Pubblicato su Pauperclass il 14 ottobre 2016
Cosa ne sarà dei giovani italiani quando i padri e le madri esaleranno l’ultimo respiro?
Tempi impensabili aspettano i ventenni, i trentenni e i quarantenni italiani; quelli che, oggi, smanettano allegri in metropolitana o chattano tontoloni passando da un lavoricchio all’altro mentre il Bullo di Firenze (uno dei tanti usurai), tra una barzelletta e l’altra, gli smonta il welfare, il futuro e il loro stesso paese, lentamente, con la sicumera e l’arroganza del vassallo, ogni giorno, bullone dopo bullone, legge dopo legge, comma dopo comma, capoverso dopo capoverso.
Che ne sarà di loro?
Possibile che non dimostrino nessuna vera inquietudine?
Possibile che gli sbocchi di bile, un impasto irrazionale di odio cieco e rassegnazione, vengano solo a chi ha già dato alla vita, come me?
Possibile che nessun giovane ventenne o trentenne o quarantenne si accorga che c’è una bestia immane celata nell’ombra del suo destino?
Non provano costoro rabbia – quella furente depressione che nasce dall’impotenza di fronte ai venduti, ai criminali, ai porci che svendono il territorio, le aspirazioni, la storia, l’arte, il genio e il passato dell’Italia?
Non sanno di essere già oggi, mentre smanettano sul cellulare perdendo tempo con Le Iene o Crozza o altri buffoni di regime (scene a cui assisto ogni giorno), perdendo tempo con baruffe chiozzotte (l’arresto di Corona!) – non sanno di essere già pezzi di carne appesi ai ganci del macello?
Sanno questi ventenni o trentenni o quarantenni gozzovigliatori e stupidi che il filo della loro spensieratezza è legato al respiro dei padri e delle madri?
Sanno che i loro vecchi sono l’unico ammortizzatore sociale a cui potranno fare ricorso? E che, eliminato quell’amorevole paravento, il futuro (che non potranno intaccare di un micolo perché allora il futuro sarà già presente, inscalfibile come una roccia) li inghiottirà nelle fauci per risputarli ancor più pavidi, rassegnati, impotenti e poveri?
Io leggo e leggo l’infame letteratura italiana di oggi, ma non trovo nessuna paura, nessun timore. Di che parlano questi imbecilli? Nostalgie da liceo, qualche cascame delle lotte comuniste, ciarpame da Beautiful, amoretti da Moccia, fantasy escapista, saggi politicamente corretti, stupidaggini contro la mafia, scemenze assortite.
In che mondo vivono? Li hanno evirati? Che fanno? Li hanno gli occhi? Tutti in punta di penna o menefreghisti. O arrampicatori sociali, come quel tizio (scrittore ignobile) che, grazie alle lappate di partito, è riuscito a arrivare alla dirigenza di un famoso Salone del Libro. Oppure scrittori lounge, come Baricco, facitore di operine inutili, buone per le signore bene che, leggendo lui, credono di accedere al cenacolo dell’arte e non sanno di essere nello stanzino di un imbonitore midcult.
