Giochi a Trastevere. Dall'album "Roma sparita" |
Roma, 22 maggio 2018
Ivan Karamazov.
"Io, vedi, sono un appassionato e un collezionista di certi
fatterelli, e me li appunto e ne faccio raccolta di sui giornali e
dalla viva voce, comunque me ne venga il destro, cosicché d'un certo
genere di piccoli aneddoti posseggo ormai una buona collezione".
Fatterelli. Sì,
ormai vivo per i fatterelli. Le inscrivo, tali pinzellacchere, nel
cerchio fetido d‘una basilare interpretazione: il mondo attuale è
il mondo di appena ieri, ma al contrario. Il mondo al contrario. E
tutto va a posto. È così. Fatti, aneddoti, rivendicazioni, slogan.
Non si ha da essere cristiani per capire che la croce al rovescio è
il simbolo dei tempi a venire, insomma. La croce del sabba è solo
uno dei simboli dell'inversione universale. Ogni sincero ateo
dovrebbe convenirne.
Sutter Cane. I
fatti e gli aneddoti in sé sono ridicoli. Degni delle nostre risa.
Eppure, nella loro evidente, violenta, sopraffazione, assolutamente
spaventevoli. Come nell’ultima scena de Il seme della follia
in cui il protagonista, a rivedersi sullo schermo mentre cerca di
impedire la dissoluzione del mondo a opera di Sutter Cane, prima
trasecola, poi ghigna incredulo, quindi ride, con fare sempre più
liberatorio, irresistibilmente, sino alle plaghe in cui si cede alla
disperazione estrema.
Nuovi tempi.
Basilica di San Giovanni in Laterano come discoteca per migranti. La
cattedrale della Diocesi di Roma, retta direttamente dal Papa. La
Festa dei Popoli: ma quali popoli? “Earth Day Italia sarà
presente alla XXVII edizione della tradizionale Festa dei Popoli,
organizzata dall’Ufficio Migrantes della Diocesi di Roma e dalla
Caritas di Roma in collaborazione con le comunità cattoliche
etniche, con impresa Sant’Annibale Onlus e con numerose realtà
impegnate sul tema delle migrazioni“. Ecco, forse ora ci siamo.
Balli etnici e tribali all’interno della Basilica. I Trinca Bongo
fanno baldoria. Una festa. Più una balera che una chiesa, via.
Nessuno ha da ridire, per carità. Un fatterello, un aneddoto.
Cosa ne vogliamo
inferire? Che Bergoglio, il gesuita col nome da francescano, è un
imbecille? No, non lo è. Bergoglio, in nome del Potere, ha stretto
un nuovo Patto, epocale, con le forze del non essere e
dell’autodistruzione (sono le parole, esatte, del Grande
Inquisitore di Dostoevskij). Anche di potere si tratta. Egli
liquida la propria tradizione come una carabattola usata per servire
il Costantino di un nuovo Impero, l'Impero del Nulla. Entrare in
una nuova era con le stimmate dei dominatori liberandosi del
Cristianesimo! Un vero atto gesuitico! Eppure è così.
Nuovi tempi/2.
Nella Cappella di San Giorgio, il Principe Harry sposa Meghan Markle,
di madre africana, già divorziata, attricetta di Hollywood. Il
sangue dell’aristocrazia s’ha da rinnovare. Qualche opinionista
insinua: Elisabetta è stata umiliata. Tale considerazione rivela la
poca comprensione dei tempi attuali. Elisabetta II, come Bergoglio,
in nome del Potere, non fa altro che acconciarsi al Patto con
l'Imperatore del Nulla. Nella Cappella di San Giorgio irrompono
cori gospel e scemenze da Blues Brothers; individui spietati
come Carlo d’Inghilterra e Filippo di Edimburgo chinano
benignamente il capo. Per la pagliacciata ecumenica si recluta anche
Michael Curry, vescovo di Chicago: un ciarlatano alla James Brown,
più bravo a dirigere le Supremes che a estrarre sillogismi; eppure,
lì dentro, era il reale trionfatore. Lui, il cavallo di Troia del
Nulla, assoldato dall’Imperatore stesso, felice come può esserlo
un belinone usato per uno scopo ben preciso; tanto più felice quanto
più ignaro del contesto. Presto verrà gettato nell’immondizia
come tutti gli agenti provocatori, ma intanto se la ride. C’era
anche un tizio bianco alla funzione; ignoro se fosse vescovo, o un
sacerdote lì di passaggio per pulire le piastrelle. L’ho
intravisto un attimo: pareva un reietto, uno di troppo; qualcuno che
intuisce che il proprio tempo è scaduto.
In uno dei mirabili
raccontini de Il Novellino un giovane interroga due individui:
Ecco il primo: "Uno,
che aveva il cuore più ardito e la faccia più tranquilla, si fece
avanti".
