e appena nata, essa subisce come infinità.
Ne nasce un bestiale colore rosa
dove il sesso paesano che ognuno ha
disegnato in calzoni di allegro cotone,
in gonne comprate negli stores indiani,
con soli occhiuti e cerchi di pavone,
come un'isola galleggia in un oceano
ronzante ancora per un'esplosione
recente e sprofondata dentro le maree...
Fiori tutti d'un colore, di cotone,
occhiuti e cerchiati popolano le Guinee
galleggiando nel tanfo d'uccisione,
nella carne delle estati sempre feroce
a divorare cibi cui la notte impone
le tinte equatoriali della morte precoce,
il blu e il viola e la polvere orrenda,
la libertà, che partorisce il popolo con voce
famigliare, e, in realtà, tremenda,
il nero dei villaggi, il nero dei porti coloniali,
il nero degli hotels, il nero delle tende...
E... alba pratalia, alba pratalia,
alba pratalia... I prati bianchi!
Così mi risveglio, il mattino, in Italia,
con questa idea dei millenni stanchi
bollata nel cervello: i bianchi prati
del Comune... della Diocesi... dei Banchi
toscani o cisalpini... quelli rievocati
nel latino del duro, dolce Salimbene...
Il mondo che sta in un testo, gli Stati
racchiusi in un muro di cinta - le vene
dei fiumi che sono poco più che rogge,
specchianti tra gaggìe supreme
- i ruderi, consumati da rustiche piogge
e liturgici soli, alla cui luce
l'Europa è così piccola, non poggia
che sulla ragione dell'uomo, e conduce
una vita fatta per sé, per l'abitudine,
per le sue classicità sparute.
Non si sfugge, lo so. La Negritudine
è in questi prati bianchi, tra i covoni
dei mezzadri, nella solitudine
delle piazzette, nel patrimonio
dei grandi stili - della nostra storia.
La Negritudine, dico, che sarà ragione.
Ma qui a Casarola splende un sole
che morendo ritira la sua luce,
certa allusione ad un finito amore.
Tratto da "La Repubblica" di oggi, mi pare molto in tema.
RispondiElimina"Bella ciao è diventata la canzone simbolo della resistenza dei partigiani italiani che combattevano contro le truppe fasciste e naziste. Il canto ricorre spesso nella serie tv "La casa di carta" di Netflix, la più vista di sempre tra quelle non in lingua inglese. Álex Pina, sceneggiatore, ha detto: "Bella ciao è una canzone che mi ricorda l'infanzia e che tutto il mondo conosce, un inno alla resistenza come la stessa serie è: finché c'è resistenza, c'è speranza"
a cura di Felice Florio"
è dura assistere allo spettacolo del popolo che era il più intelligente del mondo e stà diventando il più cretino.
RispondiEliminama sono tutti su facesbook....
Giuseppe ha visto apocalipse now ! Bene ,noto che riprende citazioni da un po ovunque , questa di ripescare dai libri piu toghi le citazioni e frasi migliori mi ricorda Quel che diceva Detouches ,giuseppe dia se puo un occhiata a quest 'autore geniale ma non so se sia di suo gusto
RispondiEliminaGrazie Alceste,
RispondiEliminaLeggere questa tua ultima opera ,è stata, per me,una faticosa salita su una torre, dalla cui terrazza ho contemplato le rovine di quest'epoca.
Il brano in cui accenni ai Nexus è stato ,non so perché, letteralmente devastante.Sono, fortunatamente,solo in casa e ho potuto piangere un po'di vere lacrime .
Per favore non smettere di pubblicare.
Ciao
Puoi anche ridere: in hilaritate tristis.
