Roma, 22 marzo 2019
Io sono leggenda. L’ultimo uomo della terra ancora lotta per l’umanità. Non sa di essere l’ultimo sopravvissuto della sua razza; per questo trova in sé, continuamente, a prezzo di sacrifici psicologici e fisici tremendi, la forza di contrastare la devastazione; di uccidere. In nome di cosa? Di un senso di appartenenza ch’egli ancora ricorda con vividezza. La propria casa, la città in cui ha vissuto, le strade, i palazzi, divengono il terreno di scontro fra lui e un nuovo e repellente ordine di viventi: vampiri, esseri ciechi, che, a notte, escono dalle rovine di ciò che, una volta, aveva un senso e ora decade, preda del kipple, l’entropia di Philip K. Dick: rifiuti, pulviscolo, putrefazione. I vampiri sono numerosi, compattati da un animalesco istinto gregario; si fiutano l’un l’altro, gli aliti fetidi condensati in vapori caldi nel freddo della notte; il buio è il loro elemento; la muffa, la disfatta, il vento che sibila fra i lacerti dei palazzi municipali e delle fontane essiccate, perno di arenghi ormai deserti, vigilati da centinaia di bocche mute, la dolce melodia che accresce una voglia di sangue inestirpabile. L’istinto li domina mentre assediano la casa dell’ultimo uomo. Vogliono farla finita, una volta per tutte.
Eloì, Eloì, lama sabactàni. I padri ci stanno abbandonando. E così le madri. Proprio mentre scrivo queste righe, inutili ovviamente, arriva la notizia che un altro padre è morto. Un parente stretto. La figlia non si capacita, urla, si ribella, rovescia tavoli. Ma è così. Cosa si intuisce di irreconciliabile dietro questi lutti? Il senso di una perdita generazionale che non potrà mai venire lenita: un’epoca scivola via per sempre.
Io sono leggenda/2. Robert Neville è l’ultimo uomo della terra; lui all'inizio lo ignora, ma, anno dopo anno, comincia a convincersi dell'ineluttabile: il sopravvissuto, l’unico umano, il puro. Una nuova alba lo sorprende ancora vivo; ha resistito all’ennesimo assedio, duro. La luce si diffonde. Egli, allora, si rimette in forze, carica il proprio furgone di armi e munizioni, e procede alla bonifica. Il mondo è suo. Un anfratto, una cantina, un sotterraneo sono la meta delle sue cacce. Uno, due, dieci vampiri giustiziati al giorno e scaricati come carne di scarto in qualche burrone al limitare della città. Il pomeriggio egli si dedica ad altro, nel proprio laboratorio. Il batterio che ha infettato il mondo intero. La Terra: un deserto su cui si aggirano bestie cieche e depravate. Un antidoto! Se solo si potesse distillare un antidoto per far sì che il proprio sangue, incorrotto, l’unico in tutto il globo, scorra nuovamente nelle vene dell’umanità!
Eloì, Eloì, lama sabactàni/2. La disperazione che coglie gli Italiani di mezza età alla morte dei genitori è intrisa di una consapevolezza nuova: loro sono gli ultimi; altra gente, altre tempre; bruschi, senza rispetto per i diversi, meno scolarizzati di noi, ma giganteschi - esseri mitologici, quasi. Hanno formato una famiglia! E come hanno fatto? Si son sposati a vent’anni! Ma com’è stato possibile? Due, tre, quattro figli! E poi un lavoro! Per quarant’anni! Tornio, fonderia, zappa, ciabattini, negozietti alimentari, bar, muratori, mezzemaniche. Queste erano donne con un senso morale, che amavano i figli, e uomini con un senso morale che hanno sgobbato e sono stati felici, sopportando tragedie e disillusioni; uomini e donne con una fede: loro hanno creduto, senza riserve! Al partito, alla croce, all’ideale! Cos’erano, esseri ultraterreni? Uomini e donne a loro volta discesi da concrezioni ancor più incomprensibili, nonni e bisnonni: gente che ha fatto la fame, ucciso, aggiustato motori, combattuto, sgozzato animali! I volti bruciati dal sole, le figure allampanate, i vestiti modesti eppure indossati con una dignità irrecuperabile che sfiorava l’aristocrazia. Una foto degli anni Cinquanta: un gruppo di operai o cacciatori o massaie: la giacca o la divisa, il vestito buono con la cravatta, un aplomb millenario, il velo, le crinoline, le pieghe stirate con cura. Come possiamo essere all’altezza di tale superumanità, piange l’esserino del presente, il nipote, mentre guarda, con un moto di compatimento e orrore, il bisnipote, l’esserino del futuro, ammesso che sia riuscito a partorirlo, un coso dai capelli ritti sulla testa, o rasati, stupido come una zucca, lo sguardo menefreghista o assente, a meno che non sia fisso nel retablo di qualche videogioco. Il nipote ha una crisi: quelli erano eroi, animali apollinei, io non sono niente, non so cosa fare, sono in balia di tutto e tutti, tornate indietro, spiriti eroici, tornate da noi a insegnarci qualcosa!
Io sono leggenda/3. Parlo e non vengo compreso, vengo in fratellanza, ma sono straniero. Sono un mostro, un estraneo, una bestia rara. Ne ho la certezza. Persino fra i diversi vengo temuto come diverso. Le parole, i fatti. Non sono nel mondo, mi aggiro nel mondo. Le uniche parole con cui formo terreno comune son quelle prosaiche, fàtiche: mi serve un ..., pronto, ci accordiamo, allora …, domani alle quindici …, faccia due copie, la pratica Baldissoni. Ecco la vita che vivo: falsa. Un affastellamento di informazioni. Orari, appuntamenti, scadenze. Al di là del tritume quotidiano, devo simulare un’esistenza altra. Fingere che mi interessi qualcosa che interessa anche agli altri. Mi sorprendo ad annuire a cose e fatti di cui nulla m’importa; acconsento, solo per non essere tacciato di crudeltà; e taccio, quasi sempre, solo per evitare grane che mi disgustano al solo pensiero: una querela, una rissa, un alterco sciocco. La vita al contrario me la porterò nella tomba. Tutti la ignorano. Persino gli esseri che recano il mio sangue. Non sanno nulla. Forse sospettano. Magari intuiscono, pur se la reale profondità della solitudine, se davvero conosciuta con l’immediatezza propria alla rivelazione, li farebbe gridare: no, così no! Passo, col volto impassibile, fra i vampiri e i vampirizzati che sfilano per le vie rigurgitanti: sono Robert Neville, Perseo, un rompitasche qualsiasi. Non c’è nessun merito in questo. Non si diventa ciò che si è per merito. Letture strambe, inclinazioni naturali, un’introspezione psicologica abnorme costituiscono l’edificio di un’atemporalità fuori sincrono; la desuetudine del sentire, l’anacronismo morale; l’odio per il presente, la nostalgia per un mondo che non esiste più o sta scomparendo o, forse, mai è esistito se non tramite una personale e violenta visionarietà. Come si diventa ciò che si è? Vago per la terra di confusione, l’Italia, cerco di uccidere più vampiri che posso, ma sono troppi. Lo pre-sento, sto assurgendo lentamente a leggenda. Sogno stragi, speranze; mi arrivano in sogno poeti e santi; sogno Teodorico che grida alto nella reggia, interrompendo una strage, grida a raggelare la scena per i poeti: un’immagine sacra vergata su un cartiglio medioevale: sono fantasie dell’impotenza, una solitudine che diviene leggenda.
