Roma, 22 luglio 2019
La
maggior colpa dei buonisti? Aver svuotato di ogni bontà, vera, i cuori degli
Italiani.
Essere
sistematicamente buoni prepara al ritorno di fiamma della malvagità.
E
qui per bontà non si intende la facilità, spesso patologica, all’altruismo. No.
Significa, invece, un a precisa strategia di annientamento dell’Antico Ordine.
Essere buoni, sempre, a onta della razionalità e persino del buon senso
spicciolo non fa che esacerbare l’animo. Essere buoni e giudicare, sempre e
comunque, al di là dell’evidenza, giudicare come reazionari e sporchi razzisti
i propri stessi concittadini, naturalmetne legati dal sangue e dagli usi, non
pùò che generare odio.
L’odio.
L’ingiustizia
genera odio.
Tutto questo, lo riconosco, ha un retroterra antropologico ben preciso.
Tutto questo, lo riconosco, ha un retroterra antropologico ben preciso.
Il
popolo nel popolo di memoria comunista.
Noi
comunisti siamo un popolo, si diceva, un popolo (comunista) nel popolo (quello
italiano). E il popolo comunista costituiva la parte migliore della nazione. Lo
disse anche Pasolini, forse addirittura credendoci. Ciò che era al di fuori del
popolo comunista, ovvero il popolo italiano, poteva essere disprezzato. Al di
fuori del popolo comunista c’erano i forchettoni della DC, i fascisti, i preti,
i clientelisti, gli evasori fiscali, i palazzinari. Ciò fu vero, in parte; rispondeva
a verità, peraltro, che il popolo comunista fosse esiliato in patria (la
conventio ad escludendum) e trattato, come allora conveniva, quale consesso di
traditori internazionali.
I Peppone si battevano per gli ultimi, gli operai, i piccoli artigiani, nel rispetto della giustizia e nel ricordo della guerra vinta sulle montagne.
I Peppone si battevano per gli ultimi, gli operai, i piccoli artigiani, nel rispetto della giustizia e nel ricordo della guerra vinta sulle montagne.
Non
giudichiamo quel periodo: esaminiamolo.
Il
PCI morì attaccato al cadavere di Aldo Moro.
E venne il tempo della sinistra, dei diritti impalpabili spacciati come concreti.
E venne il tempo della sinistra, dei diritti impalpabili spacciati come concreti.
La
forma mentis, popolo nel popolo, rimase intatta e fu fatta propria dagli eredi
del comunismo, cioè dall’anzidetta sinistra. E la sinistra mantenne sempre tale
manicheismo, stavolta del tutto infondato: i leghisti (i missini, i fascisti, i
berlusconiani) non leggono, non studiano, sono cafoni, ignoranti, evasori,
puttanieri, sordidi debosciati. La teologia dell’Altro tiene ancora insieme
questo generone, assai influente; e perché lo è? Perché, di fatto (questo
l’evento decisivo, o meglio: l’Evento Decisivo), la teologia dell’Altro è stato
usata a livello mondiale per sfondare le resistenze popolari dei cafoni, degli
ignoranti, dei razzisti, degli evasori, dei maschilisti e dei puttanieri: degli
Italiani e degli Europei, insomma. Tanto che oggi abbiamo solo tale dialettica
da presa in giro: il Potere vuole i migranti, la Lega non li vuole. La teologia
dell’Altro mondialista detta la linea ideologica a cui si oppone, a livello di
pura reazione istintiva, una velleitaria controteologia.
In realtà i migranti li vogliono tutti. Tutti. Le linee di forza del potere sono inequivocabili. Sono le guide del tramonto sottese all’azione visibile. Non si può fuggire da quei binari. Certo, il treno (stavo per dire: la locomotiva) può rallentare, fermarsi, persino retrocedere un pochino: perché macchinista e fuochista litigano per le ferie, o perché è finito il carbone o perché nessuno ha voglia di spaccare la legna o versare acqua nell’impianto di raffreddamento. E però i binari sono lì, stesi per decine di chilometri, all’infinito, verso il sol dell’avvenire. E lì andremo.
Chi tiene insieme questa teologia?
In realtà i migranti li vogliono tutti. Tutti. Le linee di forza del potere sono inequivocabili. Sono le guide del tramonto sottese all’azione visibile. Non si può fuggire da quei binari. Certo, il treno (stavo per dire: la locomotiva) può rallentare, fermarsi, persino retrocedere un pochino: perché macchinista e fuochista litigano per le ferie, o perché è finito il carbone o perché nessuno ha voglia di spaccare la legna o versare acqua nell’impianto di raffreddamento. E però i binari sono lì, stesi per decine di chilometri, all’infinito, verso il sol dell’avvenire. E lì andremo.
Chi tiene insieme questa teologia?
Ursula
von der Leyen, Monica Cirinnà, i punkabbestia, la Anghinolfi, il centro sociale
Stefano Luridi e Hillary Clinton. Fin qui ci siamo.
