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25 marzo 2019

Da Mishima a Venner. Apologia di suicidi inutili che non hanno arrestato quello collettivo della specie umana [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba]

Martedì 21 maggio 2013, circa alle ore 16 (un secolo fa per il web, mai accaduto per l’ignoranza insita o indotta nella specie italica/europoide) nel coro della cattedrale di NÔtre-Dame a Parigi, lo storico del diritto e saggista Dominique Venner (classe 1935), si suicidò sparandosi un colpo in bocca.
Poco prima dell'atto, Venner pose sull'altare un testo che doveva o avrebbe dovuto spiegarlo a chi lo conosceva e a chi di lui si ricordava soltanto come oppositore della legge in favore del matrimonio omosessuale, che fu adottata e promulgata dal Parlamento francese  il 17 maggio del 2013, quattro giorni prima dell’estremo  gesto.
La lettera:

"Perché mi do la morte?
Sono sano di spirito e di corpo e sono innamorato di mia moglie e dei miei figli.
Amo la vita e non attendo nulla nell'al di là, se non il perpetrarsi della mia razza e del mio spirito.
Cionondimeno, al crepuscolo di questa vita, di fronte agli immensi pericoli per la mia patria francese ed europea, sento il dovere di agire finché ne ho la forza.
Ritengo necessario sacrificarmi per rompere la letargia che ci sopraffà.
Offro quel che rimane della mia vita nell'intenzione di una protesta e di una fondazione.
Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale di N
Ôtre-Dame de Paris che rispetto ed ammiro, che fu edificata dal genio dei miei antenati su dei luoghi di culto più antichi che richiamano le nostre origini immemoriali.
Quando tanti uomini vivono da schiavi, il mio gesto incarna un'etica della volontà.
Mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze addormentate.
Insorgo contro la fatalità.
Insorgo contro i veleni dell'anima e contro gli invadenti desideri individuali che distruggono i nostri ancoraggi identitari e in particolare la famiglia, nucleo intimo della nostra civiltà plurimillenaria.
Così come difendo l'identità di tutti i popoli presso di loro, insorgo contro il crimine consumato nel rimpiazzo della nostra popolazione.
Essendo impossibile liberare il discorso dominante dalle sue ambiguità tossiche, appartiene agli Europei di trarne le conseguenze.
Non possedendo noi una religione identitaria cui ancorarci, abbiamo in condivisone, fin da Omero, una nostra propria memoria, deposito di tutti i valori sui quali rifondare la nostra futura rinascita in rottura con la metafisica dell'illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne.
Domando anticipatamente perdono a tutti coloro che la mia morte farà soffrire, innanzitutto a mia moglie, ai miei figli e ai miei nipoti, così come ai miei amici fedeli.
Ma, una volta svanito lo shock del dolore, non dubito che gli uni e gli altri comprenderanno il senso del mio gesto e che trascenderanno la loro pena nella fierezza.
Spero che si organizzino per durare. Troveranno nei miei scritti recenti la prefigurazione e la spiegazione del mio gesto."

Il 25 novembre del 1970 accanto al corpo esangue dello scrittore giapponese, Yukio Mishima - suicidatosi con seppuku rituale per manifestare il suo completo ed eroico dissenso contro la degenerazione della società e cultura nipponica dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale - venne trovato questo biglietto, quasi un haiku all’eternità:

“La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre.”

Entrambi militanti, Mishima e Venner sono stati divorati dalla critica post-bellica contro ogni intellettuale o artista che avesse aderito in precedenza a qualche principio nazista (ad eccezione dei transfughi dal fascismo italiano che, genuflettendosi alla cultura sinistra, sono persino entrati nel ristretto gruppo dei Premi Nobel).
Oggi, in assenza di ideologie, nella sudicia, falsa rappresentazione destra-sinistra - spettro di quei blocchi che hanno dominato la scena politica e militare del XX° secolo - non si fa di meglio che cercare alienati dal pensiero dominante; sbatterli nei ripostigli della cultura ossessivo-compulsiva per il politicamente corretto; relegarli all’interno di un ghetto dal quale non debbono uscire; trasformarli in esempi eternamente negativi, curiosità per biografi, morbosità di giovani sempliciotti che si svasticano camere e corpo, pasto letterario per intellettuali radicali che sognano ancora un ritorno a un’età d’oro rivoluzionaria, pre-formativa degli Stati nazionali europei.

Le riflessioni di Venner, quanto quelle di Mishima, hanno ormai perso di slancio emotivo, di efficacia, non fanno male a nessuno, non scalfiscono nè gli europei nè i giapponesi e non instillano coscienza rivoluzionaria in nessuno degli involucri vuoti, circondati da un’aura di minuscolo, egoistico mondo, che non è volontà e nemmeno rappresentazione: sacchi di carne farciti di nulla, che si trascinano nel caos dell’imprevedibile sub-umano, sopravvivendo, quantitativamente, soltanto più negli elenchi di algebriche espressioni fiscali e demografiche o nelle adulazioni pubblicitarie che li blandiscono e ingannano senza tregua. 
Al limite, nei più sensibili e intelligenti, nei meno intruppati nelle fila dei nuovi giusti, possono provocare nostalgia, pietà o un sorriso amaro per ciò che i loro scritti annunciavano come la fine di un’epoca:  l’inizio del vero crepuscolo dell’uomo già prefigurato da precedenti giganti del pensiero filosofico occidentale.