Eloì, Eloì, lama sabactàni/3. Il mio nonno paterno e un suo fratello. Ventisei anni, atticciati, baffi di ferro, le bocche che rigano il volto senza espressione, gli occhi scuri fissi nell’obiettivo. Non avevano pensieri, solo la tradizione di ciò che furono i loro antenati li muoveva. La giustizia vibrava nei muscoli. Nessuna domanda: così fu, così è, così sarà. In queste cervici non attecchiva nulla che non fosse già accettato ab immemorabili; la legge era legge proprio perché non ammetteva eccezioni. La legge, per loro, era inemendabile. Chi voleva ferire il fusto della legge doveva caricarsi di una responsabilità prometeica, folle, di una colpa smisurata, che contemplava l’espulsione dalla comunità. Tali furono i ribelli in ogni tempo, gli esiliati sui monti o gli ecisti, chi veniva cacciato con l’ostrakon o i Beowulf persi nelle plaghe infestate da Grendel, lontani dal consorzio umano. Niente perdite di tempo, esitazioni, sotterfugi, critiche. Il dissenso veniva liquidato con un gesto della mano.
Le parole erano inutili poiché i gesti erano già scritti. Non esisteva critica poiché la tradizione pensava in vece loro. La mente sgombra, già deciso l’atto.
Durante la guerra la comunità doveva sopravvivere. Siamo fascisti, stiamo buoni, ma se i Tedeschi requisiscono granaglie e animali? Vi è una giustizia superiore ai fascisti, ai tedeschi, a chiunque. E allora si assaltava il deposito del Fascio, armi in mano; o si provvedeva al mercato nero recando a Roma, nei doppi fondi, agnelli macellati di fresco, aggirando dogane e dazi. I due baffi di ferro la scamparono per un soffio nel Quarantaquattro: uno era già destinato al plotone d’esecuzione, ma si salvò, per l’intercessione d’un gerarca amico o per l’arrivo degli americani, forse proprio di Carter: il biondo, ventenne, caporale dell’Ohio, un altro senza pensieri reconditi, uno come loro in fondo, ma provvisto di cioccolata e caffè; Carter arrivò alla spicciolata, in tempo per scoprire un paio di crucchi morti nella scuola, debitamente senza stivali. La sera, lui e i suoi commilitoni s’accampavano davanti alla chiesa per giocare alle ombre cinesi: bambini e ragazzi li osservavano come divinità discese da uno spazio interstellare: le ombre cinesi! Addirittura! Vestiti alla buona, scalzi nella polvere finissima della strada, gli Italiani osservavano a bocca aperta conigli e anatre prendere forma sulle colonne settecentesche, rose dalle generazioni, ed erette su impulso di gente ormai sconfitta e remota, marchesi e conti e cavalieri, sopra mozziconi di fondamenta più antiche, probabilmente una piccola pertinenza dell’Abbazia benedettina di Farfa: XI secolo. Anatre, conigli e gatti zampettavano sulle quadrate colonne forgiate da uno spirito di cui, proprio in quel momento (ma lì nessuno sospettava questo), era stata sancita la distruzione. Fra gli spettatori una sedicenne, piccola e mora, ridente, dai riccioli profumati, gambe nude e denti bianchissimi.
Lontano da quella platea inconsueta, il secondo Baffo di Ferro languiva in un carcere romano, accusato di mercato nero, oltraggio e lesioni. Anch’egli verrà liberato dopo l’arrivo, a Roma, giugno 1944, di altri Vince e Carter. All’approssimarsi di Monterosi, mesi prima, il fattaccio. Allora questi animali? Chi c’è alla dogana? Il tuo amico, il mio amico? Ci farà passare? Quanto vuole? Ma i nostri sono tirchi, non vogliono rischiare né pagare tangenti. Baffo di Ferro ordina di accostare il camion, quindi prende un coltellaccio e sgozza tre agnelli lì, sul ciglio della strada, li fa a pezzi e li nasconde, ancor palpitanti, nel doppio fondo, assieme a vino, olio e lardo. A Monterosi, però, non ci sono gli amici, ma la PAI che vede questi burinotti loschi e duri lordi di sangue. Baffo di Ferro scappa, ma lo riacciuffano subito, dopo un po’ di strattoni e pugni; gli altri due, invece, son già nel furgone cellulare, rassegnati al gabbio. In paese Baffo di Ferro si rivedrà ad autunno inoltrato. La moglie lo riaccoglie in silenzio; il fatalismo taciturno, immusonito, equivocato, spesso, come maleducazione scontrosa; probabilmente fra di loro nemmeno si saranno salutati, lui era tornato, quello era un fatto, smagrito e più pallido, ma egualmente incrollabile, annunciato dalle grida di qualche comare: era vivo, almeno; di parlare non aveva voglia; l’avventura sarebbe divenuta leggenda nei mesi a venire; ora c’era da riprendere le fila del patriarcato. I figli erano vivi, bene; gli animali, la vigna, i meli, i noci? C’è da lavorare la costa, da ricomprare galline, conigli e maiale, gli avrà risposto la moglie, impassibile. Bene, domattina si ricomincia, cantilena bofonchiando, coi pugni chiusi sulla tavola nuda. Mio fratello? Vivo pure lui. Bene, si ricomincia. I tuoi? E chi lo sa. Vediamo, domani, però, si ricomincia, è necessario, questa è la forza misteriosa, atavica, che spinge entro il gambo dell’età più bella la vita che non giudica sé stessa, e la guida, da sempre, sotto un sole benigno, the force that through the green fuse drives the flower, drives the green age.
Io sono leggenda/4. Robert Neville è braccato dai vampiri, forse è stanco, si rassegna all’inevitabile. La guida di quegli esseri gli dice: Neville, giustiziere, come hai osato arrogarti il diritto di giudicare la nuova specie? Come puoi giudicare noi in nome di un passato ormai inesistente? Ti credi migliore sol perché tu rammenti vane immagini e vacui pensieri che, qui, adesso, più non vantano realtà e senso né tantomeno imperio. Noi siamo il seme e il sale della terra, ora, tu sei l’estraneo, il mostro da bruciare, la lamia che striscia nel buio per assassinare i fratelli e i figli. Tu meriti la morte, oggi, tu, oggi, sei leggenda.
Eloì, Eloì, lama sabactàni/4. I due tedeschi morti nella scuola, spogliati degli stivali, delle armi, delle divise. Insanguinati, bianchi di un pallore fatale. Uno dei due pare che abbia detto, prima di morire: “Ich … Italia … kaputt”. Una leggenda, ovviamente, ma tenace. Anche loro due sono leggenda, oramai, come i loro uccisori e la gente che li andava a vedere, a turno, terrorizzata per la possibile rappresaglia, bambini, ragazze, donne, vecchi che scuotevano la testa. Un affronto a Dio, un affronto a Dio, non si doveva, no, dobbiamo sapere chi sono, come si chiamano, dobbiamo andare al loro paese, in Germania, a chiedere perdono alle mogli ai figli alle madri dobbiamo pregare espiare la colpa moriremo tutti. La leggenda, quindi, prese possesso anche di quei gesti e di quelle parole come di altri fatti lì occorsi (sette tedeschi sepolti sotto una fontana), sfumò le asperità, eccitò la dimenticanza, divenne racconto da focolare. La vita riprendeva possesso della comunità, sorgeva il sole, uomini e donne erano costretti dolcemente entro quel ciclo favoloso che li aveva visti sempre attori e vittime, lavoravano, si ammalavano, morivano, si sposavano, diventavano comunisti o democristiani, andavano in America, ritornavano dalla guerra, oppure venivano pianti senza lacrime, Quinto o Terzo o Antonio, dove sono? Lì, in Libia, e dov’è la Libia? O in Russia, terra leggendaria anch’essa, meno reale del Catai di Marco Polo; in fondo ciò che era stato detto o fatto non aveva più importanza, i figli crescevano, subentravano alle pedine precedenti, la vita rifioriva, ora si doveva voltare pagina, addio fratelli miei, nemmeno una foto ho di voi, nemmeno una tomba, ma la forza misteriosa ci riconduce alla terra, ancora una volta, si dimentica del dolore.
