Decifrare il passato (e il presente)

Racconti e improvvisazioni

Novità sconsigliate ai puri di cuore

24 gennaio 2022

Il prigioniero


Roma, 24 gennaio 2022

Vede, caro figliuolo ... Il generale Francesco Paolo Figliuolo (1961-vivente), potentino come mezzo Roberto Speranza, e italiano come (forse) mezzo Roberto Speranza, pluridecorato, più del Gran Mogol delle Giovani Marmotte, avrà mai sparato una cartuccia in vita sua?
E chi lo sa.
Di sicuro sappiamo ch’egli iniziò formazione e folgorante carriera nel 1980: corso 162 (motto: “Onore!”) presso l’Accademia Militare di Modena.

Cronologie. 23 febbraio 1972 (corso 154, nessun motto), otto anni addietro. Eugenio Cefis (1921-2004), successore di Enrico Mattei, tiene un famigerato discorso presso l’Accademia Militare di Modena: Il pontefice dell’ENI illustra (con inflessioni apodittiche e mai dubitative) alcuni nudi fatti: l’Italia (e l’Europa) più non esisteranno; i cadetti dell’Accademia, futuri Figliuoli del mondialismo, ben avrebbero fatto, quindi, a dichiarare fedeltà agli enti sovranazionali invece che alla Patria, la terra dei padri. In pochi minuti Cefis liquida un paese, un continente, una cultura ancestrale.

Giugno-luglio 1972. Pier Giorgio Bellocchio (1931-vivente), fratello del regista Marco, pubblica nel mensile “L’Erba Voglio” (nr. 6) l’allocuzione di Cefis, arricchendola di qualche azzeccata postilla.

Settembre 1974. Elvio Fachinelli (1928-1989) dona l’ominoso numero della rivista a Pier Paolo Pasolini, assieme a un libriccino di Giorgio Steinmetz (alias Corrado Ragozzino) su Cefis. Pasolini, che in quel momento sta lavorando alle bozze di Petrolio, accetta il regalo di buon grado. Quelle parole lo recheranno alla verità dei fatti incontrovertibili; egli ne comprese al volo la devastante portata tanto da fargli abiurare l’impegno politico comunista, la sinistra, la futilità della polemica di partito. La sua conoscenza, profondamente intuitiva, della storia italiana, sotto tale nuova prospettiva cambiò radicalmente. È la rivelazione dell’anamorfosi: il cambio del punto di vista, originato dal caso (in questo: un discorso di Cefis), fa sì che la figura dapprima percepita si definisca in nuove, imprevedibili, definitive e terrificanti silhouettes.

9 gennaio 1975. Pasolini annuncia il grande romanzo Italiano, Petrolio, in un’intervista a “Stampa Sera”.

2 novembre 1975. Il cadavere di Pasolini è rinvenuto presso l’Idroscalo di Ostia.

Dalla lettura de “L’Erba Voglio” alla rena fetente di Ostia passano circa quattordici mesi.
Quando si staccano gli occhi dal circo del quotidiano, dalla polemica e dagli imbecilli e, anche per puro caso, si affondano nella melma della verità: nell’Hellfire Club della verità, allora ... Allora si scappa; o ci si vende; oppure si muore.
 

L’occhio della Provvidenza. Roberto Speranza nasce a Potenza il 4 gennaio 1979. Come sempre accade, egli, inavvertito ai più, sbaraglia sin da giovane tutti i concorrenti. Politici di lungo corso, volponi, maneggioni e culi di piombo cedono il passo alla nuova speranza del partito. Nessuno sa perché ciò accada: e tuttavia accade. Speranza muove da un fortino partitico anch’esso trascurato, spesso dileggiato. Eppure adesso è qui. Come un predatore seriale: pochi attimi prima non c’era, ora è nel villaggio.

Roberto Speranza fu lungamente covato dalla comunità patrizia di riferimento. Figlio di madre inglese, cugino di un tal Nick, collaboratore dell’ex premier inglese Gordon Brown. Il fratello: Peter Speranza. Ma ballano altri nomi: Sandro, Raul. In realtà cosa sappiamo di questo omarino? A osservarlo, le prime settimane, m’interrogavo: ma è pure strabico? La sua palpebra mi sembrava un po’ calata; diversamente da Gordon Brown che, invece, vanta un bell’occhio di vetro. Forse un segno di natali regali, come per Odino, l’essere Alieno, l’Altro, prodigo di indovinelli, colui che sacrifica l’occhio per libare l’idromele a una fonte di saggezza sacra? “Guardati dai segnati di Dio!”, ammoniva mia nonna. Ma era pazza, oltre che plebea nel sangue.
Le comunità social, fondate sul nulla, e ideate da tutti gli Speranza di questo mondo per risarcire i micchi con il nulla, non sanno come prendere il Ministro più importante dei governi italiani degli ultimi due anni. Al massimo lo prendono per i fondelli, non si capacitano: è possibile questo? Certo che lo è. La natura delle cose ama nascondersi.
Già dal nome, è Roberto Speranza a prendere per i fondelli tutti noi. La sua irresistibile ascesa dovrebbe ammonirci nella cautela. Egli domina, incontrastato.  Di lui sappiamo men che niente.

L’occhio della madre. Il superiore del ragionier Ugo Fantozzi, Guidobaldo Maria Riccardelli, costringe gli impiegati della Megaditta a noiose serate di cinema d’essai. All’ennesima imposizione, che manda all’aria l’ambita telecronaca di Italia-Inghilterra, sabotata dalla proiezione del raffinatissimo La corazzata Kotëmkin (Sergej M. Einstein, 1925), Fantozzi getta la maschera della pavidità e capeggia la rivolta. Riccardelli è fatto prigioniero è costretto a guardare, sui ceci, Giovannona Coscialunga, L’esorciccio e La polizia s’incazza. Finché la polizia, come recita mostruosamente lo stesso Villaggio fuori campo, s’incazza sul serio e, mercé un paio di lacrimogeni, riduce gli insurrezionalisti a consigli men che miti; id est: scuse pubbliche, cenere sul capo e la condanna a ri-girare ex novo le scene capitali de La corazzata. Fra queste spicca la memorabile sequenza di Odessa in cui le truppe zariste spazzano a fucilate la scalinata dai rivoltosi; qui, infatti, il montaggio fulmineo del regista si compone di fotogrammi altamente espressivi: la carrozzella che precipita, la madre disperata (l’occhio della madre!), la lente spezzata, gli stivali della soldataglia. Gli impiegati, che avevano incenerito una rarissima copia del capolavoro, sono tramutati in attori: a Fantozzi tocca la parte del neonato nella carrozzina allorché la madre (interpretata dalla Pina, moglie del ragioniere), colpita a morte, la lascia scivolare saltellante lungo la sanguinosa gradinata …
Del tutto simile la scena della deputata Sara Cunial sui gradini della Cassazione a piazza Cavour a Roma, scacciata, assieme a un pugno di avvocati, da un cordone di agenti col fucile a tappo. La polizia, in tal caso, non si è nemmeno incazzata. Sarà stata, al massimo, un pocolino irritata: “Ma guarda che ci tocca vedere … proprio ora che si poteva pigliare un caffettino in pace a via Cicerone … e invece spuntano questi qui …”.
Non so dare torto all’agente Filippo Panzerotti né al sovrintendente Elpidio Manganello se, in tale occasione, avranno formulato tali parole. E hanno ragione: non sono cose da farsi, a quell’ora antelucana, poi: le 11.00! Lo trovo, da osservatore esterno, alquanto indelicato.
E soprattutto: come fanno la Cunial e gli avvocati lì presenti, tutta gente col pelo sulle unghie, a credere alla legge? La legge, signori, la legge! La democrazia! La democrazia!! In Italia! Nel 2022! Come se esistesse un corpus di leggi! E dei magistrati! Un fatto che, nel mio piccolo, nego recisamente!
La legge, infatti, va e viene, come le sentenze; qual piuma al vento, si piega a ogni esigenza superiore. È sempre stato così e, oggi, lo è in massimo grado. Ma lo sanno questi signori cos’è la legge? È l’espressione di una vittoria, e si mantiene finché sono in vita i custodi di quella vittoria. Tutto qua. Credere che un’oscura deputata e una manciata di mozzaorecchi possano sovvertire lo Spirito dei Tempi ricorrendo alla legge, per ottenere giustizia … lo trovo di irrealtà disarmante. Ricorsi, tutele, appelli … tutta la paccottiglia del cittadino fesso! Senza esclusioni! La Cunial e i suoi sostenitori dovrebbero prima vincere una guerra, quindi imporre la loro legge e poi preservarla nel tempo: ecco l’unico modo per reclamare giustizia. È tempo di teste rotte e nasi insanguinati dice Hotspur nell’Enrico IV. Lo stesso Michael Kohlhaas, una volta compreso che le armi della giustizia sono caricate a salve, comincia a spaccare teste. Come sempre è stato fatto.
Purtroppo in Italia (2022 d.C.) latitano sia le teste calde che il tratto drammatico: la Cunial a rotolare per le scale assieme alla carrozzella dei diritti costituzionali negati avrebbe, forse, smosso qualche coratella. La commedia, invece, nulla ha ottenuto se non blandi lazzi social.

