Decifrare il passato (e il presente)

Racconti e improvvisazioni

Novità sconsigliate ai puri di cuore

18 settembre 2024

Perch’i’ no spero

Roma, 18 settembre 2024

Per comprendere il futuro ho sostituito la palla di vetro con la pubblicità delle multinazionali. Si tratta di confessioni più che di propaganda. Al sacrificando, id est: noi tutti, si mostrano gli strumenti della tortura e dell’annientamento cioè la verità. La vittima, svuotata d’ogni anelito di sopravvivenza, il volto che s’apre alla riconoscenza, approva. Approva il proprio sacrificio. Quindi il Phersu scioglie le fiere della damnatio ad bestias del condannato oppure cala il coltello di ossidiana spaccandogli il cuore. Qualcuno provvederà a sbarazzarsi dei corpi. Tutto qua.
L’ultimo consiglio per gli acquisti di Amazon Prime (Concrete jungle ovvero Giungla di cemento) dura circa un minuto, trenta secondi in Italia. Esso mostra, appunto, una prigioniera, condannata all’esecuzione capitale e però felice di esserlo.
Il video è virato su toni freddi, grigio-azzurri, depressivo-scandinavi: beninteso, di quel nord liofilizzato, anemico e anomico che oggi impone il galateo del Nulla a tutta Europa. La protagonista è una ragazzetta di circa trent’anni, viso regolare dai tratti esotici, graziosa seppur non bella, di quella leggiadria esangue che si è fatta seriale in Occidente. Ella arriva in metropolitana, sola; e sola rimarrà; è nuova alla città tentacolare, dagli opprimenti skyscrapers, straniera in una terra ostile come l’agrimensore K. ne Il castello. Entra nel cubicolo, disadorno e abbuiato; il sole pare non esistere; l’unica fonte di luce è il visore che trasmette una serie americana del 2019, Good omens, in cui un angelo e un demone di nome Crowley stringono alleanza per scongiurare l’Apocalisse e la Fine dei Tempi, e imporre, forse, una Pace Eterna; ella mangia velocemente del cibo da asporto, scongiurate formalità come tovaglie, posate e bicchieri; disfa il letto, un giaciglio mascherato da divanetto; poi le dita scivolano sul visore i-phone: ordina dei vasi, del terriccio, delle piante, a comporre una minuscola serra. La condannata, infatti, crede che le piantine, simulacro della vita che non le sarà mai concessa, allevieranno l’ansia da cubicolo in cui l’oscurità s’annida negli angoli, minacciosa, come una bestia pronta ad aggredire; poi, sollevata più che lieta, si sporge dal balconcino micragnoso: la camera allarga l’inquadratura a mostrarci i parallelepipedi grigi, consunti dal kipple metropolitano,  rigati dalle colature acide di un cielo irredimibile.

Cosa notiamo qui? La pace, anzitutto, la pace eterna, entropica, le nozze fra cielo e inferno come buona novella, anzi come novella definitiva, una pietra tombale sulla vita. E poi la solitudine, inevitabile, ineliminabile, agognata, ma ritenuta, nel segreto del cuore, fonte dei più indicibili tormenti, orrenda. Il volto non tradisce questo conflitto interiore che la consuma, lento; anzi appare piacevole; ci accorgiamo, però, che solo la totale deresponsabilizzazione (lei avrà un lavoricchio nichilista e nessuna preoccupazione civile o politica) e l’assenza di retroterra storico e di gravidanze ne hanno preservato i lineamenti: che restano anonimi, seriali, come d'una neobambola Mattel. 

Quale sottofondo musicale riconosceremo il Canone di Johann Pachelbel rimodulato, però, dalla scartina pansessuale Héloïse Adélaïde Letissier (Christine and the Queens). La trascinante melodia, quasi trionfale, simula un risarcimento fittizio: sì, ti do un cubicolo tetro e deprimente, ma questo in cambio di una completa de-responsabilizzazione epocale; in fondo ti ho liberata, come chiedevi!, dall’insostenibile peso d’una tradizione opprimente! Sotto un lirismo pop-barocco, quindi, si celano le sirene del disimpegno; ad accettare lo squallore, la meschinità monocolore, il nulla che risale gli eoni a nuovamente reificare l’uomo, a ridurlo a insetto d’alveare, a pietra, a microbo, a niente.