Ma
la teologia dell’Altro è stata fatta propria dal Potere, come detto.
Si
propaga per via aerea.
Mara
Carfagna, Giorgia Meloni, Luigi Di Maio. Ci siamo anche qui? Qualcuno storce la
boccuccia? Facciamogliela storcere.
Jorge
Bergoglio, Giovanna Ficasanta e Ifigenia In Culiole? Ci siamo? Forse sì.
Monsignor
Ciabatta, Matteo Salvini, Platinette, Lillo Sfondati? No, questo no, non è
possibile!
Andrea
Camilleri, Roberto Saviano, Pierangelo Buttafuoco? Ma cosa mi fa, mi mette
tutto nel calderone?
Marcello
Foa, Barbara D’Urso, Lionel Messi, Epstein, Donald Trump? Questo è pura
gratuità, lei sta sragionando … e poi
non ha detto che l’infinita bontà sta recando la malvagità?
Certo,
la malvagità dei minchioni che tifano per tali entità. Nei piani alti non
c’è malvagità poiché è tutto prestabilito lungo i binari. Un numero di cabaret
ogni tanto, per distrarre. La gente, infatti, spera. A ogni numero prega, torcendo indice e medio, che la
locomotiva inverta la direzione, deragli, stacchi i vagoni. Ecco che avanza l'Eversore del Sistema: uno due tre quattro palle roteano nell’aria. Il pubblico si
sdilinquisce. Ragazzi, qui cambia tutto! Ma non cambia niente, però.
L’immagine del bimbo che esce dalla scuola occupata di Roma con un carico di libri consunti (roba da mercatino abusivo del suburbio).
L’immagine del bimbo che esce dalla scuola occupata di Roma con un carico di libri consunti (roba da mercatino abusivo del suburbio).
Basta
leggere i commenti.
I
vittimisti e gli odiatori. Assassini razzisti! Luridoni delinquenti! I vittimisti
applicano la teologia dell’Altro, i secondi reagiscono con la bava alla bocca.
Insulti da un vagone all’altro, urla dai finestrini, gente che si tira le
valigie … ma la locomotiva continua, bene o male, lungo i binari del logos
mondialista.
Foa che fa, che fa Foa? Niente. Ricordiamo le speranze alla sua elezione. Poi il nulla. Sembra che il Nostro abbia perso addirittura la lingua. I contratti … i contratti … Foa non comanda nulla, che colpa ne ha, i contratti sono blindati, quella tal direzione è blindata, gli organigrammi sono blindati, i sindacati sono blindati … è tutto blindato. Ma se è tutto blindato che si è fatto eleggere a fare? E poi: se anche fosse tutto blindato ciò non spiega l’improvvisa afonia. E cosa la spiega? La speranza. La speranza appaga. Noi contro loro, abbiamo vinto noi, prendiamo tutto noi: gliela faremo vedere. Ma nessuno fa vedere nulla. Ci si adagia. Al massimo si assiste a qualche bella litigata insulsa (debitamente scorreggiata dai media) per cui si avranno minuscoli assestamenti peristaltici: uno che va uno che viene; l’ex del partito X va via, la nuova amante del vicesegretario del partito Y che arriva. E la locomotiva vola.
La speranza è il foraggio del mucco (o del micco) digitale. La speranza arriva a giustificare tutto talmente è forte. Bisogna sperare, delegare la rabbia e la malvagità a qualche figurina vista in televisione perché l’azione è impossibile. In fila alla posta, magari per pagare una multa per eccesso di velocità (57 kmh), ci si scambia dialoghi di fuoco: fosse per me li brucerei, li impiccherei, spaccherei, distruggerei … una volta versato l’obolo al Comune perché la Panda Sprint era stata colta sul fatto dei 57 kmh, su una strada provinciale a largo scorrimento, mettendo così a repentaglio il bilancio familiare a favore di quello comunale, il Tamerlano vociferatore si rifugia nel suo cantuccio. Non ha più amici, solo conoscenti, spesso attivati tramite i social; non ha più parenti poiché la famiglia è disunita, uno di qua, una di là, la prima moglie al diavolo, o viceversa, e i suoceri e i cognati son volati via, assieme alla fedifraga, o viceversa, e i figli, se li ha, intrattengono secolui, l’origine dei loro giorni, un rapporto labile e spersonalizzato. E allora, il signor Nostro, cosa può fare? Non gli resta che votare. E sperare.
Il mare esercita ancora un fascino particolare. Lo si può guardare per ore. Finalmente, dopo undici mesi, lo sguardo non trova intralci alla propria volontà di potenza. Può spaziare sino a spegnersi nell’infinito. La risacca culla dolcemente la propria voglia di autoannientamento, annidata nell’anfratto protozoico della coscienza. La volontà di potenza vuole tutto, compreso il piacere del proprio autoannientamento, la volontà di potenza è desiderio di naufragio e autodistruzione: questi refrain, che ci eccitarono in gioventù, dimostrano che Friedrich Nietzsche ebbe a frequentare le spiagge.
