Unreal City, 5 agosto 2021
Leggo
in un vecchio libro sciupato: “Mi piace
sfogliare i vecchi libri sciupati che si trovano a volte sulle bancarelle dei
librai e che hanno contenuto la verità di un tempo. Ci si guadagna una sana
filosofia, del tipo di quella che Jacques Bainville riassumeva in questa
formula: ‘Tutto è sempre andato malissimo’. E, parola mia, vedendo nel corso
del tempo le lagnanze dei contemporanei, la loro nostalgia del passato, i sogni
che architettavano per l’avvenire, bisogna riconoscere che gli uomini mai
furono contenti del presente”.
La frase è di Jacques Ploncard
D’Assac; il libro, sciupato, Apologia
della reazione (I libri del Borghese, 1970).
Vi si ritrova un angusto iter
metaletterario: D’Assac scopre su un’anonima bancarella un libro di Jacques
Bainville che contiene la bruciante verità d’una riga; il sottoscritto, per le
medesime vie, la nota di D’Assac; voi, i più fortunati, entrambi i
rinvenimenti. Questa coincidenza non è ovviamente tale: si chiama, invece,
tradizione. Tradizione della sapienza. Bainville nota, en passant, come la
storia dell’umanità sia la cronaca di una decadenza continua; D’Assac approva;
io, nel 2021, consento a tale evidenza luttuosa.
L’uomo decade, da sempre. La sua parabola non consiste in un avvicinamento a Dio bensì al Demonio. Liberiamoci da pregresse convinzioni. L’uomo sorge dalla Polvere e dal Fango; la Polvere e il Fango, sotto le spoglie di Satana, ci richiamano infine a loro; durante tale catabasi verso la Dissoluzione, Dio, sotto le spoglie dell’Artista, del Santo e del Sapiente, ritarda l’inevitabile caduta. Ma ora l’Abisso, là-bas, ci reclama; l’occhio scruta il vuoto e ne è avvinto in un’ansia lutulenta in cui piacere e volontà di auto-annientamento si coavvincono come le spire del Primo Serpente. Tutto torna?
L’uomo moderno calcola. Ma i suoi calcoli sono sbagliati. Il feticcio maggiore cui s’è prostrato è quello del progresso. Credersi migliori dei predecessori, o delle epoche del passato, ridotte a un cumulo di crudeltà e perfidie, equivale alla dannazione ultima che lo perderà del tutto. Come dimostra, invece, l’intuizione di Bainville, si deve parlare qui di continua regressione e degradazione. Dirà il Citrullo: “Ma non è possibile! Siamo alla reazione, al dispotismo, all’oscurantismo! Non vedete voi, cari signori, un innalzarsi delle epoche? Un avanzare costante, a prezzo di sacrifici e sangue, verso una umanità migliore, più tollerante e pacifica, consapevole dei misteri di quella Natura che si piega docile sotto la nostra benevola signoria? Guardate il passato: carestie, malattie, privazioni, mostruosità, abiezioni! Non vorrete paragonare le buie viette d’una città europea lorda di escrementi e pustolosi in fin di vita con le autostrade a quattro corsie ove sfilano le silenziose automobili del futuro? E chi cambierebbe, di grazia, quell’orrore con l’attuale presente? Fate un sondaggio e vedrete cosa ne esce!”.