Quella ragazza avrà il coraggio di lanciarsi dall’alto per farla finita? Perché, noi pochi lo sappiamo, lei è già morta. “Uomini fummo, e or siam fatti sterpi”.
Non ha che da comprenderlo.
Prima o poi accadrà.

08 luglio 2024

Singh Singh


Roma, 8 luglio 2024

Piange il Salmone Ottimo Massimo, piangono i turiferari dell’altruismo, i legislatori della marchetta ecumenica, i capitifosi del poppolo bue con l’arco di pavone istituzionale spiegato a 180°, il paracarro della CGIL, i body builder del centrosocialismo, i parassiti meritori, i grassatori a  fin di bene, le merdaiole in tailleur, i Katanga dei CAF; lacrimano le madonne di Civitavecchia dell’equità, i peltasti dell’anima bella, strimpellatori, blogger, attorucoli sovrappeso, intere medjugorje dell’appacificamento più spietato, uranisti accalorati dalla stagione degli amori universali; le Caifa svizzere alzano i toni, stropicciandosi le vesti (a brandelli no, si ragiona: i capi firmati, in fondo, costano) mentre, alle antilopi, gli antisemiti col copyright assentono: e con loro i reazionari da cappuccino: siamo tutti fratelli o no? Singh è morto, i particolari fanno rabbrividire la platea: un braccio mutilato, come in uno splatter di terz’ordine, posato su una cassetta di frutta, in plastica, evidenza simbolica dello s-fruttamento. Legioni di Sikh dalla barba d’ebano protestano: basta, per quattro soldi! Inumano! Terribile! Inciviltà! Sì, l’Italia, culla della civiltà, è ormai avvertita per quello in cui l’hanno trasformata decenni di propaganda ovvero in una frontiera ove ogni diritto è negato. Un impasto di barbarie ferina, evasione fiscale, schiavismo littorio, collusione criminale, sanguinosa omissione di soccorso. Ah, i cuordipietra italiani! Come siano andate le cose è impossibile dirlo. Quando parte la locomotiva delle salse lacrime ogni scemenza si accomoda nel proprio cantuccio ad avvalorare le più formidabili panzane. Da subito gli anti italiani, i dissolvitori del Paese, si rendono conto della ghiottoneria: un immigrato, il braccio tranciato, il caporalato. Cotta a puntino la torta lievita sino a ciò che interessa: la denigrazione dell’Italia, sempre ben accolta, avvertita ormai quale sentina d’ogni reazione, e la distruzione del residuo tessuto economico che ancora muove una nazione, questa sì, dissanguata ed eviscerata da un ignobile patriziato di ascari. Singh è una vittima e, allo stesso tempo, il mezzo perfetto per ridurre a zero ogni mobilità economica. In nome di Singh arriveranno controlli, balzelli, arresti, indagini; magistrati, politicanti, e le altissime istituzioni, continuamente in fregola per avversare il Paese ch’esse dovrebbero rappresentare e che, invece, hanno messo all’incanto, a libbre sanguinose, sugli uncini della globalizzazione. Dell’Italia non deve restare nulla, nulla deve muoversi; i pomodori te li faranno arrivare col contagocce dalla Tripolitania Inferiore, gestiti dalla multinazionale di fiducia, a emissioni zero e bontà rimoltiplicata sette volte sette: biologici, carissimi, ma col sorriso sul picciolo: noi siamo i pomidoro senza difetto, altruisti, rotondi e insapori per elezione.

