Decifrare il passato (e il presente)

Racconti e improvvisazioni

Novità sconsigliate ai puri di cuore

18 luglio 2022

Le scarpe rotte


Roma, 18 luglio 2022

Qua viene giù tutto! La Lagarde il 19 luglio alza i tassi! È finita! Le sanzioni faranno il resto! Si soffrirà, ma saremo liberi, finalmente! Mi chiedo sempre perché l’apocalisse è immaginata dai complottisti come un evento da blockbuster americano. Evidentemente, nei decenni, anche l’immaginario collettivo dei più sensati ha subìto un veloce riaggiustamento: sin a una sconcertante puerilità. Tecnica e puerizia, segno distintivo dei tecnopueri, vanno a braccetto in una considerazione della fine quasi sempre ricca di esplosioni, carestie, detonazioni e invasioni di sabbiodonti. Son fatti così, inutile contrastarli. Vano farli ragionare in tal modo: “Cari ragazzi, ammettiamo anche che avvenga uno sconquasso finanziario-economico … ma questo è solo il risultato di una lunga preparazione … di un processo autodistruttivo di decenni … siamo già finiti … come potete confondere il crollo finale col vero lavorìo da ratti che ha roso fondamenta che parevano resistere altri mille anni … col vostro beneplacito, peraltro …”. Ma a questi piace il botto; tifano, anzi, per il botto ché la palingenesi, secondo loro, ha da avvenire con la dinamite. La ricostruzione delle cause dell’apocalisse, cui pure loro hanno contribuito, non li tange nemmeno un pocolino … i colpevoli son sempre gli altri … colpa di Prodi, di Carli, di Garibaldi … mica di chi si faceva le vacanze in Costa Azzurra accendendo il mutuo … perché, poi, a ben vedere non è PIL pure questo?

Un paio d’anni fa mi decisi un investimento a lungo termine: l’acquisto di ben quattro paia di scarpe. Mi rivolsi, quindi, a una nota catena di abbigliamento di qualità medio-alta che vantava modelli e marche fra cui operare una scelta ampia e rilassante. Spesi circa 500 euri risparmiandone, poi, almeno altri 100 grazie a una serie di saldi, offerte, sconti e combinazioni da scioglilingua (sempre a tuo favore: se ne prendi tre paia abbatti il costo del paio che costa meno: meno 50%!).
In realtà odio fare compere; l’accumulo costituisce, quindi, solo uno dei modi per eliminarne la frequenza. Il raptus da shopaholic si concretò, almeno quella volta, nell’acquisto di tre paia di calzature invernali (scarponcini etc) e d’uno primaverile (mocassini).
Il primo paio, invernale, durò circa sei ore.
La scarpa sinistra, in particolare, iniziò subito a ricoprirsi di una serie di macule chiare; la destra, invece, s’abbrunò sulla punta, a farsi quasi corvina.

Al negozio della nota catena, di qualità medio-alta, presero la cosa con irrefrenabile nonchalance: “Succede. Gliele cambiamo subito”. “Non voglio cambiarle. Rivoglio i soldi”. “Non si può … al massimo si può sostituire il paio difettato con merce di pari valore”. E così feci, arricchendomi di una cintura e di una felpa inutili.
Il problema della calzatura da 110.00 euri (scontati) è che consisteva di cartone pressato e colorato. L’imperfezione della colorazione era entrata in simbiosi negativa, a quanto mi disse un ciabattino, commiserandomi, con la naturale traspirazione del piede. “Ma come si fa a cucire il cartone pressato alla suola?”. “Ma quale cucitura … è tutto incollato. Alle prime piogge si stacca tutto”.
La scarpa destra del secondo paio si aprì, invece, poco meno di un anno dopo. Un’improvvisa frescura … il sospetto … la ricognizione podalica. Suola e tomaia stavano lentamente divorziando sul davanti, alla Charlot.
I mocassini opposero una resistenza eroica, per circa due anni. Poi anch’essi videro la rinuncia all’unità d’intenti da parte della suola e della tomaia, come sopra.
L’ultimo paio, i mezzi stivaletti, pure loro tennero duro, ma, sfiniti nei tacchi e usurati nella suola, parevano l’oggettivazione della rinuncia.
Decisi, però, di salvare le ultime due paia. Me ne andai, perciò, con un patetico fagotto al ciabattino di cui sopra, confidando in una riverginazione dei pazienti. “Si può fare”, disse conciliante. “Ti chiedo trenta euro, è un prezzo onesto”. Acconsentii.
Fare il barbone in un mondo brillante di luci fashion costa un sacco di soldi.

Tratto distintivo degli esseri superiori è l’equanimità.
Per tale motivo, pur a malincuore, riconosco che il caffè del McDonald’s è superiore alla media dei caffè dei bar romani. Dispiace solo che un rito come quello della tazzina si debba consumare tra il lezzo dell’olio bruciato, su tavoli e sedili ricoperti da un leggero crassume, inattaccabile persino dai detergenti più aggressivi.
Nonostante questo, il McDonald’s sta divenendo uno dei luoghi preferiti per analizzare e comprendere la realtà corrotta imposta dal Potere; così come le chiese, gli uffici pubblici, i siti erotici, gl’ipermercati.
Questi ultimi, a esempio, li ho visitati quasi tutti, dalla Casilina alla Magliana all’Eur, da Boccea a Fiumicino. Amo passeggiare sotto quelle volte predestinate alla distruzione, e toccare, con mano, l’entità di ciò che si è distrutto: in Italia, la terra decisiva dell’Occidente e, forse, della storia umana. Solo qui, osservando gli zombi, questi corpi sformati, tali sguardi accecati, l’abbandono loro d’ogni modestia consueta; la volgarità, in ultima analisi, che si è fatta moneta corrente; i bermuda, i polpacci tatuati, i capelli strinati, le barbe incolte, le rasature radicali; oppure, al contrario, l’eccesso di igiene personale, da eunuchi; e poi i ciabattii, la stolidità, il debordante cretinismo dei figli, e dei nipoti, sorta di vesciche di grasso dai desideri insoddisfatti - desideri di cui né loro né gli ascendenti conoscono la vera scaturigine poiché questi vengono indotti dalla propaganda direttamente su per il culo: a personalità già debilitate psicologicamente, da deracinées postmoderni. E io vago, a volte la domenica, preferibilmente un giorno feriale, a seconda di dove faccia naufragio per il residuo lavoricchio, sempre più scarso ed eventuale. Sono luoghi di perdizione poiché solo esseri perduti vi si possono consegnare; luoghi precisi di dissoluzione … tale parola, “dissoluzione”, equivocata, al solito, dal miccume progressista per una ribalderia da bigotti, è invece un termine tecnico di rara potenza: dissoluzione - dissolversi, insomma, tagliate via le radici dalla Totalità, in uno stato in cui regna la Suprema Indifferenza. La dissoluzione per via erotica, nella perversione, o quella cannibalica, del consumismo, o la più pericolosa, la digitale … ove la vera personalità umana è dapprima replicata in un simulacro sterile e folle e quindi soppressa a favore di questo … simulacro che reggerà la parte assegnata come un automa, un golem maligno, sino ad accasciarsi del tutto, liquidata l’ultima stilla di umanità in esso. I dissoluti li vedo a frotte entrare ed uscire, uscire ed entrare; Eliot fu meno poeta di Yeats, ma le sue diagnosi sono confermate con precisione; a mutare solo la classe economica: dalla vacua borghesia che discuteva di Michelangelo all’irrealtà della massa che va e viene ripetendosi il motivetto del carillon maligno in essi installato: ognuno parla di tutto e niente … di niente soprattutto, poiché l’unico rilievo dei loro discorsi consiste nella programmazione totale, certosina, spietata della parte più superficiale della coscienza. Una patina appiccicosa e inconcludente con cui tutti lordano tutti, vicendevolmente; a nulla vale negare: negare, infatti, in tal caso, equivale a sporcarsi di tale collante mellifluo, inservibile; l’Ucraina, il Gay Pride, la Guerra, il Tracollo dell’Euro. In un film o in una serie qualunque trasmessa dagli olovisori si assommano centinaia e centinaia di minuti di propaganda; per tacere di quella, più o meno occulta, e ancor più debordante, annidata nei visori portatili; è questo miasma canceroso che, pian piano, inavvertitamente, prende il posto del ragionamento; migliaia di ore di flatulenze, menzogne, calembour, coprolalie hanno atrofizzato gli strati profondi della coscienza, quelli emozionali e logici, per sostituirvi una personalità posticcia, aliena: il simulacro, appunto, che agisce e parla in vece umana. Questi uomini perduti che incontro, a frotte, tali epicurei da discount, sono sostanzialmente dei posseduti. Non ne faccio una questione di cultura, pur se questa riveste un ruolo fondamentale nella costruzione di un essere umano normale; li ritengo, invece, dei malati, d’una malattia dello spirito che, con altro termine tecnico altamente equivocato, può chiamarsi, come detto, possessione; milioni di Italiani hanno bisogno dell’esorcista, in effetti, per liberare il cuore da tale demone (in tutto e per tutto eguale a loro) che pensa e agisce in nome loro, mentre lo strato più vero dell’IO giace schiavo e gemente nei sopravviventi recessi dell’anima. La fiaba massonica di Pinocchio gli calza a pennello, insomma, sebbene Collodi la intenda, da invertito qual era, al contrario.