A metà dell’Ottocento la popolazione mondiale assommava a un miliardo. Oggi a più di sette. Esemplare di questa Bengodi dell’evoluzione fu la figura del dottor Ignác Semmelweis che, con blandi e ovvi rimedi antisettici, sconfisse, di fatto, la mortalità infantile e la mortifera febbre puerperale. Il “Salvatore delle Madri” fu un tale Copernico che da un’epoca di vedovi si passò, mercé qualche guerra mondiale, a quello delle vedove. La nobile parabola umana di Semmelweis affascinò molti: a sinistra l’ebrea socialista Anna Kuliscioff, a destra l’antisemita burlone Céline che ne fece il protagonista della propria tesi di laurea in Medicina. E allora? Il mito del progresso, in effetti, abbacina tutti. Ma è un calcolo sbagliato. Occorre una dose criminale di cinismo, astruseria, cattiveria e forza di volontà per dichiarare questo. Eppure … cosa ne abbiamo tratto, noi, da tale appressamento alla felicità? Dai celesti doni di Semmelweis, o di Fleming e Jenner? Un’umanità pletorica, depauperata, debole. Gli Spagnoli che invasero il Sud America, butterati dal vaiolo e decimati dallo scorbuto, conquistarono un continente. Oggi la Spagna faticherebbe pure a invadere Gibilterra. Mi prende male, oggi, sono così! Gradirei un’obiezione, però, di fatto e non in punta di ideologia … la mia famiglia ha visto, in un secolo, come testimoniano alcune lapidi consunte, morti di tetano e di influenza, morti e dispersi in Russia e Affrica, ma le foto dei sopravvissuti, accartocciate e crocchianti, ci parlano di donne e uomini dal volto piano e senza preoccupazioni, addirittura sereno: sereno di fronte a Sorella Morte. Il loro ruolo sociale e metafisico fu stabilito millenni prima - una profondità di cui essi non comprendevano né la distanza remota né la forza della scaturigine: a che pro? Si viveva così, gli affanni e il dolore si stemperavano nella consuetudine da scampati scambiata dagli Illuministi per fatalismo. Matrimoni, battesimi, comunioni e unzioni punteggiavano la vita. Il ruolo, già stabilito, faceva sì che l’individuo fosse sollevato da ogni decisione eliminando psicosi, ansie e schizofrenie. Chi era più libera? La donna sotto il presunto patriarcato o la donnina di oggi, che può decidere, liberamente, di farsi inculare da un cane? Attenzione, nella risposta potrebbero celarsi sbagli di calcolo.
Attraverso la zona di Boccea. Una Punto grigia è parcheggiata contromano. I posti del guidatore e del passeggero sono occupati da due asiatici, forse filippini. Bassi, olivastri, le teste tonde, i radi capelli neri; occhiali da sole; la pelle lustra di sudore. Si rassomigliano come due gemelli. Gli unici movimenti che ne tradiscono l’esistenza in vita son quelli mandibolari; ruminano qualcosa, roteando ritmicamente l’apparato buccale, in sincrono, come due scimmie caricate da un giocattolaio diabolico. Più avanti, sulle strisce pedonali, un’altra asiatica passa di corsa, blaterando in un cellulare a perpendicolo rispetto all’asse facciale. Brutta, bassa, storta: eppure vitale; non pare avere soverchi problemi: il suo ruolo nella società è ben definito, la nevrosi non ne lambisce il cuore; ella può guardare il futuro con sguardo limpido e privo di retropensieri. Come noi, qualche decennio addietro. Lungo il marciapiede, intanto, un africano spazza lentamente e metodicamente un tratto d’asfalto; qualche monetina in un sottovaso da giardino ne remunerano l’attività surrogatoria delle istituzioni, tolleranti verso un abusivismo così ecumenico e paziente. L’edicola è chiusa, la Valentina di Crepax sulla saracinesca irriconoscibile per le scrostature; il bar a mezzo servizio, la chiesa sbarrata, l’alimentari forse defunto. Nel deserto, con l’asfalto reso molle dalla calura, s’aggirano alcuni revenants: un mendicante, un trippone barbuto che reca un metro quadro di pizza unta, due anziani storti e dagli occhi cisposi e diffidenti, un andino dal volto totemico. L’Italia migliora, evidentemente: come facciamo a non accorgercene?
A largo Argentina mi accoglie un capanno del Nuovo Mondo. Qualche curioso vi si assiepa d’intorno mentre alcune telecamere ne frugano, occhiute, gli ospiti sotto le precarie frescure agostane: fra di loro riconosco l’Esuvia della Libertà Infinita: Emma Bonino. Liberi sino alla morte. Ella parla, senza empatia, meccanicamente; il consueto turbante, un pastrano raffazzonato, la voce sottile, ma ferma, arrogante senza esser sprezzante, di chi ha la sicumera del Potere. Solo la voce rileva, il Verbo. I giri parodici sulle libertà umane promanano con prosodie da carillon infernale; il naso lungo e livido pare l’unica consistenza materiale di questo corpo votato all’Utopia Definitiva e Suicidaria, sorta di esoscheletro insecchito impigliato fra i rami dell’albero di Giuda. Frattanto una celebrità del Nulla si approssima, timida, deferente: Toni Garrani, attore e doppiatore, già co-pilota di Michele Mirabella. La Mantide Omicida accoglie il discepolo con l’interesse con cui si resoconta un collo di melanzane ai Mercati Generali: per lei, che lo confonde col padre Ivo, è solo l’ennesimo chierichetto spendibile sul mercato. Nemmeno sa chi è, forse; d’altra parte solo l’Utopia conta. La Sacerdotessa non pone certo mente ai mattoni della Torre di Babele. Nel suo fanatismo estremo pare come risucchiata dal Vacuo tanto da esserne trasfigurata in immagine e somiglianza.