La questione delle radici culturali, quando si tratta di pensatori originali o comunque anti-sistema - e per sistema oggi dobbiamo intendere quest’ accozzaglia europea di Stati tenuti insieme con la coercizione di trattati colla; non accettati con referendum; non fondati su una lingua o un sentire popolare comune; in disequilibrio sul piano economico di una distopia mercantile tedesca che vuole garantirsi il meglio dei profitti dei flussi monetari a base euro, obbligando il resto dell’Unione al vassallaggio dell’importazione obbligatoria dei suoi prodotti commerciali – è invisa, passata sotto silenzio con la compiacenza del catenaccio editoriale-distributivo, che non consegna capillarmente le opere dei suddetti alle biblioteche o ai luoghi dove si esercita il potere della conoscenza: quest’ultimo, sempre e soltanto finalizzato alla sottomissione dei popoli e delle menti giovani, al diktat autocelebrativo del corretto politicamente, del buonismo generalizzato a scopo multietnico, polireligioso e pansessuale.

Scovare i mostri nelle cantine del sapere è lo scopo dei cacciatori di streghe, quelli che occupano presidenze, rettorati, aule magne, coloro che nel Secolo breve (cfr. Eric Hobsbawm) furono le streghe e oggi siedono sugli scranni inespugnabili degli inquisitori.

Dominique Venner ha incarnato il ruolo del mostro dei mostri della cultura francese, odiato da ebrei, musulmani, europeisti, femministe, gay, sinistri, centristi e antirevisionisti.
Le sue opere sono svariate decine, ma a noi italiani ne sono toccate quattro: poveri mentecatti ai quali è meglio non somministrare antidoti, avvelenati come siamo dalla demo-idiozia delirante, lusingatrice dei nostri pochi neuroni, disabituati, fin dalla culla, a connettersi fra loro e a creare una riflessione che non sia una canzonetta o una battutina dal volgare e prevedibile senso.

Leggere libri “divergenti” (sempre che ancora vengano letti), per chi lecca i piedi al potere vigente, è fonte di livore, astio, acidità di stomaco, al quale occorre somministrare un inibitore di reflussi sciovinisti, nazionalisti, identitari: cattivi rigurgiti di una storia morta e sepolta che non può essere riesumata da conati d’isteria indipendentista.
Ordine del giorno: scovare la bestia satanica e scavarci dentro per trovare il marcio, le origini del male, la motivazione psicotica, il delirio, l’indecenza, le sfumature di sterco con il quale imbrattarne la vita, fin nei recessi dell’anima, sostenendo, infine, che lo spirito, in un ”essere” del genere, non può certamente esistere in quanto manchevole di un involucro umano dove albergare.

Venner è il Fantasma dell’Opera, lo sfigurato storpio macellato dall’abbrutimento dell’anti-secessionismo lirico che gorgoglia dalle gole profonde di chi ci mangia soldi e vita appoggiando comodamente le chiappe sulle poltrone, lautamente pagate, nei Parlamenti di Bruxelles e Strasburgo.

Venner voleva l’Europa della tradizione?

No, voleva l’esserci dell’uomo di fronte al suo destino di difensore di un irrinunciabile senso di superiorità morale, giuridica, politica e ideologica.
Una superiorità che non si è espressa solo con l’uso della violenza bellica - come un esorbitante senso di colpa colonialista e antimperialista diffuso vorrebbe far credere - ma scaturita da millenni di tentativi, mai giunti alla perfezione, miranti alla perfettibilità, di popoli che, dai greci e dai latini, hanno appreso gli strumenti intellettuali e materiali per garantirsi una sopravvivenza oltre il mero barbaro afflato consanguineo.

Venner era un uomo dal tratto ellenico-romano e come tale è stato stroncato da una critica che continua a porre lo spirito al di sopra dell’intelletto, sostituendo le fondamenta classiche dell’Europa con un mélange mistico, mediorientale, pseudo-platonico, oltremondano, di falso cristianesimo, giudaismo e islamismo camuffato da salvatore e ri-fondatore della nostra stessa obsoleta civiltà.
Ha tentato in ogni suo scritto di rovesciare il mondo delle idee e porlo ai piedi della ragione.

