Orvieto, 30 dicembre 2019
La
vita si riduce, a volte, a tale banale considerazione: a chi si appartiene?
Si
dice che il destino atterri alcuni, esalti gli altri e che solo il Tempo
intervenga a sedare l’ingiustizia permettendo la verità: sono d’accordo, a
patto di non chiamarlo destino.
In
realtà ciò che amiamo appellare destino, nel breve margine che la Morte ci
concede, non è che una scelta d’appartenenza. La schiavitù a un ordine, a una
setta, a un pensiero prestabilito. Ciò determina il nostro essere nel mondo, la
fatuità del vivere, i successi, le soddisfazioni.
Chi
è estraneo a questo viene estromesso, di fatto, dal consesso sociale. Ora più
di prima, molto più di prima. La libertà, di cui si ciancia, è davvero un
fantasma sul proscenio del postmoderno. E chi se ne accorge? Nessuno, poiché
ognuno, o la maggior parte di noi, appartiene a qualcosa o qualcuno.
Ci
si affatica a osannare il Tale; a denigrare il Talaltro: entrambi, però,
appartengono a qualcuno; o a qualcosa; se non fosse così non ci sarebbe da
osannarli o denigrarli dacché non esisterebbero su nessun palco della
venerazione o della disapprovazione.
Persino
certi salvatori della patria appartengono a qualcuno o qualcosa: lo so, li vedo;
noto dei particolari, ai più indifferenti, che loro, invece, pongono in sobrio
risalto, come a dire: ecco, io appartengo a questo o a questa cosa.
Chi
non appartiene a niente rimane solo. La solitudine, che è altro dalla vita
solitaria, bramata e necessaria all’autentica meditazione, schianta l’individuo
e lo rende, alla lunga, sterile. La sconfitta, continua, bestiale, feroce, ci
trasforma in esseri muti e rassegnati oppure in personaggi queruli e degni di
un sorriso di compatimento o scherno.
Ammetto
che rendersi schiavi abbia un risvolto assai desiderabile. Il conformismo o la
catena o la compiaciuta volontà di sottomettersi a una signoria intellettuale addolcisce
il quotidiano: cedevole, soporoso, ricco di prebende materiali o puramente
immaginarie. Com’è felice il mendicante quando gli si allunga un tocco di pane!
Il
merito, la più fantastica sciocchezza del politicamente corretto, è, da quando
vige il politicamente corretto, sempre sulla bocca. Si inventano database,
graduatorie, divieti, obblighi, carte bollate per certificarlo, questo merito:
in realtà, a ben guardare, qui si mette nero su bianco, o rosso su bianco, la
propria appartenenza.
Si
ha un bel guardare la catena: la si ama davvero, dà sicurezza, oltre a stipendi
e onori.
Io,
per me, non appartengo a nessuno.
Tutto
quello che ho fatto l’ho fatto per l’Italia. Certo, tale confessione sembra
incredibile. Eppure è così. La mia vita l’ho passata, al di là delle
occupazioni per metter assieme i pasti, al servizio di questa idea. Ma,
poiché non appartenevo a nessuno, la mia opera è lentamente svanita, o passata
nell’imperio di altri, quelli che, invece, appartenevano a qualcuno o qualcosa;
oppure è stata mistificata; altre volte, invece, l’ho rinnegata io stesso perché vedevo che
serviva Mammona: è perciò stata distolta dal mio merito anche se di ciò poco m’importava:
non appartengo, infatti, a nessuno.
Di
sconfitta in sconfitta pure il mio nome sembra scritto sull’acqua.
Dei
miei sforzi, dell’abnegazione, delle fatiche e delle notti insonni rimane un
pulviscolo anonimo che non serve a sporcare nemmeno la prima riga di un
curriculum infimo.
Di
ciò che sono poco importa; non appartengo a qualcuno o qualcosa; ogni mia
opera, perciò, è niente.
Molte
volte ho visto imbecilli passarmi avanti, cialtroni amorali appropriarsi di ciò
che non era loro. Non ho protestato. Non avrei ottenuto molto, peraltro: io,
infatti, non appartengo a nessuno. Buffoni scrivono libri, articoli, collezionano
onorificenze e le utilizzano per umiliare.