Perché il banchiere Emmanuel Macron si è sbrigato a inscenare questa ennesima farsa? Cosa c’è sotto? La coltre di fumo (la repubblica; la destra estrema: sempre estrema, quella normale non esiste; la sinistra; i moderati; i populisti) avvolge il Vero Problema, Ciò che Davvero Preoccupa: l’astensione. I risultati, infatti, sono indifferenti poiché pilotati con mestiere. Marine Le Pen, così come il padre, vantano un alto indice di affidabilità attoriale … ma l’astensione, signori miei, equivale al principio del disprezzo della democrazia ovvero dell’inganno. Rifiutare la democrazia, falsa come una banconota da tre euro, è la condizione non sufficiente, ma assolutamente necessaria a far saltare il banco. E allora? E allora l’astensione, in Francia, culla della democrazia progressista e liberale, è stata sconfitta: 70% alle urne. Ovviamente il dato è falso, come spesso accade nei momenti di crisi. Però questo premeva, questo è stato ribadito, anche se in tono forzato, visibilmente posticcio. Il resto (le migliaia di analisi geopolitiche, antipolitiche, apolitiche e socioculturali su negri che votano e bianchi che tornano al voto) contano zero; a governare la Francia può essere una ex finta fascista oppure un giovane uranista dai denti gialli e dall’incisivo storto, perché no? Potrebbe essere anche un pupazzo della Marvel, il pilota automatico de L’aereo più pazzo del mondo o la consueta figurina seriale pescata fra i simulacri del femminismo efficientista in tailleur: va tutto bene. I Francesi hanno scelto; anzi: la stragrande maggioranza dei Francesi ha scelto: la democrazia tiene. Questo il succo delle giravolte costituzionali, delle manifestazioni isteriche, dei proclami. Una sequela di candidati-attori, di raro squallore, nemmeno così convinti del ruolo come lo si era un tempo, sciatti, bolsi, servili … la giostrina, però, ideologicamente, protrae i suoi giri. La democrazia! Un elettore non riesce nemmeno a decidere dove installare un semaforo eppure è convinto di deviare i destini della Francia! Quanta fede ci vuole per questo? Pardon: quanta mancanza di fede occorre per ridursi a tale impasto di miccaggine? Fatti salvi i brogli, oramai una pratica rodata e senza pericoli: il bianchetto digitale è a prova di bomba avendo eliminato persino la più labile prova oggettiva. E al ballottaggio, un sistema truffaldino ideato per modellare convenientemente eventuali risultati sgraditi, cosa accade? Ma addirittura il record! Affluenza mai così alta dal 1981! Non solo, ma vedete come l’affluenza e la partecipazione si configurino come le Stalingrado della democrazia! Il nemico è in fuga! Vive le République!

30 marzo 2024

Buona Pasqua 2.0


Roma, 31 marzo 2024

Tucker Carlson: “Il Nuovo Ordine Mondiale è morto. Il mondo si sta resettando completamente. L’ordine del dopoguerra sta crollando e la NATO, ovviamente, crollerà”.

Tucker Carlson, che ha pure un bel nome, è il nuovo beniamino degli Speranzosi. Agli Speranzosi piace tifare, mica cercare la verità. La verità dei fatti, intendo, che, quasi sempre, equivale a infilare le mani alla cieca in un covo di vipere. Tifare appaga, tifare rilassa, tifare fa comunella, tifare dà sicurezza – ovvero il narcotico rilascio dello sfintere che segue alla consapevolezza d’essere in tanti. Essere in pochi, invece, essere soli, di fatto, soli per tutta la vita, regala brividi di gelo lungo la spina dorsale. Chi vorrebbe vivere una vita così? Giunti a un certo punto ci si sente come dei sassi: sole, vento e pioggia più non importano.