Tomorrow and Tomorrow and Tomorrow. Sul palco dell’impostura ogni attore e azione sono presenti. Chi può dirsi innocente? La luce del potere definisce, però, solo alcuni; un gesto; dei fatterelli. Da ciò l’illusione che la storia giudichi i veri colpevoli.

Paese che vai. Una domanda: perché gli americani sudisti tengono così tanto al porto d’armi? Perché sono razzisti, sporchi, incestuosi e cattivi come li dipinge Holy Wood? O perché sanno?

Un paziente che non ha pazienza. Occorre sempre lavorare di bisturi, come il Totò chirurgo nel Diabolicus. Arrogante, baronale, sadico, semicieco per colpa di un incidente agli occhiali, egli scambia teste e polsi del paziente (un tremebondo Pietro De Vico) per quelli di infermieri e collaboratori; la suora, invece, gli sembra un marinaio; dà sulla voce a tutti, taglia intestini col metro; intima - sempre al paziente (che non ha pazienza e balbetta le sue rimostranze in anestesia locale) - di alzarsi e andarsene, con le budella fuoriuscite; sussurra complice di organizzare un fagottino - per il suo gatto - con le trippe appena escisse. L’incisione, poi, vien fatta alla cieca, guidata alla men peggio dall’assistente:

È qui … eh, è qui?
Sì professore, più a destra
Aspetta … fa vedere … sì, più a destra …
Più a destra …
Ancora?
Ancora un pochino …
Un pochino?
Noooo …!
E Totò: “Porca miseria … vedi a volte come accadono le disgrazie … stavo tagliando il cuore … eh, stavamo a cavallo poi …”.

Occorre sempre comprendere, lavorare di bisturi; il più grande inganno si cela dietro l’irrilevanza, soprattutto quando si hanno di fronte personaggi apparentemente irrilevanti, come Roberto Speranza, il quale dice e non dice: il linguaggio, di cui egli è ventriloquo, allude ad Altro, che non è lì, ma nei pressi. L’arcinemico è ghiotto di indovinelli e trucchetti verbali e logici. Sbagliare la diagnosi esaminando le minuzie iniziali reca quasi sempre al disastro strategico.

Villaggio globale. Sergej Einstein e La corazzata Kotëmkin. Perché Villaggio storpiò quei nomi? Si vergognava? Forse. Prendere per i fondelli uno dei maggiori cineasti di sempre cosa significò, in quel caso? Avrebbe potuto dileggiare certe sofisticherie intellettualoidi degli anni Sessanta e Settanta; e invece mirò lì. Egli aprì il fuoco contro la classe intellettuale; e , assieme a quella, a ogni tentativo autoriale, subito avvertito come snobistico, pesante, ridicolo. Dopo di lui (1976: è una data simbolica, ovviamente) anche solo accennare al cinema d’essai divenne una barzelletta. Articolare un discorso che non fosse sghignazzo o maniera sentimentalista fu la prova che si era sussiegosi passatisti. Non abbiamo una cinematografia da trent’anni almeno e però si ride ancora sulla Corazzata Kotëmkin. Chissà, magari l’Italia era già marcia. Aspettava il via libera e acconsentì subito alla smobilitazione. Disse: sì. Nella società accadde lo stesso: via l’industria pesante, bene la moda; addio voto in condotta, meglio i giudizi; addio al settore produttivo agricolo e via al terziario.
Altan diede a tale rotta un giudizio insuperato: dal gelo degli anni di piombo siamo passati al calduccio di questi anni di merda.

The prisoner. La serie TV Il prigioniero, interpretata da Patrick McGoohan, e articolata in diciassette episodi, venne trasmessa in Italia a spizzichi e bocconi. Di fatto ben pochi l’hanno mai gustata dall’inizio alla fine (chi vuole evitare spoiler salti, perciò, al prossimo paragrafo).
Il protagonista che, s’intuisce, è un alto dirigente o un agente segreto in rotta coi superiori, viene narcotizzato e poi sequestrato. Si risveglia in un villaggio assai grottesco, una SPA che sembra uscita dalla logica bislacca di Lewis Carroll. Nel Villaggio, abitato da un’umanità puerile e ridanciana, ci si sposta con biciclette ottocentesce o con automobili da campo di golf; nessuna lavora; i pagamenti avvengono esclusivamente tramite crediti; non vi sono bambini; splende sempre il sole; ogni componente del villaggio rappresenta un tipo sociale, senza limiti di sesso ed età: parecchi di loro si comportano naturalmente, ma si scoprirà, molte sono le spie: forse tutte poiché chiunque spia il vicino; nessuna vanta un nome bensì un numero: il protagonista sarà chiamato Numero 6. Chi tenta di fuggire è braccato dai Rover, sorta di fluttuanti palloni bianchi che fagocitano la vittima; un centro di controllo sotterraneo monitora costantemente gli ospiti; nessuno riesce a comprendere dove si trovi il Villaggio: vicino Londra, nel Mediterraneo, in Unione Sovietica. Un attore, a volte, interpreta due ruoli; la camera in cui è narcotizzato il Numero 6 è la riproduzione fedele di quella in cui si risveglia, entro il Villaggio. Ma perché il Numero 6 è prigioniero?
Nel primo episodio vi è un dialogo preciso fra l’antagonista Numero 2 e il Numero 6 che esige di sapere chi sia il deus ex machina di quella farsa spettacolare, il Numero 1:

Numero 6: “Chi è il numero 1?
Numero 2: “Tu sei il Numero 6
Numero 6: “Chi è Lei?
Numero 2: “Sono il Numero 2
Numero 6: “E chi è il Numero 1?
Numero 2: “Tu sei il Numero 6”.

Nel finale tale dialogo, apparentemente innocuo, rivela ciò che, segretamente, si è sempre sospettato:

Numero 6: “Chi è il Numero 1?” [Who’s the Number 1?]
Numero 2: “Tu lo sei, Numero 6” [You are, Number 6].