C’è da
dire che molte volte, del pari, ho avuto occasione di rinnegare l’attitudine
alla libertà, e vendermi, ma ho rinunciato. Non per eroismo; non per un alto
senso morale; forse per istinto autodistruttivo. Vedete come voglia, anche qui,
rinunciare a esaltarmi e perdere tutto.
E,
infatti, alle soglie del 2020 posso dire di aver perso tutto. O quasi.
Residuano
due affetti, e non altro.
La
mia solitudine è totale, cosmica. Il buio grava sul petto, le vie d’uscita sono
sbarrate. Nemmeno le antiche consolazioni, la lettura, il piacere di ascoltare
musica, funzionano più.
Si
vive: in quale attesa non saprei. Un respiro tira l’altro.
La
sensazione che il proprio mondo sia in rotta ha inasprito lo sguardo e
calcificato la passione.
Cosa
sopravvive se non un disperato sarcasmo e poco altro?
Di
notte, in campagna, c’è ancora un buio perfetto, assoluto. Il cielo
limpidissimo rende quasi vive alcune combinazioni di stelle: Cassiopea, Sirio.
L’emisfero non consola, però; passato è quel tempo; un refolo freddissimo spira
da lontananze ormai insensate.
Ieri
me ne sono andato sui campi; gli olivi sembravano stecchiti. So che, tuttavia,
in primavera rifioriranno. Ma hanno bisogno anch’essi di cura. Senza l’uomo
cresceranno disordinati sino a morire di selvatichezza. La vigna di Renzo
Tramaglino è l’epitome simbolica dei nostri tempi. Abbiamo lasciato entrare la
falsa libertà, abbandonando la cura della Patria, e ora i barbari bivaccano
nelle nostre case.
Nessuno
combatte perché ci si accontenta di appartenere a qualcosa e qualcuno. Si campa
per compiacere nullità. E le nullità avanzano, senza volto, a reificare il
paese più bello.
Gli
storni, intanto, a centinaia di migliaia, si gettano sugli oliveti, a strappare
i residui dei raccolti. Improvvisamente, contro il lapislazzulo del tramonto
invernale, appaiono nugoli di scuri uccellini: uno d’essi li guida e plasma lo
stormo. La picchiata, radente al suolo, il saccheggio, la risalita,
ordinatissima, implacabile, che sfiora, con leggiadro sincronismo, un’altra
formazione. Sembrano esseri eterni, di grazia inesplicabile. Forse un’impronta metafisica
risiede in questi volteggi innumeri. In tale spettacolo ha dimora, forse, il residuo
d’un balsamo per il cuore.
Caro Alceste,
RispondiEliminaforse tu hai poca fiducia che i tuoi lettori riescano a capirti. Ma se anche fosse, certo è che ti apprezzano e alcuni persino ti amano, senza peraltro nemmeno conoscerti o forse proprio in virtù di quello… Ovvio che non sappiamo quali fossero le tue aspettative e gli sforzi fatti ma un pizzico di intuito ce lo devi riconoscere.
Un anno che muore lascia a tutti l'amaro in bocca, se non si è vinto alla lotteria o scoperto l'America; è la condizione umana. Per questo domani gli sciocchi stapperanno bottiglie e faranno voti per quello nuovo.
Ma lascia che ti dica che tu sei comunque un privilegiato, pur in misura enormemente inferiore a quanto meriti. Hai guadagnato la fiducia di chi ti segue e ti insegue in un dialogo alla distanza che tu hai scelto e si contenta del poco. Ai liberi e ai miti il poco basta.
Quanto all'Italia, rassegnati, non è salvabile. Sarà mica colpa tua!
Chi ha due affetti può dirsi fortunato, oggi come sempre. Cerchiamo di farli diventare tre, senza perdere i primi due.
E gli olivi, permettimi, dovresti potarli, per ragioni estetiche ma soprattutto farlo personalmente e con fatica per sgombrare la mente una qualche ora… So che lo farai.
Per l'anno nuovo ci augureremo che almeno non sia peggio del vecchio. Il Dolore è sempre in agguato ma noi siamo "antropoi", giriamo a testa alta, rivolta al sole.
Un abbraccio sincero.