Le spiagge italiane, a luglio, sono la Bengodi del classificatore da Wunderkammer. Ci si trova di tutto. Reperti bestiali di prim’ordine. Aleggia un senso generale di rilassatezza, di invidiabile rammollimento. Son tutti sbracati, a scanso di qualsivoglia pudicizia o senso di autorevolezza. I maschi sono orribili, quasi tutti. Mi salvo solo io. Le donne, invece, sono, in media, graziose. Non: più belle. Graziose. Mi ricordo che, quarant’anni fa, abbondavano le brutte. Brutte o bruttine irrecuperabili. Sovradentature, capelli stopposi, gambe nodose, occhi sbilenchi. Le compagne di scuola. Alcune scialbe. Le belle erano eccezioni, ma erano davvero belle. In modo particolare. Ogni maschio cinefilo sa di cosa parlo. Si lasciavano le coticone della vita reale e si entrava al cinema a vedere Dagmar Lassander e Lilli Carati.
Foa che fa, che fa Foa? Niente. Ricordiamo le speranze alla sua elezione. Poi il nulla. Sembra che il Nostro abbia perso addirittura la lingua. I contratti … i contratti … Foa non comanda nulla, che colpa ne ha, i contratti sono blindati, quella tal direzione è blindata, gli organigrammi sono blindati, i sindacati sono blindati … è tutto blindato. Ma se è tutto blindato che si è fatto eleggere a fare? E poi: se anche fosse tutto blindato ciò non spiega l’improvvisa afonia. E cosa la spiega? La speranza. La speranza appaga. Noi contro loro, abbiamo vinto noi, prendiamo tutto noi: gliela faremo vedere. Ma nessuno fa vedere nulla. Ci si adagia. Al massimo si assiste a qualche bella litigata insulsa (debitamente scorreggiata dai media) per cui si avranno minuscoli assestamenti peristaltici: uno che va uno che viene; l’ex del partito X va via, la nuova amante del vicesegretario del partito Y che arriva. E la locomotiva vola.
La speranza è il foraggio del mucco (o del micco) digitale. La speranza arriva a giustificare tutto talmente è forte. Bisogna sperare, delegare la rabbia e la malvagità a qualche figurina vista in televisione perché l’azione è impossibile. In fila alla posta, magari per pagare una multa per eccesso di velocità (57 kmh), ci si scambia dialoghi di fuoco: fosse per me li brucerei, li impiccherei, spaccherei, distruggerei … una volta versato l’obolo al Comune perché la Panda Sprint era stata colta sul fatto dei 57 kmh, su una strada provinciale a largo scorrimento, mettendo così a repentaglio il bilancio familiare a favore di quello comunale, il Tamerlano vociferatore si rifugia nel suo cantuccio. Non ha più amici, solo conoscenti, spesso attivati tramite i social; non ha più parenti poiché la famiglia è disunita, uno di qua, una di là, la prima moglie al diavolo, o viceversa, e i suoceri e i cognati son volati via, assieme alla fedifraga, o viceversa, e i figli, se li ha, intrattengono secolui, l’origine dei loro giorni, un rapporto labile e spersonalizzato. E allora, il signor Nostro, cosa può fare? Non gli resta che votare. E sperare.
Il mare esercita ancora un fascino particolare. Lo si può guardare per ore. Finalmente, dopo undici mesi, lo sguardo non trova intralci alla propria volontà di potenza. Può spaziare sino a spegnersi nell’infinito. La risacca culla dolcemente la propria voglia di autoannientamento, annidata nell’anfratto protozoico della coscienza. La volontà di potenza vuole tutto, compreso il piacere del proprio autoannientamento, la volontà di potenza è desiderio di naufragio e autodistruzione: questi refrain, che ci eccitarono in gioventù, dimostrano che Friedrich Nietzsche ebbe a frequentare le spiagge.
Le spiagge italiane, a luglio, sono la Bengodi del classificatore da Wunderkammer. Ci si trova di tutto. Reperti bestiali di prim’ordine. Aleggia un senso generale di rilassatezza, di invidiabile rammollimento. Son tutti sbracati, a scanso di qualsivoglia pudicizia o senso di autorevolezza. I maschi sono orribili, quasi tutti. Mi salvo solo io. Le donne, invece, sono, in media, graziose. Non: più belle. Graziose. Mi ricordo che, quarant’anni fa, abbondavano le brutte. Brutte o bruttine irrecuperabili. Sovradentature, capelli stopposi, gambe nodose, occhi sbilenchi. Le compagne di scuola. Alcune scialbe. Le belle erano eccezioni, ma erano davvero belle. In modo particolare. Ogni maschio cinefilo sa di cosa parlo. Si lasciavano le coticone della vita reale e si entrava al cinema a vedere Dagmar Lassander e Lilli Carati.