Certo, ogni tanto qualcuno dice la verità. Sono sprazzi, però, piccoli ritagli in un mare in bonaccia. Ecco uno di quegli sprazzi. È il breve estratto da un romanzo di Francesco Maino, Cartongesso. Il protagonista, avvocato quarantenne, è il tipico ragazzo cresciuto dei nostri tempi, un pupazzotto postmoderno vien da dire; uno di quelli che va avanti nella vita a forza di inerzia. Un indifferente, amorfo, né carne né pesce. Ha affittato una casetta (la chiama casa B), ma sostanzialmente vive nel cono d’ombra dei genitori (la cosiddetta casa A). È l’italiano, più o meno, di cui prima ho tentato la definizione. Nelle pagine iniziali del romanzo l’autore intercetta fuggevolmente una verità. Una verità, o forse la verità su tale generazione di futuri poveri e di futuri falliti. Leggiamo:
“... io non pranzo mai nella casa B, e neppure ceno, se è per questo … Mi faccio una doccia al mattino, metto sui fornelli la pentola della pasta e scaldo l’acqua su fornelli, visto che la caldaia non funziona, col gas faccio solo questo, nel Duemila mi lavo ancora come nell’Ottocento, lo specchio di fronte, appannato, a controllare la decadenza di faccia e pancia. Poi quello che faccio prima di metter piede nello studio legale, con i vestiti vetusti dell’avvocato, è entrare nella casa A, l’altare caldo della madre. Percorro il corridoio che separa la cucina dalla camera da letto, come un sagrestano, o un guardaparco della laguna, mi affacci giusto il tempo di verificare se le schiene di mia madre e mio padre, l’una contro l’altra, nel letto del matrimonio più che trentennale, respirano. Sì. Ci sono. Sono schiene vive. Va tutto bene, mi dico. Non pensando alla loro fine, non penso alla mia. Respirano, quei due. Sono vivo anch’io. Nel buio che filtra, a gennaio, tra le stecche delle persiane degli anni Settanta, vedo il suono dei respiri, sento il movimento della pancia di mia madre e di mio padre che si alza e si abbassa di pochissimo, come due mantici … esco e affronto spettinato, disarmato … il mondo violento della professione dentro l’Italia schiantata … A pranzo mi scaglio da mia madre, nella casa A. Dipendo da mia madre, inutile girarci intorno …Pago l’affitto della casa B, fingendo una supponente indipendenza … ma continuo a vivere anche nella casa A, con l’ombelico quarantenne attaccato all’ombelico sessantenne di mia madre. Almeno fino a che mia madre sarà viva, cioè per sempre. La mia vita è tutta qui: una serie ininterrotta di tentativi d’affrancamento dal giogo di mia madre, dalla perentoria autorevolezza di mio padre, che mai abdicherà, lo so, a mio favore, a favore di suo figlio primogenito …“
Questa è la verità. Tutti i giovani, la naturale carne da rivoluzione, vive all’ombra dei padri e delle madri. Il loro respiro è ciò che li tiene in vita, come in una mostruosa placenta. E quando i padri non respireranno più? Cosa farà la menefreghista, bella gioventù? Quando si troverà di fronte il notaio che gli succhierà via metà patrimonio e li abbandonerà con uno stipendio da mille euro (se gli va bene) davanti ai grassatori istituzionali, alla sanità inesistente, al welfare inesistente, ai mille balzelli sulla casa, al nuovo mercato libero dei servizi, sempre più onerosi e truffaldini, all’inefficienza dello Stato, alla complicità omertosa dei sindacati?
Cosa farà allora il ventenne che sarà trentenne, il trentenne divenuto quarantenne e il quarantenne sulla via del declino fisico?
Cosa accadrà a tale generazione quando il grasso da tagliare sarà esaurito e ognuno, da solo, spietatamente solo, dovrà affrontare una società disastrata, in cui il vecchio ordine, tanto deriso, è stato sostituito dall’individualismo più feroce, dal darwinismo sociale, dal feudalismo plutocratico? In cui dovrà rappattumare la propria vita fra supermercati da quattro soldi, legami affettivi insidiati dall’edonismo straccione, perso senza nessun riferimento politico, religioso e culturale?
Chissà se fra dieci o vent’anni l’ex giovane, con l’alito fetente per le carie che nessuno gli curerà più, ciarlerà di diritti civili, matrimoni gay, libertà un tanto al chilo.
Qualcuno mi dice che questo stato di cose, inevitabile, segnerà un ritorno a sentimenti reali di cambiamento. Alla rivoluzione.
Io, invece, ne dubito.
Ho da tempo passato il regno delle sicurezze.
Una volta credevo che la consapevolezza della verità portasse all’azione. Ora non più. Vedo, anzi, che la verità, evidentissima, viene accuratamente negata in luogo del rassicurante tepore dei pregiudizî.
Allo stesso tempo credo che l’impoverimento generale testé descritto recherà solo rassegnazione ulteriore.
Quando leggo La Grassa che scrive: “Manca una forza durissima in grado di spazzare via tutti i venduti agli Usa …” o qualcun altro parlare di “mitra” e “lotta” o quant’altro non posso che sorridere.
Non è un sorriso cinico, s’intenda.
È disperato.
Manca una forza durissima; e mancherà, caro La Grassa.
Per cambiare serve il mitra, ma soprattutto chi lo imbraccia. E chi lo imbraccerà qui da noi? Non si riesce nemmeno a organizzare uno sciopero degno di questo nome!