Il Numero 6 è il Numero 1; la libera scelta celava la propria prigionia; la stanza era quella del Villaggio, e il Villaggio era Londra, Roma, Mosca, Buenos Aires; il Villaggio Globale era il mondo, un mondo di prigionieri nell’inferno della tecnologia, sospettosi, fatui, ridanciani, privi di libertà.
La verità era sotto gli occhi del protagonista, da subito; eppure egli rimaneva cieco. Sarebbe bastato un piccolo segno d’interpunzione in più a svelarla: come nell’anamorfosi, un cambio casuale di prospettiva avrebbe ridefinito il suo sguardo.
L’equivoco in cui incorre da subito il Numero 6 rassomiglia a quello della Pizia in cui cadde Creso, re di Lidia.
Recatosi a Delfi, Creso interroga l’oracolo: “Se muoverò contro Ciro, re dei Persiani, avrò la vittoria?”. E il dio, traverso i fumi dell’incenso: “Se guaderai il fiume Halys cadrà un grande impero”. E così accadde: Creso mosse contro i Persiani, passò l’Halys; e fu sconfitto. Il grande impero di Lidia rovinò assieme al suo massimo condottiero. Era il 546 a.C.

Gravitas. La gravitas romana: un impasto di cautela, dedizione, studio. Accortezze, sospetto, fiducia in sé stessi e nel proprio sangue.

Hans Diels & Werner Kranz. Anche nei frammenti eraclitei del Diels-Kranz si celano inganni: “Di questo Lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato, sia subito dopo averlo ascoltato […] agli uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo”. Anche Aristotele si fermò alle soglie della comprensione di tale passo: è il Lógos “che è sempre” (e quindi eterno) oppure del Lógos (che può identificarsi con un costrutto logico, ma non metafisico) “sempre gli uomini non hanno intelligenza”? E chi lo sa. Basterebbe un segno d’interpunzione in più che, però, non esiste. L’errore nel giudicare tale minuzia recò molti geniali filologi al disastro interpretativo.

Trama per una farsa apocalittica. La silhouette del Prigioniero emerge a tratti dalla biacca di un’insolita nebbia romana. Il passo, calmo, non tradisce esitazioni. Sotto l’anonimo palazzo grigio dai rudimentali infissi rossi egli sosta per qualche secondo, rivolgendo lo sguardo a una finestra di cui aveva in precedenza memorizzato la posizione. All’interno s’indovina una debole luce. Presso i citofoni, in cui si rabberciano identità di famiglie e convivenze, individua il nome che interessa, un elemento minore, ma fidato, della cospirazione. Pigia il pulsante. “Sono A.”. “Fai un giro intorno, non si sa mai”. A. capisce: timori e tremori. Accortezze. Dopo qualche minuto, suona, di nuovo. Il portoncino d’alluminio si schiude con un piccolo scatto secco. Il Prigioniero sale le scale, lento; odore di cucina, afrori di trascuratezza. La massa scura del suo uomo s’indovina entro il ritaglio della porta socchiusa. “Buongiorno”. “Buongiorno”. L’ingresso è immerso nel buio. Un portaombrelli, il buffet della nonna appesantito da soprammobili kitsch, una specchiera martoriata dal cancro dell’argento. Una stanzetta, sulla destra: spoglia, a eccezione di un paio di mobili seriali, quelli condivisi da tutto il mondo. Al centro, incongruo e ominoso, il sedile cerimoniale. “Vuoi prima un caffè? L’ho fatto da poco”. “Sì, va bene. Niente zucchero”. “Tutto bene?”. “Mi accontento”. “Mi dispiace averti fatto fare un giro … è per i controlli …”. “Lo so. Non fa nulla”. Il Prigioniero beve il caffè tiepido fissando un punto oltre la finestra, oltre il mondo. Posa la tazza mondialista da un euro, tace. Per uscire dall’imbarazzo, il Cospiratore affretta il negozio, precedentemente organizzato al telefono: “Allora, come li facciamo?”. E l’altro: “Come al solito. Corti”.

Diario di mistica italiana. Ho approntato, negli anni passati, un paio di breviari sull’orgoglio di essere Italiani. L’immedesimazione dell’Italiano col proprio linguaggio e il proprio paesaggio: torri, colline, vallette, chiese. Essere Italiani non è, di certo, un tratto nazionalistico. Le fanfare e i risorgimenti le lasciamo, noi, all’Accademia Militare di Modena. Si tratta di sangue, e basta. Anche Céline ci ammonì, in quel suo brano che citai. Il sangue si nutre di parole e paesaggi poiché ogni individuo coincide con la mappa storica dell’Italia. L’Italiano, formato e degno di felicità, è tutt’uno con l’Italia; le sue ossa sono le alture, i fasci di muscoli e nervi i rivi e i sentieri. Per questo l’Italia è sacra: muovere anche una roccia o un ciottolo è un atto che si riverbera su di noi; occorre cautela: abbattere un casale antico, a esempio, è un atto da circonfondersi di cerimonie lustrali. Si va a modificare un Corpo Mistico; un eventuale sacrilegio potrebbe ingenerare sconvolgimenti cellulari, metastasi morali. E dico questo al di là di ogni spiritualismo d’accatto; affermo ciò per la vostra salute fisica e mentale. Essere Italiani significa sopravvivere. Rinunciare all’Italia equivale a morire. In ciò la scelta. Rinnegare l’Italia recherà all’autodistruzione. L’esotismo e l’escapismo, la sciocca moda per l’etnico, il cicalare sull’espatrio come salvezza: mi rendo conto che sono prodromi alla pazzia e alla morte. Anch’io ho in testa di andarmene, sia chiaro. La ragione, però, mi esorta a restare. Se una civiltà è nata in una pozzanghera, nella pozzanghera troverà la salvezza. L’infatuazione per costumi estranei, il tratto esterofilo, hanno contraddistinto inequivocabilmente le culture al collasso.

La pellaccia. Elémire Zolla, un pensatore che mi piace rileggere, e a cui riconosco acute critiche nel campo del postmoderno, ebbe, a suo modo, a rinnegare l’Italia. Anche qui, l’amore per l’esotico (la medicina orientale) e la sottovalutazione delle proprie radici, rischiò di farne un nuovo, ridicolo, Don Ferrante. Malato ai polmoni, fu sul punto di tirare le cuoia per troppo amore alla sapienza d'antan. La compagna Cristina Campo, invece, in un empito di buon senso femminile, ebbe a salvargli la pellaccia consegnandolo alle cure del medico di famiglia; questi predispose alcuni banali ritrovati allora in circolazione: più che l’ayurvedica e gli alambicchi poté l'italianuzzo.

Bertoldo. Sì, forse è meglio spegnersi nella pozza in cui siamo cresciuti. Altrimenti si rischia la buccia, come si è visto. Al pari di Bertoldo che, abituato a fagioli e rape, si lasciò morire alla corte del re, intristito a fronte di quei cibi, raffinati e troppo stranieri.

Anni fa. Tanti anni fa scrissi un piccolo commento in calce a un post di un noto blogger: "Come andremo a finire? Diverremo sudditi di un neufeudalesimo su base plutocratica". Avrei dovuto aggiungere: "Senza nemmeno la possibilità di trovarci un padrone poiché il dominio sarà esteso al mondo". Si dice che l’unica scelta dei ronin fosse il suicidio o un nuovo signore da servire. Il termine ronin, però, sembra più risalente, indicando l’individuo che, per sfuggire alle persecuzioni, trova riparo in luoghi inospitali e remoti. Come il waldgänger nordico, su cui si esercita Jünger, o il proscritto o l’esule. La differenza da Il trattato del ribelle, però, concretatasi a poco più di settant’anni dall’uscita del saggio, sta in questo: non vi è più tirannia bensì totalitarismo. La tirannia necessita di forza, il totalitarismo no. La prima concede almeno l’onore delle armi ideologiche al ribelle, il secondo no. Non solo, ma il totalitarismo nega persino lo spazio fisico al dissenziente. Scompaiono le terre dell’esule, i recinti sacri, le montagne inospitali. Tutto è alla luce. Il mezzogiorno illumina la totalità della vicenda umana annichilendo qualsiasi ansimo di libertà; presumere la cagnara degli spiriti liberi come fece Nietzsche fu un errore: ci attende, invece, lo spirito dell’alveare.