Quindi Tucker afferma: “Abbiamo vinto!”. Fosse stato così semplice, avremmo messo tutti la firma. Una nazione, la Russia, depapuperata sin all’osso, e umiliata dai clientes del Nuovo Ordine sin agli anni Duemila, in vent’anni è riuscita a risorgere e a guidare una reazione vincente appropriandosi di qualche migliaio di chilometri quadrati di un ex nazione, l’Ucraina, depauperata sin all’osso, e umiliata dai clientes del Nuovo Ordine: da 0-4 al trionfo, avendo tutti contro, dagli arbitri al pubblico ai guardalinee, così come non era nemmeno riuscito a Michael Caine e Pelé in Fuga per la vittoria. Domandiamoci, però, se vittorie e sconfitte passano gli uomini o meno. Hic stat busillis. Le tendenze fondamentali del nostro tempo, la tecnica, la digitalizzazione, la sparizione del reale, la globalizzazione della miseria spirituale, ci parlano dell’esatto contrario. Dovremmo chiederci cosa accadrà di questa presunta vittoria fra dieci o quindici anni, quando Putin (e tutti gli altri figuranti della Storia) saranno stabilmente all’ospizio o al cimitero. Chiediamoci, altresì, se questa vittoria è foriera di un’inversione della catastrofe in atto. Lo è? Non sembra. La secolarizzazione avanza; il saeculum impregna totalmente le esistenze dei miliardi, da Dubai a Shanghai a New York. Qualcuno declina, altri paiono ascendere. E allora? Proprio questo il segreto della globalizzazione. La scomparsa di quello che può chiamarsi Europa, e quindi Occidente, non è nient’altro che un atto rituale propedeutico all’abbraccio finale. Certo, nelle more di questa sconfitta universale, si possono equivocare degli eventi contingenti quali vittorie …

Sarei felice, prima di crepare, di vedere i cavalli cosacchi abbeverarsi in San Pietro, e di vivere una vera Pasqua … o un vero Natale …  uno solo … mentre i cardinali del Conclave pendono da qualche forca. Lo vedo difficile, però. Tra le nebulosità della palla di cristallo, chissà perché, mi appare sempre un cartello, anzi più cartelli, di un giallo canarino, appesi a decine sulle colonne del Bernini. Recitano: “FOR SALE”.

Sperare è facile. Lo si fa dal divano. Contrastare alla dissoluzione, invece, risulta assai duro; sgradevole, depressivo; sì, durissimo. Contrastare vivendo la propria vita al contrario, erigendo un’esistenza che dice “no”, questo è ancora più aspro e pericoloso. Qui siamo alla porta stretta, al canapo nella cruna dell’ago. Gli exempla dei santi questo vogliono dirci. E ogni epoca esige il proprio santo ovvero un certo tipo di martirio, di testimonianza. Non basta, nel 2024, sistemarsi, come gli stiliti, sulla cime di una colonna rinunciando del tutto al saeculum. Il nostro tempo corrompe anche i migliori e il tanfo dello zolfo si insinua persino negli eremi più inaccessibili. Serve un “no” onnicomprensivo, ma chi ha il coraggio e la forza di pronunciarlo?

29 febbraio 2024

Trattori e spicci


Ro
ma, 28 febbraio 2024

Diavolo d’una Giorgia. Preoccupatissima del voto in Sardegna (qui si vince un’altra volta!), ha urgentemente rimediato, con la velocità impressionante d’un Fregoli. Andata a scovare il più antipatico candidato del mazzo, fatto fuori quello che assicurava i migliori clientes, ha percorso ventre a terra li cattru mori come la cavaliera della sconfitta, fra boccacce, dichiarazioni a vanvera e selfie NATO, giusto per alienarsi il maggior numero possibile di voti. Eppure non bastava! Questi cretini si rifugiano nell’astensione, ma l’altra non la votano abbastanza! La politica contempla anche l'arte della ritirata, soprattutto quando si dovranno imporre patrimoniali e sangue di drago. Noi li aiuteremo, come sempre, ma la faccia la mettano gli altri! E allora, con cautela, giù passi falsi, divisioni interne, piagnistei e litigate, e la benedizione delle randellate ai liceali utili per il ludibrio h24. Alla fine, dopo un incredibile e sospetto stillicidio dalle sezioni, specchio d’una organizzazione che avrebbe fatto dimettere i ministri dell’Interno di nazioni più strutturate della nostra, dal Gabon alla Guinea Equatoriale, la sospirata débâcle. Salvini sostituito da qualche esponente più vaselineggiante (ha fatto il suo tempo, basta farse sovraniste in nero, ci vogliono leccapiedi in chiaro + IVA), governo in autosmantellamento controllato, l’isola direttamente nelle mani di Jen Stoltenberg-Heiberg. Le felicitazioni dell’israeliana Schlein alla compagna di mille giochi hanno chiuso (con ecumenica festa a sorpresa e scambio di cotillons) anche questa stagione di successo della filodrammatica elettorale.