Io sono leggenda/5. “[Ecco] quello che vedeva sulle loro facce: timore, paura, orrore; e comprese che avevano paura di lui. Per loro, lui era una terribile calamità che mai avevano veduta, una calamità anche peggiore dell'infezione a cui si erano adattati. Lui era un invisibile spettro che lasciava quale prova della sua esistenza i corpi dissanguati dei loro cari.
Robert Neville guardò il nuovo popolo della terra. Sapeva di non farne parte: sapeva che, come un tempo i vampiri, lui era un anatema e un nero terrore da distruggersi. E, di colpo, il concetto si formò, divertente nonostante il dolore. Una risata soffocata gli salì alla gola. Si voltò, si appoggiò alla parete ... 'Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nasce nella morte, una nuova superstizione penetra nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Io sono leggenda' “.
Eloi Eloi lema sabactani/5. Anche l’America bianca sembra alla fine dei giorni. Alexis de Tocqueville, nel suo Viaggio in America del 1831-1832, un reportage western d’eccezionale lucidità, ci rende edotti di questi incredibili europei di risulta trapiantati in una terra selvaggia. Sceriffi, uomini d’ordine sfregiati, indiani alla stanga, panorami selvaggi e immensi. La forza, the green age, era, in loro, enorme. Buon senso e barbarie, senso pratico e risolutezza da pirati. A contatto con quelle terre smisurate la voglia occidentale di superare il limite crebbe altrettanto smisuratamente: nulla li poteva contrastare; il pragmatismo anglosassone, privo delle finezze dell’astrazione greca, ma assolutamente classico nel tentativo prometeico di sfidare il mondo, eresse qualcosa di colossale in breve tempo. L’astuzia e la voglia d’avventura, la Bibbia in luogo di Aristotele, che gli consentì d’arrivare, prima degli altri, al tesoro sepolto alla fine dell’arcobaleno, eccitò quegli animi: nulla poteva resistergli: la strage divenne modo della volontà.
Un italoamericano, amico di Carter, Vince o Vincenzo, mi prese in confidenza, tanto da invitarmi nel suo negozio. Il 1988. Si diresse verso casa. Ma questa è casa tua, gli dissi. Lui si mise a ridere. Da una porticina vicina al soggiorno scendeva una scala: la seguimmo. Improvvisa la luce: uno spazio vastissimo si apriva davanti a me. Forse diecimila metri quadri. Allineate, a spina di pesce, in un susseguirsi di ogni forma e colore immaginabili, secondo un criterio che teneva conto della nobiltà dei materiali, della grandezza dell’eventuale ospite e delle sue possibilità economiche immediate, ecco centinaia di bare e feretri. Per uomini, donne, animali, bambini, giganti. E poi teche, urne, modellini di tombe monumentali. Il regno della morte elaborato dagli animal spirits. Vince si fregava le mani, allargava le braccia a invitare lo sguardo verso quel capolavoro di sacrifici e industria, si sdilinquiva additando i prodotti e le loro virtù, come a voler significare: hai mai visto in Italia questa cosa? No, non l’avevo mai vista. Bianche, giallo banana, vermiglie, beige, arancio, nere, il kitsch imperava irrimediabile in quel museo che avrebbe fatto arretrare nel disdegno anche Platinette. Sopravvenne, poi, Carter. Anch’egli prese a glorificare l’impresa di Vince, la sua operosità di uomo del fare. Poi, improvvisamente, senza alcun preavviso, il discorso piegò nell’amarezza. Vince prese a lamentarsi del figlio, Carter dei musi gialli. Il figlio non voleva supportare l’impresa di famiglia, che se ne sarebbe andata a ramengo; lui, dopo il college, viaggiava di qua e di là, New York Boston, fondi e assicurazioni a livello nazionale: robetta. Carter, invece, prese a inveire contro gli orientali - coreani, cinesi, le keiretsu giapponesi - e la loro rubbish: si sfilò la giacca di pelle e mi fece vedere il risvolto che testimoniava la fattura americana: roba buona, ma adesso … si stanno comprando tutto, disse, le fabbriche americane stavano trasformandosi in rust, ruggine. Lo ricordo: era il 1988 e l’URSS stava ancora in piedi. Vince, capelli brizzolati e occhi chiarissimi, lisciava pensoso il legno sgargiante d’una bara, dalla fantastica imbottitura lampone; l’altro, ora, taceva. Il primo l’avrebbe portato via un cancro, cinque anni più tardi; il cuore dello zio d’America, invece, decise di fermare il proprio corso qualche mese più tardi.
Di quell’incontro conservo due oggetti: un enorme portachiavi, gravato da una iconica bara in legno, lucida e corvina; e un giravite, dall’impugnatura massiccia, con doppia punta estraibile, piatta e a croce, che Carter, il liberatore, volle regalarmi a ogni costo: this is american steel, durerà una vita, per sempre. È ancora lì, dopo trent’anni: l’ho usato per avvitare, aprire barattoli, bulinare, scalpellare: in effetti, a ben guardare, non ha una rigatura.
Le parole erano inutili poiché i gesti erano già scritti. Non esisteva critica poiché la tradizione pensava in vece loro. La mente sgombra, già deciso l’atto.
Durante la guerra la comunità doveva sopravvivere. Siamo fascisti, stiamo buoni, ma se i Tedeschi requisiscono granaglie e animali? Vi è una giustizia superiore ai fascisti, ai tedeschi, a chiunque. E allora si assaltava il deposito del Fascio, armi in mano; o si provvedeva al mercato nero recando a Roma, nei doppi fondi, agnelli macellati di fresco, aggirando dogane e dazi. I due baffi di ferro la scamparono per un soffio nel Quarantaquattro: uno era già destinato al plotone d’esecuzione, ma si salvò, per l’intercessione d’un gerarca amico o per l’arrivo degli americani, forse proprio di Carter: il biondo, ventenne, caporale dell’Ohio, un altro senza pensieri reconditi, uno come loro in fondo, ma provvisto di cioccolata e caffè; Carter arrivò alla spicciolata, in tempo per scoprire un paio di crucchi morti nella scuola, debitamente senza stivali. La sera, lui e i suoi commilitoni s’accampavano davanti alla chiesa per giocare alle ombre cinesi: bambini e ragazzi li osservavano come divinità discese da uno spazio interstellare: le ombre cinesi! Addirittura! Vestiti alla buona, scalzi nella polvere finissima della strada, gli Italiani osservavano a bocca aperta conigli e anatre prendere forma sulle colonne settecentesche, rose dalle generazioni, ed erette su impulso di gente ormai sconfitta e remota, marchesi e conti e cavalieri, sopra mozziconi di fondamenta più antiche, probabilmente una piccola pertinenza dell’Abbazia benedettina di Farfa: XI secolo. Anatre, conigli e gatti zampettavano sulle quadrate colonne forgiate da uno spirito di cui, proprio in quel momento (ma lì nessuno sospettava questo), era stata sancita la distruzione. Fra gli spettatori una sedicenne, piccola e mora, ridente, dai riccioli profumati, gambe nude e denti bianchissimi.