Si è arrivato a dire anche questo di Venner: che non fosse umano per un suo commento da discepolo al maestro-mostro Heidegger, ancora oggi considerato il nazista della filosofia, l’incarnazione del demone della decadenza, il cerbero da guardia della setta degli adoratori di Nietzsche, l’Aleister Crowley dell’epistemologia, l’adulatore dei vaneggiamenti storiografici di Spengler, il William Blake dell’ontologia.
Tutto ciò affermato da chi, dopo Marx, non ha fatto altro che demolire l’integrità del Pensiero Occidentale per fondare un’ Europa acefalica e darla in pasto all’avidità famelica del Moloch Mercato, realizzando proprio quella profezia del Tramonto dell’Occidente (cfr. Oswald Spengler) che le sciocchezze sulla Fine della storia (cfr. Francis Fukuyama) post 1989, non sono riuscite a ridurre a un pettegolezzo da corridoio.
Eccolo il suo commento:

Dobbiamo ricordare, come scrisse genialmente Heidegger in Essere e tempo, che l’essenza dell’uomo è nella sua esistenza e non in un ‘altro mondo’. È qui e ora che si gioca il nostro destino, fino all’ultimo secondo. E quest’ultimo secondo ha tanta importanza quanto il resto di una vita. Ecco perché dobbiamo essere noi stessi fino all’ultimo istante. È decidendo noi stessi, è volendo veramente il nostro destino che sconfiggiamo il nulla. E non ci sono scappatoie da questa necessità, perché abbiamo solo questa vita, in cui siamo chiamati a essere interamente noi stessi e a non essere nulla”.

Il “qui e ora”, principio che i sinistri giullari della forzata unione tra genti trattano con deferenza accademica e disgusto dogmatico, cardine di coscienza e conoscenza  che accettano unicamente se lo stesso principio promana dalle auree parole del pacifista Dalai Lama o del Gandalf dell’integrazione sapienziale, il fu Umberto Eco.
Perché sono ben accetti soltanto i pompieri,  nel  tempio divorato dalle fiamme autodistruttive dei falsi Diritti Umani, che bandiscono ogni dovere sociale, nutrendo a dismisura l’immediata voglia di soddisfare i desideri acquistati a rate, in rete e creati incessantemente dalla smisurata forza propagandistica mercantile.
Agli incendiari, meglio offrire lavori socialmente utili, come la distruzione a 451 gradi Fahrenheit  delle sacrileghe opere di Venner. 

Peccato che l’intoccabile Freud, ne Il disagio della civiltà, abbia scritto a conforto della citazione di Heidegger e del commento di Venner:
Ora le illusioni hanno la funzione di risparmiarci determinate impressioni spiacevoli e di consentirci invece di appagare dati sentimenti. Ma non dobbiamo lamentarci se esse, una volta o l’altra, cozzano contro la realtà e ne rimangono distrutte.”

La mia apologia è inutile quanto il suicidio di Venner.
Forse si trattò di eutanasia premeditata per non essere di peso a nessuno, al di là della giustificazione sanitaria che i giornali prezzolati si sono dati la pena, dopo aver rimestato tra gli anfratti privati dell’uomo, di comprovarla sventolando le carte di una supposta mancanza di stoicismo, nell’affrontare una malattia che lo avrebbe portato a morte certa nell’arco di pochi mesi.

Per farla breve, considerato che i commenti negativi sparsi sulle ceneri dei poco stimati suicidi di cui tratto, non sono mai abbastanza taciuti, è giusto rilevare che l’amore spicca dalle parole di  Mishima e di Venner, nei loro testamenti di commiato.
Entrambi cercarono nella storia popolare, in quella dei vinti più che dei vincitori, un diverso senso della famiglia e della comunità, a  dispetto dei ruoli  sociali oggi decaduti nelle spire linguistiche di un rovesciamento di significato, idioma di un establishment progressista che rinuncia al sentimento, lo nega, riducendo ogni relazione umana a mera e algida responsabilità civile, riesumando la vecchia litania marxista sulla distruzione della Sacra Famiglia (in contraddizione con la vita privata di Marx pregna di affetti famigliari).
In verità tale disintegrazione di legami è prodromo di un indebolimento dell’uomo, ormai atomo sociale, strappato alla sua vocazione antropologica comunitaria, per essere inserito in una globalità uniforme, brandizzata; affezionato soltanto ai prodotti che consuma o vorrebbe consumare, identificandosi consciamente o inconsciamente con i loro marchi. 
Discorsi che furono il manifesto di quella Scuola di Francoforte che non venne ostracizzata come l’opera di Venner.
Anche Marcuse, ne “L’uomo a una dimensione” sosteneva lo scempio e la scempiaggine di una omogeneità esistenziale su scala planetaria.
Se si rileggono i passaggi fondamentali della sua opera più dissacrante, si noterà che il taglio delle sue parole non è meno aspro di quello usato dagli identitari di oggi, relegati nelle ali estreme dei Parlamenti, osservati in tralice come residuati bellici della disintegrazione novecentesca del nazi-fascismo.
Ma Venner ha usato il termine “razza” e subito lo si è confinato nel girone degli anti-semiti per eccellenza, mentre Marcuse, per ovvie ragioni ebraiche, non lo avrebbe mai fatto riferendosi a se stesso o al proprio popolo, anche se il suo pensiero controcorrente, e a tutti gli effetti profetico, oramai non trova spazio che in miseri trafiletti nella liceizzazione degli Atenei di filosofia.

Venner è un falso profeta?
I suoi moniti sono deliri di un pazzo?
Mishima scriveva nel suo proclama alla Nazione, letto prima di togliersi la vita:

“E quando, continuando a sopportare, si oltrepassa anche l’ultima linea, ci si dovrebbe difendere: è da uomo, da samurai, ribellarsi assolutamente.”