Draghi nel Colosseo. Ridacchia sugli esperti - lui! - epitome d'ogni esperto d'Italia, quello che tutto sa e nulla capisce. Ma il Colosseo dice qualcosa a Draghi? Questa la domanda. D'altra parte: Emma Bonino conosce Piero della Francesca o Zuan Bellini? Mai ho sentito, in cinquant'anni, la Chiromante Catatonica citare l'Italia o un grande Italiano, se non per motivi strumentali. In breve: chi sono queste persone? Come si sono sostituite agli umani? Perché non vengono riconosciute per quello che sono? Ecco un'ulteriore domanda. Senza risposta, se non quella, devastante, dei fatti.
Ma dove sono andati gli Italiani?
Scomparsi.
E l’opposizione al Potere?
Si è trasferita sul digitale
disperdendosi in mille rivoli polemici, goliardici, assolutamente insulsi.
Solo la carne può tentare il colpo
di mano.
E invece qui ci si perde in
statistiche, cruscotti, freddure, calembour.
Quando il Potere metteva ogni
defunto nel conteggio Covid, i controinformatori sbraitavano sulle cifre
gonfiate. Ora accade il contrario: ogni sincope, malore, infarto e incidente
entrano a buon diritto nelle cifre del massacro vaccinista deprivando il caso
di una possibile innocenza.
La puerile battaglia, che ha fatto
perdere due anni, ha come risultante lo zero.
Ci vogliono sterminare?
Certo, ma come gli Alacaluf della
Patagonia, gli Incas, i Canachi. A questo serve il vaccino, l’obbligo, la
paura; alla perdita dell’indipendenza e della razionalità; al regresso
economico.
Sono morti 15.000 italiani per gli
effetti avversi? Lo concedo. Non sarei così timido, però. Secondo me
potrebbero essere il doppio, il triplo o centomila: ciò non cambierebbe la mia
posizione. Questa cimiteriale farsa serve non a uccidere direttamente bensì a
rinchiudere nelle riserve. Lì creperanno a milioni, gradatamente, educatamente,
col pallido capo riverso, gli occhi sbarrati nella certezza terribile
dell’errore - probabilmente con uno spetezzo rivolto ai quei cieli che hanno contribuito a sgombrare.
Il massacro di tre miliardi di
esseri umani? La vedo dura, come spiegai, per il fatto, incontrovertibile, che
liberarsi di mille cadaveri è già impresa durissima. Tale obiezione, che può
trovare conferma presso qualsiasi operatore mortuario, venne rivolta, a suo tempo, pure contro i fautori dell’Olocausto dei Sei Milioni. Vi accennai anche in un
post, ma nessuno colse la mia follia. Un corpo pasciuto, come quello di Cola di
Rienzo, brucia bene; i corpi smagriti no. In entrambi i casi è difficile
liberarsene. Anche Cola di Rienzo, la populista palla di lardo, fu difficile da
ridurre in cenere: per avere ragione dei resti di quel vitellone che volle
sfidare i Signori di Roma, gli Ebrei del Ghetto si costrinsero ad
affastellare cascine, paglia, sterpi, affaccendandosi nel rogo, “afforosi”, con
lo zelo che li contraddistingue nell’odio.
I suicidi superano gli omicidi.
L’umanità si avvia verso il
rimbecillimento generale. La vita, il soffio che traverso il calamo spinge il
fiore, si è lentamente spenta. La tecnica dei dominatori è rodata, banale. La quasi totalità di noi, peraltro, condivide tale genocidio indotto.