Lontano da quella platea inconsueta, il secondo Baffo di Ferro languiva in un carcere romano, accusato di mercato nero, oltraggio e lesioni. Anch’egli verrà liberato dopo l’arrivo, a Roma, giugno 1944, di altri Vince e Carter. All’approssimarsi di Monterosi, mesi prima, il fattaccio. Allora questi animali? Chi c’è alla dogana? Il tuo amico, il mio amico? Ci farà passare? Quanto vuole? Ma i nostri sono tirchi, non vogliono rischiare né pagare tangenti. Baffo di Ferro ordina di accostare il camion, quindi prende un coltellaccio e sgozza tre agnelli lì, sul ciglio della strada, li fa a pezzi e li nasconde, ancor palpitanti, nel doppio fondo, assieme a vino, olio e lardo. A Monterosi, però, non ci sono gli amici, ma la PAI che vede questi burinotti loschi e duri lordi di sangue. Baffo di Ferro scappa, ma lo riacciuffano subito, dopo un po’ di strattoni e pugni; gli altri due, invece, son già nel furgone cellulare, rassegnati al gabbio. In paese Baffo di Ferro si rivedrà ad autunno inoltrato. La moglie lo riaccoglie in silenzio; il fatalismo taciturno, immusonito, equivocato, spesso, come maleducazione scontrosa; probabilmente fra di loro nemmeno si saranno salutati, lui era tornato, quello era un fatto, smagrito e più pallido, ma egualmente incrollabile, annunciato dalle grida di qualche comare: era vivo, almeno; di parlare non aveva voglia; l’avventura sarebbe divenuta leggenda nei mesi a venire; ora c’era da riprendere le fila del patriarcato. I figli erano vivi, bene; gli animali, la vigna, i meli, i noci? C’è da lavorare la costa, da ricomprare galline, conigli e maiale, gli avrà risposto la moglie, impassibile. Bene, domattina si ricomincia, cantilena bofonchiando, coi pugni chiusi sulla tavola nuda. Mio fratello? Vivo pure lui. Bene, si ricomincia. I tuoi? E chi lo sa. Vediamo, domani, però, si ricomincia, è necessario, questa è la forza misteriosa, atavica, che spinge entro il gambo dell’età più bella la vita che non giudica sé stessa, e la guida, da sempre, sotto un sole benigno, the force that through the green fuse drives the flower, drives the green age.
Io sono leggenda/4. Robert Neville è braccato dai vampiri, forse è stanco, si rassegna all’inevitabile. La guida di quegli esseri gli dice: Neville, giustiziere, come hai osato arrogarti il diritto di giudicare la nuova specie? Come puoi giudicare noi in nome di un passato ormai inesistente? Ti credi migliore sol perché tu rammenti vane immagini e vacui pensieri che, qui, adesso, più non vantano realtà e senso né tantomeno imperio. Noi siamo il seme e il sale della terra, ora, tu sei l’estraneo, il mostro da bruciare, la lamia che striscia nel buio per assassinare i fratelli e i figli. Tu meriti la morte, oggi, tu, oggi, sei leggenda.
Eloì, Eloì, lama sabactàni/4. I due tedeschi morti nella scuola, spogliati degli stivali, delle armi, delle divise. Insanguinati, bianchi di un pallore fatale. Uno dei due pare che abbia detto, prima di morire: “Ich … Italia … kaputt”. Una leggenda, ovviamente, ma tenace. Anche loro due sono leggenda, oramai, come i loro uccisori e la gente che li andava a vedere, a turno, terrorizzata per la possibile rappresaglia, bambini, ragazze, donne, vecchi che scuotevano la testa. Un affronto a Dio, un affronto a Dio, non si doveva, no, dobbiamo sapere chi sono, come si chiamano, dobbiamo andare al loro paese, in Germania, a chiedere perdono alle mogli ai figli alle madri dobbiamo pregare espiare la colpa moriremo tutti. La leggenda, quindi, prese possesso anche di quei gesti e di quelle parole come di altri fatti lì occorsi (sette tedeschi sepolti sotto una fontana), sfumò le asperità, eccitò la dimenticanza, divenne racconto da focolare. La vita riprendeva possesso della comunità, sorgeva il sole, uomini e donne erano costretti dolcemente entro quel ciclo favoloso che li aveva visti sempre attori e vittime, lavoravano, si ammalavano, morivano, si sposavano, diventavano comunisti o democristiani, andavano in America, ritornavano dalla guerra, oppure venivano pianti senza lacrime, Quinto o Terzo o Antonio, dove sono? Lì, in Libia, e dov’è la Libia? O in Russia, terra leggendaria anch’essa, meno reale del Catai di Marco Polo; in fondo ciò che era stato detto o fatto non aveva più importanza, i figli crescevano, subentravano alle pedine precedenti, la vita rifioriva, ora si doveva voltare pagina, addio fratelli miei, nemmeno una foto ho di voi, nemmeno una tomba, ma la forza misteriosa ci riconduce alla terra, ancora una volta, si dimentica del dolore.
Io sono leggenda/5. “[Ecco] quello che vedeva sulle loro facce: timore, paura, orrore; e comprese che avevano paura di lui. Per loro, lui era una terribile calamità che mai avevano veduta, una calamità anche peggiore dell'infezione a cui si erano adattati. Lui era un invisibile spettro che lasciava quale prova della sua esistenza i corpi dissanguati dei loro cari.
Robert Neville guardò il nuovo popolo della terra. Sapeva di non farne parte: sapeva che, come un tempo i vampiri, lui era un anatema e un nero terrore da distruggersi. E, di colpo, il concetto si formò, divertente nonostante il dolore. Una risata soffocata gli salì alla gola. Si voltò, si appoggiò alla parete ... 'Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nasce nella morte, una nuova superstizione penetra nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Io sono leggenda' “.
Eloi Eloi lema sabactani/5. Anche l’America bianca sembra alla fine dei giorni. Alexis de Tocqueville, nel suo Viaggio in America del 1831-1832, un reportage western d’eccezionale lucidità, ci rende edotti di questi incredibili europei di risulta trapiantati in una terra selvaggia. Sceriffi, uomini d’ordine sfregiati, indiani alla stanga, panorami selvaggi e immensi. La forza, the green age, era, in loro, enorme. Buon senso e barbarie, senso pratico e risolutezza da pirati. A contatto con quelle terre smisurate la voglia occidentale di superare il limite crebbe altrettanto smisuratamente: nulla li poteva contrastare; il pragmatismo anglosassone, privo delle finezze dell’astrazione greca, ma assolutamente classico nel tentativo prometeico di sfidare il mondo, eresse qualcosa di colossale in breve tempo. L’astuzia e la voglia d’avventura, la Bibbia in luogo di Aristotele, che gli consentì d’arrivare, prima degli altri, al tesoro sepolto alla fine dell’arcobaleno, eccitò quegli animi: nulla poteva resistergli: la strage divenne modo della volontà.
Un italoamericano, amico di Carter, Vince o Vincenzo, mi prese in confidenza, tanto da invitarmi nel suo negozio. Il 1988. Si diresse verso casa. Ma questa è casa tua, gli dissi. Lui si mise a ridere. Da una porticina vicina al soggiorno scendeva una scala: la seguimmo. Improvvisa la luce: uno spazio vastissimo si apriva davanti a me. Forse diecimila metri quadri. Allineate, a spina di pesce, in un susseguirsi di ogni forma e colore immaginabili, secondo un criterio che teneva conto della nobiltà dei materiali, della grandezza dell’eventuale ospite e delle sue possibilità economiche immediate, ecco centinaia di bare e feretri. Per uomini, donne, animali, bambini, giganti. E poi teche, urne, modellini di tombe monumentali. Il regno della morte elaborato dagli animal spirits. Vince si fregava le mani, allargava le braccia a invitare lo sguardo verso quel capolavoro di sacrifici e industria, si sdilinquiva additando i prodotti e le loro virtù, come a voler significare: hai mai visto in Italia questa cosa? No, non l’avevo mai vista. Bianche, giallo banana, vermiglie, beige, arancio, nere, il kitsch imperava irrimediabile in quel museo che avrebbe fatto arretrare nel disdegno anche Platinette. Sopravvenne, poi, Carter. Anch’egli prese a glorificare l’impresa di Vince, la sua operosità di uomo del fare. Poi, improvvisamente, senza alcun preavviso, il discorso piegò nell’amarezza. Vince prese a lamentarsi del figlio, Carter dei musi gialli. Il figlio non voleva supportare l’impresa di famiglia, che se ne sarebbe andata a ramengo; lui, dopo il college, viaggiava di qua e di là, New York Boston, fondi e assicurazioni a livello nazionale: robetta. Carter, invece, prese a inveire contro gli orientali - coreani, cinesi, le keiretsu giapponesi - e la loro rubbish: si sfilò la giacca di pelle e mi fece vedere il risvolto che testimoniava la fattura americana: roba buona, ma adesso … si stanno comprando tutto, disse, le fabbriche americane stavano trasformandosi in rust, ruggine. Lo ricordo: era il 1988 e l’URSS stava ancora in piedi. Vince, capelli brizzolati e occhi chiarissimi, lisciava pensoso il legno sgargiante d’una bara, dalla fantastica imbottitura lampone; l’altro, ora, taceva. Il primo l’avrebbe portato via un cancro, cinque anni più tardi; il cuore dello zio d’America, invece, decise di fermare il proprio corso qualche mese più tardi.