Ti trattano bene, qui?”. Rivolgo la domanda a una ventenne modesta, piccolina, capelli corvini, cappello Mac e mascherina tirata su fino agli occhi. “”. Aggiunge: “Poi … alla fine … siamo pure privilegiati”. “Non per farmi gli affari tuoi … quanto ti pagano?”. E qui, ovviamente, scatta l’omertà, scusabile. Farfuglia: “Non mi posso lamentare, proprio no”. Ma Alceste sa quanto la pagano: quanto la rata di un mutuo decennale per un monolocale; più altri spicci. Ma a lei va bene perché imposte e bollette ancora possono bancarle mamma e papà. A lei va bene, ora, seppure è nei fatti, evidenti e preclari, che tale paga - a Roma - la getterebbe nella miseria più squallida in capo a pochi mesi, se fosse sola. E però lei è libera, è indipendente, può mangiare la pizza il sabato sera, magari ha un coglioncello che la affianca; guardate che vi dico: si toglie persino qualche sfizio, ordinandolo direttamente presso i portali  delle multinazionali. Lo ritengo giusto. Il banco - lo Stato e le multinazionali - vincono sempre: prima o poi, in forma di IVA, IRPEF, IMU, oppure di vibratore multivelocità chez Amazon, i soldi tornano sempre al banco; che, una volta riacquistati, li dispensa nuovamente sotto varie forme di sussidi e assistenza pelosa, con l’accortezza usuraria di uno Shylock. Ma lei non sa questo, manco ci pensa, così come non sa che le multinazionali (che son sempre meno e sempre più planetarie) stanno via via sostituendosi allo Stato. E prima o poi, il vibratore multivelocità, inteso come spesa voluttuaria, costituirà una delle poche voci a defalco dal reddito di sudditanza poiché, in assenza di proprietà, l’individuo sarà liberato (sarete liberi!) da qualsiasi fardello di imposte e tasse. Non possiederete nulla e sarete felici, ciò significa; almeno in un primo momento di dominazione; poi arriverà l’estinzione progressiva, anelata dagli stessi felici e liberi di poco prima: ai centri suicidarii faranno la fila firmando, en passant, pure la liberatoria (quando si deve esser liberi lo si sia fino in fondo) per utilizzare le proprie spoglie funebri quale concime nelle centrali idroponiche di soia transgenica.

Ciò che colpisce negli ambienti che uniscono politicamente corretto e hi-tech (o quello che spacciano per hi-tech) è la velocità del decadimento. Nei grandi ipermercati e nelle hamburgerie planetarie, appena inaugurati, fanno bella mostra di sé monitor levigati, spazi per i bimbi, olovisori interconnessi, aiuole donate dall’associazione no-profit “Salviamo gli eucalipti di Alghero”, ascensori parlanti, rivoluzionari tappetini per non-vedenti. La gente arriva e si bea di tale Bengodi avveniristica. Dopo un anno appena tutta questa chincaglieria per Aborigeni rintronati giace in uno stato di abbandono prossimo al kipple, la spazzatura di Philip Dick che risulta da un impasto di tecnica ormai inutile e insipienza. I monitor giacciono abbuiati, legati da nastri di carta da pacchi, gli ascensori, muti anch’essi, funzionano a singhiozzo, gli spazi per bimbi sono ricettacoli di cartacce ove i cavalli a dondolo guardano con occhi da psicopatici. E soprattutto è il lerciume agli angoli che insidia tutto, inattaccabile persino dagli acidi molecolari … anche l’olio di gomito più tenace nulla può contro tale luridume postapocalittico … il kipple avanza, le sorti progressive si rivelano per quelle che sono: esche per gonzi. Mezzi. Mezzi per conseguire il fine della desertificazione umana. Come per il digitale. Oggi, davanti a me, in un luogo di spedizioni private: cellulare del cliente sul codice del pacco, cellulare della commessa sul medesimo QR code, che a sua volta è decifrato da ulteriore smartphone, sempre in mano a lei, dea Kali del Progresso, che li avvicina come due piastre da defibrillazione; quindi la ricevuta che viene approvata entusiasticamente dai due ordigni, del cliente e della ragazzotta … “Tutto a posto!”, ella cicala. E certo, tre cellulari, spreco di energie e tempo ... tutto per spedire un vibratore multivelocità … il digitale, la tecnica, i social, il COVID, l’ISIS, la guerra … solo vaselina per scivolare meglio giù verso il Cocito.

Le scarpe rotte, anzi: bucate, le aveva anche il magistrato Mario Amato, il 23 giugno 1980, alla fermata del 391. Se ne accorsero poi tutti, di quelle scarpe, mentre stava riverso a terra, il volto recline, perso nella fissità della morte, le suole esposte alla pubblica pornografia della curiosità giornalistica. Mario Amato, a quel tempo, era il titolare unico delle indagini sull’eversione nera, a Roma. Chi dice fosse uno dalle maniere forti, chi una mite vittima sacrificale, chi un rosso vendicativo. E chi lo sa? Qualche tempo prima di morire fu sua la volontà d'arrestare il NAR Alessandro Alibrandi, figlio del giudice istruttore Antonio Alibrandi, uno che lavorava due piani sopra e con cui intratteneva rapporti burrascosi proprio a causa della sua attività antieversione. L’arresto del giovane Alibrandi, ponderato a lungo, gli costò la pelle. Amato divenne il bersaglio numero uno dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari). Del suo omicidio Francesco Mambro e Valerio Fioravanti incaricarono Gilberto Cavallini; è lui quel “giovane alto circa un metro e settantacinque, età 30-35 anni, capelli bruni e vestito nocciola con giacca e cravatta in tinta … [che appare] all’improvviso … alle spalle del giudice … [che] tira fuori una calibro 38, l’avvicina alla testa di Amato fin quasi a sfiorarla e spara un colpo solo, alla nuca … Amato è steso a terra, supino, il viso reclinato da una parte. Le immagini impietose scattate dai fotografi ritrarranno le suole delle scarpe bucate in primo piano, perpendicolari all’asfalto di viale Jonio”.
L’estratto è di Giuseppe Bianconi, che scrive a dodici anni di distanza. Sono pochi anni, dodici, ma grassi e soddisfatti, col potere di illanguidire la livida forza eversiva degli eventi. Nel racconti di Bianconi i protagonisti sono ormai ricoperti d'una leggera patina di umanità; indecisi nella vendetta, forse già pentiti dell’enormità di ciò che stanno per commettere. Cavallini, a esempio: vede Amato con la figlioletta, ha dei dubbi, posticipa una settimana dopo l’altra; ma il giorno maledetto arriva, alla fermata del 391, a Montesacro. Una Honda a tutta velocità, la materializzazione improvvisa dell’assassino, lo sparo; Amato cade a terra, è finita; la pozza di sangue si allarga, lenta, qualche urlo, la confusione, le volanti che sgommano, i flash, le indagini, le indignazioni: la solita storia; i NAR si ritroveranno fra loro festeggiando lieti. Alla notizia dell’omicidio Valerio Fioravanti e Francesca Mambro,  infatti, si precostituiscono un alibi, poi comprano cozze, ostriche e champagne - tutte cose che piacciono tanto a Cavallini, familiarmente detto Gigi. Per una volta non mangerà pane e mortadella come un poveraccio, pensa Valerio: “La sera li raggiunge Cavallini, cenano con le ostriche e lo spumante, Gigi mangia la parte di Valerio e poi si sentirà male. Sono tutti euforici, soprattutto Cavallini, ma si vede che è una reazione nervosa. Racconta dell’emozione quasi mistica che ha avuto quando ha sparato, rievoca la vampata della pistola, i capelli della vittima che si sono aperti volando via. ‘Ho visto il soffio della morte’, dice pensoso”.
Bianconi umanizza l’azione criminosa, inavvertitamente.
Così come nel fastidioso finale dove si racconta come la brigatista rossa Anna Laura Braghetti divenga amica intima della rivoluzionaria fascista Francesca Mambro ed entrambe - Francesca e Anna Laura - amiche di Adolfo Bachelet, il fratello gesuita del professor Vittorio Bachelet, assassinato proprio dalla Braghetti il 12 febbraio 1980, sulle scale di Scienze Politiche, di fronte agli occhi atterriti di Rosy Bindi che ne accoglierà il corpo insanguinato fra le braccia, quale Madonna inconsolabile, gli occhi umidi verso il Maestro. 

La storia scritta dagli uomini ritaglia figurine e le sposta a piacere, rivergina assassini, inabissa vittime, confonde ruoli e meriti. È sempre stato così. Noi, anche oggi, potremmo riverire dei perfetti delinquenti. Dante elevò questa attitudine ad arte, riguardando la Totalità sotto la luce d’una Giustizia inconfutabile; Shakespeare insinuerà dubbi, nella penombra di un nichilismo livellatore; Léon Bloy svilirà addirittura gli eroi a favore di comparse decisive della storia: chi ha detto che lo sconfitto in Russia fu Napoleone? Forse la disfatta fu operata per mezzo di una prostituta ... chissà ... solo Dio ha coscienza totale e immediata ed è in grado di riconoscere immediatamente le vere cause e i veri effetti.

Possiamo dire che i ruoli di eroe e vittima sono assegnati, a volte, a caso. Charles Spencer Chaplin (1889-1977), a esempio, il vagabondo dal cuor d'oro e con le scarpe aperte, è ritenuto inventore della celeberrima gag della ballerina, ottenuta infilzando i panini con due forchette (La febbre dell’oro, 1925); ma questa aveva già un artefice cioè il quasi coetaneo Roscoe “Fatty” Arbuckle (1887-1933) che la consegnò alla storia nel 1917, all'interno del cortometraggio Rough house. Ma chi si ricorda del povero Fatty, crepato in solitudine e rovinato dalla giustizia che l’accusò di un falso stupro?
E poi: chissà chi l’ha inventata quella danza bislacca … magari un papà qualunque per rallegrare i suoi figlioli, durante un pranzo che nessuno mai conoscerà.

La fama è una puttana e dei morti non importa più nulla a nessuno, sostituiti dalla vanità di chi resta. Solo Dio assegna le parti, i permalink metafisici. Ma questi chi può conoscerli?

Cosa penso di quegli anni?
Due cose.
Una è questa: che il mai pentito Valerio Fioravanti, arrestato nel 1981, “fu condannato a 8 ergastoli 134 anni e 8 mesi di reclusione” e che nell’aprile 2009 fu reso uomo libero dopo ventotto anni. Otto omicidi nonché “furto e rapina, violazione di domicilio, sequestro di persona, detenzione illegale di armi, detenzione di stupefacenti, ricettazione, violenza privata, falso, associazione per delinquere, lesioni personali, tentata evasione, banda armata, danneggiamento, tentato omicidio, incendio, sostituzione di persona, strage, calunnia, attentato per finalità terroristiche e di eversione” per ventotto anni.
Pensate che odi gente come Fioravanti o la Braghetti?
No, per carità, come potrei.
Credo, invece, che gli uomini da poco assegnino ruoli e colpe, nel tempo. A quel tempo Amato non serviva, ma serviva Fioravanti; poi non servì neppure Fioravanti. E si chiuse il sipario. Good night ladies, liberate Fioravanti, è tutto finito, l’opera al nero è riuscita, dimentichiamo. Ma Amato come lo si risarcisce, è morto! Dedicategli una bella via, magari dalle parti della Procura! Se la merita!

