Decifrare il passato (e il presente)

Racconti e improvvisazioni

Novità sconsigliate ai puri di cuore

25 giugno 2017

Bestiario estivo


Pubblicato il 3 agosto 2016

LE LUSIADI

Vi ricordate Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita?
Il birichino, dopo aver sottratto decine di milioni alle casse del partito, li aveva fatti rientrare (previo giretto in Canada) dalla finestra spalancata dello scudo fiscale, investendo, quindi, in Italia, su varî immobili. Eventuali spiccioli ebbero, invece, a confluire su un suo conto personale.
Dopo lunghe e minuziose indagini – talmente minuziose e occhiute che alcuni magistrati avranno di certo acquistato un paio d’occhiali da riposo – Lusi fu rinviato a giudizio per appropriazione indebita e condannato in primo grado a otto anni.
Dopo una meditazione claustrale presso il Santuario della Madonna dei Bisognosi (eletto a sede degli arresti domiciliari), Lusi, con la coscienza resa adamantina da tale lavacro di spiritualità, emise un proprio personale controcazzo: “Non erano nella mia disponibilità quelle somme, giammai! Ero solo una rotella nell’ingranaggio! Eseguivo gli ordini di Rutelli, Franceschini, Bianco, Letta! Sono loro le anime nere! Sono una vittima!“.
Rutelli, Franceschini, Bianco, Letta e compagnia reagirono come leoni feriti. Vergognati ladro! gli urlarono dietro.
Sbalestrati da tali rivelazioni i magistrati si chiusero in un pensoso riserbo.
Pensarono a lungo.
Poi ci ripensarono ancora.

Ne conclusero che erano balle. Lusi aveva agito da solo, e per proprio esclusivo tornaconto.
Gli otto anni sono stati ridotti, nella sentenza di Appello del 2016, a sette (è intervenuta una minuscola prescrizione).
Lusi, però, non si dà certo per vinto: attende con fiducia e a pie’ fermo la sentenza della Cassazione (e siamo sicuri che la sua parabola finirà nel migliore dei modi: resisti Luigi!).
Una Commissione interna al PD presieduta da una delle vacche sacre della sinistra, Luigi Berlinguer (una prece), espulse il reprobo dal partito (il PD, in cui era confluita la Margherita).
Il Tribunale di Roma bollò l’espulsione come illegittima; a lume di logica elementare, ne consegue che, a tutt’oggi, Luigi Lusi è un membro del PD.
Non sappiamo se anche la nipote di Luigi Lusi sia un membro del PD; è certo, invece, che ella ricopre il ruolo di avvocato del Partito Democratico (anche se non lo sa nessuno).
Questi sono semplici fatti.
Al lettore intelligente l’onere di unirli in un proprio personale sillogismo.

PASSIONE E LOCAZIONE

Se fossi l’avvocato del PD (uno che cura gli interessi del PD) mi troverei sicuramente a che fare con i creditori de L’Unità.
Pare, infatti, che il glorioso giornale abbia più buffi che rubriche.
L’Unità, ai bei tempi, si affiggeva con orgoglio fuori delle sezioni del PCI.
Una delle sezioni residue che hanno ancora la faccia di affiggere (tutte le sante mattine) quelle ampie pagine è la sezione Campitelli, in Via dei Giubbonari, a pochi passi da Piazza Campo de’ Fiori.
Una sezione storica. Sessanta metri quadri. L’affitto è più che ragionevole: 14.910,48 euri all’anno (è uno dei punti più pregevoli di Roma), come si evince da questo documento:
http://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/Conc_Patrim_Ind.pdf
I sinistri però hanno il braccino corto: non solo non pagano, ma hanno accumulato 170.000 euri di buffi verso il Comune proprietario dell’immobile (alcuni debiti risalgono ai tempi del PCI: l’ha dichiarato Matteo Orfini). E non schiodano. Anzi, a chi si azzarda a reclamare quella somma essi replicano con piccata arroganza.
Non è questo che interessa, però, bensì la psicologia da clan sottesa.
Ecco la mia personale anamnesi.
I piddini reclamano per se stessi ciò che non ammettono più negli altri.
Credo che sia una degenerazione inconscia della teoria della doppia verità di Palmiro Togliatti (soprannominato il Migliore); il quale in Parlamento la raccontava in un  modo e in piazza in un altro.
Gli altri sono sempre evasori o ladri o disfattisti o fascisti e devono pagare il fio delle loro colpe e dei loro debiti; e pagarli di tasca propria.
Questo, lo ripeto, vale per gli altri.
Fra di loro, invece, vige la legge opposta: sono le saccocce degli altri (lo Stato; gli evasori, i ladri, i disfattisti, i fascisti) che debbono garantirgli le sedi, associazioni, le ONLUS e le cooperative … e perché? Perché sono i migliori, perché sono i puri, perché fanno politica attiva dal basso …
Il lettore attento ritroverà in tale modus operandi antichi riflessi sessantottini, una sorta di degenerazione (ancora! se non è un partito di degenerati questo …) dell’esproprio proletario.
Il passato non passa mai, se conviene.