Ci si vergogna a dire la verità, ad
affermare l’evidenza, persino a pisciare negli angoli. Snervati,
elettroscioccati, ebefrenici. La morte assume strane sfumature. Non credevo che
morte tanti ne avesse disfatti. Alcuni ventenni son già morti, altri vagano su
questa terra avvolti nel sudario. Conosco gente che passa la notte sui videogiochi.
E ci si preoccupa degli infarti? I suicidi più spettacolari che ricordo ancora respirano regolarmente. Sono milioni? Miliardi.
Invertire, invertire, invertire.
Il cubicolo, la pornografia,
l’alcool, lo sport, la fine dei rapporti sociali, la decadenza dell’attrazione
sessuale, la negazione pervicace della bellezza, la perdita del ruolo sociale.
Il barbone del Ventunesimo Secolo affonderà sempre più nella poltrona sino a
liquefarsi. Da otto miliardi gli accidiosi si ridurranno naturalmente a sette,
poi a sei. Il boccone più ghiotto è, ovviamente, l’Europa Bianca. E così sarà.
Moriremo fra le chiacchiere, altro che infarti; soli, inermi, ignoranti.
Ridotti dal Potere a ridicoli Tamagotchi da sfamare in cambio di un’obbedienza
cieca. Anche qui: calcoli sbagliati.
La Bellezza e la Ragione. Nella Vergine della Tenerezza di Safronov, benché d’impianto moderno, ritrovo entrambi i corni del dilemma. La liturgia, il simbolo, la fede e lo studio dei materiali si fondono in una indissolubile verità. Qui si può pregare o sperare o vincere. Anche la sconfitta, però, sarebbe una gloria ambita.
Le posate. Forchette, coltelli, cucchiai. Anche in campagna ve n’erano di molto belle: larghe e pesanti, di materiale vile o addirittura d’argento. Istoriate in rilievo con frutta, animali, edere. Un piccolo marchio nella parte celata; i denti della forchetta, a volte tre, a volte quattro, inflessibili come giudici popolari; la concavità del cucchiaio, a raccogliere diligentemente i lacerti di minestre di verdure o i legumi stillanti olio, si conformavano con discrezione alle voracità dell’apparato buccale; i coltelli, arrotondati e pesi il giusto, per affondare la lama nelle carni, anche le più stoppose. Coltelli per il pane, i salumi, i caci: anonimi, ma sempre con un guizzo particolare; un manico in legno borchiato d’argento, oppure ravvivato da incisioni sottili e beneauguranti. Oggi nessuno presta più attenzione a queste cose. Il funzionalismo ha preso piede, inarrestabile. Una forchetta è una forchetta, serve per infilzare qualcosa, va bene anche di plastica, si getta via, oppure di legno bio, a salvaguardare i panda residui del pianeta. Ma anche qui si tratta di un calcolo sbagliato. L’ornamento, il “di più”, in altre parole, parole oggi inesplicabili per i funzionalisti geneticamente modificati di massa, la bellezza - quel senso di inutilità che avvolge la bellezza … a che pro la bellezza, cos’è la bellezza … la bellezza non ha funzione, si dice … a che pro, signori, direbbe uno yahoo qualsiasi, decorare con l’encausto, una tecnica impervia, le prue delle navi da guerra? Cos’è questo spreco? A ciò rispondo: è uno spreco che risulta da un vostro calcolo sbagliato, signori. La bellezza serve, protegge, ci indica la via giusta, vince il Nemico. Il ponte Morandi, brutto e insidiato dalla bruttezza, non poteva che cadere, così come rovineranno tutte le città postmoderne, accozzaglia di brutture psicopatiche. Inevitabile che sia così. Il bello, inteso come forma distillata dall’esperienza e trasmessa gelosamente dalle confraternite artigianali - lei mai potrà morire. Quel “di più” che si crede merce inessenziale poiché non traducibile in oro, rappresenta, invece, la scintilla nascosta che ci ha sempre preservati dall’autodistruzione. I fiori, la frutta, gli animali giocosi, lepri e cani, che si trovano sbalzati sulle antiche posate, sono un balsamo per l’animo poiché unica ragione di vita dell'animo.