Le elezioni sono l’indizio chiaro che si vive in una democrazia! Che ci distingue dalla dittatura! La “x” è garanzia di libertà!
E bravo il mio coglione.
Ma cos’è la democrazia? La nostra democrazia attuale, intendo, quella liberale, che dal cul rugge la trombetta della libertà. Ci si interroghi sul perché la democrazia ci ha progressivamente isolati e poi schiacciati in una globalizzazione ben peggiore di quella prefigurata da George Orwell e nell'opera del maestro suo, mai riconosciuto per tale, Evgenij Zamjatin. Alla domanda risponde uno dei pifferai più rispettati del pensiero liberale novecentesco, Norberto Bobbio. Afferma Bobbio ne Il futuro della democrazia (sarebbe bene leggere con accuratezza il pastone che propongo): “La democrazia è nata da una concezione individualistica della società, cioè da quella concezione per cui, contrariamente alla concezione organica, dominante nell’età antica e nell’età di mezzo, secondo la quale il tutto è prima delle parti, la società, ogni forma di società, in specie la società politica, è un prodotto artificiale della volontà degl’individui. Alla formazione della concezione individualistica della società e dello stato e alla dissoluzione di quella organica, concorsero tre eventi che caratterizzano la filosofia sociale dell’età moderna: a) il contrattualismo del Sei e del Settecento, che parte dall’ipotesi che prima della società civile esiste lo stato di natura, in cui sovrani sono gli individui singoli liberi ed eguali, i quali si accordano tra loro per dar vita a un potere comune cui spetti la funzione di garantire la loro vita e la loro libertà (nonché la loro proprietà); b) la nascita dell’economia politica, vale a dire di un’analisi della società e dei rapporti sociali il cui soggetto è ancora una volta il singolo individuo, l’homo oeconomicus, e non il politikón zôon della tradizione, che non viene considerato per se stesso ma solo come membro di una comunità, l’individuo singolo che, secondo Adam Smith, ‘perseguendo il proprio interesse, spesso promuove quello della società in modo più efficace di quanto intenda realmente promuoverlo’ (del resto è nota l’interpretazione recente di Macpherson, secondo cui lo stato di natura di Hobbes e di Locke è una prefigurazione della società di mercato) c) la filosofia utilitaristica da Bentham a Mill, per cui l’unico criterio per fondare un’etica oggettivistica, e quindi di distinguere il bene dal male senza ricorrere a concetti vaghi come ‘natura’ e simili, è quello di partire dalla considerazione di stati essenzialmente individuali, come il piacere e il dolore, e di risolvere il problema tradizionale del bene comune nella somma dei beni individuali o, secondo la formula benthamiana, nella felicità del maggior numero”.

27 gennaio 2024

Soffittizzatevi!