E non è difficile pensare che queste parole siano sorte anche e non solo dallo shock emotivo dello scrittore ventenne, irrisolto, causato dai genocidi nucleari, mai puniti – risposta sproporzionata rispetto al vigliacco attacco nipponico su Pearl Harbor – di cui gli USA si sono macchiati a seconda guerra mondiale praticamente finita e contro il volere delle menti più prolifiche del suo apparato scientifico (la lettera Einstein-Szilárd datata 1939).
Motivi per ribellarci oggi ce ne sono innumerevoli, ma qualcosa ha inceppato nell’uomo il senso dell’emancipazione dalla schiavitù delle sue dipendenze e del suo edonismo individualista, nichilista e negazionista.
Questo qualcosa, almeno in Occidente, s’incarna nel continuare a credere, anche contro l’evidenza dei fatti contrari, alle promesse di benessere, pace, prosperità, solidarietà che la pseudo-socialdemocrazia, supina alla finanziarizzazione globalista del capitalismo, disattende costantemente.
I governi si blindano, non si fanno più eleggere direttamente dai popoli;  il Mercato, o il suo volto bancario, li insedia negli emicicli parlamentari e li innalza a difesa della sua macchina di lobotomizzazione dell’individuo.
L’unica ribellione, insana oltretutto, viene dal mondo islamico… ed è tutto dire!

“E tuttavia questa società è, nell'insieme, irrazionale. La sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l'esistenza - individuale, nazionale e internazionale”.

Lo vergava e insegnava Marcuse …  e per queste invettive non  fu processato da nessuno.

24 commenti:

  1. Invidio te e Alceste che non perseguite ciò che non è in vostro esclusivo potere; che sapete fronteggiare qualsiasi evento aproairetico e che da questa prova riuscite a trarne virtù, bellezza e felicità, voi che usate la diairesi e che conosce la natura delle cose, vi invidio.

    Laura

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  2. Bentornato! E grazie!
    Hermannus Contractus

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  3. Mica li vuoi emulare?scherzo, so dalle tue descrizioni etrusche che hai animo nobile immune da tali nichilismi..la definizione di intelligenza non è forse la capacità di comprendere e adattarsi alle multiformi realtà odierne?n'amo avanti che almeno ora c'avemo un po' de compagnia..

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  4. Ringrazio tutti voi per gli apprezzamenti.

    Il Poliscriba

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  5. aro Poliscriba,
    e' un piacere leggerti di nuovo. Il tuo scritto suscita riflessioni profonde e non sintetizzabili.

    Qualcuno nei commenti aveva menzionato uno dei veri ultimi samurai, Onoda Hiroo. Sinceramente anche per me lo rispecchia piu' lui, che un Mishima che trova nel gesto finale plateale l'unica soluzione. Seppur discutibili i mezzi e i risultati, il primo ha vissuto respirando onore e coerenza, rispetto di pochi semplici principi, senza ricerca di gloria ne' fama tra gli umani, per la bellezza di 91 anni.
    Ma si fa fatica a parlarne, relegandolo nel giro dei pazzi fanatici o altro. Tuttavia Onoda Hiroo era un negazionista al contrario, di quelli che forse non incontreremo mai piu'. Non credeva possibile che il suo popolo, il suo esercito potesse arrendersi. In termini moderni, la resa per lui era una fake news! Quanta fiducia nello spirito combattivo dei suoi compagni, nell'anelito di onore e giustizia propri dell'uomo.

    Oggi dici a un uomo che lo stanno avvelenando, che e' sottoposto a genocidio, ed egli nega tale realta', non puo' credere nella presenza di un nemico, ne' nella necessita' di lottare, preferisce continuare a rinunciare ad ogni anelito di onore e di giustizia. Ci sono troppi surrogati di queste ultime, per ricercarle ancora nella vita reale. In questa invece, solo il vizio e la volgarita' sono perseguiti, e persino ammirati.
    In tutto questo caos della societa' odierna io vedo soprattutto la morte del rispetto.
    Un caro saluto,
    Ise

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    Risposte
    1. "Qualcuno nei commenti aveva menzionato uno dei veri ultimi samurai, Onoda Hiroo"

      Presente :-)

      Se hai letto le memorie del tenente Onoda, forse avrai compreso che - oltre l'impossibilità di credere che il Giappone si fosse arreso - c'è un punto ulteriore e ultimo che lo tiene fermo nel suo proposito: l'etica - e l'epica - della missione.

      Non è un aspetto di facile evidenza, perché Onoda ne tratta più raramente e spesso indirettamente; ma è quello fondamentale.
      I suoi superiori gli hanno assegnato una missione; il suo onore di soldato lo impegna a compierla (retaggio dei tempi in cui un uomo valeva quanto la sua parola...). Tanto che alla fine solo un ordine diretto di un suo antico superiore lo fa ritenere sollevato dal continuare.

      Eppure nulla, in lui, della stolida sicumera del miles gloriosus. Valgano a dimostrarlo le poche, commoventi parole con cui congeda e si congeda.
      Venner e Mishima, invece, non furono che l'altra faccia della moneta che possiamo chiamare "intellettuale occidentale" (e Venner comunque meglio di Mishima, letto quest'ultimo perfino da Savianò!).