Corviale, il comprensorio Bastogi, il Bronx di Torrevecchia, Tor Bella Monaca. Tali architetture, costruite con protervia dai funzionalisti che vollero liberarsi, grazie a colpi di mano basati su calcoli sbagliati, dal quid “di troppo”, rovinano senza possibilità di redenzione. Abbiamo risparmiato sui costi! Regalando ai bisognosi migliaia di alloggi! Ma non è così. Così come le città sottomarine di Lovecraft rivelano le menti aliene e inumane dei Costruttori, così è per tali borgate nichiliste. Tralasciare quella particola segreta, il quid di troppo, a cosa ha recato? Dopo qualche mese, ancora odorosi di vernice, tali capricciosi e psicopatici accumuli di cemento cominciarono a stritolare gli incolpevoli uomini lì imprigionati: misteriosi crolli, infiltrazioni, sfarinamenti, malfunzionamenti; uno spirito di decadimento, il kipple, misto di spazzatura entropica e disfatta, cominciò a nutrirsi delle anime conducendole, come Azathoth, all’abbrutimento e al crimine. Persino il panorama, la vista della precaria sagoma di quelle suburre postmoderne, infiacchiva lo sguardo. Ciò che apparentemente s’era guadagnato, secondo calcoli da ragionieri d’accatto, veniva, invece, puntualmente reclamato ad interessi altissimi, con libbre di carne sempre più sanguinose.
Tale calcolo sbagliato, inavvertito e ominoso, fu ribattezzato da Ezra Pound come Usura. Solo un Matematico Celeste può computare davvero il “di più”. A ciò, e non a una pedestre teoria economica, si riferisce l’Americano Pazzo quando compone il suo canto più celebre:
Pietro
Lombardo
non si fe’ con usura
Duccio
non si fe’ con usura
nè
Piero della Francesca o Zuan Bellini
nè
fu ‘La Calunnia’ dipinta con usura.
L’Angelico
non si fe’ con usura, nè Ambrogio de Praedis,
nessuna
chiesa di pietra viva firmata : ‘Adamo me fecit’.
Con
usura non sorsero
Saint
Trophine e Saint Hilaire,
usura
arrugginisce il cesello
arrugginisce
arte ed artigiano
tarla
la tela nel telaio, nessuno
apprende
l‘arte d’intessere oro nell’ordito …
Ragioniamo. Calcoliamo giusto.
Un palazzo di vetrocemento, dopo
qualche decennio, rimangia i volgari risparmi con una manutenzione esosa e
degna di miglior causa. Un rudere irrecuperabile, deprimente, di cui si fatica a
comprendere persino l’unica qualità che ne era alla base: la funzionalità. Per
questo gli Americani, questa branca degenerata dell’Inglese postscespiriano
degenerato, preferiscono radere al suolo ogni cosa e ricominciare da capo, quali
tossicodipendenti dell’orrido. E lo stesso vale per l’orientale degenerato. I
resti d’un monastero medioevale, invece, pur recando le cicatrici materiali del
tempo, conservano una bellezza austera e, a volte, ancor più solenne; ciò vale anche
per le sculture, e gli affreschi: il colore scialbato, le cadute dell’intonaco
aggiungono una patina misteriosa (di cui si fatica a calcolare la potenza
lustrale, altrimenti nota come bellezza) - una qualità che si accresce vertiginosamente
nella stoica considerazione sul tempo perduto e irredimibile.
Possiamo calcolare, quindi.
La bellezza è sinolo di forma
tradizionale (che ha già calcolato tutto, da sempre, per il meglio della
comunità) e materia nobile. Essa vince l’Usura, mette da parte un pegno
inestimabile per le future generazioni, sprigiona nei secoli una serenità
interiore che guarisce e dona un posto all'uomo nella vicenda tragica dell’universo. Per suo
mezzo siamo fatti eterni, invincibili.
A che serve la filosofia, il latino, il greco … A un “di più”. I calcoli sbagliati dei praticoni della scuola, tutti tecnica e ciarpame da computisteria, intesa nel senso deteriore, son lì a celebrare il funerale della scuola stessa. DAD, sei politico, trentasei politico, centodiecielode politico, tesine da trenta pagine. Servono scienziati, ingegneri, biologi! Certo, servono, ma chi lo sarà più? All’università le barzellette più feroci eran proprio sugli ingegneri che parevan ghermiti da un’avitaminosi spirituale. Ingegneri, però, ancora formati dalle scuole di Gadda e Olivetti. E ora? Saputelli da twitter, aridi, arroganti: perfetta carne da albino, buona per i cubicoli di tutti gli inferni che stanno apparecchiando sulla Terra.