Roma, 27 gennaio 2024

Si domanda una delle gazzette dell’Illuminismo Nero: “Le auto volanti delle città del futuro faranno troppo rumore?”. E il sottotitolo, sbarazzino, recita: “Quando sulle nostre teste ci saranno le auto volanti l'inquinamento acustico peggiorerà. Per questo gli ingegneri studiano per renderle più silenziose”. La mucca da pascolo delle sciocchezze tecnologiche e il tecnopuero leggono; e sognano; e rimuginano: ma queste macchine faranno o non faranno rumore? Eh, sì, un bel problema … per fortuna ci sono gli ingegneri … che s’ingegnano … e risolveranno, sicuramente … quando mai non hanno risolto qualcosa, loro, gli uomini della scienza, in camice e alambicco? Per il tecnopuero il problema sono i decibel delle auto volanti, non l’esistenza delle stesse, ch’egli già vede rigare i cieli d’una città formicolante e automatizzata, in cui umani e androidi coesistono e la felicità, guidata dal progresso ateo che sempre avanza, la si stacca dall’albero di pomi del Bene. Per carità, a "Focus" e al castrone da fattoria 2.0 mica gli passa nella capoccia ch’egli non guiderà un tubo, né per terra e né per mare, che la sua esistenza, già grama, sarà ridotta nei loculi della Monarchia Universale, soli, consumati nella depressione che, a tratti, in violenti raptus, si sfoga in verde livore … contro chi? Contro chi gli indicheranno, la lattigine del PC a illuminare volti tirati, senza scampo. Non c’è niente da fare, il micco da "Focus" s’immagina già sull’auto volante, mentre chiede il permesso al roboserver di attraccare al ventiduesimo piano nel condominium di prima classe nel caseggiato medio-patrizio del settore metropolitano Est/4 di Alma … il loft panoramico già riscaldato, la collaboratrice o il collaboratore androidi già pronti a soddisfarlo mentre l’olovisore seleziona i punti di prospettiva migliori per godere della partita di Supercoppa d’Asia Shanghai – Tehran. Non lo mette in guardia il proliferare dei rottami, a milioni, dagli smartphone ai tostapane, il malfunzionamento strutturale degli ordigni digitali, il fatto che ogni trovata (scale mobili, tapis roulant, asciugatori, condizionatori) deperisca nel giro di pochi mesi e che, nonostante i miliardi di euro investiti, non si riesca a risolvere alcunché ricorrendo alla tecnologia celeste e che i mirabolanti uffici del terziario, open air, siano ricettacoli di lerciume e sfruttamento.
Macché, a lui importa il sogno, che il sogno continui; il sogno che non ben precisate entità, altruiste e benigne, lavorino per lui, incessantemente, escogitando sempre nuovi gadget per rendergli la vita facile … i nuovi chirurghi del futuro, i robot! Quelli mica sbagliano! Ah, il progresso … poi la ASL gli assegna una TAC nel 2025 …
E invece sarà pianto e stridore di denti, lì, nel cubicolo, dove, forse, permetteranno, oltre agli elettrodomestici ricondizionati, di tenere un pesce rosso di gomma.

L’Illuminismo Nero molto ha promesso, e le moltitudini ancora vi credono. Concedendo qualche mirabilia, ma, ecco il trucco, sempre in cambio di qualcosa: che ora non è più possibile recuperare. Tutto ha un prezzo, dicono i turbocapitalisti. Peccato che nel contratto che il nostro tempo ha stipulato con la promessa del progresso illimitato, il “do”, pendant di “ut des”, fosse scritto con l’inchiostro simpatico. E, però, ora che ci si avvicina ai roghi finali, quelle righe cominciano a risaltare sulla pergamena dell’inganno: sì, par di capire, dobbiamo al futuro una libbra di carne. L’ultima, poiché le altre, senza che nessuno se ne accorgesse, sono già state riscosse dal fattore. Certo, a suo tempo, occorreva dire di no, un no che fosse un no, ma chi ha mai avuto il coraggio di esclamare questo scandalo?

Liofilizzazione, da liofilo (greco λύω, lio-, ovvero "sciogliere"). La liofilizzazione, leggo da un sito a caso, “è un essiccamento sotto vuoto spinto di un materiale preventivamente congelato, mediante il processo di sublimazione, ovvero il passaggio diretto dallo stato solido (ghiaccio) allo stato di vapore (eliminazione dell'acqua)”.