EliminaRiporto un passo della rivista “La Torre” (acquistabile quì: http://www.libreriaeuropa.it/scheda.asp?id=74&ricpag=1 ), fondata da Julius Evola nel 1930 e chiusa lo stesso anno dopo aver pubblicato solo dieci numeri. Una rivista che si definiva “superfascista” (nel senso di andare oltre il Fascismo e perciò si proponeva di rettificarlo correggendone gli errori), ma che venne chiusa per le sue prese di posizione, in alcuni casi, nettamente contrarie alla politica del Regime. Il passo in questione è preso da un articolo in cui l’autore (la firma è uno pseudonimo, forse è lo stesso Evola) spiega a cosa ci si riferisse parlando di fine e distruzione della civiltà occidentale: (…)“noi vediamo più nero ancora. Ecco, per esempio, una delle forme in cui, fra le altre, potremmo anche raffigurarci la <>.
RispondiEliminaNiente più guerre. Fratellanza universale. Livellamento totale. Unica parola d’ordine: obbedire – incapacità, divenuta organica attraverso l’educazione di generazioni, a far altro che obbedire. Niente capi. Onnipotenza della <>. Gli uomini, mezzi per l’azione sulle cose. L’organizzazione, la industrializzazione, il meccanicismo, la potenza e il benessere fisico e materiale raggiungeranno apici affatto inconcepibili e vertiginosi. Accuratamente scientificamente liberati dall’Io e dallo spirito, gli uomini diverranno sanissimi, sportivi, lavoratori. Parti impersonali nell’immane agglomerato sociale, nulla, in fondo, li distinguerà più gli uni dagli altri [globalizzazione,ndc]. Il loro pensiero e il loro modo di sentire e di giudicare avrà carattere assolutamente collettivo. Con le altre, anche la differenza morale fra i sessi scomparirà[nonostante la lungimiranza, l’autore non è stato capace di arrivare alla concezione della negazione fisica, materiale, dei sessi, attuata con il gender,ndc], e può darsi anche che il vegetarianesimo farà parte delle abitudini razionalmente acquistate di quel mondo, giustificandosi sull’evidente somiglianza delle nuove generazioni con gli animali domestici (quelli selvatici allora non avendo più permesso di esistere che in qualche giardino zoologico). Le ultime prigioni rinchiuderanno nell’isolamento più terrificante gli ultimi attentatori dell’umanità: i pensatori, i testimoni della spiritualità, i pericolosi maniaci dell’eroismo e della fierezza guerriera[io aggiungerei anche i “rilevatori dell’ovvio”; prova a dire che un omosessuale non è equiparabile a un eterosessuale per visione della vita e mentalità; prova a dire che forse milioni di negri in Europa distruggeranno i pochi resti di civiltà rimasti; prova a dire che l’uomo e la donna sono tali perché così li ha fatti la natura e non perché sono stati “educastrati” e ti becchi vent’anni per direttissima,ndc]. Gli ultimi asceti si estingueranno a uno a uno sulle vette o in mezzo ai deserti. E la massa celebrerà se stessa per bocca dei poeti ufficiali e autorizzati, i quali liricizzeranno i valori civili e canteranno la religione del servigio sociale. A questo punto, sorgerà una grande aurora. L’umanità sarà veramente rigenerata, e non conserverà più nemmeno il ricordo dei passati tempi di barbarie.
Ora: a voi chi permetterebbe di chiamar <> questa fine? Di vedervi, con noi, il collasso totale, la caduta definitiva? Sapreste voi forse concepire un mito più splendido, un avvenire più radioso, per l’<>?
Rassicuratevi dunque: i cattivi profeti abitano l’“altra” sponda. Non vi disturbano. Anzi vi dicon quasi: Bravi, continuate, ma, per carità: guardatevi dall’aprir gli occhi, anche per un solo istante! Le vertigini sono pericolose per chi va con sicurezza sonnambolica sul vuoto.”
Quando l’ho letto mi sono tremati i polsi. Faccio notare, di nuovo, che è stato scritto 88 anni fa. Cordiali saluti,
Enrico Barra.
Non posso che essere d'accordo.
EliminaLe parole mancanti sono: fine del mondo; società; fine; evoluzione.