      La marzialità rimane però un'altra cosa.

      P.S.: rimane che Onoda non fu l'ultimo combattente giapponese ad arrendersi. Il caso dell'ultimo dovette però essere "silenziato", perché era originario di Formosa...

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    2. Luigi eccoti qui,
      pensavo eri piu' assente che presente da queste parti:)

      A dire la verita' ho approfondito la figura di Onoda solo dopo la tua citazione e quindi in modo assai superficiale. Pero' ci ho visto una figura unica del "vero Giappone" che in qualche cosa mi ha ricordato alcune figure incontrate in Giappone, certo solo la sua ombra al confronto, ma con quei tratti unici e salienti che risulterebbero incomprensibili in occidente come ad esempio:

      1. l'umilta', che non e' umilta' come la intendiamo noi, ma semplicita' e abitudine a pensare al "gruppo" per cui a se' stessi singolarmente si da' un valore quasi pari a zero in modo molto spontaneo e senza crisi d'identita' (anzi, quelle verrebbero in caso contrario, come e' giusto che sia). Onoda lascio' il Giappone anche perché a disagio per la notorieta' di cui cominciava a godere (il contrario dei samurai narcisisti di moda in occidente).
      Il governo gli offri' anche soldi per ricompensa e li rifiuto'. Comunque alla fine ci e' tornato in Giappone, per completare la sua missione e il suo contributo verso la sua terra e il suo popolo.

      2. La fedelta', e quindi l'obbedienza a chi e' piu' in alto nella gerarchia, portata all'estremo, o meglio portata coerentemente fino alla fine.

      3. La pervicace resilienza che credo sia conseguenza dei precedenti presupposti e pertanto sia qualcosa di introvabile in Occidente.

      Questo ho riscontrato dal poco che ho letto. A Poliscriba dico che se trovera' qualcosa d'interessante in Onoda Hiroo e' merito del qui presente Luigi.

      Mishima anche lo conosco superficialmente, lessi un paio di opere molto tempo fa, ma mi e' bastato, sempre con la tutela della mia superficialita', per accantonarlo tra i giapponesi col tocco western, cone dici tu. Non per niente incarna alcune inquietudini occidentali, una certa incertezza sessuale, gli studi di letteratura occidentale, l'amore per Michiko, l'attuale imperatrice, anche lei icona all'occidentale, laureata in letteratura inglese, con corsi ad Harvard ed Oz-ford. Guarda non caso come l'imperatrice che verra', senza sangue reale, tutta Harvard e Ozford. La creme de la creme de la creme che a forza di gonfiarsi ed evaporare non lascia nulla, giusto un lieve odore di bruciato!

      Su Formosa posso dire, dal poco che ho imparato, che e' piu' vicina allo spirito giapponese che a quello sinico, sebbene stia cambiando. Non ho approfondito sull'ultimo combattente, ma di certo Taiwan e' piena di taiwanesi di discendenza giapponese, sia per la colonizzazione che per il fatto che molti giapponesi vi si trasferirono quando i bombardamenti in Okinawa resero la vita impossibile. Oggi abbiamo un politico taiwanese nel parlamento giapponese e loro uno giapponese (forse ora non piu' non sono aggiornata) nel loro.
      Ise

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    3. Brava Ise! Sono pienamente d'accordo con te.
      Un caro saluto da "zio" Hermannus C

