Sitka
"Mauki aveva tre tambo ..."
Inizia così un raccontino di Jack London del 1910, i "tambo" sono i" tabù": esiste una parola con un'accezione più negativa, oggi? Dal significato contrastante per l'inquieto occidentale, che per natura non rispettava gli eccessivi tabù imposti dalla religione, è stata poi stigmatizzata, in senso negativo, fino a sparire nel gergo corrente. Le caramelline della pubblicità sono già "vintage". Qualcuno sente questa parola nel gergo corrente? Il suo utilizzo è pressochè sparito, anche in senso negativo.
Tabù, ovvero: non si può fare. La sacralità di un divieto.
Mauki aveva tre tabù: non poteva stringere la mano a una donna nè poteva essere toccato da una donna, non poteva mangiare certi molluschi, nè salire su barche che trasportassero, anche in minima parte, parti corporali di coccodrillo, foss'anche un singolo dente.
Mauki è la storia di una vendetta.
Come storia non è niente male e non faccio un torto a nessuno a rivelarne il finale, come tutti i racconti di London la bellezza è nel racconto più che nella trama.
La vendetta può essere di molti tipi: questa è una bella vendetta.
Sarò breve: Mauki era un ragazzo selvaggio, su un isola della Polinesia, viene deportato dalla compagnia del sapone (ovvero contrattato con l'inganno), scappa, scappando ruba, viene catturato, accumula debiti per risarcire la compagnia, riscappa, così all'infinito. Viene considerato recidivo e mandato su un'isola dove avevano confinato un loro dipendente, un pazzo tedesco di nome Bunster (talmente violento e toccato da essere scomodo anche alla compagnia) con la speranza di eliminare così uno dei due problemi.
La vendetta scontata, il cattivo che muore meritatamente per mano del buono, tipica di certa cinematografia, è pressochè assente in questa storia.
Non c'è sollievo, nella vendetta qui, il sollievo dell' "eroe. Non ci sono eroi, in senso cinematografico. Quei pupazzoni solitari e sudati che finalmente, in piena tradizione yankee, liberano il mondo dal male, in un atto quasi defecatorio che sottolinea il puritanesimo yankee e la intrinseca e ottusa convinzione di essere "nel giusto".
La lettura superficiale delle storie di schiavismo è sempre alle porte, in genere è in parte dovuta alla crudezza di cui trattano. Sembra essere chiaro chi sia il buono e chi il cattivo. E non si vede il resto.
Anche in "Queimada" di Pontecorvo la figura dello schiavista bianco (Sean Connery) è in realtà profondamente drammatica: egli "non sa", realmente, in fondo al suo cuore, perchè agisce come agisce. Per quanto le sue azioni siano premeditate e operi con calcolo: "Perchè?" chiede, sinceramente, al suo amico-nemico da egli stesso sobillato, che si nega volontariamente la libertà. C'è un lato oscuro che non si rivela nè nella simpatia fra i due, nè nell'ingiustizia: è insito nella sua natura.
Il contrasto di civiltà profondo rivela il non detto, ovvero l'essenza, il limite dell'essere umano.
Si parla tanto di inclusione, di imparare dall'altro. Ma le più significative influenze fra i popoli, fra cui i numeri arabi oggi in uso presso fli occidentali, e altro, tutte insomma le influenze significative e pregnanti che arricchiscono nel profondo, sono forse frutto di "educazione" ben impartita? Macchè...sono frutto di contrasti, e questo per un motivo molto semplice: c'è più incontro in un contrasto che in un semplice incontro. Ma andiamo avanti.
Tabù: Limite: Si potrebbe dire limite sacro.
Contrasto: Scontro fra nature con limiti, ri-equilibrio dei limiti.
Dissipazione: Abbattimento del limite e perdita di identità.
Vale la pena di rifletterci, magari leggendo Mauki.
Si celebra tanto l'incontro, e non sarò certo io ad oppormi, ma c'è incontro e incontro: lasciamo che London, ci narri l'incontro tra Mauki e Bunster, negli atolli dei mari de sud.