IL GIOVIN SINISTRO

Quando nacque SEL io militavo già nel campo degli apostati.
Venni tuttavia invitato a una delle numerose riunioni che preludevano alla costituzione del “nuovo soggetto politico di sinistra, ambientalista e progressista” (una cosa del genere, almeno; i compagni hanno una effervescenza semantica piuttosto limitata; mi sembra che in mezzo ci fosse anche la parola libertà).
Il vate della novella alba era Nicola Vendola.
In realtà i costituenti non erano nient’altro che i soliti arnesi di Rifondazione, Verdi e altre frattaglie; la cosa mi fu chiara da subito, con evidenza cristallina: il vecchio Eskimo era consunto e occorreva ripresentarsi davanti all’elettore gonzo con un rinnovati lustrini e paillettes (la metafora mi venne in mente allora; i fatti poi dimostrarono quanto fosse azzeccata).
A illustrare le linee programmatiche di tale rivoluzione copernicana fu il vice responsabile della sezione, un giovin sinistro.
Il giovane prese a parlare. La prolusione era stenta; un borboglio quasi inudibile di frasi fatte e incespicamenti, divagazioni fàtiche (“ciao”, “si sente?” oppure “come va?” rivolto a chiunque entrasse), brevi e stanche arringhe contro la destra retrograda, tentennamenti, goffi auspici per il futuro, lunghe pause in cui egli ricercava la battuta col vicino di sedia.
Ero stupefatto.
E in più (io, che pur sono allenato al peggio) distrutto dallo sforzo di trovare un pur minimo bandolo in quella matassa di biascicamenti dove il predicato verbale raramente era posposto al soggetto. Un aborigeno della Papuasia costretto a delinearmi a gesti la Fenomenologia dello Spirito si sarebbe rivelato meno impacciato.
Un Berlinguer dal sorriso timido e mesto riguardava la scena pietosa da un manifesto sbiadito.
Me ne andai. Pensai, da apocalittico: “È la fine dell’Italia”. Ma per consumare l’Italia ci vorrà un bel po’ di tempo.
Le mail della nuova formazione politica arrivavano regolarmente, firmate sempre dal giovin sinistro.
Un anno dopo egli si presentava già come capo responsabile della sezione.
Era cambiato: in una foto si mostrava in completo grigio (senza cravatta), mentre, spigliato, intratteneva una conversazione al cellulare; di alta politica, suppongo; aveva dismesso gli occhiali tondi da sinistrino.
Qualche anno fa venne eletto nelle liste di SEL al Municipio.
Divenne, perciò, Assessore del Municipio stesso; e anche Vice Presidente.
Governò un paio d’anni, poi si dimise dopo l’affaire Marino: offeso dalla codardia del PD che aveva sacrificato un così nobile esemplare di amministratore.
Le dimissioni mi han fatto maturare una certezza: sono sicuro che, prima o poi, il giovin sinistro me lo ritroverò a Porta a porta, con la cravatta, fresco deputato.
L’inettitudine è incontrastabile.

