Decifrare il passato (e il presente)

Racconti e improvvisazioni

Novità sconsigliate ai puri di cuore

18 marzo 2022

Apologia dell’odio [B. E.]


 
Ricevo e ho il piacere di pubblicare una riflessione sull'odio e la guerra desunta dagli scritti di Giacomo Leopardi.
 
B.E.

L’asfissiante retorica culturale imperante oggi in Italia si impernia essenzialmente sui così detti “buoni sentimenti”. Una meschina morale manichea che vede la società italiana divisa in due blocchi: da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. I buoni, che sono votati anima e corpo al trionfo dell’amore, del bene, della giustizia e della libertà. Illuminati da una vera e propria superiorità culturale (e sentendo alcuni discorsi perfino antropologica, se non razzista), i buoni si fanno carico del peso della civiltà ed indirizzano la vita della società verso le “magnifiche sorti e progressive”. Di fronte ad essi stanno i cattivi: ignoranti, bigotti, razzisti, stupidi e privi del senso di libertà. La lotta del Bene ha come bersaglio principale non un’ideologia o un partito, ma un sentimento: l’Odio. L’Odio è ritenuto, così, la fonte di ogni opposizione al progresso della società verso il Bene, tant’è vero che è stato criminalizzato anche dal punto di vista giuridico (concependo i così detti “crimini di odio”). Ma cos’è l’Odio? È possibile e giusto eliminarlo dalla società? O piuttosto non è un elemento essenziale della società stessa?

Questo scritto vuole essere un pratico discorso volto al riposizionamento dell’Odio nell’immutabile ordine naturale della vita. Le righe che seguono non sono altro che riflessioni sui pensieri esposti dal Leopardi nel suo diario filosofico, fra la fine di marzo e l’inizio di Aprile del 1821.

13 marzo 2022

Siamo sempre in ritardo col passato [Il Poliscriba]

Masters of puppets

Il Poliscriba

"Portare il tabarro fra persone che indossano piumini, bere Tocai Rosso fra persone che bevono Cabernet Sauvignon, mangiare spongata fra persone che mangiano panettone, pregare la Madonna fra persone che vanno alla Conad la domenica, gustare spalla cruda fra persone che ordinano culatello, visitare cimiteri fra persone che dicono 'weekend', ipotizzare un giro a Bagnacavallo fra persone che vanno a Barcellona, ammirare Marta Sesana fra persone che stimano Cézanne … Senza fare proselitismo, senza la speranza di convertire: una pura, tranquilla, inutile, bellissima testimonianza".

Camillo Langone


Il saggio sprofondato nelle sabbie immobili e remote, invitava a non confondere il dito con la luna.
Mi aggiro per la città dolente, sottovoce invoco il Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio e gli chiedo di aver pietà di me, secondo l’esicasmo labiale cercato e praticato dal pellegrino russo.
Nei carmeli d’oggi, le celle, per quanto ancora vagamente spartane, non presentano più al forestiero, quanto al cenobita, lo scrittoio adorno del teschio, delle scritture e della candela.
In uno dei monasteri dell’Athos si conserva una stanza dalle dimensioni modeste, denominata dai shimnik la Sala della Filosofia.
Al suo ingresso, si viene accolti da quattro pareti alte più di cinque metri interamente foderate di teschi, appartenuti ai monaci  che fecero del sacro monte dimora celeste già in sede terrestre.
La Filocalia mi allieta in questa mia continua sostituzione del presente quantomeccanico con azioni inversamente proporzionali all’utile e al dilettevole.
L’incessante orazione che sfugge alle labbra e per opera misteriosa tracima nel cuore a guisa di un lieve piacevole dolore, non è mantra, ma passaggio attraverso la Croce, la Passione e non è semplice reiterazione.
Vado a ritroso nel tempo, varcando porte, sale della filosofia nelle quali l’odore di morte, inspiegabilmente profuma di gigli, come dal sepolcro di S. Antonio da Padova, l’incorrotto, ne colsi inaspettata la fragranza, un ventennio addietro.
Il marcio afrore del nulla non può esaltarmi, l’estetica del divino, sì.
Piuttosto mi ferì il sentore stranamente dolciastro della salma di mio padre, ormai giallastra nell’epidermide, rinsecchita in una posa contorta, plasmata dagli ultimi atroci dolori collassati nell’ultimo desiderato respiro, addolcito dalle preghiere di una suora sudamericana che mi sostituì dopo una giornata trascorsa ad assistere i deliri finali d’ un’anima povera e disperata in cerca di perdono e di Dio.

02 marzo 2022

Una guerra spietata

 

Roma, 2 marzo 2022

Mi ferma un tizio che non posso evitare. Conoscendomi un poco, vuole, forse, stuzzicarmi.
Ma tu sei con Putin, no? Che ne pensi, ce la farà?”.
Caro mio, io sono con pochissimi, pochissimi. Quando sarò con qualcuno te lo farò sapere. Posso dirti che non sono al fianco dei cretini del tifo, quello sì. Sulla questione in oggetto posso, invece, dirti che, finora, almeno per quanto ci riguarda, la faccenda pare la continuazione di Roberto Speranza con altri mezzi … é una guerra spietata … Giudica tu, non voglio forzarti … staremo meglio o peggio? Non che a te freghi qualcosa dato che il pane te lo provvedo con imposte e tasse …”.
La prima parte non credo l’abbia compresa, l’ultima frase sicuramente sì poiché s’è impermalito subito. Uno in meno da salutare.

Mi dicono: è la guerra! Ma io non presto attenzione all’attualità. Una guerra, una guerra vera intendo, sarebbe la liberazione definitiva.
Non la guerra di qualcuno contro altri, né la guerra degli amici contro i nostri nemici.
La guerra in sé, l’amabile sofferenza, persino la disperazione, il timore fisico della morte.
Questo ripulirebbe l’animo dalle incrostazioni, farebbe rifulgere entro il petto un nuovo nuovo cuore, dorato!
Per questo, temo, non avremo guerra, ma solo il simulacro d’essa.

Ancora una volta noto come frasi additate al ludibrio come “Guerra sola igiene del mondo”, debitamente considerate, abbiano la forza di fatti indiscutibili. Al pari delle intemerate di D’Annunzio sulla sterilità della democrazia e del Céline sulla comunità di sangue come unica via di salvezza.
In altre parole: avevano ragione loro.

Ma se non é guerra cos’è?
L’ombrello sotto cui la regressione arriverà in tre anni invece che in trenta.

Una tizia, rettrice di non so cosa, interrompe un corso su Fëdor Dostoevskij, tenuto da Paolo Nori, per “evitare polemiche in un momento di forte tensione”. La rettrice, consultatasi col rettore alla didattica, ha evidentemente deciso di oscurare i riflettori su un russo (un minore della letteratura: Dostoevskij) per non alimentare polemiche durante l’attacco militare dei Russi (di cui Dostoevskij fa parte, nolente), nostri nemici acquisiti da poco, contro gli Ucraini, di cui i maggiori e più responsabili media (digitali e analogici) hanno appurato, invece, la schiettezza amicale.