Il secondo: “Una
persona d’aspetto nobile che aveva una faccia timorosa e stava più
indietro che l’altro. Non così arditamente disse ...“
Il primo è un mercante,
molto ricco; il secondo un re. Il Novellino, raccolta
nostalgica di favole, vuol dirci che il tempo dell’aristocrazia è,
di fatto, finito; s’avanza il borghese, iattante e sfrontato. I re
si tirano indietro. Qualcuno d‘essi, pur di resistere, si farà
mercante o banchiere. Il tempo della bontà degli "antiqui
huomini", però, era già chiuso.
Dante, col suo Carlo
Martello, ne fu nostalgico cantore, al pari di Ariosto, Tasso e
Cervantes.
Cannes. Altro
giro, altro aneddoto. A Cannes trionfano i diversi. Tanto per
cambiare. Asia Argento mostra il dito medio: basta, mai più
Weinstein. Anche Besson è nei guai. Pure Alceste potrebbe finirci,
se continua così.
Vince la Alice
Rohrwacher, con la storia di uno scemotto; poi c’è il canaro
poveraccio, interpretato da un altro poveraccio che viveva in una
discarica; rileva, quindi, inevitabile, la solita famiglia giapponese
scoppiata, col segreto inconfessabile; indi un negro infiltrato nel
Ku Klux Klan. Mai una cosa dritta, una luce benigna, una estate di
Kikujiro a sfondo lieto. Oppure un’opera che ragioni de le superne
cose de l’etternal gloria. E per fortuna non c’era quel gatto
nero di von Trier. Il desolato, lo slavato, il vuoto, l’informe, il
piccolo, il disarmonico piantano continuamente i loro vessilli su
tutti i cocuzzoli disponibili. Ciò che è pieno, positivo, ricco,
debordante, gioioso, nella disperazione e nelle impennate di felicità
che proprio la disperazione riesce a dispensare – tutto questo è
rifiutato, visto con sospetto: tutto questo è razzista. La minoranza
dei diversi governa esteticamente sulla maggioranza; per
colpevolizzare la maggioranza; chi non pensa che uno storpio sia
artistico, insomma, è filonazista. O pazzo. A me andrebbe pure bene;
se non che tale nuova arte è di una povertà raggelante. Esaurisce
sé stessa nel messaggio corretto. O nel compiacimento del brutto e
del disagio. Al di là dell‘arroganza dei buoni non c’è nulla.
Il Grande Inquisitore. Il fascino del non essere e dell’autodistruzione, ecco cosa si cela dietro all’inversione dei poli naturali dell’umanità. Bergoglio, Elisabetta II, Cannes rendono onore a tale precessione degli equinozi morali. Ci attende l’inorganico come ideologia; il feudalesimo come politica. Il non essere attende a fauci spalancate da sempre. Una nuova definizione del "bello": trincea contro l’informe. La civiltà come reazione al Nulla protozoico che ci reclama biologicamente da quattro miliardi di anni. Ora è qui.
Il Grande Inquisitore. Il fascino del non essere e dell’autodistruzione, ecco cosa si cela dietro all’inversione dei poli naturali dell’umanità. Bergoglio, Elisabetta II, Cannes rendono onore a tale precessione degli equinozi morali. Ci attende l’inorganico come ideologia; il feudalesimo come politica. Il non essere attende a fauci spalancate da sempre. Una nuova definizione del "bello": trincea contro l’informe. La civiltà come reazione al Nulla protozoico che ci reclama biologicamente da quattro miliardi di anni. Ora è qui.
Chartres. Cosa
significa tanto spreco? Capitelli, volute, fondi pittorici,
levigature, colonnine a fascio, meticolosi appiombi, nervature, volte
monumentali, sbalzi, ornamenti, graniti, ori, marmi lungamente
ricercati. Perché un artigiano sprecava giorni per scolpire una
foglia e della frutta su una singola forchetta? Cosa abbiamo qui?
Perché l’utilitarismo era disdegnato, al pari del commercio?
Perché tali insorgenze, filtrate lungamente da decine di migliaia di
anni di artigianato, costituivano il Vallo di Adriano a protezione
dell’umanità stessa. Son bastati trent’anni di sfrenato Jeremy
Bentham e compagnia per ridurci ai negozi cinesi che puzzano di
diossina.
Perché la cattedrale di
Chartres? Perché è bella? Lo è, e tutti, istintivamente, debbono
riconoscerlo poiché sta come una maschera apotropaica contro il
mostro primordiale che ci rivorrebbe a sé: il Nulla.
Ogni scrittore definitivo
ripete tale favola. Il dionisiaco reclama il Nulla, ma l’apollinea
potenza dorica lo neutralizza componendolo nella suprema forma d’arte
antica: il teatro greco. I Grandi Antichi di Lovecraft dormono per
milioni di anni: il loro risveglio coincide con la dissoluzione del
mondo: solo qualche studioso, pio e apollineo, può sconfiggerli; il
Maëlstrom di Poe; l’istinto di morte di Freud; la Bestia
dell‘Apocalisse. Di cosa abbiamo paura? Della morte? Non della
morte fisica, la Sorella Morte, dolce e naturale amica che fa
schioccare le ossa come un breve richiamo, ma dell’entropia
interiore in cui cessa l’alto e il basso, e in cui l’indeterminato
annulla ogni gerarchia sino a degradarci nel fango.