Poi
intervenne la granaglia. Si mangiava con più accortezza, ci si truccava, si
abbandonava la vita dei campi, il tramestio provinciale, si studiava. Si
diveniva, in media, più carine. Tale era, però, anche il destino delle belle:
retrocedevano a carine.
La
pace, la mancanza di guerra, uniformava. La globalizzazione si sazia della
pace.
Nel
2001 i No Global sfilavano contro la globalizzazione e a favore della pace. La
contraddizione mal giovò al loro spirito combattivo.
Ma torniamo alle donne da spiaggia. Raro trovare, com’era prima, cosce o glutei disastrosi; le giovinette, anzi, sono belle sode; carine, appunto, di una bellezza un po’ facile: facile a dimenticarsi. Numerose le scriteriate: tatuaggi, lifting, botulini risaltano con micidiale gusto kitsch: è pur sempre carne, però, potrebbe obiettare un porco qualsiasi.
È indubbio un fenomeno, riguardo anche le signore: la devoluzione del gusto: vorticosa; sino al tam tam. Va di moda il tribale, il legno che percuote il tronco cavo. Circa quarant’anni fa grande scandalo menarono i mondo movies, capostipite dei quali fu il Mondo cane di Gualtiero Iacopetti (1962); pellicole a mezzo tra sensazionalismo e realismo da Levi Strauss de Noantri, in cui una voce narrante, bianca e occidentale, mostrava, con compiaciuto ribrezzo e irridente sbalordimento, gli orrori dei costumi primitivi africani o della Nuova Guinea. Cannibalismo, gran mangiate di pipistrelli e vermi, sessualità deviante, riti ignobili, scarificazioni, mutilazioni, onanismi, esecuzioni. Dagli anni Ottanta il genere cominciò velocemente a decadere. Et pour cause. Il realismo o la finzione documentaria di indigeni o aborigeni si infiltrò, infatti, nel tessuto reale della borghesia bianca sotto i veli della moda deteriore o del terzomondismo da sinistra scansafatiche. Tatuaggi, musica da bonghi, refrain sonnambolici, cibo etnico, stupidaggini etniche, arte etnica da supermercato. Il Mondo di Iacopetti invase gradatamente l’Europa. I dreadlock. I dreadlock di Carola. La plica polonica dei giovani d’oggi. E cos’era la plica polonica? Roba da mondo movie: chili di peli resi inestricabili dalla sporcizia, dal pus e dai pidocchi; un problema sanitario di prim’ordine nella Polonia del Seicento come ci informa, fra gli altri, Il pugno chiuso di Arrigo Boito. Hai voglia a dire: sono rastafariani. Oppure i tatuaggi sul viso, secondo la moda trap. Una volta in Europa erano simbolo d’orrore: ora adornano i visini delle ventenni. E poi, per le tardone, abbiamo l’etno-chic, segretamente sentito come ecosolidale: borse di corda che si slabbrano superato il chilo, sandali da savana, turbanti da Wanda Osiris in bolletta, cappelli di paglia da abat-jour fossile, collane in avorio lavorate alla social house di Torpignattara; e la nail art? Lunghe, le vogliamo, da pantera.
Pochi decenni fa ci si sfogava al gioco della bottiglia. Ora un assembramento di quindicenni pare la ciurma di Moby Dick: Tashtego, Daggoo, Fedallah, Tip, il negretto pazzo, e Queequeg il Polinesiano, “[le] parti nascoste tutte quadrettate degli stessi scacchi che aveva in faccia; la schiena, pure, era tutta gli stessi riquadri scuri … persino le gambe erano segnate quasi che una banda di rane verdiscure vi corressero come su per i tronchi di giovani palme”.
Altro fenomeno da spiaggia: la scomparsa del pelo. Petti glabri, cosce glabre; barbette come aiole; teste rasate o in via di sfoltimento progressivo. Le donne con ascelle ben depilate, cosce lucide; stese “a cocese”, sulla sabbia, ginocchia puntate in alto; non trapela, pur a occhio allenato, nell’intersezione fra cielo e terra, alcun ombreggiatura che rechi l’illusione del fogliame. Si è in tempi di pace, infatti. Lisistrata, “colei che scioglie gli eserciti”, la femmina della pace, ordisce un complotto per farla finita con la guerra: “A casa, stiamocene tutte impupazzate, passiamogli nude sotto gli occhi, con camicette trasparenti, depilate fra le cosce …”: gli uomini, a stecchetto, si ridurranno a miti consigli. Sue compagne d’avventura, fra le altre, l’ambasciatrice di Beozia (“che spianata sul davanti … se l’è pure diboscata!”) e la spartana Lampito (“Che pezzo di figliola … leveresti il fiato a un toro … e che belle tette!”; e Lampito: “Faccio ginnastica, io, nuda! Calcagni nel sedere, quando salto!”). La spartana salutista: senza tatuaggetti, almeno.