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RispondiEliminaLa sua tomba viene posta nel cimitero del Père-Lachaise, anonima se non per una iscrizione tracciata a matita che recita:
RispondiElimina«Riposa: benché la sorte fosse per lui ben strana,
pure vivea: ma privo dell'angel suo morì:
La cosa avvenne da sé naturalmente
come si fa la notte quando il giorno dilegua»
Tratto da: Les Misérables di Victor Hugo.
Il controcazzari
Caro Alceste,
RispondiEliminacome sempre la tua profondita' di pensiero lascia senza parole; mi spiace, ma alcune mi vengono fuori anche in questa occasione.
Non mi sembra esatta la tua affermazione di non appartenere a nessuno: affermi sempre in modi diversi di appartenere all'Italia. Non lo vedi questo come un destino? Lascia perdere cio' che sei o a chi appartieni tra i tuoi contemporanei.
Lasciami dire poi che essere estromessi dal consesso sociale oggi sembra qualcosa di auspicabile poiche' farne parte ormai vuol dire dover inevitabilmente scegliere tra l'essere carnefice o vittima, chi rifiuta intimamente entrambe le opzioni sceglie per forza altre vie, apparentemente (ma solo apparentemente) piu' dolorose. Ugualmente il successo, attualmente, e' solo la misura di quanto antiuomo si e' diventati.
Sai che non ci credo che hai rinunciato a venderti per istinto autodistruttivo? Mi dispiace che la vedi solo da questa prospettiva.
Mi fermo qui, non prima di aver augurato a tutti e soprattutto ad Alceste un sereno anno nuovo, con dedica di un pezzo capace di tenere compagnia anche ai piu' soli: https://www.youtube.com/watch?v=C15OTz1kT6Y
Un caro saluto,
Ise
Sono qui per caso, forse.
RispondiEliminaIn attesa che il programma completasse la compilation preparata per domani sera,
ho spulciato questo blog, in cerca di qualcosa di bello.
La solitudine di cui ho letto, è quella di chi arriva sulla vetta e non ha nessuno con cui divedere il panorama. Ma la bellezza, è solo per sé stessi.
Un caro augurio e un grazie,
per aver voglia di dividere con noi sconosciuti, i frutti del suo giardino.
Caro Alceste hai tradotto i miei pensieri. Li hai messi per iscritto. Non potevi farlo meglio. Grazie di cuore. Buon anno! (se significa ancora qualcosa).
RispondiEliminaQuesta solitudine cosmica, edulcorata appena un po' da un pizzico di virile narcisismo, è la maledizione e il privilegio degli spiriti nobili. Io penso che molti dei tuoi lettori (proprio in quanto tuoi) abbiano la delicatezza per comprenderla e sentirsi soli insieme a te. E già che ci siamo ci prendiamo il merito di averti trovato (e mai più lasciato) nello sconfinato deserto del web visto che da buon misantropo non sei mai uscito dalla tua caverna per venirci a bussare alla porta di casa. E rivendichiamo anche il fatto che, in qualche modo, appartieni a noi, o quantomeno ci appartiene la tua eredità intellettuale che custodiremo come un prezioso tesoro. Per ora siamo ancora pochi, è vero, ma Cristo aveva 12 apostoli, e neanche tutti proprio raccomandabili.
RispondiEliminaBuongiorno,
RispondiEliminami scuso per l’anonimato, ma non ho un account Google, metterò comunque il mio nome in calce.
Alceste, da qualche mese leggo i Suoi scritti e mi è parso che Lei sia una persona di grande rigore morale, ma, ripiegata su se stessa in un mondo al quale Lei non sente di appartenere.
Allora parliamo di questo mondo: per chi ha qualche capello bianco, e soprattutto per chi ha occhi che sanno osservare, la direzione intrapresa, o impostaci, è il superamento dell’antropocentrismo, attraverso la dissoluzione delle regole morali e, quindi, dell’uomo stesso.
Per quanto mi riguarda, l’accoglienza di Cristo nel cuore, dopo un periodo travagliato, mi rende più forte e stabile in questo caos diffuso; comunque, mi rendo ben conto, che è un percorso assolutamente individuale: è la via del cuore, ma anche della testa: la ragione, illuminata dalla Parola di Dio, non deve venire mai meno.