Destouches. Non ho
avuto maestri. Per tale motivo ho perso troppo tempo dietro false
piste, allettanti sentieri che davano su dirupi, vicoli ciechi. Per
tale motivo mi ritrovo a dare ragione a quel porco di Destouches dopo
aver passato metà della vita a dargli addosso. Sì, aveva ragione
Destouches. L’Europa del tam tam è alle porte. L’Europa
tamtamizzata. Aveva ragione lui.
Il Re del Mondo.
Le guerre, le pestilenze, i massacri: non era quello l'inferno. È la
piccineria, la mediocrità, il contrario, l'insensato, il brutto a
costituire i caratteri primari del diabolico. I migliori scrittori ci
avevano avvertito. Rileggiamo Enoch Soames, un delizioso
raccontino di Max Beerbohm: un mediocrissimo artista vende l'anima al
diavolo per viaggiare nel futuro e scoprire se i posteri lo
ricorderanno. Ma egli non viene annotato da nessun diario, storia
letteraria, biografia. La mediocrità gli si attaglia sino
all'inosservanza. Ritorna dal futuro dannato e gonfio di una
malinconia immedicabile. Il diavolo, un mediocre imbonitore, mal
vestito, astuto, kitsch, se la ride, ovviamente. Sì, sono tempi per
uomini da poco, perduti, senza direzione, per cui il giallo e
l'azzurro son indifferenti. Le stragi, i roghi, la paura donavano
senso alla vita, ora la melma invade ogni cuore. Ci si rassegna a
scavallare un giorno dopo l'altro, come cucchiaini da caffè o come i
giorni d‘un calendario privi di date in rosso. Alcuni miei
conoscenti non sanno mai di che giorno stia parlando: oggi è
martedì? Ma quale martedì? O mercoledì ... è il 23? Martedì 24?
O mercoledì 24? Già siamo al 26 del mese? ... Sono costretti a
mettere sveglie, avvertimenti sonori, post it ... la vacuità dello
ieri assomiglia troppo al domani e l'oggi assume contorni vaporosi,
indistinti, simili allo ieri e all'oggi. Mia figlia ... l'ho portata
al nido oppure no? Mia figlia ... mia figlia ...
L’inferno. Ne ho
la certezza: questo è l'inferno. Quelle noterelle di cui parlavo
affastellano i pensieri, caotiche, stupide, pletoriche ... il
cicaleccio pare l'impronta genetica della postmodernità. Un vero
silenzio è impossibile. La creatività ne è soffocata, al pari
della meditazione, dell’accortezza, della libertà. Della
preghiera. Un Pater Noster, come mi confessava un ex seminarista
qualche mese fa ... compitare un Pater Noster ha i contorni
dell'impresa ... "Io lo recito mentalmente ... ma già dopo
poche parole i pensieri mi invadono ... devo riacchiappare il filo
con uno sforzo tremendo ... impormi quelle parole ... e poi, alla
fine, cosa ho recitato? Neanche in chiesa trovo il modo di
concentrarmi ….". Lo diceva Elémire Zolla: la disciplina
si fa impossibile, vige la fantasticheria più superficiale, il palo
in frasca, il mucchio di immagini frante. I nostri pensieri più
riposti sono uno sgabuzzino di cianfrusaglie inservibili dove rottami
e soprammobili inutili convivono con le affievolite speranze e con
ciò che costituiva il nostro orizzonte più sacro. La prosa d'una
semplice preghiera, la disciplina mentale, un'arte qualsivoglia,
l’accorto rimuginare, persino la mnemonica delle tabelline: tutto
questo sta divenendo esercizio per uomini sceltissimi. I più
naufragano nell'indifferenziato dove le minuzie digitali, incessanti
e innecessarie, valgono il pianto d'una neonata.
Il mondo perduto.
A cosa si rinuncia veramente? Proviamo a spegnere il cellulare prima
di arrivare al lavoro. Fra mezzi pubblici, passeggiate e caffé, a
Roma, il solo tragitto sino all'occupazione da reddito può arrivare
a diverse ore.
Lo smartphone, la
connessione a tutti i costi, divora tali momenti; si è sempre sul
chi vive, le note acustiche squassano il marchingengno senza requie:
dobbiamo guardare, rispondere, partecipare, condividere. E se fosse
una cosa importante? Allora si subisce il pattume. Ma a cosa
rinunciamo? Ve lo dico io: a quell’otium, un’indfinibile stimmung
fra noia e pigrizia, che costituiva il punto di ristoro dell'essere.