Stiamo scherzando? Quanti, oggi, fra noi, sanno sparare? E sanno la differenza fra le varie armi? Chi sa come procurarsi munizioni? Esplosivi? E un documento falso? Sapete fare una molotov? Chi conosce il segreto di nascondersi alla macchia? Chi conosce come opera la polizia politica (sì, c’è ancora)? I suoi trucchi? Chi riesce a procurarsi cibo in clandestinità? Chi sa spellare un coniglio? Chi sa orientarsi, accendere un fuoco, coltivare un campo? Chi può vivere senza luce e acqua? Chi possiede nozioni mediche di base? Sapete attivare un timer, una radio, un automobile ferma da anni? Intercettare un telefono? Schermare comunicazioni? Chi è in grado di tacere se un tizio dei servizi gli fa saltare dieci denti con un colpo di manganello? Chi sa resistere di fronte alle minacce fisiche alla propria famiglia? …
E non dite che la battaglia non è fisica, ma culturale … in fatto di cultura il sistema ne sa più di noi. Guardate le visualizzazioni dei video di Lady Gaga …
No, ne sono certo. Solo un implosione del sistema può donarci un barlume di speranza.
Da noi non è lecito aspettarsi niente.
Continueremo a vivere a spanne, un po’ cialtroni un po’ barricaderi da tastiera. Qualcuno, più avvertito degli altri, durante l’alta notte, si chinerà sui corpi dei padri e delle madri che riposano leggeri; farà questo con cautela, furtivo come un ladro, sospeso fra tenera nostalgia e interessata sollecitudine. Vuole sincerarsi disperatamente della regolarità di quel respiro, ultimo baluardo a una realtà senza preoccupazioni, lontano dai mostri di ogni giorno.
PS di Alceste
Non mi chiamo Maino, né conosco Maino, né ambisco a fargli pubblicità.
Ho quarantotto anni.
Disprezzo il termine “bamboccioni” e chi lo usa o lo ha usato.
io invece ho dieci anni più di lei, carissimo signor alceste - per caso feci il 77 ( che caxxo vorrà mai dire feci il 77, ho fatto il 68...boh) cmq....stavo a bologna e mi intruppai in quella massa di sbandati idioti pecoroni che occuparono le università ...pensavamo che stavamo combattendo il sistema - a 20 anni non si capisce un beneamato ...a distanza di tanti anni quando mi ripenso in quelle situazioni mi viene sempre da sputarmi in faccia - condivido tutto quello che scrive, ogni virgola ogni punto - sono terribilmente disperato anche io - non c'è assolutamente speranza se non l'implosione come giustamente ha scritto lei - nel frattempo mangio molto e mi sfruscio quei pochi soldi che ho con le puttane...
RispondiEliminaQuegli anni che, secondo Mario Capanna, sono stati formidabili furono, invece, una tragica barzelletta. Per sincerarsene basta leggere la prosa di Mario Capanna o guardare in faccia Mario Capanna, uno che ce l'ha fatta, fresco lindo riposato, già traditore negli anni Settanta. Il cosiddetto Sessantotto è ervito a questo: a superare esami universitari con poco sforzo e ad accaparrarsi posti sicuri nella pubblica amminnistrazione. Basti ricordare l'infornata di architetti nel 1979 ... di tutto quel furore non è rimasto nulla, qualcuno si è sistemato come un topo nel formaggio, il potere ha sfruttato quell'enorme assist che gli fornivano i citrulli con l'eskimo e oggi siamo dove siamo. Andare a puttane è un'idea; la scelta coerente (parlo per me) sarebbe il suicidio.
RispondiEliminaMa che suicidio
EliminaSi affidi a Dio e vedra che la luce dell alba ritornerà ad illuminare il suo cuore.
molto interessante questo articolo,è qualcosa su cui rifletto spesso. io noto che persino coppie di giovani adulti/coniugi/genitori vive tutt'ora così,all'ombra della famiglia d'origine,perché da soli non ce la fanno. si appoggiano per l'affitto da pagare,per babysitting,per la spesa,per le lavatrici che non hanno tepo/voglia di fare.... sarà dura. sarà veramente dura.
RispondiEliminaUna bomba a orologeria innescata e pronta alla deflagrazione.
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