Stato, nazione e Paese. Gli esserini del futuro si stanno accorgendo che lo Stato non è loro amico. Anzi: che lo Stato, questa entità presupposta benevola, se non sostanziata da uomini benevoli, può trasformarsi in carnefice. Giorno dopo giorno le ripartizioni interne allo Stato hanno ceduto consegnandoci un cumulo di letame indifferenziato, alla faccia della divisione di poteri e competenze. Magistratura, polizie, governo, apparato burocratico si son fuse in un organismo unico che, in cambio di alcune prebende, ha consegnato l’Italia in Mani Altrui. Il magistrato, il poliziotto, il governante, l’assessore, l’impiegatuzzo ministeriale, il tecnico provinciale, il funzionario hanno operato una fusione in patriziato piccolo e medio-alto dimenticando dolosamente doveri, obblighi e giuramenti; ciò che definisce tale nuova entità sommamente anticostituzionale e anti- italiana è la plebe cioè il numero di coloro che non fanno parte del patriziato stesso. La plebe, Noi, una massa altrimenti anonima, di fatto deprivata d’ogni diritto, vanta un solo rilievo: quello d'esser costretta a conferire i propri beni in Mani Altrui - le Mani che, a tempo debito (almeno così crede il patriziato anzidetto) faranno cadere mance e croccantini a suo favore.

Miti. Una convinzione altrettanto patetica degli esserini del futuro consiste nel mito della libera stampa e della giustizia. Entrambe, come detto, sono soltanto macchine burocratiche; sollecitate nel verso di una distruzione del paese, esse non avranno altro fine che la distruzione del paese stesso, lo stesso  che, nei ritagli di tempo, affermano di servire. Il mito della giustizia e della libera stampa riposa su un equivoco: credere che le istituzioni siano altro rispetto alla contingenza storica, umana e psicologica; nel dopoguerra ancora resistevano uomini educati dalla guerra e dalla vita; in loro permaneva, quindi, con pulsione istintiva, l’afflato naturale della giustizia, al di là di fedi e convincimenti. Fu la guerra a donarci le milizie in grado di reggere le istituzioni e di creare il mito che esistesse una pace perpetua.

La pace. La pace perpetua, però, insinua il cancro nell’esistenza dell’uomo. Dopo trent’anni dall’ultimo colpo esploso, gli uomini del dopoguerra non trovarono degni sostituti. Il sistema democratico lentamente implose; partiti, statisti e funzionari divennero progressivamente fiacchi servitori del primo padrone a gettone; i compartimenti stagni della nazione cedettero; si preparava l’ammucchiata per l’autodistruzione finale. Mani Pulite preparò, dopo la fine del comunismo mondiale, il grade trasbordo dell’Italia in Mani Altrui. Destra, Sinistra, Equità, gerarchia, cittadinanza vennero svendute ai piedi del Vitello d’Oro. Dal 1992 a oggi, altri trent’anni segnati da omicidi di stato, massacri culturali e svilimenti da supermercato mondialista hanno prodotto quel poltiglioso patriziato che oggi svende il proprio Paese servendosi del sopravvissuto apparato repressivo. Lo spettacolo è avvilente, certo, ma ognuno di noi ha contribuito al suicidio.

Cani. L’unico modo per salvarsi è riuscire a detronizzare i traditori. Le liste di proscrizione dovrebbero includere qualche centinaia di migliaia di Italiani; la soluzione Spartaco (crocefissioni sulla via Appia) sarebbe perfetta, ma a una nazione i cui abitanti lacrimano per la perdita del cane di famiglia non si può chiedere troppo. Li si dovrebbe ostracizzare a vita. E come? Con la forza, dopo aver abolito la democrazia. Come dite? Ciò è impossibile, impraticabile, folle? Bene, allora rassegnatevi a morire lentamente, a lato della strada, la matita copiativa infilata sopra l’orecchio.

New Century Real Estate. Fra qualche anno, se continuerà la non-opposizione, o i giochini puerili sui social, la quasi totalità degli aborigeni italiani si getterà in ginocchio presso l’Agenzia delle Entrate implorando di corrispondergli qualche spicciolo in cambio della nuda proprietà sulla prima casa o della vendita al fondo internazionale New Century Real Estate della seconda casa al mare o ai monti, una volta fiore all’occhiello di mamma e papà, dopo una vita di lavoro e tasse e imposte pagate.

Tecnopueri. Cosa imputo agli esserini? La puerilità. Son proprio piccoli, stupidi, ottusi. Non prendono nulla sul serio, vengono ammansiti da cialtroni, si accontentano della via più facile. Ignorano che solo la sofferenza dona la libertà. E che non avremo libertà a breve perché poco abbiamo sofferto. Il tecnopuero si accontenta di dileggiare i propri oppositori con l’hashtag, poi nella vita reale si fa mettere nel sacco dall’ultimo impiegatuccio o gendarme che lo costringe a un’esistenza da cane. Finché le prime linee del potere rimarranno in piedi senza ferite, avremo poco da sperare.

Perché no? Si dice: “Non possono farlo! È illegale, è anticostituzionale, è una coercizione dei miei diritti!”. La mia risposta, invece, è: “Perché no?”. La legge si sostanza degli uomini. Il sabato fu fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Senza l’uomo non v’è il sabato cioè l’essenza stessa, fondante, peculiare, della festa e del sabato da cui discendono, accettate da tutti, le regole, gli indirizzi, i colori dell’obbligo. Quando vengono meno gli uomini che l'hanno scritta nel sangue, quella legge vien meno, e così l’obbligo della legge, il giudice che quella legge osserva e ridefinisce e da cui trae forza per emanare sentenze; una somma di omettini, invece, crea solo una poltiglia indistinta e questa ingenera l’implosione di qualsiasi diritto e istituzione. Inutile invocare i giudici (c’è un giudice a Berlino?) in tempi di confusione. La legge occorre meritarsela. Michael Kohlhaas visse le nostre stesse paturnie e titubanze; alfine, compreso che la legge più non esisteva, decise di mettere a ferro e fuoco un intero paese; egli agiva in nome della Giustizia, una volta ch’ebbe appurato che l’ingiustizia aveva travolto le fondamenta della convivenza sociale. L’impari e asimmetrico scontro ch’egli ingaggiò apparentemente per una minuzia (il sopruso dello junker riguardava due cavalli) e l'enormità della sconfitta patita (la morte della moglie, la caduta economica, la condanna a morte) sono incomprensibili solo a chi ha un’anima piccola. Ma ciò è inevitabile. La maggioranza degli esseri umani è pura carne, mero transito di cibo e sterco: la grandezza è dei pochi.
Per questo oggi è l’assenza della minoranza, dei felici pochi che si sarebbe dovuti naturalmente incontrare da subito, ad agghiacciare: perché solo loro possono immediatamente far propria l’etica di Kohlhaas. Ma dove sono? Esistono ancora?

Pace 2. Ottant’anni di pace! Quale popolo avrebbe resistito? La pace infrollisce, incita alla degenerazione. Ve lo dico da pacifista! Conoscere l’uomo, ecco un’arte non più alla portata di mente dell’omuncolo. La pace è desiderabile, durante i massacri della guerra, ma solo la guerra affina lo spirito dell’uomo. Ciò non è un’opinione e nemmeno un giudizio: è la verità. La verità, purtroppo, non è adatta al tepore dei cubicoli degli esserini: esige la tempesta.