Guardare fuori da un finestrino, leggere qualcosa, collezionare visi
e movenze e posture oppure chiudere lentamente le palpebre e
amplificare la vastità delle percezioni auditive: tutto questo
arricchiva la personalità e dilavava la personalità
dell'innecessario. Oserei dire: in quei momenti la personalità
sceglieva il meglio per sé, arricchendosi inconsapevolmente di
carattere e intelligenza. La meditazione donava salute, respingeva i
punti morti dell‘esistenza. Si vedeva meglio. Il quotidiano,
perciò, era affrontato con gaia leggerezza. Ora, alle nove del
mattino, si è già sfiancati. Alla sera svuotati, inservibili.
Nemmeno si ragiona più poiché il ragionamento è sostituito dalla
coazione a gesti e parole dannosi. Il peggio chiama il peggio,
irresistibilmente. Alla fine si ha paura fisica della spontaneità o
d’un trasporto affettivo sincero. La socialità, quindi, vive
necessariamente di frasi fatte, d’aborti di dialogo, d’un
linguaggio fàtico, vuoto e generico, che dispensa un’umanità
malata dalla possibilità, terribile, d'un moto amicale e creativo.
"OK", un emoticon come il pollice sollevato sono le scorciatoie
benedette per farla finita con il cuore e liberarci da una pur breve
pulsione di vita.
La vita, il sangue,
l’amore, la ricchezza, la definizione concettuale ci atterriscono.
L’inferno/2.
Siamo all'inferno, il dado è tratto. Anch'io faccio, ormai, fatica a
ritagliarmi uno spazio: per leggere, amare, ascoltare musica,
pensare. Non si ha mai tempo. Solo a prezzo dell'asocialità e del
disprezzo riesco a permettermi un territorio personale da cui dire:
fuori tutti. E però il quotidiano più triviale rifluisce sempre in
noi, si stipa nella coscienza, insinuandosi nelle fibre più
delicate, ci assorda anche nel sonno. L'attualità idiota, il
parlottio insulso, le cretinerie da serial hollywoodiano, le voci, i
volti, sempre gli stessi, con le identiche movenze, dall'Artide
all'Antartide, i giri di parole, le rodomontate ... non c'è modo di
sfuggire completamente. Assediano la veglia e l’apparente riposo.
Dormo ormai poco; le poche ore in cui mi prende il torpore sono a
volte spezzate da un’ansia insondabile: allora mi sveglio in preda
a una costrizione intellettuale e fisica, devo precipitosamente
accendere le luci, lavarmi con acqua fredda oppure aprire la finestra
e aspirare con voluttà l'aria della notte, meglio se questa
rabbrividisce per le fulminee ionizzazioni di un cielo tempestoso.
Sì, è dolce aspirare a pieni polmoni per contrastare la mano
possente dell’imbecillità che grava sulla respirazione o, forse,
per scuotersi dal petto l’incubo della sconfitta. L'inferno della
mediocrità, la certezza indubitabile che un’epoca è conclusa, lo
sfacelo di ciò che si ama, l’arroganza dei cretini col tam tam, la
sicumera degli usurai vanno a comporsi in un essere ultraterreno,
teratomorfo, reale, che, come la creatura di Füssli, risucchia ogni
flebile speranza o volontà di proseguire. La sensazione, passeggera,
ma intensa, è orribile ... Persino il buio che, una volta,
mi avvolgeva amico, come un mantello pacificatore, ora lo avverto
come un gravame insopportabile.
Lo spirito è prigioniero
di una melassa ignobile; impossibile dilavare tali oscene
fantasticherie; la stupidità attacca i centri nobili del pensiero,
li spegne e si sostituisce a essi quale fonte di realtà; si allarga
in metastasi invincibili sin alle cose, agli oggetti: le mura della
casa, i volti, la notte, i suoni si fanno latori di questa
invasione.
Into the wild.
Inutile opporre l'escapismo a tali incubi. L'escapismo
dell'occidentale attuale rischia la beffa e il ridicolo. O si finisce
come anacoreti da cartolina oppure si va al massacro. Georges Simenon
ha dedicato a questo tema alcuni romanzi: Turista da banane,
Hôtel del Ritorno alla Natura. La parabola di
Jon Krakauer in Into the wild, Nelle terre selvagge, è
la versione americana di tali fallimenti.
Il mondo perduto/2.
Finita la scuola, ci si recava ai muretti dei lotti popolari per
scambiare libri e giornalini. Jules Verne, Salgari, Topolino,
raccolte di favole, volgarizzamenti scolastici di chansons de geste.
Le estati duravano millenni. Sdraiati al fresco, sui balconi, la
mattina si leggeva. Quelle parole, lente, penetravano nella
coscienza. L’ozio e il silenzio le maceravano in nostra vece, noi
incoscienti, tramutandole nella prima sapienza. L’Olifante del
Paladino, raffigurato nello sforzo estremo, riposava nella cera molle
della nostra inesperienza e lì germogliava fantasticamente,
irradiando una luce ingenua e ricca che predisponeva l’animo alle
avventure del coraggio.