La seconda: i NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, ebbero più fegato di noi. Ne sopravvissero pochi. A quei pochi diedero in regalo delle ottime granaglie per l’inconsapevole compito svolto.
I NAR sbagliarono bersaglio, al solito.
Il fatto che Giusva Fioravanti si effondesse in elogi per Marco Pannella, uno che "l’aveva aiutato per davvero", dimostra come egli non avesse compreso un bel nulla della girandola di sangue nel quale fu immesso.
Ma chi sono io per giudicare?

Nella quiete estiva di Castelgandolfo Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI, si prepara alla morte.
Dapprima rende onore al suo antico maestro, il cardinal Giuseppe Pizzardo, presso il cimitero delle Frattocchie; quindi incontra l’appena eletto Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.
Questi pur deboli strapazzi si concretano in un veloce peggioramento delle sue condizioni. Il cuore è malandato.
Il segretario, don Pasquale Macchi, lo sorprende a mormorare: “Adesso viene la notte”. Un sonno agitato, una breve tregua; gli si impartisce l’estrema unzione; forse saluta, alzando la mano. Ben presto, però, cade in deliquio ripetendo ossessivamente il paternoster: Pater noster qui es in coelis.
Si avvicenda un inutile corteo di medici.
La fine è inevitabile.
Chiosa don Macchi: “Il suo colloquio era già diretto a Dio, e si spense con serenità; e al momento in cui cessò di battere il suo cuore, il volto si rasserenò e divenne quasi giovanile”.
Questa, però, è una considerazione accomodante.
Ne ho una diversa: Paolo VI fu invaso dalla paura. La Morte, padrona e unica legge della Totalità, gli si presentava dinanzi, smisurata; la vastità inconcepibile di quella regione lo atterriva. Anche il Cristo ebbe paura della Morte, della Notte interminata, sino a invocare il Padre Celeste, così come, più di diciannove secoli dopo, l’avrebbe invocato, in una sorta di trenodia spaventosa, il suo vicario in terra - terra imperiale romana anche qui. Dopo diciannove secoli.

La Morte induce alla paura, occorre farci amica la Morte.
La Morte è complementare alla Vita così come il Bene e il Male lo sono fra loro.
Rinnegare la Morte equivale a rinnegare la Vita; rinnegare il Male, espungerlo dal circolo delle nostre misere esistenze, annienta anche la Bontà, l’Altruismo, la Magnanimità.
Un Papa ebbe paura, anch’io ne ho.
Il timore della fine si compenetra col sentimento della fede cioè dell’oltreumano; inevitabile anche questo.
Rinnegare la Morte, escluderla dal quotidiano, dai punti salienti della nostra fugace comparsa, rende invivibile il transito terreno, lo riduce a meno di zero.
La Morte è spaventevole, viva Sorella Morte!

L’uomo si è sempre rivolto a tale mistero con una serie di mirabili accorgimenti: pietà, culto degli antenati, ricordo, poesia. Color che restano ne risultano ingigantiti, vivificati, come germogli che sbocciano da una pianta ancor verde.

Il rapporto con la Morte, così fecondo, è all’origine dell’unica etica possibile, la gravitas, un impasto di sentimenti e mozioni quasi del tutto inesprimibile a parole: dignità, fermezza, imperturbabilità, devozione. Un essere umano che si sia fatto amico della Morte è, di fatto, invincibile. Il suo sguardo non si abbassa mai, la sconfitta si ritorce contro il nemico, la vittoria è celebrata con le cautele di chi sa. Nulla di troppo. Nulla di troppo. La misura. Il freno, la pudicizia. Il rifuggire dal materiale, il concedersi alla carne colla sensazione della sua passibilità.

L’homo novus, quello dei nostri tempi, l’omiciattolo, l’homunculus, il tenero esserino, non vuole sentir parlare della Morte, dell’oltremondano. Tale figura degenerata, posseduta dall’impulso potente a deridere qualsiasi gravitas e ogni anelito celeste, la si ritrova, in maggioranza schiacciante, in tutti gli ambiti del quotidiano. Si tratta di omiciattoli e galline incapaci di profondità, intenti a nulla prendere sul serio, diuturnamente, nei media e sui social, agili a rivoltolarsi nelle minutaglie, nella barzelletta, nel calembour più sciocco; radio e televisioni sono resi inascoltabili da tali intrattenitori del nulla, avidi di piccinerie, di battutine: inesausti dicitori della facezia più inutile. Ridacchiano, si rimpinzano, vagano: per quel deserto che sono divenuti. Nulla pare turbarli superficialmente; fosse per loro la giornata si passerebbe a cicalare di niente, tra uno spuntino e un sonnellino, magari sdraiati al sole come rettili mesozoici; un bicchiere, una cantatina, un silenzioso spetezzo a liberare l’intestino, promosso ormai a autentico direttore d’orchestra dell’esistenza postmoderna, onde facilitare la deiezione degli scarti inassimilabili di cui ci si è gonfiati, come buglioli da cella. Perciò l’esserino si rifugia nel divertimento psicopatico, nella goliardia senza sosta, disperatamente riaccesa, nell’abisso della distrazione: droga, pornografia, letteratura grigia. E però questo suo scansare l’unico elemento fermo della propria esistenza, la Morte, lo conduce all’impoverimento, alla vecchiaia precoce, all’avvizzimento. L’uomo nuovo nasce già vecchio, decrepito, nonostante i paludamenti casual e il rilancio ossessivo della felicità, la felicità dietro l’angolo, per tutti … the brave new world. E tuttavia egli sente intimamente di essere dannato. Si riguarda allo specchio e trova crepe, sfregi; la voce affievolita in un sussurro inidentificabile, la memoria insecchita, il futuro ridotto a vizioso giro di cui si conosce ogni svolta:

Siamo gli uomini impagliati
che appoggiano l’un altro
la testa pien di paglia. Ohimé!
Le nostre voci secche, quando noi
insieme mormoriamo
sono quiete e senza senso
come vento nell’erba rinsecchita
”.

La svalutazione della Morte benigna si accompagna, durante la decadenza, con l’orrore non solo per il discorso alto, ma persino per la pietà verso i defunti, i cari estinti.
Non sorprende come la città dei morti, a nord di Roma, ovvero il Cimitero Flaminio, sia in uno stato di abbandono quasi totale.
Il futuro chiede altro, sentenzierà ben presto un solone europeo, uno dei tanti: id est, cremazioni di massa, chiusura dei campisanti, riutilizzo dei cadaveri in funzione ecologista. Ne abbiamo già parlato. Desacralizzare il corpo è una tappa fondamentale; irridere la Morte e, quindi, il Cielo, un punto programmatico irrinunciabile. Con il consenso de’ quelli “cor barbozzo inchiodato sur breviario/com’e ttanti cadaveri de morti”, ovvio.

Qualche giorno fa mi prese il ghiribizzo di andare a trovare qualche conoscente. Al Cimiterio Flaminio. The beloved ones.
All’ora di pranzo, forse un giovedì se ricordo bene; all’ora meridiana, quella non già dei demoni, ma delle apparizioni.

Eccomi arrivato, uscito dalla via Flaminia.
Il sole, a picco, arroventa il cemento e l’asfalto.
Il bordone sonoro mi accompagna da subito; lo si identifica, tuttavia, a poco a poco, quando, nel silenzio assoluto, esso emerge a confortare la solitudine definitiva: lo sgocciolare d’un rubinetto malmesso, il ronzio dell’elettricità a bassa tensione dei lumini, lo schiocco secco e improvviso dei metalli deformati dalla canicola.
E il tubare dei piccioni, a centinaia, nascosti fra le sporgenze gessose delle cappelle, sui parapetti, nei sottotetti.
Silenziosi come assassini, le pupille prive di palpebra sbarrate verso un universo a loro indifferente, appallottolati negli anditi; il frullio dei loro brevi voli rompe l’aria immobile.
La Morte, qui, fra gli intestini dei palazzi fitti di loculi e piani e scale labirintine, assume un tono desolato, da burocratico abbandono metropolitano.
Per chi sa vedere, però, questo è uno dei luoghi d’eccellenza per comprendere il degrado italiano. La sporcizia, il menefreghismo, dominano sovrani. Cumuli di terriccio, lapidi schiantate, vasi vandalizzati, lumi divelti e fitte cascate di guano lordano corridoi e settori.
L’esitante incedere del visitatore risuona ingigantito. Lo sciacquìo d’una cannella, dal pomello spaccato, l’improvviso aprirsi, a destra e sinistra, dell’infilata dei fornetti.
In fondo a tali corridoi, contro i finestrini giallini, si indovina spesso la sagoma atterrita d’un Cristo o d’una Madonna, le braccia rivolte al cielo. Nell’Indifferenza meridiana, tuttavia, il gesto ecumenico sembra più che l'invito a constatare l’abominio della desolazione. Gesù lordati dalla merda, Madri Celesti dai nasi infranti, le dita spezzate, con rosari polverosi di gesso sfarinato stretti alla vita: epifanie improvvise e deliranti.

Ogni tanto, altre incongrue apparizioni: una sedia di plastica, isolata tra le file dei morti: una di queste, verdina, sta di fronte allultima dimora di Michele e Antonietta, o, forse, di Giulio e Maria Teresa. Un parente si siede, ricorda, pensa; oppure assolve all’ufficio formale dei fiori, di una presenza necessaria.