LIDIA RAVERA

Una volta arrivò a un convegno su I promessi sposi, tenuto presso un’associazione culturale. L’associazione possedeva un gran bella biblioteca, di circa ottomila volumi, che metteva a disposizione gratuitamente della popolazione del quartiere (una sorta di bookcrossing).
La Ravera non degnò neppure d’uno sguardo quegli scaffali.
Prima della sue verità su Alessandro Manzoni (fu una relazione assai grama: il sospetto è che la Ravera dei Promessi sposi conservasse un ricordo di fiamma lontana: fiamma liceale) ella condivise con l’uditorio tali formidabili considerazioni.
La letteratura era morta; anzi: tutto era letteratura; non era vero che i giovani non leggessero; i giovani leggevano, leggevano molto; leggevano, tuttavia, altre cose: i messaggi del cellulare, a esempio; oppure, a scelta, i messaggi WhatsApp, i post di Facebook, le fulminee battute di Twitter. Ogni cosa è letteratura, concluse conciliante, non dobbiamo preoccuparci: il sapere e la conoscenza, infatti, si rinnovano continuamente; oggi saremmo in un periodo di transizione culturale: dal cartaceo barboso al digitale brioso. Rassereniamoci, concluse, la cultura è viva (e lotta insieme a noi).
E pensare che lei stessa di carta ne ha afflitta parecchia. Decine e decine di libri … e ora, invece … Rammentiamo, a puro titolo di curiosità, l’incipit del romanzo che le diede la notorietà, Porci con le ali, scritto a quattro piedi con Marco Lombardo Radice:
Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Figa. Fregna ciorgna. Figapelosa, bella calda, tutta puzzarella. Figa di puttanella“.
Lidia Ravera è l’attuale Assessore Regionale alla Cultura della Regione Lazio.

MASSIMILIANO FUKSAS 

Chiunque verrà a Roma nei prossimi anni potrà finalmente ammirare la Nuvola di Fuksas.
Un catorcio postmoderno che è costato almeno mezzo miliardo, e rovinerà nella polvere e nell’indifferenza nel breve volgere di pochi anni.
Fuksas è un terrorista davvero sbarazzino.
Con i Lego e il Meccano costruivo architetture più serene, equilibrate e razionali di Fuksas; e i miei vecchi non mi pagavano certo trenta milioni di parcella.
Se gli amministratori culturali romani avessero indetto un concorso fra le scolaresche ora il quartiere dell’EUR non avrebbe quella maledizione tra i piedi.
Cosa penso della Nuvola l’ho scritto qui:

INTELLETTUALI ORGANICI 

Per intellettuale organico comunista cosa s’intendeva?
Era colui che doveva assicurare l’egemonia culturale del Partito Comunista, pressappoco.
Per intellettuale organico di sinistra cosa s’intende oggi?
È colui al quale i partiti ex comunisti assicurano l’egemonia accademica.