Il capofamiglia, intanto, guida i propri armenti sulla battigia. Eliminate due location, dapprima credute amene, causa adoratori del tamburello, egli, come Mosè, si dirige alla Terra Promessa, eterodiretto da una divinità balnear-abramitica, e infigge alfin vittorioso al suolo d’Eretz-Fregene il pastorale della spensieratezza: l’ombrellone dell’Ikea, nientemeno; un fazzoletto di rena libera, al limitare d’un canaletto irto di canneti entro cui risale, dolce, l’alta marea. Mani ai fianchi il Nostro si guarda d’intorno, soddisfatto; seguono un paio di ordini secchi, brutali, a organizzare il castrum fantozziano: il mocciosame esegue, con occhio scettico.
Ma se le donne mantengono una superiorità poiché favorite dallo scorrere dei tempi universali, ossessivamente, esclusivamente, femminili, o per femminielli, gli uomini sono, per ciò, in pieno sbraco.
Ma torniamo alle donne da spiaggia. Raro trovare, com’era prima, cosce o glutei disastrosi; le giovinette, anzi, sono belle sode; carine, appunto, di una bellezza un po’ facile: facile a dimenticarsi. Numerose le scriteriate: tatuaggi, lifting, botulini risaltano con micidiale gusto kitsch: è pur sempre carne, però, potrebbe obiettare un porco qualsiasi.
È indubbio un fenomeno, riguardo anche le signore: la devoluzione del gusto: vorticosa; sino al tam tam. Va di moda il tribale, il legno che percuote il tronco cavo. Circa quarant’anni fa grande scandalo menarono i mondo movies, capostipite dei quali fu il Mondo cane di Gualtiero Iacopetti (1962); pellicole a mezzo tra sensazionalismo e realismo da Levi Strauss de Noantri, in cui una voce narrante, bianca e occidentale, mostrava, con compiaciuto ribrezzo e irridente sbalordimento, gli orrori dei costumi primitivi africani o della Nuova Guinea. Cannibalismo, gran mangiate di pipistrelli e vermi, sessualità deviante, riti ignobili, scarificazioni, mutilazioni, onanismi, esecuzioni. Dagli anni Ottanta il genere cominciò velocemente a decadere. Et pour cause. Il realismo o la finzione documentaria di indigeni o aborigeni si infiltrò, infatti, nel tessuto reale della borghesia bianca sotto i veli della moda deteriore o del terzomondismo da sinistra scansafatiche. Tatuaggi, musica da bonghi, refrain sonnambolici, cibo etnico, stupidaggini etniche, arte etnica da supermercato. Il Mondo di Iacopetti invase gradatamente l’Europa. I dreadlock. I dreadlock di Carola. La plica polonica dei giovani d’oggi. E cos’era la plica polonica? Roba da mondo movie: chili di peli resi inestricabili dalla sporcizia, dal pus e dai pidocchi; un problema sanitario di prim’ordine nella Polonia del Seicento come ci informa, fra gli altri, Il pugno chiuso di Arrigo Boito. Hai voglia a dire: sono rastafariani. Oppure i tatuaggi sul viso, secondo la moda trap. Una volta in Europa erano simbolo d’orrore: ora adornano i visini delle ventenni. E poi, per le tardone, abbiamo l’etno-chic, segretamente sentito come ecosolidale: borse di corda che si slabbrano superato il chilo, sandali da savana, turbanti da Wanda Osiris in bolletta, cappelli di paglia da abat-jour fossile, collane in avorio lavorate alla social house di Torpignattara; e la nail art? Lunghe, le vogliamo, da pantera.
Pochi decenni fa ci si sfogava al gioco della bottiglia. Ora un assembramento di quindicenni pare la ciurma di Moby Dick: Tashtego, Daggoo, Fedallah, Tip, il negretto pazzo, e Queequeg il Polinesiano, “[le] parti nascoste tutte quadrettate degli stessi scacchi che aveva in faccia; la schiena, pure, era tutta gli stessi riquadri scuri … persino le gambe erano segnate quasi che una banda di rane verdiscure vi corressero come su per i tronchi di giovani palme”.
Altro fenomeno da spiaggia: la scomparsa del pelo. Petti glabri, cosce glabre; barbette come aiole; teste rasate o in via di sfoltimento progressivo. Le donne con ascelle ben depilate, cosce lucide; stese “a cocese”, sulla sabbia, ginocchia puntate in alto; non trapela, pur a occhio allenato, nell’intersezione fra cielo e terra, alcun ombreggiatura che rechi l’illusione del fogliame. Si è in tempi di pace, infatti. Lisistrata, “colei che scioglie gli eserciti”, la femmina della pace, ordisce un complotto per farla finita con la guerra: “A casa, stiamocene tutte impupazzate, passiamogli nude sotto gli occhi, con camicette trasparenti, depilate fra le cosce …”: gli uomini, a stecchetto, si ridurranno a miti consigli. Sue compagne d’avventura, fra le altre, l’ambasciatrice di Beozia (“che spianata sul davanti … se l’è pure diboscata!”) e la spartana Lampito (“Che pezzo di figliola … leveresti il fiato a un toro … e che belle tette!”; e Lampito: “Faccio ginnastica, io, nuda! Calcagni nel sedere, quando salto!”). La spartana salutista: senza tatuaggetti, almeno.