Di quell’incontro conservo due oggetti: un enorme portachiavi, gravato da una iconica bara in legno, lucida e corvina; e un giravite, dall’impugnatura massiccia, con doppia punta estraibile, piatta e a croce, che Carter, il liberatore, volle regalarmi a ogni costo: this is american steel, durerà una vita, per sempre. È ancora lì, dopo trent’anni: l’ho usato per avvitare, aprire barattoli, bulinare, scalpellare: in effetti, a ben guardare, non ha una rigatura.
Parlavo ieri con una fanciulla. Mezza italiana mezza danese. Genitori divorziati naturalmente. Lei giovine poco più che ventenne fumava tanto e beveva. Un po' artista. Contemporanea. Io le dicevo che l'arte se la devi spiegare allora non è arte. L'arte per me o si capisce perchè è bella oppure è una presa in giro. Lei naturalmente amava le prese in giro. Pochi giorni prima un' altra fanciulla polacca mi parlva deĺla sua vita tra la Francia, la Polonia, i viaggi e poi chissà l'Australia. L'erasmus delle supercazzole. Una francesina invece dipendente di una multinazionale americana faceva la spola tra l'Italia e la Francia e naturalmente schifava i gilet gialli.
RispondiEliminaI giovini sono il futuro. Non c'è più nessun futuro. Hai ragione te caro Alceste. Sono tutti impazziti ubriachi del nulla incessante in un valzer sorosiano per la gioia di sinistronzi estasiati da mostre abramoviche. I vampiri qui da me controllano tutto . Si chiamano PD. Gli altri si sono venduti ai vampiri per fargli da camerieri e spartirsi un po' di briciole. C'è rimasto un manipolo di Casa Pound (quasi bravi ragazzi): eleggeranno un consigliere al comune bene che vada . Io li voto , ma solo per disperazione: voglio credere alle favole.
Hai ragione te. Ma noi non siamo leggenda. Piuttosto siamo come Charlton Heston alla fine del film " i sopravvissuti" quando scopre che il Solent Green è fatto di carne di cadaveri umani. Noi sappiamo caro Alceste. Non gridiamolo ai quattro venti però, altrimenti anche in assenza di matticomi ci fanno un trattamento sanitario obbligatorio.
Ormai mi riduco a pensare la verità, ma non la dico. Qui rischi che ti arrestino o peggio ti licenzino. Dico davvero. E se perdo il misero lavoro che ho cosa faccio senza raccomandazioni?. Dentro ho pensieri da Apocalipse now stile elicotteri wagneriani spara napalm. Fuori sorrido e saluto cordialmente.
Vorrei avere il coraggio e la tempra dei miei nonni passati attraverso guerre, miserie ,lutti e disperazioni. Vorrei poterlo fare. Invece mi adatto al nichilismo imperante tra un aperitivo da pochi euro e la speranza che un partito con l'uno per cento diventi maggioranza e attui un programma socialista- sovranista religiosamente laico.
E pensare che sono il primo laureato della storia della mia famiglia. Farò un quinto di quello che fece mio nonno con la prima elementare ( fatta alle serali).
Nichilcosmopolitismo.
EliminaPrima o poi imploderà pure questo.
Una volta ottenuto il risultato voluto.
Resisti e preparati Anonimo. Arriverà un giorno che anche te, come tutti, sarai chiamato ala verità. Il ricordo di tuo nonno è già un già un patrimonio inestimabile. L'atteggiamento da perdenti non ci si confà. Semplice.
EliminaUn caro saluto.
Anonimo R
Che peccato,che dolore.Mia zia 85 anni quando se ne andrà non lascerà un semplice vuoto,si porterà via il novecento...riesce a vivere sola in un paesino mezzo vuoto.Spesso penso a lei dal balcone,dalla finestra che aspetta di vedere passare qualcuno.E' l'ultima della sua generazione,ha visto spegnersi tutti i suoi coetanei con cui aveva diviso una vita di stenti.A volte penso a come faccia a resistere ..dopo di lei rimaniamo noi,soli,più soli di lei al balcone.
RispondiEliminaDelle persone a cui vogliamo bene ci basta che esistano.
Bellissimo e di struggente melanconia.
RispondiEliminaMi ci sono rivista: una e' l'Italietta che ho salutato l'ultima volta e l'altra, quella che vive ancora nei miei ricordi. Tale e' la condanna della nostra generazione.
Un abbraccio,
Ise
Nello scritto, come sempre coinvolgente, ti riferisci direttamente al romanzo di Richard Matheson: però l'immagine, se non sbaglio, è tratta dal film "l'ultimo uomo della terra", girato all'EUR con l'immenso Vincent Price (mi pare ci fosse anche Franca Bettoja). Dimmi di si, altrimenti dovrò cominciare a rivedere un po' i miei ricordi giovanili, alla luce di un possibile "Alzheimer" strisciante!
RispondiEliminaCari saluti.
Hermannus Contractus
Il romanzo è di Matheson, il film proprio quelo da te citato: "L'ultimo uomo della terra" di Ubaldo Ragona.
EliminaIn altri scritti si commentava che gli avi erano visti sempre meglio dai posteri, santinizzati diresti tu..la verità è che siamo diversi, sappiamo usare pc e cambio,parliamo inglese,etc ma siamo sterili, non lasciamo nulla e non cresciamo mai, si muore adolescenti, basta vedere lo zoo di amici, uomini e donne,forum,etc..immagino una realtà altra da praticare, prima che la realtà stessa, nella sua crudezza, ci sorprenda assopiti sul divano quando c'è pubblicità..dai che sto commento spacca,non trovi?
RispondiEliminaDiversi di sicuro, migliori se assumiamo la vita e l'intensità della vita come punto di riferimento ... Il commento spacca perché tu parli di divano, più modestamente io parlavo di poltrona: c'è un upgrade.
EliminaVoglio aggiungere un appunto decisamente campato in aria a questo, come sempre, straordinario articolo.