Nel palazzetto dell'Ossario, dalla bislacca pianta di stella a sei braccia, sorta di vortice di cemento a tre piani, raccordato internamente da scale di servizio, la quiete si fa addirittura più pesante. Posa ogni mozione del cuore, persino l’ansia. Ogni passo incede nell’abbandono protervo, prolungato, inemendabile.
Ciuffi di erba vetriola, persino minuscoli fichi selvatici negli angoli esterni; infiltrazioni maligne a scarificare soffitti e pareti, macchie di forma immaginifica, sorta di Rorschach della rinuncia; a terra, in corrispondenza d’alcune sgocciolature, il rilievo d’alcune stalagmiti, di pochi centimetri. Gobbe muffose, la rete elettrica dei lumi scoperta in più punti, o esposta come un ciuffo d’asparagi presso i fornetti ancora vuoti.

Fra i tanti riconosco il volto di Francesca Bertini, al secolo Elena Vitiello, eroina del cinema muto italiano; esso si confonde alla fisionomia di mille altri - presenze iconografiche destinate a soddisfare il ricordo dei parenti ancora in vita, ma già insidiate dalla macchina burocratica che li vorrebbe espungere anche da quest’ultimo fortilizio. Bei volti, quelli dei nati d’anteguerra, in bianco e nero, ricchi, questi sì, di gravitas; volti seriosi, che ebbero strade tracciate dalla tradizione e nulla aspettavano fuori d’essa, al netto di una personale e legittima ambizione. La vita, anche dura, ma priva di quelle ansie che svuotano l’anima ai postmoderni. La fronte piana, giacche e cravatte, camicette fiorate, tailleur, mogli e mariti, a volte i figli, morti in giovane età. La storia d’Italia è qui, iscritta con nomi e cognomi e modeste icone. Cognomi sconosciuti, di quelli che mai si odono negli olovisori; di un’Italia profonda che ne ha costituito lo scheletro. Gli incroci della razza in una cultura unica: il siciliano dallo sguardo arabo, l’ebreo anconetano dalla testa sumera, magri greculi dall’aria sveglia, signore dagli occhi scuri e liquidi come nelle immagini del Fayyum, giovinette acconciate con cura, un fermaglio nei capelli biondi, il naso diritto; e poi Luisa, una delle mie preferite, i capelli neri, lo sguardo che vola fuori campo, la bocca socchiusa nel sorriso, a scoprire la chiostra superiore dei denti bianchissimi. Spensierata, bella come poteva esser bella un’Italiana che conosceva la propria strada, prima  che fossimo gettati nell’inferno.

Al centro del labirinto una cappella esagonale, quasi del tutto spoglia, a parte l’altare triangolare apparecchiato alla bell’e meglio con un panno e qualche vasetto oblungo da cui spuntano fiori finti. Una statua di Padre Pio benedice il Nulla da un angolo. A sinistra un'apertura che dà su un breve corridoio cieco, buio e puzzolente di muffa.

Nei decenni vari morti, i cui sguardi mi divennero nel tempo così familiari, sono spariti, inghiottiti o dal menefreghismo o dalla dimenticanza dei congiunti, strappati dalla burocrazia cimiteriale persino a tale angusto altare della memoria.
Una coppia, specialmente, mi era simpatica. Le date di morte coincidevano: forse un incidente. Sui trent’anni, normali, figure anni Settanta: lui col borsello da autoradio, occhiali a goccia, jeans, giubbetto di pelle aperto sul davanti a mostrare un maglione scuro dal collo alto; lei con una gonna fiorata e una giacca di lana chiara: ride, mentre si dondola attaccata a un albero.
Dove siete, Anna e Roberto?
Mais ou sont les neges d’antan?
Una vespa, da qualche parte, sta costruendo il proprio nido: il ronzio furioso non s’interrompe quasi mai.

All’aperto il sole è ora implacabile; il frinire ominoso delle cicale sovrasta ogni cosa come un concerto di auloi in una cerimonia pagana di fine millennio.
Un aeroplano da turismo, nel cielo interminato di un celeste purissimo, rivela la presenza col suo ronzio. Va e viene, aprendomi alla rivelazione. Così è sempre stato, infatti. Quel lieve bordone, ricorda altri momenti, altri fatti, sepolti nella memoria, unici, e che spariranno presto assieme a me così come l’Italia che hanno conosciuto questi uomini e queste donne, inattingibile, addirittura inimmaginabile.
Mais ou sont les neiges d’antan?

Nella camera scura della borgata, un ragazzino fa i compiti. Le equivalenze. Gli piace la matematica. Solo in casa, al tavolo di legno, ricoperto da una pesante coperta di lana, a preservare uno dei pochi pezzi buoni del mobilio; il profumo delle matite temerate, la penna, il libro degli esercizi aperto sul davanti; e la certezza, inscalfibile, che cm. 50,2 = dam. 0,0502. Le ombre della sera, benedette. La finestra dai vetri sottili, ricoperta di una leggera brina; il fiore della luce che s’accende in uno degli appartamenti del palazzo di fronte; il ragazzino s’avvicina a scoprire le vite degli altri; Elisabetta, anche lei è lì, la testolina bruna sui quaderni, un piano più sotto. Davide, di fronte a me, sarà sicuramente agli allenamenti di calcio. Siamo a novembre? Dapprima trascurato, ecco il ronzio di un aeroplano. Viene col vento invernale, a tratti, ingrossandosi ogni tanto, e riuscendo a fermare, come un memento, questo attimo che mi accompagnerà per sempre.

Ma che ne sarà di noi?
Che ne sarà dei miei poveri morti quando non ci sarò più?
Cosa ne sarà di me?

E quel momento, come farà a sopravvivere?
Non voglio che vada perduto.

Intanto un fastidio nel tallone.
Un sassetto si è fatto strada nella para sfondata della scarpa.
Lo tolgo, lo getto via.
Mi sovviene, chissà perché, una frase proibita di Robert Brasillach:
"Non importa quanto tempo ci sarà concesso. Ma che importa il tempo quando si hanno degli amici?".

Poi me ne vado, con le scarpe rotte.

55 commenti:

  1. Il kipple mi ha ricordato quegli avveniristici cessi automatici a gettoni che furoreggiavano nei parchi e in altre zone pubbliche nei tardi anni 80. Tutti di plastica, a forma di cupola e con le porte automatiche. Sembravano prese dal set di Spazio 1999. In pochi giorni si trasformavano in latrine degne della fogna di Calcutta.

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    1. Anche i cessi degli ipermercati ... sterilizzati, soffio d'aria Dyson, lavandini con rubinetti automatici ... un cumulo di spazzatura in meno di un bimestre.

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  2. Chapeau....grazie Alceste.

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  3. Lo scritto ha una vena malinconica ma bella, infatti chi lo ha detto che il bello non è mai triste? Vorrei dirti che mi hai fatto riflettere sul fatto che la decadenza si presenta, è vero, nello svacco permanente delle metropoli e i loro avamposti, nonché nella provincia nutrita e pasciuta, ma a livello antropologico si presenta incredibilmente nei volti, nei fisici del potere sia esso politico, culturale o artistico. Certi articoli (come si dice a Roma) è difficile analizzarli senza pensare a un deterioramento generale.

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  4. A chiudere: aggiungo che se non avesse la vena malinconica non sarebbe stato bello. Come una musica triste ma bella nn sarebbe bella in un altro modo. Ma ti dico anche che certi volti che puoi intravedere nelle antiche statue Romane (per esempio alla centrale Montemartini, in tempi felici senza tessere) sono ancora visibili, mai però siedono in certi scranni, sarà un caso?

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    1. Sono uguali a noi ... notavo, proprio alla Montemartini se non sbaglio, come un volto fosse la copia di Ninetto Davoli. Questa vicinanza fra noi e gli antichi, che non ritrovi nella facce da psicopatici dei leader, è alla base dell'episodio centrale di "Roma" di Fellini, nella sequenza della metropolitana.

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  5. E grazie ancora una volta all'Alceste per la densità dei suoi scritti, da leggere e rileggere ("merita un'occhiata" è una grande rassegna, all'interno del blog).

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  6. Caro Alceste,

    Bellissimo compendio aggiornato del tuo pensiero e di quanto ci siamo detti in questi anni sul tuo blog.
    Il mio sunto personale potrebbe risiedere proprio in quel paio di testi che ci scambiammo la bellezza di quattro anni fa, ossia gli scritti di Michael Hoffman (suggerito da Il Fu Rabal che ringrazio), e quelli di Unabomber.

    Hoffman mise in evidenza la Rivelazione del Metodo. Questa e’ a tutti gli effetti, secondo me, l’apocalisse che ci si presenta ora: nulla di nuovo per chi aveva occhi per vedere. Ma per chi non ne aveva… la rivelazione di quanto essi stessi siano stati inconsapevoli complici o attivi protagonisti della dissoluzione ora svelantesi, puo’ portare alla follia,o al negazionismo estremo... la possessione di cui parli.

    Unabomber nel suo Manifesto (bellissimo testo, anche solo per il fatto che e’ scritto a macchina) avverti’ del pericolo irreversibile della tecnologia… non so come siate messi in Italia. In Cina sono gia’ al capolinea, la macchina ordina all’uomo cosa fare e come comportarsi, in maniera irreversibile.
    Ora, come dicevo qualche commento fa, gli “scienziati” stessi ci dicono che la macchina AI non e’ in grado di tradurre in maniera comprensibile o efficiente i linguaggi umani, poiche’ non “vivendo” il contesto umano, non puo’ tradurre un dialogo in maniera aderente alla realta’, cosi’ come, nel caso delle auto automatiche, non e’ in grado di tradurre le proprie intenzioni simultaneamente a tutti quelli che ne sono coinvolti, perche’ non puo’ comprendere il contesto in cui opera, perche’? Beh perche’… non e’ viva! La macchina non puo’ pensare, ne’ puo’ intuire osservando il contesto in cui opera, puo’ solo collezionare e processare dati… non gliene puo’ fregare di meno quanto siano veri o giusti, essa governa con la sola forza della statistica. Come puo’ un uomo obbedire alle decisioni che essa prende in sua vece sulla sua salute, sulla sua “liberta’” di uscire o meno da casa, o di entrare o meno in un luogo? Eppure sta accadendo.
    Ora la mia paura non e’ tanto l’aumentare del grottesco e dell’insulso che ci governa in maniera sempre piu’ evidente, perche’ cio’ sarebbe solo un bene per far reagire anche i piu’ ignavi. Il guaio viene se si raggiunge un compromesso, un nuovo equilibrio, in cui il grottesco e l’accettabile si mettono d’accordo e nasce un nuovo paradigma in cui gli uomini si sentiranno nuovamente liberi, mentre inconsapevolmente saranno scesi di qualche ottava sotto la soglia della dignita’ umana, qualcosa che impercettibilmente puo’ accadere nel giro di una o due generazioni.