Al di là della fede, però, le nostre radici (intendo di noi italiani) sono nella civiltà cristiana come ben spiegato in alcuni video in rete dallo storico, nonchè cattolico duro e puro, Massimo Viglione, un uomo che si definisce medievale e che, secondo me, se fosse esistito a quel tempo sarebbe stato un leale cavaliere del re e del papa (non di quello attuale, s’intende).
Alceste, il Suo amore per l’Italia, la nostra patria (parola caduta in disuso nell’epoca attuale), è indice di purezza d’intenti, ma è anche il sentirsi vicino ai nostri avi, che regolavano la loro vita su fatica, famiglia, tradizione e preghiera a Dio. L’appartenenza a Dio è l’unica verità che dà senso alla vita.
Buon anno,
Anna
E la soddisfazione di essere "Consapevoli"? Di mettersi nei panni degli altri Esseri Viventi? Di godere nel "dire" L'Infinito di Giacomo Leopardi, perché PURTROPPO non si è soddisfatti di nessun altro "attore"? Di accogliere ogni giorno un pensiero derivato ma originale? Nel pensare Matematicamente la Filosofia? Beh auguri a Te e Tutti i Tuoi Dottissimi e Profondi "Corrispondenti". Intelligenza Intelligenza chiama.
RispondiEliminaDa pochi mesi ti ho incontrato.
RispondiEliminaTu hai dato voce alla mia solitudine.
I tuoi pensieri sono i viandanti silenziosi della mia vita.
Ho lasciato che la forza mi guidasse ma mi sento.come Orlando sulla roccia o il gabbiano sulla rena alla fine dei voli.
Pure Robin.si pose delle domande.
Infine
Contessa che mai la vita.
Grazie a te che trasmuti in scritti e dai forza ai.miei pensieri,
Daya
Due citazioni, lette pochi minuti fa, e come non ricordare e dedicartele.
RispondiEliminaVittorio Ciarrocchi. Povera Italia, notarelle di Storia e Costume. Anno 1994
Al ricordo di una passata conversazione con una “persona colta, per carità”, ma “dall’aria spocchiosa”, concernente la battaglia che l’autore del libro conduceva per difendere la lingua italiana dall’invasione del gracidare straniero, gracidare e invasione giudicate inevitabili da quello, il Ciarrocchi citava il motto un nobile olandese: Non sempre c’é bisogno di credere nella vittoria per continuare a combattere.
L’altra, di citazione, dopo poche frasi, il frammento di una satira , del poeta Lucilio, secondo secolo a.C.
D’altra parte ci ostiniamo a credere che la virtù consista nell’onorare ciò che realmente merita; nell’essere nemico pubblico e privato degli uomini e dei costumi corrotti; nell’essere invece difensore degli uomini e dei costumi onesti… nel mettere in primo luogo gli interessi della patria; poi dei genitori; terzi e ultimi, i nostri.
Grazie, Alceste.
Alceste, che dire, grazie per ciò che comunichi, di fronte al naufragio un faro non può che far bene...trovo ricostituente leggerti, uno stimolo a proseguire in questa notte buia, soli od insieme ad amici. Amici che invito a leggerti.
RispondiEliminaTi auguro ogni bene. Silger
Caro Alceste,
RispondiEliminaIo, come te, sento di appartenere solo a me stesso, vivo lo stesso sconforto, la stessa assenza di prospettive, lo stesso disgusto per il quotidiano trafficare umano, e tutto questo mi ritrovo a doverlo condivivdere pure con una compagna che per autodifesa, (o forse perché il sistema ha già agito troppo profondamente?) non condivide la nostra stessa lucidità, tacciandomi di eccessivo "pessimismo", quando continuo a dire, se si smettesse con la strameledetta retorica della speranza, l'autoinganno perfetto, forse allora si farebbe tabula rasa...
Anche per me musica e letture hanno perso in parte il potere catarchico, forse ho letto troppo, ascoltato troppo...
Apparteniamo a noi stessi in quest'epoca nichilista, ma pensa, gran parte delle cose che ammiri, che rimpiangi, e di cui credo avresti voluto partecipare, furono create da esseri umani che sentivano di appartenere a qualcosa, a un'idea, un dio, un ideale, una cultura, un progetto, un popolo.