Mauki era molto pacifico, ma non disdegnava la carne umana cotta a puntino, all'occorrenza, e aveva tre tabù. Quando si incontra con Bunster, fra le varie torture (che il tedesco infliggeva ben volentieri anche al resto dell'esigua popolazione dell'atollo in cui era confinato) c'era ovviamente giocare con i sui "tambo". Ma Mauki non cederà. Quasi morirà per questo. Mauki aveva imparato la legge del bianco: si dovevano rispettare le regole, ma Bunster non aveva regole, aveva passato il limite.
Sulla figura di Bunster non ci sono poi molte ombre. Egli è semplicemente cattivo, ma anche pazzo. Egli ha passato il limite. Il limite della pazzia e della vigliaccheria, egli è un elemento senza equilibrio, incontrollabile. La descrizione ricca, sfumata, del processo vitale di equilibrio naturale è incentrata tutta sulla figura di Mauki.
Mauki è un selvaggio, e il suo essere selvaggio viene messo pesantemente alla prova, scappa, scappa e fallisce più volte. Mandato da BUnster, sembra non avere speranza (come tutti gli abitanti dell'atollo). "Ma Mauki era diverso". Mauki si vendica e, figlio di un capo, torna ad essere un capo. La testa del bianco diventerà il suo talismano. Sembra quasi una fiaba, con i simboli di una fiaba.
Dopo che l'occasione si presenta, quando Bunster si ammala gravemente, e dopo averne aspettato pazientemente la convalescenza (l'attesa, con conseguente rischio di vedersi sfumare l'occasione, è dovuta alla volontà di vendetta su un avversario debole sì, ma perlomeno cosciente) , arriva finalmente il momento. Dopo averlo scarnificato vivo per un'oretta buona con il guanto di pelle di razza, col quale Bunster si divertiva ad accarezzarlo, c'è una scena pregnante: Mauki guarda la massa informe di carne viva venirgli incontro gridando scompostamente sotto il sole, mentre si imbarca sul "cutter" che lo farà scappare dall'isola... lo guarda ed esita per un istante, dopodichè si avvicina e ne rimuove la testa, che mette dentro un sacco e porta via con sè.
In quel momento di indecisione in cui Mauki guarda quella "cosa", esita, e si avvicina ad essa rimuovendone la testa, c'è tutto.
Come si diceva, qui non ci sono eroi, solo uomini.
Qui c'è un processo naturale descritto sapientemente.
La difesa della propria natura, in questo caso, di selvaggio. Si intuisce che Mauki abbandonerà i suoi "tambo" solo dopo qualche tempo, quando sarà un capo, ma questo non viene detto, si intuisce solo dal fatto che avrà tre mogli. Maturazione dunque, non rinuncia, il valore sacro muta ma persiste.
La testa del bianco diventerà il talismano di Mauki guerriero, il talismano a cui la gente di Malaita, la sua isola, attribuisce la grandezza di Mauki. I tambo sono mutati in talismano, la maturità dell'uomo è completa, l'uomo deve solo continuare a lottare per mantenersi in vita.
Come ha potuto resistere Mauki, dopo tutte quelle traversie, è una faccenda notevole, vale la pena di essere letta: la testardaggine, il limite, il "tambo" deve avere influito infinitamente su quello che lui non sapeva di sapere. Lui non sapeva di dover tagliare la testa al bianco, ma era scritto. Esita il giusto, e lo fa.
La sua natura è riaffermata, l'equilibrio è tornato.
Se proprio amate imparare dall'altro, imparate da Mauki, che non rinunciò mai, neanche sotto tortura, ai suoi "tambo".
Inizia così un raccontino di Jack London del 1910, i "tambo" sono i" tabù": esiste una parola con un'accezione più negativa, oggi? Dal significato contrastante per l'inquieto occidentale, che per natura non rispettava gli eccessivi tabù imposti dalla religione, è stata poi stigmatizzata, in senso negativo, fino a sparire nel gergo corrente. Le caramelline della pubblicità sono già "vintage". Qualcuno sente questa parola nel gergo corrente? Il suo utilizzo è pressochè sparito, anche in senso negativo.