    Saluti,
    Ise

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    1. Come siamo messi in Italia? CI salva l'essere Italioti cioè Italiani degenerati ovvero una razza di fannulloni approssimativi. In Cina (ipotizzo) l'attitudine all'alveare più spiccata dovrebbe aver già toccato qualche vertice ... In ogni caso qui da noi è impossibile vivere: ogni giorno è scandito dalla burocrazia, da una burocrazia esosa di cui si fatica persino a comprendere l'origine. Con le liberalizzazioni sul mercato energetico e l'abbandono del Draghi naufragheremo definitivamente ... in tal senso: se i padroni scappano figuriamoci cosa potranno fare dei servi un tanto al chilo. Ci venderanno al mercato del pesce: Francia, Austria ... La decadenza si avverte solo respirando: è psicologica e anche fisica. Gli ultimi trent'anni sono stati un capolavoro al contrario, altro che inettitudine. Sulle macchine posso dirti: se le macchine non si fanno umane, saranno gli umani a rinunciare all'umanità per farsi inorganici. Certi bagnanti da spiaggia già assomigliano a delle attinie; amano reificarsi, così, al sole ... come rettili impagliati. Una volta resi inumani non avranno dificoltà a rapportarsi con la macchina ... gliela impianteranno direttamente su per il naso: a farsi strada nel neoencefalo ci metterà poco.

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    2. @ Ise
      a proposito delle macchine a guida autonoma, si dimentica un aspetto: le auto a guida tradizionale e quelle a guida autonoma non possono coesistere perché rispettano regole differenti: il codice della strada è il medesimo ma, per quelle a guida tradizionale, è soggetto al libero arbitrio del conducente, mentre quelle a guida autonoma non possono derogare alle loro norme (es. una macchina a guida tradizionale potrà tagliare la strada ad una macchina a guida automatica - e questa sarà costretta ad evitare un possibile incidente frenando bruscamente; se fosse inserita in una colonna tutte le macchine che la seguono, a loro volta, sarebbero costrette a frenare: un caos continuo, inaccettabile - una macchina a guida autonoma non potrà mai farlo, perché non è Cosciente di quello che sta facendo, sta solo eseguendo pedissequamente una procedura matematica.
      Chi progetta è cosciente e non può progettare qualcosa cosciente: il Figlio non può essere superiore al Padre, a meno che non goda della sua stessa natura. Se ne parlava già al tempo della Scolastica.
      Sandro

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    3. E’ vero, la coscienza e’ una delle grandi differenze che intercorre tra uomo e macchina. Tuttavia, ora siamo alla riscrittura (inversione) della metafisica, dell’ontologia, dell’antropologia, della teologia o come la si voglia chiamare… l’uomo sta cambiando radicalmente il modo di vedere se stesso, e con cio’ la sua stessa coscienza, in un modo funzionale al “Progetto” ovviamente.
      Dato questo “dato”, hai voglia a parlare di elezioni, se mai ci si fosse creduto. Come si puo’ fare politica, o solo pensare alla politica, con uomini “proni” a vedere se stessi come bestie dannose, da controllare, disinfettare, e segregare se del caso?

      Intanto e’ in via di realizzazione lo Internet of Things che vede tutte le “cose” collegate e rispondenti alla “coscienza collettiva” del Cloud (il database globale). Per forza l’uomo diventera’ “oggetto” tra i tanti.
      Ora si dovrebbe capire che l’esito finale del progresso imposto e’ l’autodistruzione umana. Nella precedente rivoluzione industriale abbiamo menomato l’abilita’ fisica per affidare alla macchina i lavori manuali; oggi tocca alla nostra intelligenza essere sostituita da quella artificiale…non e’ questo un graduale annientamento dell’uomo?
      Ecco le parole del “profeta” Yuval Noah Harari: “La sola cosa che Dio riesce a creare sono gli esseri organici: tutti questi alberi, giraffe e umani, sono solo organici. Ma ora “noi” stiamo cercando di creare entita’ inorganiche, forme di vita inorganiche, come cyborgs, intelligenza artificiale e cosi’ via. Se ci riusciremo, e vi e’ una buona possibilita’ che ci riusciremo, molto presto saremo oltre il Dio della Bibbia.” “Forme di vita inorganiche” sarebbe, per me, un ossimoro... ma ormai chi ci fa piu’ caso...

      Per riallacciarmi al testo di Alceste, il rinnegare la Morte e’ proprio quel che serve al progetto della setta messianica. Se nel crisitanesimo la redenzione dell’uomo avviene post mortem, dove s’incontra l’eternita’, la setta messianica concepisce la propria redenzione o eternita’ come prettamente terrena, da realizzare con il dominio totale su tutti gli esseri viventi e sulla loro morte, il cui succedaneo sara’ appunto la “vita” inorganica immortale.
      Il virus ha accelerato il Progetto all’ennesima potenza, grazie alla rapida digitalizzazione quale unica soluzione, riflettendo poi il modus operandi della dissoluzione nel tempo: una lenta infiltrazione di parassiti, fino a prendere il controllo delle istituzioni e dei meccanismi di formazione delle coscienze, grazie alla moltiplicazione di replicanti. Lo stesso “esperto” Harari cosi’ spiega il funzionamento virale: “un virus non e’ neanche un essere vivente, non e’ un animale, non si ciba, non si riproduce da solo, e’ davvero solo un pezzo di codice biologico, un codice genetico, che ha la straordinaria abilita’ di infiltrare il nostro corpo, di prendere il controllo del meccanismo delle cellule nel nostro corpo e di dire alle cellule: produci piu’ copie di me!”.
      Saluti,
      Ise

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    4. Per Alceste:
      gli echi della macchina burocratica italiota mi arrivano regolarmente. Quest’anno mi e’ toccato il superecobonus110ecc. Avendo detto no, dopo che mi era stato chiesto cosa ne pensassi, mi sono arrivati vari attacchi. Siccome l’incapace amministratore ha sparso la voce che se non si faceva era solo per causa mia (ma ci sei o ci fai? Allora che me lo chiedi a fare in privato? Non sai che se c’e’ la maggioranza la mia decisione non conta nulla? Vile sciocco troglodita…). Uno e’ arrivato a dirmi che per colpa mia il suo appartamento si svalorizzava di tot mila euro e… (eravate nell’era del ricatto di stato, quindi era normale rivolgersi ad altri nella stessa maniera); al che’ gli ho risposto che lo avrei rimborsato a rate appena trovava l’acquirente. Ovviamente sono andati avanti: cappottino cool-hot, lavori trainati a iosa per tutti i sogni e desideri, per poi chiudere con un nulla di fatto causa nebulose burocratiche, professionisti desaparecidos. Quindi… amici come prima eh?!!! Come niente fosse, neanche un secondo di vergogna.
      Le cose per cui non riconoscero’ piu’ il mio paese, se mai dovessi o potessi rimetterci piede, credo che saranno: le architetture cittadine, la espressivita’ delle persone, le modalita’ di interrelazione, l’ironia e/o la serieta’ incomprese, l’assenza di pensiero ponderato… il tutto connesso con il livello di gestione digitale della societa’.

      Vedo che ora vi e’ un governo di transizione, l’ideale per tutte le transizioni ministeriali. Quanti déjà vu, nell’estate di tre anni fa c’era la crisi innescata da Salvini, senza valide motivazioni, ma con buona distrazione de il papeete e cose cosi’; estate 2022 crisi innescata da Draghi, con buona distrazione con barzellette e cose cosi’… le estati calde italiane, sempre al centro delle transizioni politiche, e poi i déjà vu delle promesse da un milione di dollari, di alberi, di lavori… io suggerei una transizione verso i sei milioni, che e’ numero piu’ fortunato.
      Comunque, andro’ controcorrente, ma posso dire che e' stato bello ed unico essere italiana, alla luce di quanto sta avvenendo, almeno per me, per il tipo di comprensione che mi ha donato. Io lo attribuisco al mio essere italiana.
      Saluti,
      Ise

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    5. Non è un governo di transizione: è quello adatto alla bisogna. Riguardo il 110%: ho provato a leggermi le cosiddette regole (che, peraltro, sono cambiate varie volte in corso) e ho desistito quasi subito. Il mio cervello è esausto, non riesce più a elaborare la prosa legale-burocratica. Leggo una o due pagine, poi mi perdo in fantasie maligne. Sogno di infilare uno pneumatico su uno di questi legulei e dargli fuoco, come fanno i gangster alla frontiera messicana ... a ogni modo: è stato bello essere Italiano ...

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    6. “Non è un governo di transizione: è quello adatto alla bisogna.”
      Intendi dire che potrebbe non esservi alcuna Terza Repubblica?