RispondiEliminaLoro che nella follia e nell’avidità
RispondiEliminasradicarono religione, mercati, leggi,
abusano della nostra lingua e ci
obbligano a parlare di libertà.
Questa è la logica dei tempi,
non c’è un soggetto adatto a versi immortali –
noi che abbiamo vissuto sogni onesti
difendiamo il male contro il peggiore.
Cecil Day-Lewis
Io sono l’Angelo della realtà,
RispondiEliminaintravisto un istante sulla soglia.
Non ho ala di cenere, né di oro stinto,
né tepore d’aureola mi riscalda.
Non mi seguono stelle in corteo,
in me racchiudo l’essere e il conoscere.
Sono uno come voi, e ciò che sono e so
per me come per voi è la stessa cosa.
Eppure, io sono l’Angelo necessario della terra,
poiché chi vede me vede di nuovo
la terra, libera dai ceppi della mente, dura,
caparbia, e chi ascolta me ne ascolta il canto
monotono levarsi in liquide lentezze e affiorare
in sillabe d’acqua; come un significato
che si cerchi per ripetizioni, approssimando.
O forse io sono soltanto una figura a metà,
intravista un istante, un’invenzione della mente,
un’apparizione tanto lieve all’apparenza
che basta ch’io volga le spalle,
ed eccomi presto, troppo presto, scomparso?
WALLACE STEVENS
Lo spirito di un’epoca è qualcosa a cui non possiamo tornare. Esso tende a dissolversi, perché si sta approssimando la fine del mondo. Non può, in effetti, essere sempre primavera o estate, e ugualmente non può essere sempre giorno; quindi, se anche desiderassimo riportare il mondo allo spirito del secolo trascorso, ciò non sarebbe possibile. E’ importante trarre il meglio da ogni generazione. L’errore di chi ha nostalgia del passato sta nel fatto che non afferra questo principio. Ma coloro che mostrano considerazione solo per la realtà attuale, ostentando disprezzo per il passato, appaiono molto superficiali.
RispondiEliminaHagakure, II, 18
Posso essere d'accordo.
EliminaSpremere qualcosa dalle ultime generazioni italiane mi sembra, però, impossibile.
Non sono d'accordo. Se così fosse inutile anche mettere giù un piede dal letto la mattina.
EliminaCaro Alceste, con tutta la stima per il pezzo (avevo commentato anche giorni fa ma non è apparso, ti facevo i complimenti) l'unica osservazione che mi sento di fare è che, pensandoci, non ne farei una questione generazionale.
RispondiEliminaSenza polemica, perchè forse sarai d'accordo, ci sono italiani e italiani.
Anche questi sono italiani: https://www.youtube.com/watch?v=Q6Eb-Dxbn8Q
poi ci sono questi: https://www.youtube.com/watch?v=Q6Eb-Dxbn8Q
Senza retorica, chiedo scusa per i video televisivi, parecchio retorici di loro...è solo per rendere l'idea...Capisco bene, lo dico da subito, che tu parli di altro, qualcosa di più trasversale certo, che ci travolge tutti, italiani e non...e sono anche d'accordo sull'importanza della vicinanza o meno della guerra nella formazione di una coscienza generazionale.
Detto questo però parliamoci chiaro: la "questione italiana" esiste da prima della prima guerra mondiale. Dall'unità d'Italia azzarderei. Quando dall'Italia partivano per il Brasile a scavare le miniere...erano altri uomini? Certamente, ,ma parliamo del paese, della nazione via, dello stato che dir si voglia, dell'intellighenzia e tutto... com'era? Erano altri uomini pure quelli del dopoguerra? Parliamo di tempra certo...ma hanno fatto proprio tutto tutto in buona fede? La risposta la sai. E su questo non si scappa, non parlo di buoni o cattivi, ma di buonafede e malafede.
Vero è che l'ambiente plasma gli individui, pero poi gli individui fanno la collettività...se la fanno, se la vogliono fare.
Ovvero italiani come quel farabutto del primo video, ci sono sempre stati, e ci saranno sempre.