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  6. Il tempo piccolo

    Mishima e Venner: chi ha detto che hanno fallito? E fallito poi in cosa? Che l’atto di Mishima fosse collegato alla sconfita bellica del Giappone all’americanizzazione del suo paese al fatto che avesse ricevuto l’educazione dalla nonna terribile alla bomba atomica al problema sempiterno del rapporto con il padre...
    Coincidenza della vita voleva che proprio ieri fossi ospite presso un collezionista di spade antiche giapponesi. Due pezzi mi hanno emozionato, entrambe tachi (tipo di spada antica e molto ricurva che veniva portata dal Samurai con il filo rivolto verso il basso): una firmata Ryokay di Bungo, inizi del 1400, in stile Yamashiro e forgiata meravigliosamente. Tachi corto (68 cm di lama) e snello: probabilmente veniva portata all’interno di residenze o durante le cerimonie. La seconda spada sempre del 1400, non firmata, ancora da restaurare ed apparentemente di scuola Yamato (comunque forgiata in stile molto antico), massiccia, lama lunga 84 cm. Lama da battaglia, con un bel fodero ottocentesco. Altre due spade, due katane (le katane sono normalmente meno arcuate dei tachi e venivano portate con il filo rivolto verso l’alto) hanno bloccato i miei occhi: entrambe seicentesche, entrambe belle (una anche con una firma –spadaio- importante), entrambe martoriate da segni di battaglia o duello.
    Quando un katana (o un tachi) colpisce in combattimento un’altra spada, se una delle due non si spezza, entrambe rimangono segnate. Quando il tagliente temprato penetra l’acciaio del corpo della lama, si formano tacche spesso profonde, sempre nette. A volte parte dell’acciaio viene tagliato via, come se si trattasse di fette di carne e talvolta si vedono strisciate nette come incisioni di bisturi sulla pelle, solo che è acciaio.
    Le spade che hanno segni di combattimento sono oscure e luminose: sono oggetti religiosi. Io adoro le lame antiche, ma il mio cuore si ferma di fronte a quelle che hanno combattuto.
    Sono strutture tridimensionali, livelli più profondi di coscienza.
    Mishima era un Samurai.
    Chi lo cita pensando ai suoi scritti, non ha capito nulla di quest’uomo. Mishima lo comprendi quando studi le spade che lui e i suoi avi hanno forgiato ed usato in battaglia per sventrarsi, moncarsi, decapitarsi. La letteratura è solo truffa, depistaggio. Mishima lo disse chiaramente.
    Mishima era un Samurai: così egli doveva morire. Nel 1500 o nel 1200, che importa? Fu un caso che morì nel 1970. Quando gli toccò in sorte.
    Come a Gesù. Morì anche lui suicidandosi in fondo, in fondo accettando il suo destino salvifico.
    Venner? Lo stesso stilema. Stessa razza. Non è un caso che anche tale grand’uomo, questo grande francese, si rispecchiasse in un Samurai.
    …Che l’atto di Mishima fosse collegato alla sconfitta bellica… La straordinaria, necessaria funzione salvifica della morte, sia quella dei Guerrieri che quella dei Santi. Non importa come accada la morte. Importante è che sia violenta e funzione di una scelta lucida e irrevocabile. Il limite dell’umano. L’abbandono dell’umano, varcare la porta del contingente troppo umano ed entrare nel sovrumano.
    Atti inutili? Ma cosa vi è di più utile?
    Creare il vuoto… Mica l’umanità si salverà tutta? Il Paradiso è per pochi. Quei pochi che hanno la forza di riaffermare, senza esitazione, che la vera bellezza è la distanza.
    Mishima e Venner: loro stanno lì, incendi vivi nella notte.
    E’ inevitabile: neanche tu Poliscriba potrai scansarli.
    Anonimo R

    https://www.youtube.com/watch?v=-EL48Xz7GhA

    “…dipinsi l’anima
    su tela anonima
    e mescolai la vodka
    con acqua tonica…”

    RispondiElimina
  7. Grazie a te Ise, approfondirò la figura di Onoda Hiroo.

    Per AnonimodinomeR

    Con Mishima e Venner mi sono preso un'ustione di terzo grado a suo tempo.

    Il Poliscriba

    RispondiElimina
  8. Crema o spray Foille risove.
    Anonimo R

    RispondiElimina
  9. Anche albume d'uovo.

    Poliscriba

    RispondiElimina
  10. Mi permetto caro Poliscriba di dare una versione differente (sembrerebbe piu' accurata - uso il termine "sembrerebbe") su dei fatti che tu citi. Marx amante della famiglia? Non lavoro' 1 giorno in vita sua, era spesso ubriaco e due suoi figli morirono per malnutrizione.
    Secondo punto: gli Stati Uniti, prima del "vigliacco attacco a Perl Harlbor", bloccarono il Giappone nella possibilita' di rifornirsi di petrolio. Il Giappone non ha fonti energetiche proprie. Certo, non dichiararono guerra ma di fatto la iniziarono, ovvero, POSERO LE BASI PER UN ATTACCO GIAPPONESE, TALE DA RENDERE I GIAPPONESI RESPONSSBILI, DI FRONTE ALL'OPINIONE PUBBLICA MONDIALE, DELL'ENTRATA IN GUERRA DEGLI "AMERICANI" NEL PACIFICO. Da documenti riservati e desecretati sembra poi che Rooswelt ammasso' le peggiori navi della marina militare per dare un bersagio ai giap, i quali ci cascarono. Sembra inoltre che gli aerei giapponesi furono ben avvistati prima dell'attacco, ma che fu dato l'ordine di non allertare Pearl Harbor.
    Gli Stati Uniti hanno sempre messo in atto "false flag" per iniziare una guerra. La stessa invasione tedesca della Polonia (ma non la invasero anche i sovietici?) fu dettata dai massacri fatti dai polacchi della popolazione tedesca, abitante nelle zone polacche dopo Versailles (ad arte ovvio), massacri ordinati vedi un po da chi? Operazione simile a quella attuata recentemente nel Dombass in Ucraina contro le popolazioni etnicamente russe.
    Vabbe! Comunque sia il tuo scritto ha diversi spunti interessanti.
    Chiudo con le bombe atomiche: bisognava dimostrare al mondo quale sarebbero stati i metodi per i futuri ribelli. Casualmente scelsero le due citta' cristiane del Giappone. Un saluto alla Venner.
    Anonimo R

    RispondiElimina
  11. Scusate, ma Mishima non era
    frocio?

    Pino

    RispondiElimina
  12. Il primo ministro Giapponese prima e durante la guerra era cattolico.

    RispondiElimina
  13. Tutti facenti parte di ordini 'cavallerizzi'anche in Giappone,come d'altronde in tutto il mondo.Monarchia Universalis come dice Alceste.