Come spesso accade mi lascio
coinvolgere. Stavolta mi tocca dipingere un muro di contenimento presso un
comprensorio della periferia più devastata. Preti e monache mi arruolano: ci
devi aiutare! Non faccio in tempo a elaborare il diniego: la comunicazione, con
tempismo cinico, è tolta. L’indomani, quindi, è giornata di pennellesse e
stucchi. Sudo come Cola di Rienzo trascinato per le vie di Roma. Una ventina di bambini e ragazzetti
Rom (napoletani, abruzzesi) danno manforte, inscenando un ininterrotto schiamazzo
anarchico. Tutti, però, sgobbano; sulla scala si arrampica pure un frugoletto
che sa appena camminare: al quarto piolo sembra cadere, mi vedo già a Rebibbia,
ma il moccioso, con un pennello enorme nella mano minuscola, eccolo - non si sa
come - riprendersi in tempo e cominciare a bruttare a casaccio la parete,
serioso e determinato. Il padre, da lontano, al fresco, sghignazza pacifico, le
gambe divaricate, a trasmettere d’intorno l’orgoglio per un così promettente
prodotto della propria coglia. I maschi più cresciuti vantano una dura cupezza
introversa, a reprimere una rabbia di cui non riconoscono la fonte; i più
piccoli, invece, sono vivaci ed educati. Alcune femmine s’atteggiano oblique e
insinuanti; parte già graziose, e dotate d’una malizia naturale e
incomprimibile. Storpiano i nomi, deridono il borghese, gli fanno ritrovare il
cappello lordato dal grigio del quarzo. A una, la bocca piccola, rotonda e
carnosa, domando: “Quella è tua sorella?
Vi assomigliate molto”. Lei si mette a ridere, aperta, con un singulto
arrochito e sensuale. Apprenderò poi che ce ne sono tre, di sorelle: di
un’unica madre e tre padri diversi. Fra loro si chiamano per nome, come amiche;
vivono in un camper che, d’inverno, l’origine dei loro giorni terreni reca
verso il centro di Roma per essere meno lontane dalla scuola. Non che la scuola
interessi molto: lo fanno per non perdere la potestà genitoriale; o quel che s’intende
oggi con tale vaporoso concetto. A dodici anni Bocca di Rosa non sa granché
scrivere, e le sorelle del pari.
Un bimbetto intanto mi chiede cosa fare di un
piccolo crocefisso di metallo trovato per terra; lo ripulisco e, poi, provvedutolo
d’un sottile spago, ne faccio un ciondoletto che gli giro attorno al collo: di
questo atto elementare è strabiliato e felice.
Quando ero ragazzo ero solito far
girare sul piatto l’ellepì di Claudio Lolli Ho
visto anche degli zingari felici, ispirato dal film jugoslavo Ho incontrato anche zingari felici di
Aleksandar Petrović (Skupljaci perja,
1967. Il caso volle che il disco venisse pubblicato il 7 aprile 1976, lo stesso giorno in cui Mario Salvi fu giustiziato, nell’ambito della pantomima omicida
inscenata fra Stato e dissenzienti di varia estrazione - quasi tutti sotto controllo
del SISMI e di Gladio, però).
Dopo che il viceconte Massimo
D’Alema acconsentì a bombardare i Balcani, nel 1999, ventitré anni dopo il
disco di Lolli, la parola “jugoslavo” e “Jugoslavia” la facevo girare spesso sulla
lingua a sbeffeggiare gli ex compagni titini, ora bombaroli. L’apostasia, però,
non cominciò certo lì. I comunisti, così come i fascisti e i democristiani,
erano già spariti dall’Italia nei primi anni Ottanta. Ne sopravvivevano le
parodie, a confondere gli allocchi e gli stupidi che, senza le locuzioni da
sciarpa di Linus (comunista! … fascista! … i cattocomunisti ...), inciampano
nei più elementari ragionamenti. Cattolici, fascisti e comunisti son arrivati
sino a noi, ma solo quali esuvie ideologiche di un tempo pieno e felice, poiché
ancora dotato di un senso. Oggi sono morti, zombificati; non conoscono
l’Italiano, odiano l’evidenza e la logica, pur lasca; si limitano a caracollare
trascinandosi dietro stracci cenciosi al vento di anacoluti e frasi fatte;
brandelli sfatti di carne e senso.