      Ho letto ora gli articoli da "I liberi. Ed i forti.", di cui hai messo il link a lato, che illustrano proprio un simile destino imminente per l'Italia. Quindi, 21 luglio: dimissioni di Draghi, ex BCE, maestro di QE, e annuncio dell' aumento del tassi d'interesse della BCE, un cerchio che si chiude sull’Italia.
      Qualcosa che da tempo si sentiva nell'aria, per la lunga assenza totale di classe dirigente ed intellettuale. Gli inglesi hanno gia’ coniato il termine "elitocide", in occasione della balcanizzazione anni ’90, per indicare la decapitazione della classe dirigente di una popolazione come preludio del genocidio o della sua schiavizzazione.
      In effetti, una Terza Repubblica senza spina dorsale sarebbe insostenibile, giunti come siamo al ”... basta che se magna”. Poi non manca solo la classe dirigente, ma l’intero materiale umano, come lo chiami tu, ridottosi ad un invertebrato, attivo solo a colpi di impulsi telecomandati, capace di passare dal lavarsi ossessivamente le mani per un virus, a smettere di lavarsi per paura di usare troppa acqua nel giro di un paio di telepromozioni dagli schermi, senza porsi domande.
      Significativo anche il silenzio in cui l’Italia si muove verso tale destinazione. Nei notiziari qui, da un po’ notavo che l’Italia non compariva piu’, come un tempo, tra i paesi citati quando si parlava di virus, incendi o altri resoconti dall’Europa. Sara’ mica che la diagnosi dovra’ essere ”malore improvviso”? Cosi’, senza inutili autopsie, si disporra’ velocemente del corpo nell’indifferenza generale.

      Ad ogni modo, analisi interessanti negli articoli di "I liberi. Ed i forti." Sai chi li ha scritti? Non ho trovato neanche uno pseudonimo.
      Saluti,
      Ise

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    7. Non esiste un governo temporaneo, tutti mirano all'utopia che, per noi, è la peggiore delle distopie. L'elitocide, razionale metodo di dominio (iniziò con la decimazione per via giudiziaria, anno 1992), fu applicata anche dai Romani che educavano i figli dei re vinti nelle loro scuole.
      Mi dicono dalla regia che tale blog, che condivide alcune tesi geopolitiche di Federico Dezzani, è collegato all'account twitter "Willi Muenzenberg".
      Sono in larga parte d'accordo con le tesi del blog, comunque.

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    8. Grazie Alceste,
      ho visto l'account twitter.
      Ise

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  7. L'uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite... L'uso della libertà, che tende a fare di qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente le nostre sacrosante funzioni. Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!

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    1. Peccato fosse un ipocrita, il bersaglio l'aveva sfiorato.

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  8. ciao Alceste
    dagli ultimi scritti traggo una conclusione. Ti stai 'misantropizzando' verso il punto di non ritorno. Pochi hanno osato. Di questi, pochi ce l'hanno fatta. I piu, corruttibili, si sono ricomposti, altri non ci sono piu (un esempio per tutti è il francese Coluche). Una minoranza infine, che vive nel silenzio assoluto, è quella che salverà l'umanità. Sono quelli che non sapendo nulla di cio che accade diventano incosapevolmente sacerdoti di pochi. Persone semplici, fatte di tradizioni e poche cose materiali ma cui vita è innattacabile da centri commerciali e beni tecnologici. Essi sono il 'covid' del sistema.
    Non controllabili al momento, riescono a perturbare l'ago della bilancia polcor. Se riflettiamo un attimo è straordinario: una minoranza irrilevante da fastido ad un sistema planetario. Non posso dire di farne parte, lavoro, mantengo una famiglia e pago le tasse. Ma l'anima mi dice che questa è la strada e mi circondo di questa filosofia di vita. Spero tu non cambi direzione, nel tuo piccolo sei un ìa luce nel buio.

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    1. Coluche l'hanno suicidato, per così dire. Non mi succederà lo stesso, ma solo perché il blog poco conta. Se avessi 100.000 accessi al giorno comincerei a ballare... Per il resto sono d'accordo. Ricordiamoci dei primi Cristiani. Una minoranza dapprima sovvertì il mondo, poi gli concesse altri 2000 anni di vita.

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  9. Ah perdonami, puoi approfondire il tuo pensiero su Collodi? Mi interessa, grazie.

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    1. Nel Pinocchio è abolito qualsiasi intervento divino a favore dell'autoredenzione: trovare in sé stessi la salvezza. Pinocchio è un Cristo al contrario, figlio di un falegname (Geppetto) e, in un certo senso, di una fatina buona, entrambe parodia dei genitori evangelici. La trasformazione in asino allude ai misteri (Le metamorfosi) così come i tre giorni nella balena (altro mistero classico di rinascita). Il Pinocchio impiccato è una parodia della Crocifissione etc etc I paralleli sono molti ... il succo è che si abbandona il vecchio sé in luogo di una identità nuova, dopo aver passato alcune "prove" di grado sempre più difficoltoso senza interventi celesti o miracoli ...

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    2. Non avevo mai pensato ad alcuni di questi aspetti. Interessante.

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    3. Tieni a mente che la prima edizione è più cruda della seconda. Occorre confrontarle.

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    4. Collodi, massone ma solo presunto, scrisse in realtà una fiaba gnosticheggiante ispirata a varie suggestioni classiche (Apuleio, ad es.) nella quale la funzione soteriologica è affidata alla conoscenza (la scuola, l'abbecedario, ...) piuttosto che alla fede; il rifiuto della conoscenza ossia l'abbandonarsi all'ignoranza (il teatro delle marionette, il paese dei balocchi...) porta alle note disavventure e quindi al dolore, veicolo di coscienza.
      Solo dopo aver acquisito coscienza tramite le citate prove iniziatiche (anche qui, nulla di nuovo sotto il sole, tutte le tradizioni hanno rielaborato il passaggio morte-risurrezione in senso iniziatico), il burattino ignorante si trasforma in un essere "umano" ossia capace di conoscenza.
      Ciò che manca non mi sembra tanto l'aspetto soprannaturale o miracolistico, si avverte la presenza di un disegno provvidenziale di matrice decisamente cattolica (non è detto che l'autore abbia frequentato logge o fratellanze ma sicuramente si formò in seminario...), quanto la mediazione di una casta sacerdotale o di un'istituzione ecclesiastica. Insomma, forse più che di un frammassone dissacratore si trattò del tipico toscanaccio, mangiapreti nell'esteriorità ma ancora profondamente cristiano.

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    5. Il Paese dei Balocchi qual è se non l'Antico Ordine che crede alle favole? A parte tutto, la mia è una sensazione (al solito!) che si basa sul contesto (Pinocchio come apologo risorgimentale, quindi massonico e anticattolico: fu scritto nel 1881) e sull'insolita e sospetta internazionalizzazione: tanto che Pinocchio è ripreso in ambito anglosassone (cosa mai avvenuta col ricchissimo folclore italiano né con autori classici come Rodari, Perodi et cetera). Se chiedi a un prete di vecchio stampo chi fece l'Unità d'Italia, ti risponderà: i massoni. Per i preti d'antan la storia è assai semplice ... il padre di Teresa d'Avila? Un ebreo ... e come sanno tutti, mi disse una volta uno di loro, spagnolo, dove ci sono i soldi ci sono gli ebrei ... il PolCor in certi ambiti non esiste proprio. Poi a scuola ci parlano di Carboneria, di Giovane Italia ... con ciò non voglio assolutamente rinfocolare chissà quali complotti. Si tratta di pura politica di dominazione che si accompagna sempre a propaganda e agli ascari migliori per la propaganda (come oggi).

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    6. Il Paese dei Balocchi come metafora dell'Antico Ordine? Originale come interpretazione! Mi fa venire in mente quel racconto di Hoffmann (Il piccolo Zaches) nel quale un principe aveva imposto per legge l'illuminismo nel suo regno e fate e maghi delle vecchie favole si erano riciclati come medici et similia. Praticamente il polcorretto ante litteram... veramente geniale.
      Certamente, Pinocchio è diventato disneyano prima e giapponese dopo, grazie alla cooptazione della sua storia come icona massonica; non è da sottovalutare, però, la tendenza della "fratellanza" a fagocitare tutto ciò che a lorsignori risulta utile; a suo tempo fecero un guazzabuglio ebraico-egiziano-templar-alchemico che più recentemente hanno rieditato in versione new age con minestroni che giustappongono il neoplatonismo all'induismo passando per farloccate teosofiche condite in salsa celtica.
      Lo stesso lo ha fatto il cristianesimo cooptando antichi dei, riti e miti nel proprio canone; sempre a proposito del noto burattino, varrebbe la pena di considerare la rilettura del testo fatta dal cardinal Biffi.
      A forza di strumentalizzare queste storie, prima o poi, lo ritroveremo pure in qualche gay pride come icona LGBT.

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    7. Il cardinal Biffi ha equivocato. D'altra parte se rovesci l'8 (numero massonico per eccellenza, il lato della scacchiera) ritrovi l'8. Non è facile distinguere la realtà dalla quella riflessa (Magritte diceva di una pipa disegnata: questa non è una pipa seppure, agli occhi dei semplici, quella fosse effettivamente una pipa). I nostri tempi sono contraddistinti dall'inversione: di quale 8 stiamo parlando? Capisco, occorre mano ferma e un bisturi di ottima lega. Se interpretiamo l'apologo di Pinocchio come totale inversione della parabola esistenziale del Cristo ritroviamo un'altra parabola, apparentemente del tutto identica a quella cristologica ... e, però, è un 8 al contrario.

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  10. Che tristezza, Alceste. Descrizione dolente e bellissima. Ma dov'è il mistero? Tutto quello di cui parla ha chiara spiegazione. Anzitutto: siamo troppi. Già questo usura letteralmente le città, il territorio e gli spiriti. Basta un rapido paragone con Francia, Spagna, Portogallo , Germania, e figuriamoci col Nord e la Scandinavia...
    Probabilmente deriva dal fatto che non ci siamo mai svenati troppo in guerre, rivoluzioni e sacrifici umani vari ( apprezziamo solo quello eucaristico, che non ci costa niente): troppo furbi e disincantati. Infatti le guerre le abbiamo perse quasi tutte (pre e post unità).
    Dopodiché, siamo soffocati, tormentati, asfissiati da innumerevoli moltitudini di uruk-hai psicopatici, sensibili ed alfabetizzati quanto le scarpe di inizio post, che tuttavia sono in grado di apporre la famosa crocetta sulla famigerata scheda. Risulteranno eletti, o cooptati, i peggiori di loro. Il peggio del peggio dovrebbe curare gli interessi del paese. Mah!
    Sinteticamente, il punto è questo. L'unica cosa che potrebbe - stentatamente - tenere a bada la mostruosa massa ruttante e spetecchiante sarebbero leggi ragionevoli e organizzazione sociale. Ma l'indifferenza anarcoide che ci caratterizza deriva appunto da tutto questo. E dal fatto che nessuno vuole fare alcunché.
    Circolo vizioso, meglio: spirale, vorticante verso il punto "0". Chi la spezza? E come? Ah, saperlo...
    Mi stia bene.