Quindi, apparteniamo a noi stessi per volontario esilio, per restarci fedeli. Non sarei disposto a muovere un dito per questo Paese svenduto, opportunista, mediocre, squallido e ondivago. Ma perdio, datemi un qualcosa in cui potermi liberamente riconoscere, in cui realizzare qualcosa che per me possa davvero avere significato, e butto alle ortiche questa misera esistenza, anche solo per un lampo di bellezza effimera, alla maniera giapponese.
Pensaci, la bellezza che hai scorto in quello stormo di uccelli è il frutto di un'azione collettiva, unitaria, disciplinata e armoniosa, di esseri uniti da uno stesso fine.
P.s. Passerò questo capodanno in compagnia della mia bronchite in solitudine a casa, mi risparmio la farsa dell'ottimismo forzato. A te comunque auguro buone cose.
Purtroppo in Occidente il capodanno e le feste natalizie, inclusa la loro celebrazione, sono divenute cosi' piene di aspettative ed esultanza obbligata che inevitabilmente fanno piombare gli individui in una grande angoscia.
RispondiEliminaNoi quest'anno sotto l'albero abbiamo fatto trovare ai figli l'indirizzo del luogo in cui fare da garzoni part-time durante le brevi vacanze per guadagnarsi quello con cui potranno poi regalarsi quel che vogliono. Avendo raggiunto l'eta' minima per l'impiego e vivendo (ancora per poco) lontani dagli spossanti condizionamenti sociali, la cosa e' stata accettata senza grandi proteste. A mezzanotte ieri si e' mangiato gli spaghetti della longevita' (i ramen). Similmente alle lenticchie in Italia, che portano ricchezza, qui si preferisce augurarsi longevita' con lo spaghetto lungo. Domani andremo al tempio per ringraziare gli spiriti del posto dell' ospitalita' e protezione accordataci lo scorso anno. Ogni anno, in ogni luogo in cui abbiamo vissuto, abbiamo fatto tale rito di ringraziamento.
Prendendo spunto da tutti i bei commenti, direi che si appartiene a cio' a cui si e' fedeli. Piu' gli si e' fedeli e piu' gli si appartiene.
Questa fedelta' a volte richiede un atto di fede, e qui l'uomo moderno cede. Peccato, perche' il senso e il significato delle cose che fa glieli puo' dare solo lui, con quell'atto di fede. Se oggi non esistono piu' valori e comunita' unite che li proteggono e' anche perche' manca a priori la fiducia nell'altro e infine quel coraggioso atto di fede che ne rende possibile l'attuazione.
Inoltre credo che a volte si rischia di confondere l'appartenenza con la convenienza. Sinceramente, le "appartenenze" che vedo oggi, sono convenienze del piu' basso livello, che poi si camuffano bene. Molte sono cioe' consorterie per portare avanti non idee o ideali o principi per il bene comune a lungo termine, ma solo il piccolo tornaconto del piccolo uomo chiuso nel proprio microcosmo esisteziale del qui e ora. Di queste appartenenze ne faccio volentieri a meno. Si ciancia di progresso, ma io attendo solo il progresso dell'umilta' e della sincerita', cose che sono invece in evidente regresso. Della solitudine rigenerante non potrei piu' farne a meno; di quella cosmica che distrugge l'individuo invece ho poca esperienza, forse sono privilegiata o forse un poco bacata, ma non mi sono mai sentita totalmente sola, sempre accompagnata, anche e soprattutto nella dolce solitudine.
Ma percepisco bene che siamo chiamati a vivere il chaos, il Ran 乱 di Kurosawa che Alceste ha messo a lato, il cui carattere 乱 paradossalmente, inizialmente, indicava due mani che mettevano ordine nell'intricato ordito dei fili di seta, senza mani capaci di pettinarli e lisciarli, questi creavano nodi e mulinelli (i nostri loop mentali) inestricabili. Inizialmente ran significava l'esatto opposto, poi le mani guaritrici hanno ceduto, negletto il loro compito, perso l'atto di fede, ed ecco il disordine, il chaos, Ran 乱.
Saluti e salute,
Ise
Cara Ise,
Eliminami scusi se la correggo, ma devo informarla, per proteggerla dal rischio di essere accusata di diffondere fake news, che lei la sera di capodanno non ha mangiato i ramen, sebbene avesse tanto voluto avere quelli tra i denti, o meglio gli originali laghman che un poco le ricordano gli spaghettoni della nonna. Lei quella sera ha invece mangiato la soba, quella tradizionale giapponese doc, spaghettini finissimi di grano saraceno, estensori di lunga vita e insipidi al punto giusto.