Tabù, ovvero: non si può fare. La sacralità di un divieto.
Mauki aveva tre tabù: non poteva stringere la mano a una donna nè poteva essere toccato da una donna, non poteva mangiare certi molluschi, nè salire su barche che trasportassero, anche in minima parte, parti corporali di coccodrillo, foss'anche un singolo dente.
Mauki è la storia di una vendetta.
Come storia non è niente male e non faccio un torto a nessuno a rivelarne il finale, come tutti i racconti di London la bellezza è nel racconto più che nella trama.
La vendetta può essere di molti tipi: questa è una bella vendetta.
Sarò breve: Mauki era un ragazzo selvaggio, su un isola della Polinesia, viene deportato dalla compagnia del sapone (ovvero contrattato con l'inganno), scappa, scappando ruba, viene catturato, accumula debiti per risarcire la compagnia, riscappa, così all'infinito. Viene considerato recidivo e mandato su un'isola dove avevano confinato un loro dipendente, un pazzo tedesco di nome Bunster (talmente violento e toccato da essere scomodo anche alla compagnia) con la speranza di eliminare così uno dei due problemi.
La vendetta scontata, il cattivo che muore meritatamente per mano del buono, tipica di certa cinematografia, è pressochè assente in questa storia.
Non c'è sollievo, nella vendetta qui, il sollievo dell' "eroe. Non ci sono eroi, in senso cinematografico. Quei pupazzoni solitari e sudati che finalmente, in piena tradizione yankee, liberano il mondo dal male, in un atto quasi defecatorio che sottolinea il puritanesimo yankee e la intrinseca e ottusa convinzione di essere "nel giusto".
La lettura superficiale delle storie di schiavismo è sempre alle porte, in genere è in parte dovuta alla crudezza di cui trattano. Sembra essere chiaro chi sia il buono e chi il cattivo. E non si vede il resto.
Anche in "Queimada" di Pontecorvo la figura dello schiavista bianco (Sean Connery) è in realtà profondamente drammatica: egli "non sa", realmente, in fondo al suo cuore, perchè agisce come agisce. Per quanto le sue azioni siano premeditate e operi con calcolo: "Perchè?" chiede, sinceramente, al suo amico-nemico da egli stesso sobillato, che si nega volontariamente la libertà. C'è un lato oscuro che non si rivela nè nella simpatia fra i due, nè nell'ingiustizia: è insito nella sua natura.
Il contrasto di civiltà profondo rivela il non detto, ovvero l'essenza, il limite dell'essere umano.
Si parla tanto di inclusione, di imparare dall'altro. Ma le più significative influenze fra i popoli, fra cui i numeri arabi oggi in uso presso fli occidentali, e altro, tutte insomma le influenze significative e pregnanti che arricchiscono nel profondo, sono forse frutto di "educazione" ben impartita? Macchè...sono frutto di contrasti, e questo per un motivo molto semplice: c'è più incontro in un contrasto che in un semplice incontro. Ma andiamo avanti.
Tabù: Limite: Si potrebbe dire limite sacro.
Contrasto: Scontro fra nature con limiti, ri-equilibrio dei limiti.
Dissipazione: Abbattimento del limite e perdita di identità.
Vale la pena di rifletterci, magari leggendo Mauki.
Si celebra tanto l'incontro, e non sarò certo io ad oppormi, ma c'è incontro e incontro: lasciamo che London, ci narri l'incontro tra Mauki e Bunster, negli atolli dei mari de sud.
Mauki era molto pacifico, ma non disdegnava la carne umana cotta a puntino, all'occorrenza, e aveva tre tabù. Quando si incontra con Bunster, fra le varie torture (che il tedesco infliggeva ben volentieri anche al resto dell'esigua popolazione dell'atollo in cui era confinato) c'era ovviamente giocare con i sui "tambo". Ma Mauki non cederà. Quasi morirà per questo. Mauki aveva imparato la legge del bianco: si dovevano rispettare le regole, ma Bunster non aveva regole, aveva passato il limite.