CHIARA SARACENO 

Devo al blog L’Orizzonte degli Eventi (http://ilblogdilameduck.blogspot.it/) la notizia dell’esistenza di Chiara Saraceno.
La Saraceno è l’ennesima sfinge sessantottina impegnata a cancellare il vecchio ordine nel nome dei diritti civili.
In tal caso la terribile famiglia patriarcale; certo, essa ha sostenuto lo sviluppo dell’Occidente per qualche millennio, ma a quale prezzo, povere donne e poveri gay!
Dice la Saraceno: “Non c’è niente di meno naturale della famiglia. Il che non vuol dire che è innaturale, certo. Ma la famiglia è una costruzione sociale, legale e normativa. Sono le norme che definiscono quali rapporti di sesso o di generazione sono familiari oppure no … [la famiglia novecentesca è cambiata grazie alle] donne, certo, ma anche grazie al movimento degli studenti, le lotte per i diritti civili. La famiglia è cambiata dentro l’eterosessualità del matrimonio proprio nei contenuti, negli obiettivi che ci si aspetta. Il motivo per cui oggi le persone omosessuali si sentono legittimate a considerarsi famiglia è fondato sulle trasformazioni della coppia eterosessuale. Nel momento in cui questa trova la sua giustificazione – parlo nell’Occidente democratico – nell’affettività reciproca, nella simmetrica uguaglianza, e non necessariamente nella riproduzione, che differenza c’è?”.
Insomma, la solita zuppa.
Potrei controbattere da subito, ma mi limito a qualche considerazione a latere, come nello spirito estivo di questo scritto.
Cinquant’anni fa Chiara Saraceno, oggi insignita di medaglie dalla Presidenza della Repubblica, avrebbe parlato alla Festa dell’Unità due minuti, in un ritaglio di tempo compresso fra la relazione della delegazione cecoslovacca e quella della rosolatura delle salcicce.
Terminato l’intervento l’avrebbe rispedita gentilmente a fare la calzetta filosofica nel liceo d’appartenenza.
Oggi parla come una Pizia dal Tripode, avvolta dai fumi del politicamente corretto.
Una volta credevo che ogni paese si meritasse gli intellettuali che ha; purtroppo ogni paese (colonizzato) ha gli intellettuali che l’egemonia culturale forgia per esso (l’egemonia vera; quella italiana si limita a trovargli posto nelle università).
La Saraceno non è niente: solo un flatus vocis. Un’insegnante in pensione, di estrazione alto borghese: avrebbe potuto interpretare la mamma di Nanni Moretti in Mia madre (vedi sotto).
Eppure domina.
Lo spirito maligno dei tempi.
È sposata con Gian Enrico Rusconi, il filosofo e politologo autore di Cosa resta dell’Occidente.
Cosa resta dell’Occidente!
Le cose sono due: o la coincidenza vuole divertirsi alle nostre spalle oppure (più probabile), a divertirsi, con sommessi risolini, sono Rusconi e la Saraceno.

LA DISFIDA DEGLI OSCAR

Un paio d’anni fa, se non sbaglio, ci fu baruffa sul film italiano da candidare agli Academy Awards (Oscar).
C’è chi voleva assolutamente spedirci Non essere cattivo, di Claudio Caligari.
Altri propendevano (assolutamente, ça va sans dire) per Mia madre di Nanni Moretti.
La solita baruffa chiozzotta interna alla sinistra.
Caligari era sostenuto dagli intellettuali organici di SEL, Rifondazione et cetera
Nanni Moretti dagli intellettuali organici del PD et cetera
Fu una baruffa fra apocalittici e integrati (lo dico tanto per ridere).
Il mondo, ovviamente, se ne fregò altamente dei nostri critici straccioni e li ignorò (i critici e i due film).
Non essere cattivo del sinistro-sinistro Caligari fu distribuito da Good Films, società di produzione di Ginevra Agnelli e Lorenzo Mieli (la Agnelli è una Agnelli; Lorenzo Mieli è il figlio di Paolo Mieli; Paolo Mieli è il figlio di Renato Mieli; ne consegue che Lorenzo Mieli è il nipote di Renato Mieli).
Mia madre, del borghesone Nanni, fu distribuito, invece, da 01 Distribution (Wikipedia: “01 Distribution è una casa di distribuzione cinematografica italiana, direzione di Rai Cinema S.p.A.”).
Qui torniamo al discorso di Passione e locazione: il capitalismo duro ci piace, l’importante è che non riguardi noi.
Obiezione sinistra: ma allora da chi dovrebbero farsi distribuire i nostri registi di punta?
Risposta di Alceste: per essere coerenti, da nessuno.
I film li ho visionati recentemente: quello di Caligari (una prece) è mediocre; quello di Moretti insulso.