Dalle ringhiere interne
dei palazzi si dava voce a tutti. Elisabetta, Stefano, Enrico,
Mariagrazia, Davide, Alberto. Il pomeriggio si giocava. All’infinito.
Le estati duravano millenni. Nel cuore quelle letture fuggevoli:
Michele Strogoff oppure Orlando o Phileas Fogg. Esse ingigantivano,
come una concrezione benigna: chi avrebbe mai sospettato che quelle
umili parole avrebbero costituito le fondamenta della conoscenza e
della rettitudine?
Le nostre grida, gioiose,
fra le lenzuole profumate stese nei cortili, si univano ai richiami
delle rondini; l’azzurro fresco della sera veniva pian piano
punteggiato dalle lampade nelle case, accese, con quieta parsimonia,
dalle madri indaffarate.
Poi il buio a recare le
stelle; la contemplazione non temeva il futuro: c’era tempo.
Eravamo giusti? Felici?
Un anno fa hanno inaugurato delle nuove case popolari nel mio quartiere . Tutte date a stranieri (originari delle sacre terre di zingaria, burundia e cammelliland). Di pari passo (inspiegabilmente) sono aumentati furti, spaccio di droga e accattonaggio molesto. Siccome il quartiere era ancora uno dei pochi vagamente decenti il comune (targato PD) ha pensato bene di provvedere repentinamente per dare quel tocco di modernità etnica indispensabile ai tempi nostri. Il risultato è che nessuno adesso può fare due passi per strada in pace senza essere aggredito o molestato con richieste di vario genere (nessuno si salva: donne, vecchi, uomini e bambini).
RispondiEliminaTutto questo fa parte dell'universo polcor tanto caro ai sinistri nostrani.
La gente normale non reagisce più. E' assuefatta. Forse stanca, impaurita, impotente. Ci prendiamo quello che ci viene dato senza fare domande. Come dei maiali al trogolo quando gli danno il pappone. Gli indigeni sono lobotomizzati. AI nuovi arrivati (futuri italiani, per ora ufficialmente chiamati risorse) semplicemente non gliene è mai fregato nulla di questo posto che qualcuno di noi ancora si ostina a chiamare Italia e si limitano a succhiare il sangue della società locale come tante sanguisughe, come cavallette su un campo di grano.
Che futuro sarà?
Domenica guardavo nei pressi di una chiesetta una terracotta invetriata di Andrea della Robbia e mi chiedevo: "Domani qualcuno ricorderà?". Io non credo. Tutto sarà lasciato al totale decadimento, nessuno interverrà. Cosa vuoi che gliene importi ai "nuovi italiani", oppure ai "vecchi sinistri italiani". Secondo me nulla.
Ho ritrovato dei vecchi fumetti di Tex in garage. Sembra un personaggio di altri tempi, di un altro stampo. Le storie sono ambientate nel selvaggio West, ma certi dialoghi ricordano la vecchia Italia. Mi sono addormentato col pensiero di Tex Willer e Kit Carson e di come avrebbero reagito di fronte ad una mostra d'arte contemporanea, o ad un convegno del PD, od ad un seminario di Sel presentato dalla Boldrini, o ad una manifestazione anpi o cgil con in prima fila risorse etniche appena sbarcate.
Il buon vecchio Tex avrebbe saputo lui cosa fare...
(1) Risulta sempre più evidente come la “chiesa” sia schierata non per la cessazione del fenomeno migratorio, ma “solo” per l’accoglienza (a carico degli italici, è ovvio!). E se si azzarda a chiedere perché dovemmo accogliere milioni di negri, ecco che le dighe si rompono, le cataratte sono spezzate e ti senti ragliare addosso: “scappano dalla guerra! Bisogna accoglierli perché è un dovere umanitario! I diritti dell’uomo! PORCA PUTTANA I DIRITTI DELL’UOMO!” e non serve assolutamente a nulla ragionare con tali esseri. Non serve a nulla fargli notare che i “boveri brofughi” che scappano dalle guerre in realtà non arrivano neanche al dieci per cento del totale, che in pratica sono tutti “migranti economici” e perciò la chiesa invece di piagnucolare notte e giorno sull’accoglienza potrebbe prendere posizione contro gli enti economici internazionali che dissanguano quelle economie (come il FMI o la Banca Mondiale). Non serve a nulla fargli notare che la crisi economica, sociale e culturale che stiamo vivendo non ci permette di accoglierli a milioni e che fare ciò significherebbe aumentare i problemi sociali che già ci attanagliano, sia a scapito dei negri che a scapito nostro. Non serve a nulla fargli notare che l’immigrazione non è un problema, ma è la conseguenza di una serie di problemi di natura economico-sociale e che perciò se si vuole risolverlo non bisogna agire sul sintomo (e cioè sul fenomeno migratorio; con l’accoglienza) ma sulla causa (e cioè sui motivi che determinano l’immigrazione). Ormai è ovvio che la chiesa non vuole risolvere il problema migratorio (altrimenti avrebbe preso posizione contro i fenomeni che lo causano); la chiesa vuole vedere l’Europa piena di centinaia di milioni di negri. L’italico medio non solo è ignorante e non sa tutto ciò, ma non riesce nemmeno a capirlo se glielo spieghi. Ormai l’hanno trasformato in un animale in tutto e per tutto; l’unica cosa che riesce a sentire sono i suoi impulsi animaleschi; la vita per lui è un riempirsi lo stomaco e svuotarsi l’intestino, giornaliero. Il gesuita poi sta distruggendo tutto in una maniera veramente sfacciata; tant’è vero che ha subito anche l’anatema (la maledizione di Dio) da parte del Patriarca Cattolico Bizantino (https://www.youtube.com/watch?v=eIjY_gQXjz8 ). Si fosse comportato in questo modo qualche secolo fa e lo avrebbero arrostito immediatamente; altro che misericordia.