Keats. Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace! Quante volte ho sentito la tiritera … l’ultimo rifugio degli omuncoli è tale relativismo da bancarella, per tacere dei diritti civili … Secondo loro una colonna dorica di un tempio greco è eguale a una colonna dorica in resina a Las Vegas. Non è bello ciò che è bello … perché il bello non è assoluto! E  invece sì. Relativamente all’uomo il bello è assoluto. Deve essere così, colle radici sue conficcate nel cielo, poiché solo questo può salvargli l’anima e, ne sono convinto, la pelle. Decenni di bruttezza hanno reso l’umanità smunta, deprivata, depressa, nervosamente ridanciana. L’urna greca di Keats è bella, certo, e ciò è l’unica verità che conta.

Hellfire Club. “Gli autori del romanzo nero inglese settecentesco escono a volte da quelle confraternite sataniche e sadiche note come Hellfire clubs: i club del fuoco infernale. Erano congreghe dove si praticavano gli orrori sognati dal marchese di Sade e dove si ordivano le fila di comlotti politici. Il culto della carne, della morte e del diavolo delle frange estreme conseguenti dell’illuminismo, nacque inquesti luoghi … Il vizio è sentito come forma d’ispirazione … il romanticismo ama il racconto dove la persona segnata dalla condana sociale si mostra lla fine assai migliore di chi la condanna … Federico Schlegel sull’Athenaum già proclama: ‘Dal punto di vista romantico anche le deviazioni della poesia, anche le stravaganze e mostruosità hanno il loro valore come materiali e preparativi per l’universale, se in esse c’è qualcosa, se sono originali’”. Così Elémire Zolla nel suo Trattatello elementare, tratto da Conoscenza religiosa.
Aggiungiamo, per comodità, e per evocare suggestioni, le seguenti note, desunte da un articolo di Annalisa Monaco. Il primo Hellfire Club nasce a Londra nel 1719 a opera del duca di Wharton. Londra era stata appena resettata dopo l’incendio del 1666: “Il presidente del club è nientemeno che il Diavolo, e i membri si definiscono essi stessi diavoli, ma non hanno nulla a che fare (almeno per quel che si sa) con gli adoratori di Satana. Nel 1721 gli  avversari politici del duca riescono a far chiudere l’empio club, ma lui poi per tutta risposta aderisce alla massoneria e nel 1722 diventa Gran Maestro d’Inghilterra, fonda una loggia a Madrid e finisce per morire in un’abbazia cistercense in Catalogna”.
Più interessante è la figura di Sir Francis Dashwood: “L’anno dopo
[1734], rientrato a Londra, fonda la ‘Society of Dilettanti’ … intorno al 1740 i membri del club si convincono che associare alle loro tradizionali bevute la compagnia di allegre prostitute sarà sicuramente più divertente. Nel 1749 nasce l’Ordine dei Frati di San Francesco di Wycombe, di Sir Francis Dashwood, poi noto (ma solo quando è ormai già chiuso) come Hellfire Club, lontano erede di quel circolo fondato da Wharton … Inizialmente i gentiluomini si riuniscono in locali pubblici, ma Dashwood, alla fine del 1740, decide di allargare gli orizzonti del club … Fa scavare delle gallerie e delle cavarne all’interno di una collina che sta davanti alla sua casa di West Wycombe, con la scusa di estrarre gesso e aprire una strada. In realtà, la disposizione delle grotte e dei tunnel rappresenta una sorta di paesaggio simbolico: dall’ingresso che sembra la facciata di una chiesa gotica, e poi attraverso gallerie inquietanti e sale misteriose (una triangolare che forse rimanda al pube femminile, e una sala banchetti del diametro di oltre 12 metri), si arriva a un fiume sotterraneo, chiamato Stige (come il mitologico fiume attraverso il quale si entrava nel regno dei morti), che bisogna attraversare per giungere al Tempio interno, scavato esattamente sotto la chiesa che Dashwood fa erigere nel mondo di sopra, in cima alla collina … Agli inizi del 1750 Sir Francis prende in affitto Medmenham, un’abbazia cistercense quasi in rovina, e spende molti soldi per sistemarla. John Wilkes, membro ‘esterno’ del club, scrive: ‘Ero pieno di stupore per il fatto che un uomo dovesse sopportare così tanti dolori e sostenere spese così grandi solo per mostrare un pubblico disprezzo di tutte le virtù’.
Sull’arco di ingresso dell’abbazia viene incisa la scritta ‘Fay ce que voudras’ ovvero ‘Fai quello che vuoi’, un motto preso dallo scrittore francese Rabelais. All’interno ci sono affreschi, statue e una biblioteca ricca di opere che avrebbero fatto svenire più di qualche benpensante, su Satana, adulterio, fornicazione, lesbismo … Tra statue di Priapo e Venere, i riti pagani a carattere sessuale si confondono con una dissacrante parodia della religione: è questo l’unico aspetto satanico delle feste di Medmenham. Feste a cui partecipano anche Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, buon amico di Dashwood e, pare, altrettanto dedito al bere e alle donne, e poi il Cavaliere d’Eon, spia transgender che sfida alcune donne ospiti di Medmenham a scoprire il suo vero genere (non lo indovinano)”.

Democrazia. Benjamin Franklin vive a Londra fra il 1756 e il 1776  - anno in cui la Rivoluzione lo richiamò in America - al 36 di Craven Street. Nel 1998, durante alcuni lavori di ristrutturazione, sotto il giardino, murati in una camera segreta, sono rinvenuti circa 1200 frammenti d’ossa riconducibili a quindici corpi; sei di essi appartengono a bambini. L’orgia luciferina di qualche Hellfire Club? Macchè, replica rassicurante lo Smithsonian grazie alla penna, altrettanto rassicurante, di un tal Colin Schulz: quelli sono sì corpi, ma dovuti agli esperimenti del giovane pupillo di Franklin, William Hewson, che aveva impiantato un (abusivo) laboratorio di anatomia proprio lì. Ricapitolando: i dissotterratori recano cadaveri freschi a Hewson, lui taglia e ritaglia, Beniamino il Massone, da bravo zio, chiude un occhio e tumula sotto il praticello inglese. Tutto a posto.

Exeunt omnes. A quale Hellfire Club appartengono i nostri sedicenti ministri?
Non ne ho idea.
Vi invito, tuttavia, a non sbagliare strategia.
Democrazia, anticristianesimo, massoneria, utilitarismo, libertinaggio, voto liberale e nichilismo s'avvinghiano l’uno all’altro, come le spire d’un serpente cieco che si agita nei recessi dell’umanità. Il serpente lo portiamo in noi. Egli trae forza dalla propria culla nera, le Tenebrae Activae, attraversando come una radice maledetta il campo della storia mondiale (sin al giardino del 36 di Craven Street, addirittura). Inutile lasciarsi fuorviare dalla vegetazione sovrastante, dai colori sgargianti (rossi, azzurri, cinerini, verde brillante), dall’imponenza d’alcuni fusti o dalla meschinità d’altre verdure. Occorre lavorare di bisturi e porre, qua e là, giusti segni d’interpunzione.
Si tratta di magia, di distruzione dello Spirito, ma non v’è nulla di sovrannaturale in tutto ciò. E solo ansia di dominio e amor vacui, volontà folle di autodistruzione.

I simboli della rivelazione custodiscono le chiavi per decrittare la Caduta, basta saperli interrogare.

35 commenti:

  1. "La legge? È l’espressione di una vittoria, e si mantiene finché sono in vita i custodi di quella vittoria":questa potrà apparire a taluni persin banale, ma io la incornicerei subito, per non lasciarla scappare.
    E ora proseguo la lettura...

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    1. Purtroppo è così, ma la maggior parte degli esseri umani crede che le leggi siano eterne. Secondo me hanno in testa il Mosè di Hollywood che scende fra gli Ebrei con due tavoloni di marmo incisi con i precetti divini.

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  2. Sii gruoss o frat! Respect from fourth mafia..