ALDO MORO

Il Partito Comunista è stato distrutto dagli eventi del 1989?
La sua dissoluzione, in realtà, parte da un paio di decenni prima.
La vera morte del Partito Comunista (e della sinistra sociale in genere) inizia con le goliardate sessantottine, poi rinnovate, con meno splendore, ma intatta idiozia, nel 1977.
Si consolida l’anno dopo, nel bagagliaio della Renault rossa a Via Caetani; il cadavere di Aldo Moro, rattrappito e inerme, a distanza equanime fra le sedi della DC, a Piazza del Gesù, e la sede del PCI, a Via delle Botteghe Oscure. Rivedo spesso quei filmati: la concitazione, lo smarrimento, il brulichio di poliziotti, barbe finte, carabinieri, magistrati: tutti stretti nei loro completi anni Settanta …
A Via Caetani finì l’Italia, i Settanta, il boom e il dopoguerra.
Quando guardo quegli insetti attorno al cadavere di Aldo Moro non posso fare a meno di immaginare che un’entità invisibile a tutti, smisurata come il Colosso di Goya, passi intanto lì vicino, inavvertita, ma reale, e lanci il proprio sguardo di Medusa, a fissare eventi e uomini in un destino immutabile come la pietra.
Non siamo mai usciti da Via Caetani.

PORNO E LIBERTÀ 

Pubblico, dall’Huffington Post, a guisa di morale conclusiva, stralci da un articolo sul documentarioPorno e libertà, di Carmine Amoroso:

“'Per liberare la sessualità bisognava portarla al suo culmine. Come pornografia. Era l’Italia degli anni Settanta, del moralismo cattolico e del comunismo che si ammantava di puritanesimo. Nei confronti del sesso c’era un clima da Inquisizione spagnola, si veniva arrestati solo perché in possesso di riviste pornografiche. Fu allora che decisi di fare la mia rivoluzione'. A parlare è Lasse Braun (Alberto Ferro), inventore del cinema a luci rosse e re della sex revolution che nel 1969 contribuì a far abolire il reato di oltraggio al pudore in Danimarca, aprendo la strada al resto d’Europa … Da Ilona Staller (in arte Cicciolina) al ‘Che Guevara del porno’ Riccardo Schicchi, dalla ‘porno femminista’ Giuliana Gamba a Helena Valena, un’allegra banda di rivoltosi ironici e dissacranti combatté negli anni Settanta una battaglia contro censura e tabù, pronti a farsi arrestare guidati da un sogno: lo ‘stato di felicità permanente’ si raggiunge attraverso la liberazione del piacere … ‘Nudi sì, ma contro la Dc’ gridava nel 1976 al Parco Lambro di Milano una folla di ragazzi e ragazze completamente svestiti contro i formalismi e in nome dell’utopia … le sale cinematografiche tradizionali chiudevano lasciando il posto al cinema porno (si arrivò a produrre 200 film in un solo anno), nel fumetto arrivarono Vincenzo Sparagna e l’ardimentosa rivista Frigidaire, che in copertina accostava con naturalezza Ilona Staller a Norberto Bobbio, in Francia faceva capolino Charlie Hebdo e a Bologna Andrea Pazienza. Un’onda d’urto che si infranse anche in Parlamento: sostenuta dai radicali con Marco Pannella … Cicciolina fu la prima attrice porno a entrare a Montecitorio … Erano quelli i tempi di Ultimo tango a Parigi censurato; ‘la libertà di pornografia come unico mezzo per vincere la pornografia’ dirà il regista Bernardo Bertolucci facendo appello al suo partito, il PCI e di Porci con le ali di Marco Radice e Lidia Ravera … ‘Mi premeva raccontare in un’epoca di neopuritanesimo qual è la nostra, la storia incredibile e poco conosciuta di un gruppo di provocatori che negli anni settanta hanno condiviso con coraggio una visione della pornografia come espressione politica', dice Amoroso. ‘La pornografia, oggi più che mai, va difesa dagli oscurantismi politici e religiosi”.

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