RispondiEliminaRiguardo alla vecchia inglese: ormai la corona è diventata un fenomeno da baraccone. Un’attrazione da tirare fuori alla bisogna, durante le feste, le varie cerimonie e cretinate assortite. Serve solo come comparsa: arriva, saluta con la mano a coppetta, mostra il suo nuovo cappellino e poi torna a casa a fare le parole crociate. Il degrado del valore, anche solo simbolico della corona, non è certo iniziato oggi o ieri, già Evola lo aveva notato quando la tizia fece cavalieri i beatles. Non mi stupirei se tra poco la vedremo in televisione, in uno spot mentre pubblicizza un adesivo per dentiere (in Italia è successo già; costui è un membro della famiglia reale italiana: https://www.youtube.com/watch?v=Ga-pseHNZoY ).
(2) Riguardo al Maestro, posto un altro suo libello infernale: https://archive.org/details/LaScuolaDeiCadaveri
RispondiEliminaHo da poco scoperto uno scrittore interessante: Jean Cau. Era uno scrittore di sinistra, fu vicino anche a Sartre. Col passare del tempo però si è accorto del degrado in cui era lanciata la civiltà europea, di ciò che stava diventando e di ciò che era stata. Allora è diventato un cantore del tradizionalismo antimoderno. Riporto un passo di un suo libro: “Ho voluto, in questo libro scritto di getto, diagnosticare le ragioni del disastro, del disordine e della disperazione che piega le ginocchia di un Occidente a corto di fiato, di miti, di stile e di morale. Per molto tempo ho pensato in sintonia con la decadenza e vi ho trovato tutte le delizie e le facilitazioni. Dopotutto, lasciarsi cullare dalle onde, anche se il mare è inquinato, è piacevole. Mi è stato promesso un bell'avvenire di pecora intellettuale belante le utopie moralistiche del tempo. Il secolo è folle. Folle di viltà, di spirito rinunciatario, di menzogne, di imposture e di brutture. Non ne potevo più. Ho voluto rendere una testimonianza” (http://www.libreriaeuropa.it/scheda.asp?id=795 ). Quando ho letto la sua storia, ho pensato a lei sior Alceste.
Sior Alceste devo darle una bacchettata sulle dita. L’otium nel suo significato originale, romano, apollineo, non era “un’indefinibile stimmung fra noia e pigrizia”. L’otium detto in parole povere, era il lavoro che non veniva fatto per denaro, era il lavoro spirituale, era il filosofo che pensava seduto su una pietra, era il poeta che ammirava l’orizzonte all’imbrunire, lo scultore che plasmava nel marmo la rappresentazione perfetta dell’essere umano. L’otium era il lavoro dei patrizi, era il lavoro nobile, quello che innalza lo spirito umano; oziare dunque significa crescere interiormente, non degradarsi nel nulla (giocare a briscola al bar, per intenderci). Il contrario dell’otium era il NEGotium e cioè il lavoro fatto per danaro, l’azione fatta per un tornaconto materiale. Questo era il lavoro del plebeo o meglio ancora dello schiavo, di colui che è capace solo di pensare in termini materiali, animaleschi (e perciò era relegato all’ultimo scalino della gerarchia sociale). Da ciò si capisce che, oggi, la società è pervasa dall’animo servile e non da quello nobile. È per questo che attraversiamo un periodo di decadenza, siamo svuotati dell’alto, del bello, del grande, dell’otium e siamo pieni del futile, del piccolo, del degradato del negotium.
Quello della fuga nella natura è un cavallo di troia della decadenza. È solo un modo come un altro per affermare la teoria giusnaturalista: “la società è cattiva! L’uomo è buono per natura e la società lo corrompe! Dobbiamo eliminare la società!” ECCO L’ANIMA DELLA DECADENZA. Quello per cui dobbiamo lottare è esattamente l’opposto e cioè l’affermazione della società organica! La costruzione di una società in cui ogni persona ne è un elemento componente, partecipante a una civiltà superiore in cui vi si identifica e sa di esserne il custode per i posteri. Sogno una società fatta di contadini e artigiani, che sappiano di far parte di una civiltà millenaria, che vi si identifichino e che la tramandino! Per questo vale la pena vivere, vale la pena combattere e se è necessario morire. Nietzsche disse: “un giorno gli operai vivranno come i borghesi, ma sopra di loro, più povera e più semplice, la casta superiore. Essa possiederà la potenza.”