I ramen, invece, sono quelli di farina bianca stirati a mano, che provengono dai lamian cinesi, che forse provengono dai laghman uiguri...anche se wikipedia-versione ufficiale vuole che abbiano fatto il giro dalla Cina verso ovest e poi ancora piu' ad est: a volte si capisce perche' i cinesi rivendichino sempre piu' origini o affinita' con un certo popolo, anche a loro piace arraffare tutto quel che incontrano, e diffonderlo come loro esclusiva proprieta' intellettuale, per la gioia di sentirsi dire dagli altri che sono i piu' intelligenti, anche quando non e' proprio tutta farina del loro sacco.
Ne approfitto quindi per correggere anche la univoca versione wikipediana, avvertendola che laghman puo' derivare dal persiano o da una parola mongola poi entrata nel dizionario turco. La verita' comunque e' certamente sepolta nella tomba di Marco Polo.
Guardare i preparatori di laghman nei mercati centroasiatici e' come contemplare un'opera d'arte: l'impasto viene allungato tra le mani con energiche estensioni delle braccia, poi disteso ripetutamente sul tavolo di lavoro per qualche spolverata di farina e riportato a vibrare in aria con scosse vigorose e sudate, il tutto a ripetizione finche tra le mani del prestigiatore artista si vengono a formare dei lunghi fili di farina, simili ai fili di seta pettinati dalle premurose mani femminili.
Infine le mostro il Ran originale 亂 o 𤔔 dove si vedono meglio le dita che pettinano la seta di cui Lei parlava. Credo che Lei sappia che ad eliminare dal simbolo originale le mani pettinatrici e creatrici di ordine che anticamente gli donavano il significato di "governare", fu quel comunista gattopardo di Mao, di qui il chaos e il disordine incurabili che Kurosawa ha sublimato nella sua creazione.
Cordiali saluti,
I.S.E. (Incorrect Sentences Eraser), il correttore automatico di Ise
E che dire di me,che nemmeno mi appartengo.La solitudine che provo non è colmabile neanche dalle persone,dalla famiglia,dalla comunità(che certo non esiste più).E' una solitudine da mancanza di un centro interiore,di una incapacità di sentire con il cuore più che con il cervello se stessi.E' il capolavoro dello spirito moderno,sradicarci da dentro,tu li hai chiamati giustamente i cava anime.Mi rendo conto che l'autocensura,quando si dialoga con chi è lontano da certe posizioni lontane dalla mia,e cosi con chiunque sia fondamentale("dosati e gli altri ti sopporteranno" scriveva un poeta),ma spesso parlano i miei occhi da cui traspare una rabbia,una violenza di fondo che questa mancanza di baricentro causa.E' un lavoro immane il sapersi relazionare,ma non ci sono alternative essendo noi animali sociali.Non scoraggiarsi davanti all'ora più buia,questo Alceste me stai insegnando anche tu.
RispondiEliminabrevi testimonianze di due anime solitarie:
RispondiEliminaLo straniero
il fu rabal
“Dimmi,uomo enigmatico , chi ami di più? tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?
– Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.
– I tuoi amici?
– Usate una parola il cui senso mi è rimasto fino ad oggi sconosciuto.
– La patria?
– Non so sotto quale latitudine si trovi.
– La bellezza?
– L’amerei volentieri, ma dea e immortale.
– L’oro?
– Lo odio come voi odiate Dio.
– Ma allora che cosa ami, meraviglioso straniero?
– Amo le nuvole… Le nuvole che passano… laggiù… Le nuvole meravigliose!”
A Venezia
Nelle umide inquietudini, d’Inverno,
Sotto un cielo stillante incessanti gelide pioggie,
Inseguo vanamente fantastiche chimere che sempre
Sfuggono nei bagliori angentei di un sole che non c’e’.
Nello sbocciare delle folle, in primavera,
Sotto un sole spietato, tra le calli insenguo
il miraggio del senso e maledico questo sole
che uccide le chimere e tutto quello che non c’e’.