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  14. Sposato, ebbe 4 figlie (non sono sicuro sul numero vado a memoria). Sembra avesse anche tendenze omo. Nell'antico giappone tra i samurai erano tollerate relazioni omo, che trovavano giustificazione sia nell'ambiente prettamente maschile e marziale, sia per avere qualcuno fidato che "parava la schiena".
    Un bel riferimento cinematografico a riguardo e' "Gohatto" (Taboo) di Oshima.
    Interessante l'informazione sul Primo Ministro Giapponese: cosi' mi e' chiaro perche' il Giappone si uni' all'Italia ad alla Germania nella lotta contro l'Idra.
    Ando' come ando'. La vera storia e' straordinaria.
    Etero, omo o bisex, Mishima fu comunque sia un grandissimo uomo. Il suo capolavoro finale, "Il Mare della fertilita'" mi e' ostico: devo ancora finirlo. Altre cose sue sono affettate. Altre straordinarie. Come la sua morte.
    Anonimo R

    RispondiElimina
  15. Domanda stupida da ignorante
    quale sono (volevo cancellarla ma questa piattaforma non lo prevede).
    Concordo pienemante con lei, spero che l'anima di questo grande uomo perdoni la mia insolenza, che ai tempi mi sarebbe costata forse il capo.

    Pino

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  16. LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI - Y. Mishima
    SULL 'ARTE
    Ieri ho incontrato un amico, un ex ufficiale cinquantenne, oggi imprenditore di
    successo, che nella sua vita dovette affrontare la morte per ben sette volte. Fu
    infatti imbarcato sei volte su navi da trasporto appartenenti a convogli puntualmente affondati dal nemico.
    Un giorno, durante un attacco, udì urlare: “ Nemico in vista! ”, e quando alzò gli
    occhi al cielo vide alcuni aerei che si avvicinavano da prora. Si voltò verso destra:
    sopraggiungevano altri aerei. Si guardò alle spalle e vide lo stesso spettacolo;
    erano attaccati da tre direzioni. Se l'attacco fosse giunto soltanto da due lati, la nave avrebbe potuto virare ad U, sarebbe stato possibile fuggire, ma aggrediti da
    tre direzioni non avevano scampo. Le bombe sollevavano intorno alla nave alte
    colonne d'acqua che parevano immobili come zampilli di fontane in un dipinto.
    Come se la forma dell'acqua si fosse solidificata nell'aria. Subito egli mise in salvo
    la bandiera del reggimento su una scialuppa, ordinò agli altri uomini di gettarsi in mare, e rimase a bordo fino all'ultimo, in compagnia del nostromo tremante di
    paura. Gradualmente lo scafo, colpito, s'inclinò. Il sessantenne capitano si
    incatenò alla nave per porre fine con essa alla sua vita. All'ultimo istante, quando
    lo scafo era in procinto di capovolgersi, il mio amico si gettò in mare, tuffandosi
    da un'altezza di sessanta metri. Si dibatté sott'acqua, ormai certo che non sarebbe
    riuscito a risalire alla superficie. Dopo aver lottato con tutte le forze, finalmente
    riaffiorò alla superficie del mare, che vide illuminato da un sole splendente.
    Galleggiò sulle onde per trentasei ore, tra la vita e la morte, prima di essere
    salvato. Quando finalmente giunse a soccorrerli una nave della Marina Militare,
    furono issate per prime a bordo le prostitute e le infermiere, che imploravano aiuto aggrappate a dei galleggianti, vigendo nella Marina la regola del “ lady first ”.
    Poi, ad uno ad uno, furono tratti in salvo gli uomini. Per impedire che svenissero o
    che si ahbandonassero sino al punto di morire, venivano percossi sulla spalla con
    un colpo di bastone. Egli poté evitarlo mostrando i suoi gradi d'ufficiale, e questo
    testimonia sino a che punto fosse lucido. Egli ripeté più volte esperienze simili.
    Quando era ormai certo che stava per raggiungerlo, la morte gli scivolava dalle
    mani. La vita umana è strutturata m modo tale che soltanto guardando in faccia la morte possiamo comprendere la nostra autentica forza e il grado del nostro attaccamento alla vita. Nello stesso modo in cui per saggiare la durezza di un diamante è necessario sfregarlo contro un rubino o uno zaffiro sintetico, per
    provare la resistenza della vita è inevitabile scontrarsi con la durezza della morte.
    Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e
    spezzata, forse non è altro che un fragile vetro. Ma noi viviamo in un'epoca di
    esistenze assolutamente fiacche ed ambigue. Raramente incontriamo la morte, la
    medicina ha compiuto enormi progressi ed i giovani non temono più nè la tisi, che
    decimava gli organismi più deboli, né l'arruolamento, che intimoriva i ventenni
    delle epoche trascorse. In mancanza di pericoli mortali, l'unico modo in cui i giovani riescono ad assaporare la sensazione di essere vivi è la ricerca forsennata
    del sesso, oppure la partecipazione a movimenti politici, motivata semplicemente dal desiderio di esercitare la violenza...

    Yukio Mishima
    (Anonkmo R)

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  17. Grazie da chi, a vent'anni, lesse quasi tutto Mishima e se ne innanorò a vita.

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    1. Grazie a te per la lettura di questo mio divagare per terre spirituali mai integralmente conosciute.