Il capofamiglia, intanto, guida i propri armenti sulla battigia. Eliminate due location, dapprima credute amene, causa adoratori del tamburello, egli, come Mosè, si dirige alla Terra Promessa, eterodiretto da una divinità balnear-abramitica, e infigge alfin vittorioso al suolo d’Eretz-Fregene il pastorale della spensieratezza: l’ombrellone dell’Ikea, nientemeno; un fazzoletto di rena libera, al limitare d’un canaletto irto di canneti entro cui risale, dolce, l’alta marea. Mani ai fianchi il Nostro si guarda d’intorno, soddisfatto; seguono un paio di ordini secchi, brutali, a organizzare il castrum fantozziano: il mocciosame esegue, con occhio scettico.
Ma se le donne mantengono una superiorità poiché favorite dallo scorrere dei tempi universali, ossessivamente, esclusivamente, femminili, o per femminielli, gli uomini sono, per ciò, in pieno sbraco.
Fra
loro si aggirano numerose bestie antidiluviane. Centotrenta chili,
centoquaranta? Si avviano verso il mare come sauri giurassici, già pregustando
l’abbraccio di quelle acque brodagliose, che, intimamente, riconoscono familiari,
da eoni. Quando il livello delle acque raggiunge le trippe, essi si bloccano;
indi, immerso l’enorme braccio destro nella zuppa salina, si schizzano la
schiena, sul lato manco; dopo una pausa, a riprendersi da quel titanico sforzo
ancestrale, affondano nel liquido madre il braccio sinistro: a rinfrescarsi la
schiena, ancora, stavolta sulla destra. Seguono, rituali, altre abluzioni
minori, inclusa una sorta di masturbazione destrogira sulle trippe. Destatisi
da un incanto torporoso, ritornano, quindi, verso la tana, lenti: li attende il
ristoro del giusto.
Altri, invece, altrettanto ciclopici, avanzano nella broda, sino al collo. Da lì, il gran corpo occulto alla percezione litoranea - ominoso iceberg - essi scrutano l’orizzonte, con occhi, spenti e porcini, d’ippopotamo. Cosa vedono, in realtà? Secondo me vorrebbero suicidarsi. Lasciarsi andare. Rotolarsi in quella fanga mediterranea, cullati dalle fresche correnti suboceaniche. E però lo stomaco brontola: ecco, lo stomaco, che l’ippopotamo anzidetto si porta appresso, flaccido e pendulo, come la pelle d’una preda scuoiata, sin alla coglia, lo salva dalla giusta intuizione: i morsi della fame onnipotente strappano il brontosauro, come tappi di cera ulissea, al richiamo delle sirene; alla verità; uno spuntino, a volte, salva una vita, potremmo dedurne, se questa non fosse già stata consegnata alla stasi spirituale.
Non mancano, all’opposto, i salutisti da palestra. I muscoletti da palestra, da esibire unitamente al ciuffo ingelatinato e alle precise rasature dei peli facciali; o i muscoli da steroidi, ridicoli e inappuntabili. Se il primo esemplare sembra appena uscito da una beauty farm, il nuovo Big Jim steroideo pare avere infranto una vetrina di giocattoli per spingersi fra gli umani: si muove, infatti, come un pupazzo della Mattel, le braccia ripiegate a sessanta gradi, impossibili a rilasciarsi per colpa di muscoli troppo tesi; la testa calva, le spalle enfie, le vene in rilievo che pulsano nonostante l’immobilità, il cuore che fibrilla sotto i quaranta gradi, eccitato da qualche sostanza distillata in un insondabile postribolo chimico romeno, i cosciotti che stringono, sin troppo, il misero pacco virile; il Nostro si muove a scatti, mai a suo agio con la deambulazione umana, rilevando ora, infatti, quale ex umano (leggi: umanoide): rotando la testa a sinistra e a destra, con grinta minacciosa, da automa, ché torcere la massa attorno al proprio naturale asse anatomico gli risulta ormai d’impaccio.