Meglio del rapper? Dici almeno è un farabutto, quell'altro non è niente, sarà...capisco capisco il discorso, pero diciamo che non ha aiutato, gente così, a formare un'idea seppure vaga di nazione, di stato, di cultura, di collettività, di quello che vi pare...l'albero, l'albero insomma a cui dovremmo aggrapparci, non ha aiutato mi pare...e questo succedeva ieri come oggi...lo diceva pure Montanelli...l'appiattimento poi è sotto gli occhi di tutti, però se spremevi questi che usciva? La cultura pievana? Questi non li spremevi te lo dico io...che usciva? Pane e cattiveria...probabilmente...almeno erano cattivi dici...ma quelli ci sono anche oggi...ci saranno...no non immigrati proprio nostri...e che ha portato questo bel contrasto vivo italico? Che si sono svenduti il paese per i comodi loro, questo ha portato...mi si perdoni lo sfogo..il commenda con la fabbrichetta? Meglio del piddino mantenuto...meglio dell'africano? Ma meglio niente, no grazie davvero.
Guarda non difendo i giovani...e capisco e condivido quello di cui tu parli, però questi di cui parlo non sono giovani, e sinceramente non difendo manco questi.
Se le ultime generazioni sono così imbecilli la colpa è anche dei genitori, che danno pochi schiaffi. O li danno male. Certo non li danno per i giusti motivi di un sano vivere in una collettività (intesa coome comunità allargata solo fino a un certo punto che non rompa gli equilibri familiari, che non mi pare un male sinceramente...).
Poi, il novello iscritto da camicia nera a pc con tessera di partigiano dell'altro ieri è diventato il commenda di ieri, ed è quello che apre le cooperatve sociali per gli immigrati oggi, la pasta non cambia. Questo è.
Sitka
Sitka:
RispondiEliminasui commenti non so che farci, è così e basta. Vanno, vengono ...
I link dei video mi sembrano uguali, ma ho capito che intendi.
La questione, complessa, la si dovrebbe affronatare a voce, con le parole ci si equivoca.
Che ci siano italiani e italiani lo so, presto non ci saranno nemmeno quelli, però, né belli né brutti.
Ne faccio una questione di generazione perché al di là degli alti e dei bassi, dei bastardi e dei santi si intravede una linea di direzione quasi secolare che ci porterà alla distruzione come esseri umani.
Alceste hai ragione ho sbagliato a incollare, l'altro era un video, dello stesso tipo, in cui si vedevano alcuni giovani emigranti di oggi (non esattamente laureati ma gente abbastanza agli stracci del sud).
RispondiEliminaHai assolutamente ragione sono perfettamente d'accordo, si intravede si e come dici spesso a grandi alti corrispondono grandi bassi, è inevitabile e anzi fa parte della nostra cultura, e individui bene la causa del disfacimento...io volevo solo invitare a volgere uno sguardo al passato, realista e disincantato, alti e bassi, non voglio buoni nè santi per carità...
https://www.youtube.com/watch?v=dqvecidlnyA
RispondiEliminaLa definizione di tradizione qui è da rileggere, spesso.
RispondiEliminaSplendido scritto. Evocativo e chiaro. Come fa una comunita', un fanciullo che si fa uomo e marchiato con il marchio cristiano combattere l'inganno spacciato per verita'? Questa comunita', questi uomini, devono prima risvegliarsi, poi studiare l'arte della guerra, poi quella dell'inganno. E passare al contrattacco. Non e' faccenda da poco: il nemico e' potentissimo e conosce perfettamente le debolezze dell'uomo moderno, ed opera con l'inganno. Dalla guerra non si scappa: suvvia, come Ulisse, preparatevi al massacro, spiritualmente, con la pratica. Non ci saranno ne scappatoie e ne mezze misure. Difendiamo il perimetro ed il nostro sangue, i nostri figli! Oppure rinneghiamo per sempre questo Cristo cosi' impervio, cosi' alto, cosi' potente... Anonimo di nome R.
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