Sulla figura di Bunster non ci sono poi molte ombre. Egli è semplicemente cattivo, ma anche pazzo. Egli ha passato il limite. Il limite della pazzia e della vigliaccheria, egli è un elemento senza equilibrio, incontrollabile. La descrizione ricca, sfumata, del processo vitale di equilibrio naturale è incentrata tutta sulla figura di Mauki.
Mauki è un selvaggio, e il suo essere selvaggio viene messo pesantemente alla prova, scappa, scappa e fallisce più volte. Mandato da BUnster, sembra non avere speranza (come tutti gli abitanti dell'atollo). "Ma Mauki era diverso". Mauki si vendica e, figlio di un capo, torna ad essere un capo. La testa del bianco diventerà il suo talismano. Sembra quasi una fiaba, con i simboli di una fiaba.
Dopo che l'occasione si presenta, quando Bunster si ammala gravemente, e dopo averne aspettato pazientemente la convalescenza (l'attesa, con conseguente rischio di vedersi sfumare l'occasione, è dovuta alla volontà di vendetta su un avversario debole sì, ma perlomeno cosciente) , arriva finalmente il momento. Dopo averlo scarnificato vivo per un'oretta buona con il guanto di pelle di razza, col quale Bunster si divertiva ad accarezzarlo, c'è una scena pregnante: Mauki guarda la massa informe di carne viva venirgli incontro gridando scompostamente sotto il sole, mentre si imbarca sul "cutter" che lo farà scappare dall'isola... lo guarda ed esita per un istante, dopodichè si avvicina e ne rimuove la testa, che mette dentro un sacco e porta via con sè.
In quel momento di indecisione in cui Mauki guarda quella "cosa", esita, e si avvicina ad essa rimuovendone la testa, c'è tutto.
Come si diceva, qui non ci sono eroi, solo uomini.
Qui c'è un processo naturale descritto sapientemente.
La difesa della propria natura, in questo caso, di selvaggio. Si intuisce che Mauki abbandonerà i suoi "tambo" solo dopo qualche tempo, quando sarà un capo, ma questo non viene detto, si intuisce solo dal fatto che avrà tre mogli. Maturazione dunque, non rinuncia, il valore sacro muta ma persiste.
La testa del bianco diventerà il talismano di Mauki guerriero, il talismano a cui la gente di Malaita, la sua isola, attribuisce la grandezza di Mauki. I tambo sono mutati in talismano, la maturità dell'uomo è completa, l'uomo deve solo continuare a lottare per mantenersi in vita.
Come ha potuto resistere Mauki, dopo tutte quelle traversie, è una faccenda notevole, vale la pena di essere letta: la testardaggine, il limite, il "tambo" deve avere influito infinitamente su quello che lui non sapeva di sapere. Lui non sapeva di dover tagliare la testa al bianco, ma era scritto. Esita il giusto, e lo fa.
La sua natura è riaffermata, l'equilibrio è tornato.
Se proprio amate imparare dall'altro, imparate da Mauki, che non rinunciò mai, neanche sotto tortura, ai suoi "tambo".
Leggere London é antropologicamente rinfrescante, come immergersi in quei saggi di Lorentz che non lasciano nessun non detto sulla natura umana e i suoi istinti animali troppo presto derubricati dal progressismo.
RispondiElimina"La intrinseca e ottusa convinzione di essere "nel giusto"... verissimo! che perseguita chiunque, anche se in procinto di schiattare. Anch'io voglio essere un po' pedante e ti ricordo che i numeri, cosiddetti arabi, furono inventati dallo sconosciuto indiano Bramagupta o meglio, il grande matematico utilizzò per la prima volta nella storia dell'umanità lo zero come cifra posizionale. Arabi e cinesi si impadronirono del sistema, i primi divenendo mediatori tra India e Occidente e i secondi sviluppando una loro matematica altrettanto profonda e interessante. Mentre i greci nell'arco di dieci secoli tra il 550 a.c. e il V d.c., avevano già largamente utilizzato apporti culturali egizi, babilonesi e indiani per emergere come una delle civiltà matematiche più raffinate ancora oggi oggetto di scoperte e riscoperte che un certo tambo eccessivamente proteso verso l'arabofilia, impedisce di far affiorare in tutti i gradi scolastici. Grazie per la tua analisi-recensione.