RispondiEliminaLo sai già, ma forse può esserti di qualche consolazione ricordare che in questo mondo antico che tu rievochi spesso, intriso di vitalità e bellezza (ammesso che non sia uno scherzo della nostra mente), saresti comunque un intruso né più né meno che nel nostro. Al poeta non è permesso di assaggiare le pietanze esposte nel banchetto universale, e dal momento che gli sono proibite si serve della sua opera come ultimo appello al Creato da cui fu esiliato per evocarne il gusto. A lui non è consentito sprofondare nell'indaffarata beatitudine (o ebetudine) della vita che si rincorre “senza porsi domande”. Un artista può essere uomo soltanto a metà, anche se quella metà che rimane vale più del tutto. Il resto è onanismo voyeuristico. Non ho mai capito se scrivere sia un atto di estremo coraggio o di vigliaccheria, ma qualcuno deve pur suonare il flauto per tenere Azathoth appisolato. Forse solo la morte offrirà una qualche riabilitazione postuma, e la sua opera contribuirà a forgiare quella bella menzogna di cui è imbevuto il mondo. Quel che voglio dire è che è il tuo destino vivere come un estraneo in mezzo ai vampiri, e in qualsiasi tempo e luogo saresti uno straniero che si “aggira nel mondo” come uno spettro. Perciò non ti resta che goderti il tuo esilio dagli uomini perché esso è l'unico legame che hai con loro. Il punto semmai è che i vampiri di cui sei circondato adesso sono solo mostriciattoli coi denti da latte; quelli veri, invece, sono stati ricacciati nelle tenebre tanto tempo fa.
Mi ha fatto molto riflettere questo pensiero... È un ritratto perfetto di un certo tipo di uomo "differenziato", avulso al presente, pertanto disilluso per il futuro e che di conseguenza tende a idealizzare un passato invivibile. La sua condanna è l'essere fuori dal tempo, estraneo a tutti, spesso anche a se stesso, divorato dai dubbi, roso dall'angoscia. Cosa fare allora, dove trovare un senso? Forse nella fedeltà a se stessi, nel cercare di diventare se stessi, e in misura minore per rendere testimonianza. Ma quanto è dura, circondati come si è da mille elementi che tirano verso il basso, e ci si chiede a volte "per cosa"? Ahimè, agognamo tempi di rottura, e siamo condannati a tempi di decadenza...
EliminaChi è in grado di farlo può riscattarsi con un'opera da questa fregatura e attingere ai propri sentimenti da falsario attraverso la finzione dell'arte, l'unica redenzione contro il peccato di scrivere. Per gli altri occorre persino più fantasia per reinventare se stessi e il mondo. Recentemente ho letto "fuoco fatuo" di La Rochelle consigliato da Alceste. Sotto certi aspetti mi sono specchiato nel protagonista non senza un certo narcisistico disgusto. Con 2 differenze principali: evito di assumere droghe per assaporare con più lucidità il mio disfacimento (sì mi sto consumando e assisto a questo processo con impudente indolenza come se la cosa non mi riguardasse) e col tempo ho maturato una pudica repulsione per le dame di carità. Forse prendere a schiaffi un passante potrebbe essere un buon palliativo, ma mi guardo intorno e vedo solo creaturine innocue, ognuna con la propria visione allucinata dell'universo. Ormai anche solo avvelenare le certezze di un uomo mi fa precipitare nel rimorso. Forse bisognerebbe sporcarsi con il mondo. Magari è così, ma a un certo punto si avverte in ogni gesto quel senso del ridicolo che lo contamina alla fonte e ci inibisce. Senza contare il fatto che ormai neanche un Gengis Khan riuscirebbe a farsi prendere sul serio e oggi probabilmente sfogherebbe il suo impeto sanguinario scrivendo sparate da un social network. Mettersi a giocare forse, eppure ormai se esco di casa non è per divertirmi ma semmai per divertire il mondo che è diventato un posto noioso pieno di persone serie fino al ridicolo. Non so come se ne esce, mi sto scervellando per studiare un piano di fuga, ma per dove? Darei il collo in cambio di una Fede ma persino immolarsi per l'umanità diventerebbe qualcosa di stucchevole. Cioran scrisse: "Da duemila anni Gesù si vendica su di noi di non essere morto su un divano". Va' non lo so, mi sento un martire senza idee.
EliminaLascio la mia testimonianza di una delle tante cronache di morte quotidiana degli ultimi italiani ad opera del Vampire State of Italy. Solletichera' il narcisismo di Belzebu' e fara' aumentare l'audience.
RispondiEliminaA colloquio con Belzebu': c'e' un farmaco sperimentale da 9000 euro non ancora in commercio fatto proprio per vostra madre. Offerto da noi.
Il parentame: che figo! Wow!
Belzebu': con questo fermeremo le metastasi. Prima fara' qualche radio.
Parentame: certo! Sara' fatto!
Nel dire cio' il Belzebu' non aveva mai rivolto lo sguardo all'unica umana figlia li' presente. Gli infettati dal virus vampiresco s'intendono tra loro e chi non lo e' diviene un po' come l'aglio per il vampiro, da evitare. Fissandolo l'umana figlia pensava a cosa avrebbe detto L'ombroso del suo viso: tipico reo nato di fascia rossa.
Egli ci provava ma non riusciva mai a trasmettere un'espressione seria, preoccupata, interessata. Alternava il lieve sorriso vampiresco a quello sornione di chi pregusta il cocktail nel resort offerto dalla Vampire Pharma Spa Corporation; l'occhio spento con qualche luccichio nei momenti di consenso assenso del parentame.
A casa l'umana figlia legge il bugiardino dell'elisir da 9000 euro generosamente offerto dallo Stato italiano -mammona nostra- tramite la Vampire Corp. Innumerevoli effetti collaterali letali incompatibili con le condizioni dell'umana madre. Un bambino direbbe che non vale la pena morire prima di altre brutte complicazioni per (non) curare delle metastasi. Tuttavia il parentame adulto ritiene che e' cosa buona e giusta. Il pezzo di pane che era l'umana madre, anche, persuasa dal parentame. Prima somministrazione: non e' piu' in se'. Rianimazione. Torna in se'. Bene! Procediamo!
L'umana figlia dice che non si puo', il farmaco e' letale. Cerca Belzebu' in ospedale ma non lo trova. Miii sara' mica gia' andato al resort? Ma non dovrebbe aspettare il risultato finale per ricevere il bonifico?
Lo trova per telefono. Gli dice che l'elisir non va, l'ha ridotta in fin di vita, vorrebbe trasferirla dove possa 'vivere' gli ultimi giorni in pace... "Ma insomma, voi dovete collaborare pero'! Un farmaco che ha come unico effetto collaterale un blando blablabla non puo' fare quel che dice lei. Se non collaborate non si risolve nulla!" disse Belzebu' urlando e riattaccando. L'umana figlia doveva collaborare all'omicidio, perbacco, o perbelzebu'! "Unico effetto collaterale un blando blablabla"...evidenza di malafede.
Anche il primario dice che finche' c'e' speranza, non si puo' trasferire. Il parentame figuriamoci, il pezzo di pane, rassicurato da tutte queste attenzioni, anche. Il pomeriggio stesso, l'umana figlia durante le sue due uniche ore di sonno, viene chiamata dal parentame: corri, vieni. E' fuori di se' senza speranza. Aveva di nuovo preso l'elisir di lunga vita. L'umana figlia riesce almeno a tenerle la mano fino alla fine e a sussurrarle parole che l'umana madre mostrava di capire tramite gesti impercettibili, mentre soffriva pene non umane senza piu' voce ne' fiato.
Evviva mamma Italy, mammona nostra protettrice dei poveri, dei malati, degli sfortunati e umili violentatori criminali non-italiani, e di tutti i vampiri italioti che si abbeverano dalle mammelle sempre in forma di mammona nostra e dal sangue degli ultimi italiani. Votate per il Vampire State of Italy.