Enrico Barra.
Scritto memorabile! Eh si!
RispondiEliminaÈ bellissimo leggerti. Non credo che questa sia un'epoca di decadimento culturale. È solo più in vista la profondità dell'ignoranza di tutti. Molti non si preoccupano di celarla, alcuni se ne vantano. Non credo nemmeno che la socialità digitale sia dannosa in sé. Ad esempio, ti leggo...
RispondiEliminaPer Anonimo:
RispondiEliminaDa collezionista di Tex (dal numero 1 in poi) capisco cosa intendi. Avrai notato, peraltro, come cerchino di addomesticare anche lui. Ancora non ci sono riusciti, però.
Enrico Barra:
Sull'otium e il nec-otium hai ragione. Però, per noia, non intendevo l'annoiarsi, ma il lasciare che le cose accadano mentre si studia negligentemente. Gli ultimi capoversi di ciò che ho scritto illustrano questo andamento lasco dell'animo, ma ben decisivo.
Questo Cau è oltremodo interessante, un altro milite passato ad apprezzare dopo aver disprezzato. Inevitabile, per certi versi.
Adriano Dragotta:
Grazie, di nuovo.
L’iniquitá del mondo amplifica l’assenza delle coscienze. La grandezza dell’essere annulla il niente collettivo.
RispondiEliminaUn bellissimo articolo di Carlo Brevi parlava della visione unitaria e lontana dell’aquila, rispetto alla visione multitudinaria e limitata della formica.
Dalla visione unitaria dell’aquila leggo la distruzione programmatica che riduce i limiti della comprensione umana, dalla visione della formica noto la gioia del mio essere e del mondo che mi circonda. I miei figli, mia moglie, il percorso della mia vita, le sere al mio ristorante dove, dopo uno stancante giorno di progetti e cantieri, ricevo gli amici bevendo un buonissimo bicchiere di vino. Consapevole che le mie gioie non mi distolgano da ció che è importante, la crescita del mio essere, crescita che avviene attraverso ció che genero, sia dalla sottilezza della mia mente, del mio spirito, sia dalla densita del mondo materiale.
Attorno a me il nulla, o piccole realtá individuali che non considerano l’essenza dell’indispensabile. Non posso rimunrginare sui limiti della collettivitá e del mondo: attraverso la porta passeremo di uno in uno, la porta del recinto di Zoser è cosí, la porta dei veri templi è cosi, … di uno in uno.
La vaquitá del mondo mi circonda ma non mi penetra, del resto il messaggio degli iniziati è stato sempre questo, la nullitá altrui eleva il mio spirito. La mia strada, il mio cammino, in salita sulla montagna mi porta a respirare l’aria piú pura. Il mio mondo è cio che penso, cio che penso crea il mio essere. Non è l’appiattimento new age del sto bene anche se mi cagano addosso, è la consapevolezza che dal fango nasce il loto.
Ho appreso a ridere del mondo e delle sue nefandezze proprio per la consapevolezza di cio che è, siamo nel gioco virtual-reale comandati da altri esseri che si nutrono delle basse vibrazioni, possiamo raffinarle con il nostro linguaggio forbito ma non dobbiamo nè crearle ne amplificarle.
Non mi avranno Alceste, potranno incutere il timore, la paura, l’odio ma non mi confineranno nell’eremitaggio della mia coscienza.
Lo spendido passaggio, da te descritto, delle estati della nostra fanciulezza, nel caldo far niente, nel cinguettio di un uccello di un albero di periferia lo vedo anche nelle partite di calcio di mio figlio nell’unica piazza ancora vivibile della cittá dove vivo, piazza che guarda caso è davanti il mio ristorante. La casualitá causalizzata della vita mi sorride, ed io sorrido consapevole e sornione.
…non ci avranno Alceste, il buio che ci opprime non spegne la luce del nostro fuoco : Siamo Giusti e Siamo Felici
Bene, in alto i cuori, allora!
EliminaIl seme della follia...sono 20 anni che non ne sentivo parlare... lo devo rivedere all'epoca ci piacque molto. Gran bel pezzo Alceste, certe sentenze sono scolpite!
RispondiEliminaIl video in fondo è un estratto dal film.