Grazie a te per le ottime osservazioni Poliscriba, di questo sui numeri arabi non sapevo nulla. Vero, come ci sono incontri e incontri, ci sono tambo e tambo, se si intende il tambo come difesa, sapere le cose in maniera imparaticcia, aderire e aggrapparsi a esse come un'ancora. In un certo senso ragionare per appartenenza o tendenza assolve le stesse funzioni del tambo, ci si difende in tutti e due i casi, la differenza è che il tambo è sacro, le nozioni imparaticcie, le adesioni superficiali hanno forse un certo potere, a volte determinante, ma la sacralità no. In questo senso, gli arabi conservano i tambo, gli arabofili occidentali no, la differenza è infatti profonda.
RispondiEliminaAdesso aggiungerò una noterella che descrive un pò come vedo io London...
RispondiEliminaNota di Sitka a "Mauki", Su London:
Il nutrito gruppo di idioti che attribuisce a London "sessismo e machismo" è alla stessa stregua di chi lo celebra come "socialista singolare", un analfabeta nel migliore dei casi, un codardo nel peggiore.
La realtà è invece la seguente: London aveva capito profondamente la sua stessa natura (di bianco americano e occidentale) e, pure criticandola nel profondo, non vi rinunciò. Potrebbe sembrare contraddittorio ma semplicemente non lo è, è l'uomo contemporaneo che tende a negare la realtà costantemente (anche all'epoca di London) in nome di ideologie o convenzioni.
La lettura di racconti come "Ya ya ya" o "Koolau il lebbroso", offrono un esempio di come London si fosse immedesimato talmente tanto nelle culture "diverse" (indigene, di isole dei mari del sud in questo caso) da percepire chiaramente, attraverso i loro occhi, quello che le atterriva dell'uomo bianco: il fatto che non accettasse la sconfitta, mai.
Le popolazioni indigene erano infatti abituatissime al contrasto e alla guerra, ma, come si nota nei racconti di London sopra citati, che narrano dei loro grandi uomini combattenti, i quali non si arrendono, contrastano e fanno strage (giusta) dell'uomo bianco, loro stesse sono atterrite e allo stesso tempo affascinate da questa creatura terribile che vuole piegare tutto, ma proprio tutto, alla sua volontà anche a costo della sua stessa vita. Non se lo spiegano, per loro è semplicemente assurdo.
London aveva capito qui una cosa fondamentale, lo scontro, la guerra, per le popolazioni a contatto con la natura voleva dire ri-equilibrio, c'era un'accettazione della sconfitta, o della vittoria, come di un fatto naturale, vi era una fine che veniva accettata come inevitabile: tutto ha una fine, questo sapevano le popolazioni a contatto con la natura. Anche da parte del vincitore, la vittoria non significava per forza l'acquisizione totale dei beni, la distruzione, la sottomissione completa dell'avversario, mutuata poi in assimilazione culturale, come per i bianchi. Il contrasto, tramite la guerra, significava ri-equilibrio, e questo era dovuto al fatto che queste popolazioni vivevano a stretto contatto con la natura e le sue durissime leggi, la loro legge poteva essere certo dura, ma non era mai estrema, distruttrice, doveva assecondare dei cicli, degli equilibri, delle gerarchie, che in natura erano presenti in eventi che avevano influenze di varia e differente portata sulla loro vita.
E London individua anche le due principali armi distruttrici dell'uomo bianco: una la Chiesa, che "educava", ovvero, cancellava le culture, le autorità e tutto il sapere locale, financo i Tambo, il tambo era ovviamente una difesa, un limite. Perchè ostinarsi con queste stupidaggini quando c'è Dio?