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  3. Penso anch'io che ognuno di noi abbia contribuito, molti inconsapevolmente, alla situazione attuale. Con il senno di poi, è facile azzeccare le previsioni, ma avrei dovuto aprire gli occhi in tempi non sospetti, quando, per esempio, capitò come responsabile, mio responsabile, una giovane donna e tutti fummo felici in un'azienda prettamente, maschile, di avere una dirigente del gentil sesso. Una compagna, attivista sindacale, potevi vederla mettere su i banchetti di Greenpeace durante le passeggiate in centro. Ebbene, in poco tempo,si trasformò nel più spietato kapò aziendalista mai visto, tanto che dovetti,per la prima e unica volta, chiedere un trasferimento, a causa degli innumerevoli litigi. La pressione in certi ruoli intermedi è micidiale da parte dei dirigenti, e lei più veloce del Dr. Jekyll, abbracciò la causa del profitto.
    Già da allora dovevo capire dove si sarebbe andati a parare, basta con gli ottusi capetti tutto casa-ufficio. Era giunta l'ora dei giovani, delle donne, i semi colti,quelli che avrebbero traghettato la provinciale Italia nella misera colonia del Nuovo Universo. Ora è tardi, arrivati al girone di ritorno dell'esistenza, impossibile la via del bosco,più probabile la cattura come prigioniero di guerra in uno stalag, dove un domani qualsiasi potrebbe essere l'ultimo.
    Comunque, complimenti Alceste, descrizione della realta monumentale.
    Antonio

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    1. Arriviamo in ritardo nella comprensione degli eventi perché non abbiamo avuto veri maestri di vita. Non avere maestri ti fa perdere la vita alla ricerca della verità.

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    2. Perché non abbiamo avuto veri maestri di vita? E noi potremmo esserlo per i nuovi nati? Alceste potrebbe essere un vero maestro o è solo un prezioso cronista?

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    3. Di bruciante verità, quanto ha sopra detto, Alceste.

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    4. No, non abbiamo avuto maestri solo perché i maestri vanno conosciuti di persona. Occorre vivere con loro. Ho incontrato molta gente sensata, ma nessuno mi ha mai insegnato davvero il cuore dei problemi. Per tale motivo ho perso decenni appresso al nulla. Io, al massimo, posso indicare degli individui di genio, pensatori classici ed essenziali; i veri insegnanti di vita, però, dovremmo conoscerli da giovani.

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    5. Se si è pronti si incontra il maestro. ma mi domando: quando e come si fa ad essere pronti?

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    6. Il maestro ti rende pronto.
      E sai d'esser pronto perché non hai più esitazioni o dubbi o vergogne. Il tuo pensiero è netto, a volo d'aquila, impossibile da contrastare. Sei entrato in quella regione tragica dove coesiste il riso e la certezza della fine. Sarai, allora, in uno stato di grazia assoluto. Alcuni chiamano ciò: "ascensione".

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  4. Perche' no? Ho fatto anche io tante volte questa domanda e la risposta piu' intelligente che ho ricevuto ad oggi e' stata il silenzio.
    Applicata ad altri argomenti, la stessa domanda ha qualche volta ammutolito anche me, il che mi ha fatto riflettere su quante cose si danno, genericamente parlando, per scontate, ma senza mai averle valutate razionalmente. Osservazione banale pero' e' anche vero che proprio per questo ci si passa sopra a volte troppo velocemente.

    "Perhaps what is really asked to us by Saturn, and by our psyches, is that, like Parsifal when he finds himself in the enchanted castle and sees the Grail, we try asking why. It is possible that each delay, disappointment, or fear may be utilised as a means for greater insight into the mysterious mechanisms of the psyche, and that through these experiences we may gradually learn to perceive the meaning of our own lives." [Saturn - A New Look at an Old Devil di Liz Greene]

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  5. Mi associo al "monumentale" di Antonio riferito al pezzo. Eccoli i nostri maestri...
    https://youtu.be/IL0nOhpGHhM?t=233

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  6. "in una battaglia vince colui che ha fermamente deciso di vincere".
    Siamo totalmente incapaci di odio.
    Quell'odio profondo, rabbioso, rancoroso, risultato dell'essere stati defraudati di qualcosa di decisivo e irrinunciabile.
    Non vi è più nulla di decisivo e irrinunciabile. La messa, la terra, le donne. Tutto può essere e non essere, al massimo si prova un leggero disappunto che scolorisce perdendosi nel mare magnum di mille pensieri attorcigliati senza capo e senza coda.
    L'odio non deve costare sforzo. Conservato e coltivato negli anni disseta le mie giornate, nutre pensieri e speranze di poter vivere almeno per un istante la sofferenza del mio nemico

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    1. Le giovani generazioni verrano triturate. Accettano di tutto, altro che odio. Anzi, come scrissi, saranno i nostri carnefici.

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  7. Chi fra un po’ siederà sul banco degli imputati
    guarda quell’azzurro, e ha un desiderio di libertà
    meravigliosa - come quando il pensiero di un giorno
    nuovo nato su delicate rive di fiumi nordici,
    era l’idea di un mondo rapito in celeste odio
    di guerre antiche, e i popoli di fiori di campo,
    oltre i viali di periferia dei paesi veneti,
    divenivano, nel gelo del giorno che si faceva tepore,
    popoli nudi sotto le loriche, al sole di Omero.
    Avete voluto avere un poeta in questo banco
    lustrato dai calzoni di tanti poveri cristi?
    Va bene, godetevelo. La Giustizia
    diventa cieca voce di rondini, agli scioperi
    della Poesia. E non perché, la Poesia, abbia diritto
    di delirare su un po’ di azzurro, su un misero e sublime
    giorno che nasce con la malinconia della morte.
    Ma perché la Poesia è Giustizia. Giustizia che cresce
    in libertà, nei soli dell’anima, dove si compiono
    in pace le nascite dei giorni, le origini e le fini
    delle religioni, e gli atti di cultura
    sono anche atti di barbarie,
    e chi giudica è sempre innocente...

    P.P.P.

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  8. Bisognerebbe realizzare quanto prima che dobbiamo essere noi i maestri, e non solo per i nostri figli. Serve una scuola che non può essere solo un blog o un riferimento bibliografico. La suggestione di Agamben, della "comunità nella società" secondo me è innanzi tutto questo: imparare da chi può insegnare, rieducare al culto dell'umanità (rieducare anche all'odio, certo, prima che i nuovi nati equivochino e ci sgozzino per troppo "amore"; i mondialisti ci odiano bene, in fin dei conti, soprattutto perché non opponiamo loro il nostro odio, non lo sentono proprio: siamo un elefante senza zanne, mai uscito dal circo) Ma sono cose che Alceste sa e sappiamo tutti.

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  9. A me il discorso sull'odio lascia abbastanza freddo. Si puo' odiare una donna od un nemico, non delle nullita'. Al massimo si puo' provare distaccato disprezzo.
    Il che non impedisce certo di agire anche in maniera dura o radicale, anzi, e certamente il disprezzo non rende cechi come l'odio.
    A scanso di equivoci vi scrivo anche io dal pianeta Terra, mai messo una museruola per cui so cosa significa quello che ho scritto nel 2022.
    Riformulo comunque per sicurezza: odiare in se' non e' il problema, non sono mica un sinistro, e' la stessa cosa di amare, se togli uno togli l'altro. Il punto e': l'oggetto del nostro odio/amore merita il nostro amore/odio? Perche' qui si sta parlando di bambinetti, a cui la televisione spiega quando e come lavare le mani.
    Bisogna prendere atto che parliamo di una razza inferiore e concentrarsi piuttosto sulle nostre responsabilita'.
    Saturno, considerato sotto questo aspetto, e' un maestro severo, ma giusto.