    Walter

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    1. Siamo troppi? Secondo me ci muoviamo troppo. Troppa frenesia, troppi desideri indotti. Il turismo internazionale, per esempio: questo consuma e divora le città. Venti milioni che visitano Firenze. Perché? Tanto ci capiscono un acca ... e poi le ulteriori frenesie: interconnessioni H24, sonno abolito ... per cosa? Niente, stupidaggini. Siamo letteralmente divorati dal di dentro dall'anelito all'inutile. Alla battutina, al calembour ... la mail il messaggino la barzelletta ... Ognuno cerca qualcosa, ma non lo trova più ... è perso definitivamente ... e allora si muove ... come un epilettico ... a fine giornata non hanno combinato nulla e sono sfiniti ... Certi lavori o capolavori sono impossibili non solo per la mancanza di gusto, ma per mancanza di contemplazione.

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    2. Buona sera Alceste, sono del tuo stesso avviso; questa tua risposta mi ha ricordato l'unico punto di non incontro tra Evola e Guénon, azione e contemplazione. Mi piacerebbe avere una tua opinione a riguardo. Grazie

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    3. Approfitto della risposta per uscire dal letargo digitale ... cui sono costretto, peraltro, viste le connessioni traballanti della Tuscia.
      E vengo al dunque.
      A mio avviso (nel far ciò mi baso sulla mia umile esperienza) non vedo differenze tra i due mondi, fra la contemplazione e l'azione, se non che la prima è propedeutica alla seconda. Non i ricordo in quale post scrissi dei due pesci osservati da Ruskin: l'uno frenetico, epilettico, sempre in movimento; l'altro placido, immobile, in perfetto equilibrio. Il primo pesce è l'uomo moderno, senza riferimenti, insoddisfatto; il secondo l'uomo classico che tutto soppesa; l'uomo della gravitas, del nulla di troppo e delle virtù (prudenza, temperanza etc) già della tradizione cristiana e antico mediterranea. Questo tipo d'uomo, oggi rarissimo, riunisce in sé i due momenti. Egli vanta il pathos del distacco, un mirabile sarcasmo, l'anelito per le lontananze, l'angoscia sottile del memento mori; un impasto scettico verso la materia e che si nutre di riferimenti oltremondani. In lui ateismo e fede si annullano. Un tal tipo d'uomo è impossibile da spezzare. Lo si può uccidere, mai piegare. Questo essere, di cui l'Italia fu sempre ricca, in cui vivono inavvertiti azione e meditazione, è l'unica pietra dura che può bloccare gli ingranaggi usurari e politicamente corretti che stanno definitivamente stritolando l'Occidente.

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  11. Mi torna in mente Mishima quando dice: "La vita umana è strutturata in modo tale che soltanto guardando in faccia la morte possiamo comprendere la nostra autentica forza e il grado del nostro attaccamento alla vita. Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, forse non è altro che un fragile vetro."
    E resto persuaso che l'assenza di uomini temprati è tra i mali più gravi che affliggono le società ultime. Anche tra gli adepti dell'informazione alternativa che vogliono distanziarsi dal mainstream serpeggia una certa debolezza mentale nel prendere la realtà di petto, ed è da qui che penso scaturisca molta della fede nel Grande Botto: nel non riuscire ad accettare che questo sistema potrebbe avere in serbo di cuocerci a fuoco lento sine die. Come dicesti tu una volta Alceste il più abile controinformatore non è capace di smuovere una riunione di condominio. In questi ultimi anni dove Orwell è diventato cronaca quotidiana gli ambienti 'alternativi' non sono riusciti ad organizzare un solo gruppo attivo concreto e allora ripongono tutte le speranze in un evento esterno che si materializzi per toglierci dall'impaccio... la palingenesi da gustare comodamente da casa senza bisogno di alzare un dito. Mentre il Grande Reset è un agenda che i nostri nemici portano avanti implacabilmente ogni giorno il Grande Botto è un mero supporto psicologico per lenire il proprio senso di impotenza. Loro ci preparano il "non avrete nulla e sarete felici (come ratti da laboratorio)" e il massimo che sappiamo opporgli e di aspettare per vedere dove vogliono arrivare, come nel celebre sketch di Totò con Castellani (https://www.youtube.com/watch?v=MuaJdM5JKzs&t=43s). Ogni viscido gruppo di potere sa che per raggiungere i suoi scopi è sufficiente tenere isolati coloro che intendono resistere. Lo disse in modo estremamente semplice Burke: "Quando i malvagi si uniscono, i buoni devono associarsi. Altrimenti cadranno uno ad uno, un sacrificio spietato in una lotta disprezzabile."
    Lo scacco matto è stato distruggere ogni principio di identità collettiva diverso dal Grande Fratello e mortificare nella coscienza dei singoli ogni principio metafisico che potrebbe fungere da collante per i legami interpersonali. Ed eccoci a vagare tra i non-luoghi come spettri scoglionati nell'attesa di un alba diversa.

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    1. Non posso che darti ragione dalla prima all'ultima riga. Lo spettacolo più avvilente i prossimi mesi saranno i partitucoli antisistema che sgomitano per l'1% e i socialari che innescheranno fuochi d'artificio di contumelie, calembour e scempiaggini di ogni sorta ... inutili, ovviamente.

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    2. La tua visione e' divenuta subito realta' Alceste!

      Incredibile come tutti, ma proprio tutti i leoni antisistema, anche quelli che avranno fatto si e no due comparsate tv o tre interviste social in tutto, siano saliti sul carretto siculo guidato da Mattarella, ultima manifestazione folcloristica della democrazia italiana. Non manca piu' nessuno, a questa botta ce li abbiamo tutti insieme appassionatamente.

      Incredibile anche come puntualmente tutti si siano fatti di nuovo persuadere che sia necessario farsi un altro giro di giostra, vuoi per non far vincere il piu' peggio (che poi puntualmente risorge dalle ceneri), vuoi per la fiducia ispirata da uno o piu' leoni. L'asinello sembra determinato a guidare il carretto, ma le ruote reggeranno tutto quel peso?
      Saluti,
      Ise

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  12. Il problema è che il truffaldino italiano, un tempo forse vitale ed individualista, si è rincoglionito del tutto sui suoi vizi, complice lo svacco culturale, pensando che il suo tempo individuale abbia valore solo a discapito di qualcun altro, per cui è un nevrotico che non ha pace nel paese più bello del mondo, ha fretta, molta fretta, e si annoia, non riconosce più il valore delle cose ed ha soprattutto una concezione nevrotica del tempo individuale, che valorizza solo passando davanti a qualcun altro, contemplazione? Non esiste. Il postmoderno italiano ha fretta.

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    1. Ha fretta, ma poi si dispera quando improvvisamente trova tempo libero ... in un cul-de-sac micidiale ... si sente soffocare, va di fretta, ma non conosce nessuna strada.

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  13. Questi ultimi post sono magistrali. Onore all'Alceste e ai suoi commentatori.

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  14. I am a man
    I am self-aware
    And everywhere I go
    You're always right there with me
    I've flirted with you all my life
    Even kissed you once or twice
    And to this day I swear it was nice
    But clearly I was not ready
    When you touched a friend of mine
    I thought I would lose my mind
    But I found out with time
    That really I was was not ready, no no
    Oh, death
    Oh, death
    Oh, death
    Clearly
    I'm not ready
    Oh, death you hector me
    Decimate those dear to me
    Tease me with your sweet relief
    You are cruel and you are constant
    When my mom was cancer sick
    She fought but then succumb to it
    But you made her beg for it
    Lord Jesus, please I'm ready
    Oh, death
    Oh, death
    Oh, death
    Clearly
    I'm not ready
    No, no
    Vic Chesnutt

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  15. Da queste parti, a ragion veduta, si utilizza talvolta il verbo desacralizzare. Et voilà: https://www.telemia.it/2022/07/calabria-parroco-celebra-la-messa-in-mare-usato-materassino-come-altare/

    Yaroslav

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  16. È talmente bello, struggente e vero questo pezzo di Alceste che devo, per forza ,contrapporre qualcosa di molto meno impegnativo. Guardavo la presentazione ai tifosi del nuovo acquisto dell' As Roma ,l'argentino Paulo Dybala. Un bravo calciatore che nell'ultimo anno si è intristito tra panca e tribuna nella fredda Torino.
    Ieri, presentazione all'Eur, pubblico adorante ,luci hollywoodiane, entusiasmo alle stelle, il solito " daje !" per la gioia dei fans della lupa. In meno di due mesi, lì il dodicesimo qui il messia. Marketing nordamericano o l'affare del secolo? Perché a Roma esiste quest'entusiasmo pazzesco,cos'ha la Capitale di tanto speciale che rende ogni inizio di campionato un'avventura con la certezza di vincere a dispetto degli ultimi risultati non proprio esaltanti ?
    Crisi, spread,virus inflazione, guerra, se la " magica" vincerà lo scudetto non ci sarà problema che non si possa affrontare. O no ?

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    1. Non ricordo quanti fossero alla presentazione di Gabriel Omar Batistuta: sicuramente di più. Nonostante il declino inarrestabile, il tifo calcistico è una suburra che ancora resiste al politicamente corretto, per questo cercano di sterilizzarlo da almeno vent'anni. Qui sopravvivono i lacerti di antiche fedi: la militanza politica, il cameratismo, la goliardia, l'odio per il nemico (assenti nel tifo da divano, anonimo e fungibile). A Roma, ma anche al Sud, ciò viene elevato all'eccesso perché il Sud e, soprattutto Roma, non producono più nulla da qualche secolo ... ci si aggrappa a tutto. I maggiori intellettuali "romani" del dopoguerra sono un bolognese e un milanese: entrambi sentivano ciò che fu Roma, entrambi ne avevano in parte ribrezzo. Nella presentazione di Dybala ho trovato più malinconia che vera gioia di vivere; l'autentico tifoso romanista si appagava di figure minori, ma fedeli, come Mazzone o Giannini, poiché la sua era, appunto, una fede ... e rimaneva tale anche nella sconfitta. Ora il romanista vuole vincere, ha Mourinho e Dybala ... ma questi sono due espressioni di un calcio globale, depotenziato, nonostante l'istrionismo da avventuriero del portoghese. Una Roma calcistica sempre meno popolare, ormai in mani straniere, che attende la definitiva omologazione con la costruzione dello stadio prossimo venturo: una impersonale macchina da soldi che avrà niente a vedere con le sanguigne ex intemerate della Curva Sud.