EliminaMi unisco a Francesco e, ciò, proprio per lo spirito alcestiano di elevata autocoscienza che straripa da questo scritto e, innonandoti, ti rinfresca visto il deserto di corpi, cose e luoghi per opposto affollamento. Il particolare sulla destrutturazione financo nei momenti di preghiera é molto vero rispetto a tutto cio che mi capita quotidianamente. Pure a persone che come me hanno pagato il prezzo del " non ci avranno mai", capita, senza manco aver potuto correre ai ripari prima, di essere tagluati fuori da se stessi. Quando non c é più società, pur in qualche vaga traccia come nel mondo perduto, gioco forza si spezza anche qualcosa dentro te, dall' autodisciplina a qualcosa forse di più vitale che non so dire in altro modo se non calore umano.
RispondiEliminaPer la destrutturazione dell uomo di tutti i giorni, invisibile, comune come me, mi faccio del male e al cobtempo del bene, vedendo tutte le inchieste/ documentari che facevano i nostri del mondo perduto, negli anni 60 max 70...i corpi erano calore umano e la testa c'era anche nelle persone piu devastate dalla fatica dei campi e delle bestie o delle nuove fabbrichette e fabbricone. Sapevano stare in silenzio e se parlavano , sapevano farlo. In due parole ti dicevano come si stava spopolando la stalla e la terra e , al contrario, il come e perché drgli affollamenti verso la città, chiedendosi, drammaticamente, una volra finito il botto o il boom, chi ci avrebbe salvato (liberato?)
...
La devastazione del paesaggio dei nostri corpi,in nome della (non)societa dell' immagine, é parallela a quella stricto senso avvenuta sul piano artistico culturale e naturale.
Senza società cessa l'amor proprio. L'abolizione della divisa in ogni campo ha prodotto straccioni e sciattoni: di qui l'approssimazione, la distruzione della disciplina, l'otto in condotta per tutti.
Eliminasisi, ho notato, infatti me lo ricordo, lo vidi anche più di una volta...ma ero giovine !
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RispondiEliminaQualche tempo fa lessi una lettera di Bach: in essa si lamentava della scarsa qualità degli allievi nel canto. Mi pare che si dimise per questo.
EliminaOggi non abbiamo incapaci nel senso usuale, ma esseri strutturalmente incapaci di una disciplina. Per questo esistono i programmi per ragazzini prodigio, la scorciatoia di cui dicevi.
Le mie estati a casa della nonna erano ricche di ozio,anzi era l'unico ingrediente delle giornate,mia nonna mi squadrava e dall'alto del suo occhio contadino intravvedeva già i limiti e lo snaturamento del suo piccolo nipote di città.Ricordo che un pomeriggio in assenza di giocattoli e dopo averci pensato molto presi il crocifisso e cominciai a giocarci,tolsi cristo dalla croce e ne feci un portiere di calcio,le braccia aperte di gesù si prestavano perfettamente a quelle di un portiere che in extremis evita il goal...sono ricordi lontani,dopo il gioco pregavo e chiedevo perdono per l'oltraggio fatto al crocifisso,ma io avevo un gran bisogno di giocare e di sfuggire allo sguardo della nonna.Se non sbaglio ozio nell'antico greco significava proprio scuola.Ciao Alceste e grazie
RispondiEliminaUn iconoclasta di prima grandezza, allora. Non sono un filologo, ma l'etimologia si aggira da quelle parti.
EliminaSaluti.
Alceste, ti ringrazio per descrivere così bene certe sensazioni che sono anche le mie (in particolare la descrizione dell'estate è veramente significativa, quella sensazione l'ho provata anch'io che ho trent'anni in meno). Sei anche riuscito a strapparmi una risata sui "Trinca Bongo", sebbene ci sia ben poco da ridere: ormai nei libri di scuola (medie e superiori) scrivono apertamente della necessità di accettare l'immigrazione perché "solo così l'Europa anziana potrà consentire l'avvenire dell'Europa futura" (giuro, c'è scritto proprio così. In un Paese che ha la disoccupazione ai massimi storici e dal quale più di 200 mila cittadini scappano ogni anno, questi fanno propaganda immigrazionista nei libri di scuola). Poi stiamo qui a parlare di controinformazione, di economisti non allineati (ma in quanti leggono fino in fondo gli articoli di un Bagnai?), degli italiani che si "ribellano" (ma quando mai?), del "toto-ministri" e via discorrendo, ma il Regime PolCor ha già vinto, spargendo menzogne in ogni ambito, facendo passare per Arte quella contemporanea, inventandosi un Achille "abbronzato", facendo credere che Saviano sia un grande scrittore e Mario Monti sia stato il salvatore dell'Italia.
RispondiEliminaUn abbraccio.
Su Achille potrà interessarti "Omero nel Baltico" dove l'epopea è trasferita nel Nord.
EliminaSul resto: adesso vanno di moda gli ottimisti ...
Il biondo pelide Achille aveva ascendenze nordiche come i macedoni del resto... Omero nel Baltico è interessantissimo e secondo me vero. Schliemann ha trovato un insediamento sumero poi ittita (il cuneiforme trovato in frammenti di terracotta a Wilusa,la troade di Omero), lo attesterebbe...
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