Perchè oziare tutto il giorno quando per mangiare puoi lavorare nella mia piantagione, costruita sulla tua terra?
L'altra forza, chiaro, il Commercio, che devastava il territorio e toglieva le terre agli indigeni. Con la forza certo, ma piu spesso con il ricatto. Le carte erano sempre in regola, come quella che firma involontariamente Mauki a cui è stato dato un pennino dalla cui punta è colato l'inchiostro su un contratto in cui si impegnava a lavorare 3 anni per la compagnia del sapone.
Vi suona un lontano eco di rimando?
Pensavo, caro Sitka, alle recenti indagini archeosatellitari dello Yucatan. Ormai è chiaro che le ritualità violente, Maya e Azteca, non sono sufficienti a spiegare un insediamento umano esteso che, probabilmente, in un'area di 2000kmq, ospitava oltre 20 milioni di abitanti. C'è di più di una semplice interpretazione su totem e tabù, c'è un'organizzazione raffinata, un linguaggio strutturato e complesso, una civiltà che, come ben osservi, sapeva anche, a costo di un senso del sacro crudele, ma non necessariamente cruento, interagire e riequilibrarsi ogni volta che le condizioni sociali e naturali venivano scosse. La loro repentina scomparsa "misteriosa", ancora oggi oggetto di speculazioni, è forse un esempio da seguire quando si riconosce a livello collettivo di non essere più in grado di coabitare armoniosamente con gli elementi che forgiano suolo e sangue. London era affascinato dal nerbo delle società tribali, ma sapeva, anche perché scriveva nel secolo dell'antropologia (oggi materia caduta in disgrazia a causa dell'ideologia dell'uguaglianza), come ben osservi, che un tempo, l'uomo bianco, (ma anche "bianco" ha una sua connotazione semantica generalizzante) viveva, si evolveva e moriva, seguendo cicli, tradizioni, esclusioni ed inclusioni forzate o meno di genti e culture, miscelandosi o contrapponendosi alla promiscuità sociale, soltanto in base a un sentire profondo della propria collocazione nel tempo e nel luogo dove praticava la sua umanità perfettibile. Cosa è accaduto a quell'uomo bianco? Questo è il vero trauma, la scissione schizofrenica di una razza, diciamola pure questa parola che tanto spaventa, che,non riconoscendo più la propria identità, si è appropriata di quella di altre razze, secondo un processo di conquista, ghettizzazione e inclusione. Pensando di sbiancare l'umanità scura, si è inevitabilmente meticciata, nel linguaggio, nel pensiero, nell'azione. La domanda è: si può pensare di mantenere un'identità di sangue e culturale per sempre anche immaginando di ripartire da zero su una terra vergine, come primi nativi o coloni? Questo è il tema di un notevole film di fantascienza di Zulawski, Sul globo d'argento, che fu censurato per anni dai benpensanti antirazzisti che continuano a suggellare l'uomo dietro il cartiglio che riporta in rilievo la parola HUMANITAS.
RispondiEliminaLondon sapeva che l'uomo bianco viveva si evolveva etc. seguendo cicli? Forse si, forse no. Lo sapeva sicuramente con la testa, ma a livello cromosomico egli già apparteneva al ceppo colono, sicuramente un felice esemplare di maschio anglo-americano, mens sana in corpore sano. Purtroppo da quelle parti è la mens sana ad essere rara. Non credo che egli intuisse neanche lontanamente gli equilibri del vecchio continente specie i più delicati. Cosi come i tedeschi per quanto possano leggere e studiare non capiranno mai nulla dell'Italia e così come noi non capiremo mai un tubo di cosa passa veramente per la testa di un norvegese. Quello che mi premeva chiarire è che i "ridimensionatori" (ovvero detrattori impossibilitati alla critica dalla comprovata fama universale) di London non capiscono è che sarebbe stato assurdo per lui, data la sua ferrea morale materialista rinnegare se stesso e quindi, la sua razza. Si riconosceva e si amava per quello che era, equilibri e squilibri compresi.
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