Solo una cosa rimproveravo a Lolli: il titolo. “Ma dico, compagni … poteva fare uno sforzo … noi comunisti parliamo parliamo, ma siamo degli sciatti coglioni … un dodecasillabo … e poi quel ‘degli’ … non vedete che sforza … come la quarta in salita … bastava scrivere ‘Ho visto anche gli zingari felici’ ed ecco l’endecasillabo … seppur non soddisfacente … sarebbe stato meglio ‘Ho visto - sai - anche zingari felici’ con accento su sesta e decima … riconosco che quel ‘sai’ è un po’ faticoso e non mi sconfinfera, ma suona meglio di prima … “. Il capo già mi guardava di traverso, e così i futuri centrosocialisti; per conto mio, poiché di natura ottocentesca, già ricambiavo segretamente il mio odio verso di loro, i traditori più ottusi. Si viveva da separati in casa; solo i calcoli sbagliati ci tenevano assieme.
Terminato
il lavoro di pittura, i ragazzini sciamano attorno a una fontanella. Subito si
forma una farandola folleggiante, di grida e dispetti. Le madri, ingrugnate o
serafiche come idoli Apache, le gambe scoperte rigate da tatuaggi, lasciano
fare; i compagni son già via, chissà dove, annoiati da tanta volontà riposta a
buon fine. Schizzi, palloni pieni d’acqua, richiami divertiti o di finto
rimprovero riempiono l’aria come le strida delle rondini a sera. Pieter Bruegel
il Vecchio, con l’anima sua di colto miniaturista e raffinato popolano,
contemplò al numero trentasei - di ottanta - tali scherzi puerili, nel suo olio
del 1560.
Mi allontano per meglio dominare la scena; cala la luce, e la materia
s’intride d’azzurro; per qualche minuto mi sorprendo a non pensare. La scena è
una delicata tavola atemporale. Una farandola di fanciulli, eguale a quella di
mille altre, nel tempo. Ognuno d’essi si lava della malizia, riacquistando un
volto senza rughe, di perfetta innocenza. Non avere pensieri, scivolare via –
senza pensieri. Ma l’innocenza non si riguadagna, una volta perduta. Sebbene
senta come un supplizio il distacco dalle mie antiche radici, è doveroso
riaccollarsi al più presto la dannazione.
Mi riallaccio le scarpe e me ne vado.
Da lontano qualcuno alza la mano, e la agita verso di me.
Bellissimo scritto.
RispondiElimina...e' meglio un imbianchino di Le Corbusier.
RispondiEliminaLa scena del crocefisso contiene gia' in nuce tutti gli argomenti sviluppati dal resto di questo bellissimo scritto.
A proposito di nature ottocentesche, vorrei chiederti se posso considerarmi abbastanza ottocentesco anche io.
"[…] E la liberta’? Ci dicono. La liberta’ non deve stare al di sopra di tutto? E la liberta’, perlomeno quella individuale, non e’ stata sacrificata? La liberta’, signori!
Conoscono il principio che proclamano e il nome che pronunciano, coloro che pronunciano questa sacra parola? Conoscono i tempi in cui vivono? Non e’ giunto fino a voi, signori, l’eco delle ultime catastrofi? Come! Non sapete ormai che la liberta’ e’ finita? Non avete assistito, come ho fatto io con gli occhi del mio spirito, alla sua dolorosa passione? Ma come, signori! Non l’avete vista vessata, umiliata, ferita a tradimento da tutti i demagoghi del mondo? Non l’avete vista trascinare il suo dolore per le montagne della Svizzera , sulle sponde della Senna, sulle rive del Reno e del Danubio, sugli argini del Tevere? Non l’avete vista salire al Quirinale che e’ stato il suo Calvario? (Grandi applausi)
Signori, tremenda e’ la parola ma non dobbiamo temere di pronunciare parole tremende se dicono la verita’ ed io sono intenzionato a dirla. La liberta’ e’ finita! Non resuscitera’, signori, ne’ al terzo giorno, ne’ al terzo anno e forse neppure al terzo secolo. Vi spaventa, signori, la tirannia che subiamo? Vi spaventate con poco; vedrete cose peggiori. E qui vi prego, tenete a mente le mie parole perche’ cio’ che sto per dire, i fatti che annuncero’ di un futuro piu’ o meno prossimo, comunque non molto lontano, si compiranno alla lettera.