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    1. Totò in un celebre sketch recitava:"vediamo sto fesso dove vuole arrivare"; errore esiziale sottovalutate il nemico, che per quanto miserabile si sta rivelando determinato, organizzato e ammanicato. La accondiscendenza o peggio l'aristocratico distacco dei Bagnai e company ci ha condotto alla disfatta attuale. Oggi ormai è tardi per salvare l'occidente, al massimo l'odio, forse, ci salverà la pellaccia

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    2. Marco, il nemico chi e'? Domanda non retorica.

      Satana? Se e' lui, lavora dichiaratamente al servizio di Dio (libro di Giobbe) al fine di mettere alla prova l'umanita'. E' in corso una selezione. Se mi dici che non e' lui, penso che sei tu a sottovalutare il problema.

      Davos? Se sono loro, parliamo solo di satanisti un po' esaltati. A me cristianamente fanno pena, se poi uno vuole odiarli, e' libero. Questo non vuol dire che non creeranno un inferno: siamo solo all'antipasto.

      Il vicino di casa, la cassiera, l'impiegata dell'ufficio della burocrazia statale? Beh, questo e' finalmente un argomento serio. Questi sono davvero un cancro... Se Davos li toglie dai coglioni, non tutto il male sara' venuto per nuocere.
      Questo non perche' li odio (al massimo sono irritanti quando si mettono di traverso, ma poi tornano ad essere nulla appena escono dal mio campo visivo) ma perche' sinceramente molti sono irrecuperabili.
      Mi spiego meglio: quando Gesu' prese a calci in culo i mercanti nel Tempio, fece semplicemente cio' che andava fatto, con "aristocratico distacco". Non era MOSSO dall'odio.
      Non sono contro la scarica di calci. Ci capiamo?

      Bagnai e' insignificante.

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    3. Notevoli spunti, Nachtigall.
      Odio o aristocratico distacco, ognuno lo chiama a modo suo, è questione di vocabolario, ma penso che stiamo tutti parlando della stessa cosa.

      È importante il passaggio che tu fai, secondo me, quando dici che Davos starebbe facendo un lavoro che non è completamente nocivo: c'è un cancro che davos avrebbe individuato e che vorrebbe estirpare? Bene. Noi, o se vuoi, tu dove ti poni rispetto al cancro da una parte, e Davos dall'altra? Tu, e quelli come te, potrebbero avere un ruolo nel secolo, un'identità propria? Chi siamo?

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    4. Sulla scarica di calci ci intendiamo perfettamente. Ed è fuor di dubbio che la partita si giochi anche su di un piano “spirituale”, al di là di ermeneutiche bibliche tremendamente complesse. Già che prudano le mani è segno di vitalità che toglie dai pantani onanistici e autoreferenziali di mere speculazioni teoreticistiche

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    5. Nachtigall ha fatto un quadro conciso ma denso, e ha molta ragione.
      Magari il discorso su Davos è riconducibile a un'eterogenesi dei fini, ma visto in questa dimensione è, appunto, del tutto condivisibile.

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    6. @Fernando
      Non volevo fare un intervento "sofista" in senso deteriore, ma inerente all'essenza.
      La stragrande maggioranza delle discussioni sono discussioni sulle parole; questo tipo di discussioni sono generalmente inutili e dannose.
      Se tu intendi odio come io intendo distacco, allora siamo d'accordo e puoi cominciare a leggere da dopo gli asterischi. Ti faccio notare pero' che da vocabolario l'odio e' l'esatto opposto del distacco, in quanto presuppone un forte coinvolgimento emotivo, che nel distacco, per ovvi motivi, non c'e'.
      Umanamente parlando un distacco totale e' forse impossibile, specie quando si viene toccati in prima persona, ma si parla di atteggiamento interiore, un'attitudine per cosi' dire, su cui lavorare. Distacco, specifico solo per ulteriore chiarezza, non e' comunque sinonimo di menefreghismo: significa solo dare la precedenza, nel processo decisionale, alla ragione rispetto alle emozioni, secondo una precisa gerarchia.

      Aldila' degli ottimi motivi di ordine spirituale per essere distaccati di fronte a certe bassezze e a qualche discendente della scimmia (questo sia detto senza offesa per le scimmie), c'e' anche un motivo pratico: l'odio rende ciechi e qui c'e' invece bisogno di aver la vista di aquile.
      Anche perche' nel prossimo futuro, immagino, qualcuno in piu' sara' costretto ad aprire gli occhi e in quel preciso momento quelle persone saranno da considerare "dei nostri", aldila' di quanto male possano averci fatto in passato. Solo che se siamo presi dall'odio, saremo incapaci di perdonare quando sara' il momento.

      Se mi dici che comunque non hai intenzione di perdonare, allora non discuto: ovviamente ognuno decide secondo la propria coscienza. Dico solo che nell'ottica di chi ha intenzione di combattere questa battaglia per vincere - io non essendo abituato a perdere -, questa potrebbe non essere la scelta ottimale da un punto di vista pratico.

      Senza contare che a prenderla sul personale, ci si fa il sangue amaro e ti risparmio la menata psicosomatica, comunque reale.

      ***

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    7. Rispondo ora alla tua bella domanda.
      Il lavoro di Davos e' un lavoro sporco, ma utile, come il pulire i cessi pubblici. Attenzione che non presuppongo della consapevolezza da parte loro - e pure non la escludo del tutto -, dico solo che in qualsiasi caso, in un disegno piu' grande, svolge una funzione non sopprimibile, come nella parabola della zizzania, che riporto per comodita' da Wikipedia (siamo nella fase in cui non si puo' raccogliere la zizzania senza sradicare il grano, non ancora pronto per la mietitura).

      "Vangelo secondo Matteo
      « Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio. » ( Matteo 13,24-30, su laparola.net.)

      Poco più avanti Gesù ne fornisce la spiegazione ai discepoli che ne hanno fatto esplicita richiesta:
      « Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del diavolo, e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda! » ( Matteo 13,37-42, su laparola.net.)"

      Dunque noi siamo - s'intenda senza fanatismo - i figli del Regno, o piuttosto gli aspiranti tali, detta in termini cristiani; infatti cosa siamo lo si stabilira' poi in base alle scelte fatte (l'albero dai frutti), ma VOLERE e regolare la propria vita di conseguenza... questo senz'altro si puo' e anzi si deve.
      Non si tratta di santita', i giusti di Sodoma che in numero di dieci avrebbero fatto risparmiare la citta', non erano certo dei santi.
      Siamo i Diecimila o gli amanuensi di Alceste, o quelli che Evola chiamava "coloro che vegliano": piu' precisamente, aspiriamo ad esserlo. Parlo per me e per chi riconosco simile a me, e' un noi generico. Se ti risuona, meglio.

      "A lato delle grandi correnti del mondo, esistono ancora individualità ancorate nelle "terre immobili". Sono, di massima, degli sconosciuti che si tengon fuori da tutti i trivi della notorietà e della cultura moderna. Essi mantengono le linee di vetta, non appartengono a questo mondo - pur essendo sparsi sulla terra e spesso ignorandosi a vicenda sono uniti invisibilmente e formano una catena infrangibile nello spirito tradizionale. Questo nucleo non agisce: ha solo la funzione a cui corrisponde il simbolismo del "fuoco perenne". In virtù di essi, la Tradizione è presente malgrado tutto, la fiamma arde invisibilmente, qualcosa connette sempre il mondo al sovramondo. Sono coloro che vegliano." [Rivolta contro il mondo moderno, J. Evola]

      Il "non agisce" di Evola fa riferimento al concetto cinese del wu wei, l'agire senza agire (=con distacco, senza essere "agiti"), non denota necessariamente passivita' di fronte agli eventi.