Abbronzature. Maschi, ritenuti ancora umani, almeno negli andirivieni quotidiani, quando gli occhi simulano la parvenza della vita, li ritrovi svenuti sui lettini, esanimi; uno, col volto sformato dalla divina sonnolenza, le labbra che si dichiarano vinte dalla forza di gravità, assomiglia a una maschera disossata; alcuni, occhiali da sole, gambe rilasciate scompostamente, le braccia crollate a destra e a sinistra, si atteggiano, involontari, a Cristi appena deposti, sofferta l’agonia purificatrice del sangue. Essi stanno: sotto il sole dell’una, motionless, privi d’una Maria o d’un Giovanni, ma pronti per essere ritratti da un Raffaello di borgata dalla vena più facile. Altri, su un fianco, sembrano essere stati appena colpiti da un fucile a guida telescopica. I più disperati stanno seduti, le braccia attorno alle ginocchia: aspettano, si annoiano: e chi lo sa. Sono i più scialbi. Si vergognano, forse, della loro situazione, delle nudità; vorrebbero essere altrove: il conformismo potente, però, li inchioda proprio lì, all’assunzione delle responsabilità postmoderne. I più puri sono i coatti, l’esemplare più diffuso nella Capitale: farfugliano di tutto e niente, la squadra del cuore, politica, massimi sistemi, con furia apodittica e con boxer multicolori: guai a contrastarli; una parola scettica li getterebbe nell’iracondia scomposta; doveroso, quindi, accompagnarli all’uscita dell’insensatezza, come un infermiere benigno; sì, in effetti è come dici, non ci avevo pensato, sai?, proprio come tu affermi, ma lo sai? adesso che mi ci fai pensare … e intanto allacci, senza fartene accorgere, le dande della camicia di forza.
A cinquant’anni, che, nel mio caso, debbono moltiplicarsi per sette, vissuto come sono nei bassifondi più bislacchi della storia, è bene dare ragione. Il tempo, poi, si occuperà di dirimere le controversie. Quando si avrà ragione, d'altronde, tutti avranno dimenticato la controversia: saranno, infatti, defunti.
Reordon scosse la testa: “Non lo capisco” disse per la centesima volta quella settimana “proprio non lo capisco”.
Altri, invece, altrettanto ciclopici, avanzano nella broda, sino al collo. Da lì, il gran corpo occulto alla percezione litoranea - ominoso iceberg - essi scrutano l’orizzonte, con occhi, spenti e porcini, d’ippopotamo. Cosa vedono, in realtà? Secondo me vorrebbero suicidarsi. Lasciarsi andare. Rotolarsi in quella fanga mediterranea, cullati dalle fresche correnti suboceaniche. E però lo stomaco brontola: ecco, lo stomaco, che l’ippopotamo anzidetto si porta appresso, flaccido e pendulo, come la pelle d’una preda scuoiata, sin alla coglia, lo salva dalla giusta intuizione: i morsi della fame onnipotente strappano il brontosauro, come tappi di cera ulissea, al richiamo delle sirene; alla verità; uno spuntino, a volte, salva una vita, potremmo dedurne, se questa non fosse già stata consegnata alla stasi spirituale.
Non mancano, all’opposto, i salutisti da palestra. I muscoletti da palestra, da esibire unitamente al ciuffo ingelatinato e alle precise rasature dei peli facciali; o i muscoli da steroidi, ridicoli e inappuntabili. Se il primo esemplare sembra appena uscito da una beauty farm, il nuovo Big Jim steroideo pare avere infranto una vetrina di giocattoli per spingersi fra gli umani: si muove, infatti, come un pupazzo della Mattel, le braccia ripiegate a sessanta gradi, impossibili a rilasciarsi per colpa di muscoli troppo tesi; la testa calva, le spalle enfie, le vene in rilievo che pulsano nonostante l’immobilità, il cuore che fibrilla sotto i quaranta gradi, eccitato da qualche sostanza distillata in un insondabile postribolo chimico romeno, i cosciotti che stringono, sin troppo, il misero pacco virile; il Nostro si muove a scatti, mai a suo agio con la deambulazione umana, rilevando ora, infatti, quale ex umano (leggi: umanoide): rotando la testa a sinistra e a destra, con grinta minacciosa, da automa, ché torcere la massa attorno al proprio naturale asse anatomico gli risulta ormai d’impaccio.
Abbronzature. Maschi, ritenuti ancora umani, almeno negli andirivieni quotidiani, quando gli occhi simulano la parvenza della vita, li ritrovi svenuti sui lettini, esanimi; uno, col volto sformato dalla divina sonnolenza, le labbra che si dichiarano vinte dalla forza di gravità, assomiglia a una maschera disossata; alcuni, occhiali da sole, gambe rilasciate scompostamente, le braccia crollate a destra e a sinistra, si atteggiano, involontari, a Cristi appena deposti, sofferta l’agonia purificatrice del sangue. Essi stanno: sotto il sole dell’una, motionless, privi d’una Maria o d’un Giovanni, ma pronti per essere ritratti da un Raffaello di borgata dalla vena più facile. Altri, su un fianco, sembrano essere stati appena colpiti da un fucile a guida telescopica. I più disperati stanno seduti, le braccia attorno alle ginocchia: aspettano, si annoiano: e chi lo sa. Sono i più scialbi. Si vergognano, forse, della loro situazione, delle nudità; vorrebbero essere altrove: il conformismo potente, però, li inchioda proprio lì, all’assunzione delle responsabilità postmoderne. I più puri sono i coatti, l’esemplare più diffuso nella Capitale: farfugliano di tutto e niente, la squadra del cuore, politica, massimi sistemi, con furia apodittica e con boxer multicolori: guai a contrastarli; una parola scettica li getterebbe nell’iracondia scomposta; doveroso, quindi, accompagnarli all’uscita dell’insensatezza, come un infermiere benigno; sì, in effetti è come dici, non ci avevo pensato, sai?, proprio come tu affermi, ma lo sai? adesso che mi ci fai pensare … e intanto allacci, senza fartene accorgere, le dande della camicia di forza.