Il fondamento, signori, di tutti i vostri errori (voltandosi verso i banchi della sinistra) consiste nel non sapere qual e’ la direzione della civilta’ e del mondo. Voi credete che civilta’ e mondo vanno avanti quando invece civilta’ e mondo tornano indietro. Il mondo, signori, avanza a passi rapidissimi verso la costituzione di un dispotismo, il piu’ grande e devastatore di cui si ha memoria tra gli uomini. Verso questo vanno la civilta’ ed il mondo. Per dire queste cose non ho bisogno di essere un profeta mi basta considerare l’insieme spaventoso degli accadimenti umani dal suo unico e vero punto di vista: dalle altezze cattoliche. Signori, non vi sono piu’ di due forze possibili: una interiore e l’altra esterna, la religiosa e la politica. Esse sono di una natura tale che quando il termometro religioso si alza, il termometro della politica si abbassa e quando il termometro religioso si abbassa, il termometro politico, la forza politica, la tirannia si alza. Questa e’ una legge dell’Umanita’, una legge della Storia. […]"
Juan Donoso Cortes, Contro il liberalismo (Discorso sulla dittatura, 1849)
Un saluto
Caro Alceste e gentili utenti porto alla vostra attenzione il caso MOSE; Le cosiddette dighe mobili che dovevano salvare Venezia dall'acqua alta; opera ciclopica concepita più di 30 anni fa, adesso non ancora terminata e già vecchia, per non parlare dei costi lievitati da "maree" di tangenti.
RispondiEliminaUna società marcia produce solo marcio...come diceva il buon Bartali "qua l'è tutto sbagliato l'è tutto da rifare". Un caro saluto
Quindi, questo Ponte sullo Stretto, si fa o non si fa?
Eliminahttps://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_925_Nikos.pdf
EliminaComplimenti, la bellezza tornerà a trionfare e stavolta ucciderà la bestia, non ci si accoppiera' selvaggiamente come nella realtà disneyana..
RispondiEliminaStraordinario. Da scrivere sul marmo per leggerlo e rileggerlo. All'entrata d'ogni casa. Obbligatorio. Almeno alla fine di questo umano travaglio, il demonio avrà il suo bel da fare per cancellare le traccie di Dio.
RispondiEliminaScritto meraviglioso. Se in questi anni non ho mai commentato è soltanto perché non ne sono all'altezza. Saluti
RispondiEliminastoria di mario salvi, pubblicato il 10 aprile 2015
RispondiEliminacalcoli sbagliati, 5 agosto 2021
solo sei anni ed è finito il mondo
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
RispondiEliminae pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito, si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla, dunque? – e le candele romane, a san Giovanni, che sbiancavano lente l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina dell’avvenire) e gli eliotropo nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio...
Oh la piagata primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi fino a che il cieco sole in te porti
si abbacini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince – col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud...
Leggerla, apre la mia anima, grazie.
RispondiElimina"L'uomo decade da sempre", è inevitabile Alceste o sarebbe potuta andare diversamente?
RispondiEliminaSecondo me no. La Seconda Legge parla chiaro: decadimento, entropia. Perché essa non si dovrebbe applicare all'insignificante umanità e ale sue palpitazioni e passioni?
EliminaCiò ha avuto spesso un nome: Fato, Destino etc
Da tal punto di vista assume una certa grandiosità il sentimento tragico come opposizione tra la finitezza dell'individuo e il volgere dell'universo ... universo che puoi declinare come meglio credi: Dio, Natura matrigna etc ovviamente ciò non toglie che occorra lottare per allontanare, ritardare. E come farlo? Salvaguardando i custodi dell'uomo: la sapienza, l'arte, la spiritualità etc ne abbiamo parlato mille volte.