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    8. @Marco
      Ci intendiamo. Se davanti a certe cose non si sente ribollire il sangue non si e' "spirituali" o distaccati, ma cadaveri. L'odio pero' e' solo una fase, un mezzo per un lavoro su se' stessi, per cosi' dire: qualcosa da trascendere. Oppure, se questa formulazione piace di piu': qualcosa da usare a comando, senza che sia dato modo a qualcuno o qualcosa, per tramite dell'odio, di controllarci e spingerci verso strade senza uscita. Perche' sull'odio si fara' leva.

      @Barbara
      Davos, consapevole o meno, e' quel maestro severo che in astrologia corrisponde a Saturno (quest'ultimo pero' certamente consapevole): colpisce la' dove si e' piu' deboli, con il risultato di costringerci a sistemare quei settori in cui eravamo scoperti, o perire (anche come civilta').
      Questo non deve suscitare simpatia nei confronti di Davos (cio' sarebbe nuovamente sbagliato), ma solo invitare a raccogliere gli aspetti positivi e costruttivi di quanto accade.
      Perche' in ultima analisi il riferimento deve essere non Saturno, ma il Sole o Cristo.

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  10. A proposito di maestri di vita, la maggior parte di quelli della mia generazione non ha neanche avuto maestri nella professione. Quel poco o tanto di competenza che abbiamo ce la siamo fatta da autodidatti, una volta catapultati nel vortice aziendale. Quello che una volta era una cosa scontata, avere qualcuno, un "mentore" che ti insegnasse il mestiere o che perlomeno ti facesse un passaggio di consegna decente, semplicemente non esiste più. Con la conseguenza che i più passano gran parte della loro vita professionale a simulare competenze che non hanno, quel che si dice la "sindrome dell'impostore ". Ma a quanto pare va bene così....

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    1. Questi devono spezzare qualsiasi eredità a livello spirituale, fisico ed economico. Insegnamento, scuola, padri e madri, comunità civile e militare, patrimonio familiare devono, perciò, sparire.

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  11. Nel momento in cui si rigetta il concetto di autorita' e gerarchia e si parla di fratellanza uguaglianza e liberta' (intendendo poi con quest'ultimo termine la licenza), i maestri diventano anacronistici, in qualsiasi dominio. Se siamo tutti fratelli e' ovvio che non ci sono padri.

    Bisogna far attenzione a quello che si chiede perche' in genere lo si ottiene. E chi ha voluto la bicicletta poi deve anche pedalare.
    Non l'abbiamo voluta noi personalmente? Puo' essere, non ci giurerei, ognuno valutera' il suo caso, ma non bisogna dimenticare che siamo in democrazia: vince la maggioranza.

    P.S. Chiedo scusa per l'erroraccio nel post precedente!

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    1. Il concetto di democrazia è assai trascolorato. Nel 1946 "democrazia" significava qualcosa sia per i filodemocratici che per gli antidemocratici: e questo perché ogni comunità politica di riferimento aveva i propri uomini con proprie idee tradizionali (socialisti, monarchici, liberali etc).
      Oggi, in epoca di Salvini e Toti, cosa significa essere contro la democrazia?
      Ripudiare Toti e Salvini e Letta a cosa equivale? A ripudiare la democrazia? No, a ripudiare il cadavere democratico. C'è differenza.
      A parte questo, sono a favore della libertà individuale. E si può essere liberi anche in un sistema gerarchico.

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    2. Intendo "democrazia" come la intendeva Platone e la Tradizione a cui si rifaceva (Pitagora apprese in Egitto concetti molto piu' antichi che ritroviamo tali e quali, solo a titolo d'esempio, anche in India): una degenerazione dall'aristocrazia in oligarchia la quale sfocia naturalmente in democrazia. Da questa infine nasce la tirannia. Processo estramamente ben illustrato, da un punto di vista cattolico, da Donoso Cortes nel secolo XIX.
      Salvini da questa prospettiva nemmeno esiste. E' il concetto quantitativo alla base della democrazia ad essere marcio, e in ultima analisi deriva da una mancanza di etica e di logica. Il resto sono solamente gradi diversi di putrefazione, naturale quindi che nel 1946 la situazione fosse migliore: il cadavere era ancora caldo. Ma non esiste una democrazia che non sia' in se' gia' cadavere di un'idea superiore.

      Dici che si puo' essere liberi anche in un sistema gerarchico. No.
      E' SOLO in un sistema gerarchico che si ha liberta', e per un Re degno di questo nome non c'e' maggior onore che essere Signore di uomini liberi.
      La liberta' deriva dal calmo dominio di se' stessi, quella che invece oggi si intende come liberta', ovvero la licenza, e' a tutti gli effetti schiavitu' delle passioni. Ecco perche' questa liberta' giacobina e' il seme da cui nasce la tirannia.
      E gli stessi tiranni ne sono schiavi.

      Il problema a ben vedere e' questo: non tanto essere schiavi, ma essere schiavi di schiavi.

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  12. Annuntio vobis gaudium magnum;
    habemus praeses:
    Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
    Dominum Sergius,
    Sanctæ Unionem Europaeam Cardinalem Mattarella
    qui sibi nomen imposuit Mattarello I.
    Certo che la piaggeria dei giornalisti italiani è qualcosa di veramente rivoltante. Però a guardare il tutto con occhi disincantati, è stato veramente bellissimo: il presidente del consiglio, voluto (o imposto?) dal presidente della repubblica, che “chiede” allo stesso di rimanere in carica. Sublime! Tutta la pantomima è stata deliziosa! Il vegliardo che si schermiva (“no dai! Cosa andate a pensare… io no! Io no!”), la destra che “proponeva” candidati ruttando e la crisi (buon Dio la crisi!) istituzionale. Il tutto conclusosi con l’orgasmo della rielezione. Che le campane suonino a festa! Mi hanno riferito che una folla oceanica si è riunita sotto il Quirinale scandendo il coro “Du-e! Du-e! Du-e!”. E tu Alceste, sei già andato ad acclamare il salvatore della patria in fiamme, spellandoti le mani a furia di applausi? Certo però che lo spettacolo dell’elezione del presidente della repubblica è sempre edificante: un migliaio di tizi nominatisi a vicenda, che scelgono il capo dello stato con accordi sottobanco, inciuci, intrallazzi all’ombra dei palazzi della Santa Democrazia. Ed il tutto per il nostro bene! Grazie! Grazie! Tutto ciò mi ha fatto venire alla mente un episodio del film “signore e signori, buonanotte”: “il santo soglio”, con un ottimo Mario Scaccia. Un caro saluto Alceste!
    https://www.youtube.com/watch?v=HaZGM0Auwlo

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    1. E questi grandi elettori sono la crema della politica italiana ... avete mai messo il naso ai piccoli elettori? Si parla di centinaia di migliaia di omiciattoli e relative famiglie ... quando cercate i colpevoli del patriziato sapete dove andare.
      Con ciò, as usual, non si vuole affermare che è questa classe politica immonda a dirigere il gioco, però, è indubbio, che in cambio di una manciata di noccioline son loro a vendervi tutti i giorni. E voi a credere a Bagnai: non sono i politici il problema, ma la struttura ... e invece sono proprio questi ... il primo livello sono loro ... da decimare.
      Il film che indichi è un gioiellino satirico. Mastroianni eccezionale, soprattutto nella scena con gli onorevoli Lo Bove ... ignoranti, mafiosi, dominanti ... nel loro pollaio, ovviamente.

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  13. Caro Alceste, da bambino ero affascinato da "Il prigioniero" con l'ottimo Patrick Mc Goohan.
    Evidentemente fin dall'infanzia avevo qualcosa di sbagliato...

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    1. Come me avevi il presentimento di aver sbagliato epoca. Mi son sempre trovato fuori posto, un anacronismo vivente.

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Siate gentili ...