Ise
Cara "nipote" Ise,
Eliminail tuo "racconto" (ma non è opera di fantasia, vero? Ne sei stata toccata nel mondo reale, e mi dispiace), mi fa riflettere su come per lunghi anni, dapprima come "giovane Medico Ospedaliero" e, via via, come "vecchio Medico Ospedaliero", io sia andato riflettendo sulla strada intrapresa dall'Ars Medica in generale (il tuo Belzebù mi ricorda tanti, troppi, "colleghi" conosciuti allora e "riconosciuti" anche oggi) ed indurmi alla fine ad abbandonare la "carriera"(!?)in Ospedale e fare il mio lavoro "artigianale" così come ritenevo etico e deontologico (ed umano!) dovesse essere e per l'essenza del quale avevo sempre voluto diventare...un Medico.
Non saprei dirti se ci sia riuscito realmente, però ce l'ho messa tutta!
Continua così: se fossi Anonimo R (o qualcuno degli Uguccioni) mi permetterei di definirti "una con le palle", però sono soltanto "zio" Hermannus Contractus!
Un abbraccio.
Chi ha nominato l'Avo non-morto non-vivo del clan Uguccione, Vlad Uguccione VII TransIlvano l'impalatore? Io fui risvegliato, ed e' gravissimo.
EliminaAnche se sono un vampiro degenerato (sono l'unico impalatore di trans e drag queen in circolazione), me ne frego! Leggendaria ed originale per esempio e' la mia invocazione prima di ogni lavoretto: "Vade retro corpus mulieris testiculi".
Chi ha detto che gli impalatori sono fuori moda?
Vlad Uguccione VII, Conte di Valacchia, Transilvania, Bucovina e Bessarabia, ed estensore del magnifico codice miniato illustrato degli impalatori.
Perdona, o Sommo Vlad Uguccione, se involontariamente ti ho ridestato. Non immaginavo che nel vasto clan degli Uguccioni ci fossi anche tu! Ma ormai è fatta, e in fondo non mi dispiace perché segretamente ti ho sempre ammirato: sapessi quante volte, nei più profondi e oscuri recessi del mio animo, ho provato, intenso, il desiderio di "impalare" all'istante qualche mio interlocutore! Per fortuna mia, e della mia famiglia, sono sempre riuscito a reprimerlo, conservando così la mia "facciata" di persona civile e di stimato professionista.
EliminaOra ci sei di nuovo tu e "tua è la vendetta"!
Mi genufletto e attendo con trepidazione di ammirare il tuo codice miniato, sicuramente conservato in qualche remota Abbazia di Transilvania.
Hermannus Contractus
Caro Hermannus, non genufletterti! In te io sento, percepisco, nobilta' di sangue vampiresco (ancorche' alquanto annaccquato purtroppo. Ma non scoraggiamoci!). Certo, avrai un codice miniato vecchio di zecca tralaltro autografato da me medesimo e certificato da Vlad Uguccione VIII l'Assetato ("date da bere agli assetati"... e' il solo vampiro cristiano del ramo degli Uguccioni di Galati: un casino totale ma un tipo alquanto interessante nella sua natura contraddittoria. Benedice le vittime e prega in latino prima di succhiarne il sangue). Vai caro Hermannus, Vlad Tepesh il Dio degli impalatori ti protegge e ti pensa, talvolta.
EliminaVlad Uguccione VII il TransIlvano
La Vampire State of Italy Spa Corp. ha attuato una politica di diversificazione dei suoi prodotti in grado di venire incontro alle esigenze e ai gusti di tutti i suoi consumatori, anche quelli piu' consumati. Se non vi soddisfano piu' la sinistra progressista o la destra whatwhat-foba, potete scegliere tra il range di opzioni che vanno dai partiti psico ed ecolabili per chi ha a cuore un prodotto bio-degrado-abile, ai migliori comici in circolazione, per chi ha voglia di ridere per primo, oppure i nostri pornodivani, per i piu' pigri, inclusivi di diva +iva. La nostra sezione Research and Development e' sempre al lavoro per finalizzare prodotti al passo coi tempi.
RispondiEliminaAcquistate i prodotti della Vampire State of Italy Spa Corp Porc Psy-op Pepsi Bot Cct Btp Mmt PolCor PolPot Polpet Green Soylent ed in esclusiva solo per voi Insolvent.
Mammona is watching over you.
PS. Avevo sempre immaginato l`Italia popolata da cannibali, ma la versione vampiresca si adatta molto meglio!
Ise
http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2018/01/brindisi-vino-rosso-1024x683-640x427.jpg
RispondiEliminahttps://youtu.be/S_EucEJDTHs
Laura
https://youtu.be/EUGEBt7DiQI
EliminaAnonimo R
Fecero di peggio,la povera
EliminaGiuseppina una delle tante,
per non parlare delle "marocchinate" stuprate dai
nonni delle "risorse" che i
sinistrati ci hanno infilato a forza in casa.
https://www.google.com/amp/s/www.quotidiano.net/cronaca/giuseppina-ghersi-1.3398716/amp
Laura
Tutti premiati, anche con pensioni, persino gli infoibatori titini. Ho letto da qualche parte che Mussolini ne fece fuori 5 durante il fascismo: tutti criminali comuni efferati. Gli oppositori politici? Il "mostruoso" confino per loro. Quanti ne hanno ammazzati di italiani e nei modi piu' efferati a fine guerra? Fascisti, soldati, carabinieri, gente comune, uomini, donne. Tantissimi innocenti. Gli altri, colpevoli di aver avuto una fede politica. Un'orgia di sangue. 100.000? Tutto ben coperto, anche da colate di cemento. Che non sia mai che la verita' riaffiori.
EliminaQuesto per edificare uno Stato, quello italiano, che dire assurdo e servile, nonche' senza futuro, e' niente.
Cambiano faccia, nome, slogan. Ma i fini sono sempre quelli.
Vota Greta! Piu' immigrati! Piu' LGBT! Piu' gender obbligatorio! Piu' vaccini per tutti! Piu' euro! Piu' Europa! Piu' aborti! Piu' geoingegneria! Piu' islam! Piu' potere alle minoranze! Piu' cittadinanza per tutti, cani, porci, nemici, assassini! Piu' droga per tutti! Piu' diritti per tutti! Piu' pefofilia per tutti! Piu' benzina, ma non per auto e motorini, per tutti!
Anonimo R
I giorni di Caino
EliminaAntonio Serena
Libro fondamentale per capire qualcosa di questa Italia (e oltre). Si trova o si legge anche in PDF.
Un estratto: Il ratto degli innocenti. Cosa successe in Grecia nel '48.
https://ricordare.wordpress.com/perche-ricordare/060-una-storia-poco-conosciuta-il-ratto-degli-innocenti/
Poi ricercate: Cartiera Burgo, Mignagola di Treviso , o l'eccidio dei Cadetti di Oderzo.
Anonimo R
Deborde Antoine dissente dalle visioni in stile Lowercraft e propone una vita più materialista, più edonista.
RispondiEliminaMa cosa sarà mai questa realtà!
A voi cari una poesia somma (pare anche in romanesco) del vate Snazzicachannel.
...secondotestomale...
ma anche uno strumento motivazionale
uno stimolo a fare per mantenerla
una generatrice di imposte
una generatrice di fatturato per più aziende
impegnate in manutenzione, pneumatici, autorimessa...
ma de che stiamo a parlare.
Ai possessori di supercar un premio dovrebbero dare
altro che rotture di coglioni plurime!
https://www.youtube.com/watch?v=KYoegGcFK9o
Antoine Debord in collaborazione con Snazzicachannel e Anonimo R.
Una brutto trio purtroppo, ma questo oggi passa il convento.
Quello di cui non mi capacito è di come non si riesca ad assemblare un gruppo di "sopravvissuti" a questo sistema per cercare di sovvertire l'oblio. Innescare la goccia che fa traboccare il vaso. Con chiunque chiacchiero, alla domanda:"Come Và" come risposta un lento sciorinare di elementi negativi che accompagnano la vita del mio interlocutore e per lavoro incontro sia il benessere estremo, sia il disagio sociale. Ora mi richiedo perché non si riesce ad unirsi in un unica onda in grado di spazzare via questo "sicuro" funesto futuro? Ai posteri se ci saranno l'ardua risposta.