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  17. Azzardo un'ipotesi (peraltro non mia ma di un internauta nel Suo Blog): l'attuale crisi, voluta e preparata dalle elite IsraeloAngloAmericane, prevede la definitva saldatura tra mondo occidentale avanzato e terzo mondo. Aggiungo che la globalizzazione è stata l'avangurdia di questa saldatura e, per avviare questo processo serviva la omologazione al ribasso di una umanità sempre più disumanizzata: livellamento di idee ed aspirazioni, superamento delle ideologie e delle religioni, mercificazione come travolgimento della spiritualità. Insomma anestetizzare tutte quelle pulsioni/aspirazioni che fanno muovere l'Uomo/Persona. Ecco quindi la fine delle differenze tra popoli e all'interno di ogni popolo, delle differenze tra i singoli anche di sesso, di gusto, di ceto di tradizioni locali: creazione di un unicum di uomini privi di spina dorsale e perfettamente manovrabili perchè senza anima, senza ricordi, senza passato e senza futuro. Meno che animali nei quali istinto e pulsioni ancora albergano: nell'uomo odierno non alberga più nulla neppure di istintivo.
    L'uomo moderno del primo/terzo mondo ormai saldati, dialoga con lo smartphone non con i suoi pari, vive nella società smart e veloce che glorifica l'immediata rapidità dei processi elettronici e rifugge il confronto umano (anestetizzando quindi anche il possibile scontro): anche la guerra viene impostata con criteri elettronici di velocità e distanza (bombardamenti incessanti con droni ed aerei che radono al suolo tutto ciò che il nemico di turno ha costruito) perchè la sconfitta del nemico deve essere veloce e immediata in modo da proclamare la vittoria altrettanto rapidamente.
    Poi la realtà del soldato sul terreno dopo la asserita vittoria si scontra con la verità (vedi Afganistan ed Iraq): anni di occupazioni senza alcun risultato tra quelli propagandati e repentine fughe.
    Ma si profila, all'orizzonte, chi la guerra la fa diversamente: nessuna fretta o rapidità ma uomoni sul terreno da subito e che da subito si scontrano con la durezza del confronto bellico (morti e sangue da ambo le parti). Una guerra però che procede incessantemente con progressi costanti e che non ha paura delle inevitabili perdite tra i suoi.
    Una nazione che, forse, poggia le sue fondamenta ancora su qualche valore e tradizione o, quantomeno, si oppone alla omologazione imposta dall'occidente.
    E' solo una recita, una farsa per acquisire consensi anche tra i nemici?.
    Forse, non ho certezze: ma è l'unica speranza di un cambiamento, di una ventata stimolante, di uno scossone che possa indurre un risveglio.
    Preferisco credere che sia così per non sprofondare nel buio più nero.

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    1. La globalizzazione, per imporsi come tale, deve operare come i vasi comunicanti. Dapprima le acque dei vasi sono tenuti lontani (per vari motivi, fisici e storici), quindi messi in comunicazione. Un vaso scende da 10 a 6, l'altro sale da 2 a 6. Riequilibrio. L'abitante del primo vaso, noi, siamo scontenti; quello del secondo felice come una Pasqua. In realtà si sono snaturate entrambe le realtà; solo il Potere fa festa perché ha ridotto ciò che doveva essere felicemente squilibrato (per motivi storici, psicologici, antropologici) a un'identica infelice pappetta su cui non avrà problemi a dominare. Sono gli squilibri a generare l'azione.

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    2. Ci sprofonderemo...sempre di più..
      E’ impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto. E bisogna farsi amico l’orrore, orrore, terrore, morale e dolore sono i tuoi amici

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  18. Mi permetto di fare un'altra segnalazione, visto il silenzio totale sui media italiani (nella mia versione di internet, che magari non corrisponde alla vostra).
    Kosovo: sembra che ci sia movimento... Vi invito a dare un'occhiata agli aggiornamenti di ieri di questo canale telegram russo (Funded by Putin, Russian ministry of defence, FSB, GRU and SVR), da cui prendo naturalmente le distanze:
    https://t.me/s/intelslava
    Meglio saperlo, per non dire poi che la Serbia e' l'aggressore, il Kosovo l'aggredito che eroicamente si difende etc. etc.
    Un saluto

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  19. Ci sono delle persone che stanno tutte sul bordo dei loro occhi.
    Spuntano da lì. Non dipende dalle loro qualità interiori, magari altri, più ricchi dentro, hanno uno sguardo che non arriva fino alla pupilla, si ferma prima, chissà dove, che so, al diaframma, al petto, o da qualche parte nella testa. Io non so come lei veda, ma il suo sguardo si vede così tanto. Lei è tutto lì, sul bordo dei suoi occhi.
    Daniele Del Giudice, Nel museo di Reims
    https://www.youtube.com/watch
    v=o7p1UmzikNI&list=RDMM&start_radio=1&rv=8AHCfZTRGiI

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  20. Le condizioni sono
    Atmosferiche comunque,
    Comunque meteorologiche,
    E lei si è invaghita del bitume:
    Carbonio con idrogeno composto,
    Bollente ed odoroso, grasso in fusti,
    Colato e rimpastato, misto a scisti.
    Così le salta in mente,
    All'improvviso,
    Che esistono gli dei,
    E dagli dei
    Proviene, per esempio, la numerosa serie dei profumi;
    E lei se esistono gli dei sarebbe prediletta dal maestoso
    Ordigno in argentato, sovrumano
    Tubo di scappamento con solenni alucce
    O pinne da raffreddamento.
    E, cosa c'è da fare, vorrebbe lei
    Portare questa sera, come stola,
    Un raccordo anulare, un'intera fila alle poste
    Oppure la costiera amalfitana.
    Si prende il nastro della merce scelta,
    Si ammorbidisce e si fa svolazzare,
    Si smussa e lei così lo può indossare,
    Vorrebbe lei per caso liquefare
    Un palazzo in cui l'innamorato sguazza
    Nel delirio, ridotto ad un cetaceo.
    Si attiva un lanciafiamme,
    Un forno ad onde, oceanico,
    Un sesquipedale,
    Prospero per la pipa universale.
    C'è da fare la spesa si fa,
    Da andare dal dentista ci si va,
    E il trapanatore sarà un titillatore piumato.
    Così come bambina, mancandole la esse,
    Lei diceva "Nettuno nettuno"
    Così Gli Dei Sarebbero un intimo difetto di pronuncia.
    C'è da fare una piazza, si fa:
    Si prende una balena con fontana inclusa e
    Traballanti cocomeri per occhi a tutti quanti,
    Ed alberi spioventi dalle orecchie.
    E voci emerse sulla testa a delta
    E i mignoli, gli eterni mignoletti,
    Suonati da pestanti martelletti.
    Così lei, può passare di là
    Perché se c'è da fare
    Una cosa si fa...

    https://www.youtube.com/watch?v=4LFgkPJAsEA

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  21. Carissimo...invio i più cordiali auguri di buon ferragosto, e il pensiero che se ognuno dei visualizzatori che sono passati su questa pagina, avessero lasciato solo 20 centesimi ognuno, saresti un discreto benestante con 367.557,00 euro sul c.c.....

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  22. UNA SERA COME TANTE
    Una sera come tante, e nuovamente
    noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
    settimo piano, dopo i soliti urli
    i bambini si sono addormentati,
    e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
    un’altra volta nello studio abbiamo trovati.
    Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti.
    Una sera come tante, e i miei proponimenti
    intatti, in apparenza, come anni
    or sono, anzi più chiari, più concreti:
    scrivere versi cristiani in cui si mostri
    che mi distrusse ragazzo l’educazione dei preti;
    due ore almeno ogni giorno per me;
    basta con la bontà, qualche volta mentire.
    Una sera come tante (quante ne resta a morire
    di sere come questa?) e non tentato da nulla,
    dico dal sonno, dalla voglia di bere,
    o dall’angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
    né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
    mi ridomando, vorrei sapere,
    se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
    siano le antiche speranze della salvezza;
    o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
    la sorte di ogni altro, non volgare
    letteratura ma vita che si piega nel suo vertice,
    senza né più virtù né giovinezza.
    Potremmo avere domani una vita più semplice?
    Ha un fine il nostro subire il presente?
    Ma che si viva o si muoia è indifferente,
    se private persone senza storia
    siamo, lettori di giornali, spettatori
    televisivi, utenti di servizi:
    dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
    in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
    non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
    qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
    È nostalgia di un futuro che mi estenua,
    ma poi d’un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
    Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
    Da quanto in questa viltà ci assicura
    la nostra disciplina senza percosse?
    Da quanto ha nome bontà la paura?
    Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
    che dice: domani, domani… pur sapendo
    che il nostro domani era già ieri da sempre.
    La verità chiedeva assai più semplici tempre.
    Ride il tranquillo despota che lo sa:
    mi numera fra i suoi lungo la strada che scendo.
    C’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà
    G. Giudici

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  23. Buongiorno a tutti. Sperando di dare il mio piccolo contributo a questo spazio, faccio presente che la figlia del regista Elio Piccon, il quale ha girato numerosi documentari/film sul Gargano, terra a cui mi sento di appartenere, ha caricato questo prezioso documento su youtube, che consiglio di vedere (tempo permettendo), "l'Antimiracolo": https://www.youtube.com/watch?v=9GLFC6S1x2Q

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Siate gentili ...