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  18. IL SESSO DEL SACRO
    (parte prima)
    Ritorno sull'omosessualità (presunta) di Mishima. La sua domanda Pino non è stupida e ignorante. Anzi, è molto stimolante. Forse è una domanda buttata lì, senza grazia, ma non è cretina (uso questo termine solo per non fare una ripetizione).
    Credo che quando gli uomini (magari anche le donne, ma su questo punto personalmente ho pesantissime riserve) decidono che la morte è il loro "disegno di vita", ecco, credo che tali uomini si stacchino sia dai comuni legami umani che anche dalle normali abitudini sessuali, se mai oggi possiamo utilizzare con senso ben definito tali concetti.
    Santi, Monaci, Profeti e Guerrieri: tutti costoro sono vissuti e vivono in un mondo scandito dal costante pensiero della morte. Le persone normali pensano alla vita, al benessere, al "futuro", magari ad una famiglia e a dei figli, magari ad un mutuo, una casa, un posto di lavoro fisso al catasto, le vacanze a Rimini e la festa di capodanno. La macchina e lo smartphone nuovi.
    Un Samurai (un Guerriero, un Santo, un Profeta, un Monaco) viveva o vive su un altro piano. Anche la sua sessualità quindi non è comune, sia che sia eterosessuale che omosessuale. In me credo scorra un po' di sangue strano: già da tempo ho abbandonato il normale consorzio umano di rapporti sociali, di riti più o meno accettati dalla cerchia familiare e di conoscenti che frequento. Sono diventato "selvatico", agisco sulla base di processi mentali diversi rispetto alle "persone normali", pur rispettando e partecipando (quando è strettamente necessario) ai riti di coloro che mi girano attorno.
    Nei rapporti sentimentali non ho riguardo alcuno per ciò che un tempo ritenevo essere "l'amore". Il passaggio dalla condizione di "uomo che viveva più o meno una vita normale" a qualcos'altro, è stato graduale ma inesorabile. Non mi ci trovavo a vivere una vita "normale", nonostante per molto tempo e con scorno massimo abbia tentato di perseguire una via comune a quella che tutti, più o meno, percorrono.
    Quando affronti la vita come se mentalmente fossi in costante battaglia, accettando la morte e la sconfitta ma perseguendo la vittoria con tutte le tue forze (vittoria e sconfitta aventi pari grado esperienziale), allora tutto diventa più chiaro e le normali abitudini del consorzio umano non fanno più parte di te. Diventano un rumore di fondo da cui selezioni prede, predatori, banchetti sessuali, persone affini a te, armi, strategie, azioni, inganni, alleati, nemici. Il tutto con un legame profondo verso qualcos'altro di superiore che si lega al tuo sangue, ai tuoi avi, al tuo essere parte di qualcosa di straordinario, non necessariamente bello.
    (continua)


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  19. IL SESSO DEL SACRO
    (parte seconda)
    Io adoro le donne ma la mia frequentazione femminile, tra l'altro meravigliosa, non ha più nulla di ciò che, un tempo, anche per me era amare una donna, frequentarla e viverci assieme, progettare qualcosa con lei.
    Posso capire quindi Mishima ed anche le sue tendenze "omo": penso che tali tendenze, se confermate, non avessero nulla a che vedere con l'odierno sconcertante e ributtante carnevale gay, lesbo, trans, sposiamoci tra finocchi o finocchie, famo un bambino con l'utero in affitto di na' poveraccia, andiamo da papa france' che ci fa solo a "noi" (cioè loro) "baciare l'anello", mentre se ci vanno persone etero "normali" ritira come in una gag comica la mano (si veda a riguardo il video sconcertante gentilmente concesso da "Il Decimo Toro" e, di contro, la foto nell'articolo sotto segnalato tratto da Blondet).
    L'omosessualità è sempre esistita, quindi come naturale tendenza che riguarda una assoluta minoranza della popolazione (1 - 3% sul totale) va accettata: almeno qui in occidente è stata sdoganata senza problemi. Per me questo non ha nulla a che vedere con l'ignobile carosello LGBT(P) e genderfluid (scioltasessuale) che il mainstream falso ed abietto ci vuole imporre come "nuovo modello sociale", soprattutto per i nostri figli.
    Tutto questo giro di parole per dire che, se anche Mishima avesse avuto tendenze "omo", di sicuro queste non avevano nulla in comune con le finocchiate che noi tutti dobbiamo e, sembra sempre di più, quotidianamente dovremo subire.
    Chiudo buttando lì una provocazione: dal punto di vista "sessuale" Mishima e Venner, negli attimi precedenti la loro morte, erano assolutamente identici!

    BUTCH QUEEN VOGUE FEM at The Revolution of Colors Bal
    https://www.youtube.com/watch?v=IkroAKHJw5E

    Bergoglio, la mano più veloce (viscida) del west !
    https://www.youtube.com/watch?v=Hmh93iOhD-g

    https://www.maurizioblondet.it/papa-chiede-ai-centri-di-formazione-e-alle-universita-di-diffondere-la-sua-tesi-che-la-diversita-delle-religioni-e-voluta-da-dio/

    Anonimo R

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Siate gentili ...