RispondiEliminaForse qualche speranza c'è, i geni non si annacquano nello spazio di una generazione ...
RispondiEliminaCarabinieri do it better
Quello che è successo ieri è stato un esempio di professionalità dei Carabinieri a livello mondiale. In tutto l’occidente non c’è una situazione cominciata così (51 bambini ammanettati sull’autobus, taniche di benzina, uno psicopatico che vuole arrivare all’aeroporto) che sia finita senza un solo colpo di pistola e un solo ferito. È stata una dimostrazione di bravura che va ben oltre l’immaginabile, e come al solito seguendo solo buon senso e il pragmatismo. Niente protocolli SWAT, negoziatori, cecchini negli elicotteri, visori termici, nulla. Praticamente i bastoni e le pietre.
“Voglio andare a Linate, non voglio vedere nessuno per chilometri, ho 50 bambini in ostaggio, è pieno di gasolio”. La risposta negli USA sarebbero stati elicotteri, preevacuazione di aeroporto e autostrada, 14 negoziatori idioti che litigano tra di loro, 400 SWAT armati di bazooka a distanza; appena possibile crivellano di colpi l’autista e nel farlo uccidono sei bambini e un insegnante. L’autobus prende fuoco e ne muoiono altri 19. Segue guerra preventiva a una nazione a caso.
Risposta francese: scoprono che il fatto è vero quando ormai l’autobus è a Linate e ha fatto schiantare un aereo in fase di atterraggio. Cominciano a litigare sulla competenza territoriale, il giudice telefona a Macron che telefona al suo consulente d’immagine che telefona al giudice, alla fine il pazzo sfonda il blocco davanti all’aeroporto, investe quattro agenti di polizia, gli altri aprono il fuoco e tutti muoiono crivellati nell’autobus. In Russia o in Israele neanche a parlarne.
Vittime della strage al teatro Dubrovka, Russia, 2002
Risposta italiana: una Renault Clio non blindata della stazione dei Carabinieri di San Donato Milanese affianca l’autobus in corsa. A bordo ci sono un appuntato, un carabiniere e un carabiniere scelto, tutti con moglie e figli a casa e che tra loro manco si conoscono. Gente normale, pagata quattro soldi, originari del paesino in Puglia e di stanza in una stazioncina di periferia.
Non sono Tuscania, GIS o incursori della marina: sono il classico maschio italico che quando vede i criaturi in pericolo diventa Schumacher a bordo di una Fiat Punto pimpata. Sterzano davanti all’autobus e ci si schiantano contro. L’autobus si ferma. L’appuntato scende e brandisce minaccioso i pugni verso lo psicopatico, che essendosi preparato guardando i film americani rimane confuso. Nel frattempo gli altri due forzano la porta posteriore, gli sfondano a sfregio il finestrino e tirano fuori i ragazzini di peso. Il pazzo se ne accorge, ma quando fa ripartire l’autobus gli ultimi ragazzini si lanciano fuori in corsa. A quel punto viene acciuffato, percosso e portato in centrale vivo e vegeto.
Tutto questo favorito dal fatto che in italia la gente non fa quello che gli dici manco minacciandola col coltello; siamo un paese di anarchici dove un bambino di 10 anni ti frega e si tiene il cellulare, un professore di 40 mette male le fascette ai polsi dei ragazzini e il Carabiniere mentre ascolta il sequestratore ha il tono di chi pensa “ma vaffanculo, adesso ti faccio vedere io”. Risultato finale: un sequestro con tentata strage risolto in venti minuti con una decina di escoriazioni, quattro cartoni all’autista e un autobus in fiamme. Tutti vivi. Qualsiasi altra forza dell’ordine, davanti a un risultato del genere, più che applaudire si dovrebbe mettere a studiare.
Fonte: termometropolitico.it
Si per carità anche io sono contento che sia andato tutto bene e di come hanno agito i carabinieri però non facciamola diventare la solita telenovela polcor stile Anema e Core del tipo "abbiamo salvato tutti pure il cattivone che adesso possiamo riabilitare".
EliminaQuesto perchè la preoccupazione del pezzo è questa: il cattivone "portato in centrale "vivo e vegeto" mica come quelli che sparano. Lascia perdere i bambini che erano già scesi, il Quid è che il protocollo "tengo famigghia" ha salvato chi doveva salvare....il "terrorista".
La "malafede" ed il vero obiettivo si vede nel confronto con altri sequestri. Paragonare sto coglione sfigato con miliziani ceceni, il raptus di un frustrato con piani studiati in anticipo.
Lasciamo perdere va.
Detto questo, di nuovo complimenti a questi carabinieri.
BomberPruzzo
Le risorse dell'appuntato Caputo affondano nei millennni ... da qualche parte l'ho pure scritto.
EliminaCiao Ise proprio stamattina pensavo a te come una persona che conoscevo davvero. Cosi ti abbraccio, Sere
RispondiEliminaCara Sere,
Eliminati ringrazio e ricambio con un grande abbraccio, oltre la tastiera!
Buona domenica,
Ise
Caro "zio" Hermannus C.,
RispondiEliminatraspare dall'equilibrio dei tuoi interventi e dal tuo modo di relazionarti il fatto che hai la coscienza a posto. Sei un grande!
Temo che non ce ne siano piu' come te, anche l'altro mio zio e' cosi' ma e' tra gli ultimi anche lui.
Ahah io le palle non le ho, ma ho un pochino di testardaggine ed anche il vizio di dire quel che penso e vedo, soprattutto quando e' qualcosa per me di sbagliato. Questo mi ha portata praticamente sempre ad essere aggredita, malvista, indicata come la cattiva della situazione, quando i cattivi, con ogni evidenza, erano coloro che mi aggredivano, come il medico in questione. Vale sempre la leopardiana sentenza:
"Anche sogliono essere odiatissimi i buoni e i generosi perchè ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose coi loro nomi. Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina. In modo che più volte, mentre chi fa male ottiene ricchezze, onori e potenza, chi lo nomina è strascinato in sui patiboli, essendo gli uomini prontissimi a sofferire o dagli altri o dal cielo qualunque cosa, purché in parole ne sieno salvi”.
Fatto salvo che non mi reputo piu' cosi' buona e generosa.
Pensa che il parentame e' ancora convinto di aver fatto il meglio che si potesse fare, non c'e' dubbio che noi e i vampiri viviamo in due universi etici diversi. Purtroppo pero' e' proprio la rassegnazione, l'indifferenza, il non voler ammettere e vedere certe verita' che da' come risultato i Belzebu' impuniti che ci ritroviamo, in tutti i settori.
Se non cambia la qualita' dell'animo delle persone, inutile sperare che ci sia qualche cambiamento in meglio in generale. Come diceva un commentatore qualche tempo fa, siamo sempre piu' piccoli... e' vero, piu' e' grande l'ego e piu' e' piccolo l'uomo. Un esercito di piccoli uomini che pensano solo a sopravvivere singolarmente e ad ottenere piccole rivalse altrove come ricompensa per le frustrazioni e le delusioni che vivono oggi giorno.
Un abbraccio e anche tu continua cosi'!
Ise
Un grazie (dovuto) ad Alceste
RispondiEliminache mi permette di leggere a scrocco.
Anni fa iniziai a leggere un
libro che la mia figliastra
acquistò per sé, autore: Federico Moccia, dopo un po smisi perché non riuscivo a smettere di ridere e proprio mentre stavo riponendo nello
scaffale cotanta opera letteraria rientrò la mia ragazza che vedendomi col rimmel sfatto esclamò: commovente vero?
Laura