A cinquant’anni, che, nel mio caso, debbono moltiplicarsi per sette, vissuto come sono nei bassifondi più bislacchi della storia, è bene dare ragione. Il tempo, poi, si occuperà di dirimere le controversie. Quando si avrà ragione, d'altronde, tutti avranno dimenticato la controversia: saranno, infatti, defunti.
Reordon scosse la testa: “Non lo capisco” disse per la centesima volta quella settimana “proprio non lo capisco”.
Carmack
si strinse nelle spalle.
“Non
pensarci. Sta succedendo e basta. Che altro importa?”.
“Ma
è folle”.
“Guarda,
eccoli che vanno”.
Sotto
gli occhi dei due poliziotti la folla abbandonò la sabbia grigia e cominciò a
camminare nell'acqua. Alcuni tentarono di nuotare, ma la maggior parte non poté
a causa dei vestiti. Carmack vide una giovane donna cadere fra le onde e
sparire sul fondo, trascinata dal peso della pelliccia.
In
pochi minuti erano andati tutti ...
“Ma
quanto durerà?” chiese Reordon.
“Finché
sono andati tutti, credo” disse Carmack.
[Egli]
prese una sigaretta e l'accese. “Bene”, disse “e ora che facciamo?
Reordon
sospirò: “Tocca a noi?”.
“Vai
prima tu”, suggerì Carmack. “Io aspetto un poco per vedere se arriva qualcun
altro”.
“Va
bene”. Reordon gli tese la mano: “Addio, Carmack”.
“Addio,
Reordon”.
Carmack
continuò a fumare e vide l'amico attraversare la spiaggia grigia, poi entrare
nell'oceano e avanzare finché l'acqua gli ebbe coperto la testa. Reordon nuotò
per una decina di metri e infine scomparve.
Dopo
un po' Carmack spense la sigaretta e si guardò intorno, quindi scese in mare a
sua volta.
Un
milione di auto vuote stavano immobili sulla spiaggia.
EVVIVA LA MONTAGNA
RispondiEliminaanche il lago non è male.
Eliminacaro Misantropo
RispondiEliminaimpossibile non dedicarsi alla teratologia in questo periodo di balneazione forzosa, liturgia obbligatoria che dona la tintarella assolutoria; "sei bianco come un cadavere! non sei stato al mare??!!" accusa l'inquisitore di turno quasi a volerti colpevolizzare degli orribili misfatti testimoniati dal pallore, colpe da scontare con penose penitenze a base di trattamenti UVA rovinosi per la cute e per il portafoglio.
Sulla spiaggia ci sono regole da rispettare, un dress anzi undress code da seguire scrupolosamente; tutto è lecito fuorché l'essere naturali:
regola n. 1 pelo no, tatuaggi si. il pelo (maschile)testimonia la presenza di un vituperato ormone destinato ad essere bandito nella nuova umanità che avanza quindi il pecorone di turno va tosato e marchiato con i simboli dell'ecumenismo global... altrimenti sei razzista, quindi fascista, quindi intrinsecamente ed ontologicamente malvagio e vieni relegato tra i demoni ed i mostri del mondo antico.
Regola n. 2 Largo ai nuovi demoni ed ai nuovi mutanti transumani: palestrati/e agli steroidi, guerrieri maori (ma pacifici!) e principesse guerriere (queste si, pronte alla guerra!), schiere di simbolici Biggimmmm e di Barbie flesh_free botox yes... seguono i bimbominchia cosplay. I ragazzini e le ragazzine di oggi sono una generazione cresciuta in coltura idroponica come le piantine di fagioli della lezione di scienze delle elementari, alti, esili ed abbronzati artificialmente, tutti molto simili tra di loro sia fisicamente che mentalmente... temo che da qualche parte, sulla loro cute implume, nascondano il marchio della Monsanto, sembrano organismi OGM.
Quanto a me, vestigia atavica di un'umanità in via di estinzione (sono del 70 ma non saprei dire di quale secolo), non posso che citare il compianto Bud Spencer: "Io sto con gli ippopotami".
un cordiale saluto
Alessandro70
In capo a trent'anni ci assomiglieremo tutti.
EliminaSe mangi e bevi la stessa sbobba, fisicamente e spiritualmente, e non hai più un passato, prima o poi diventi quella sbobba.
D'altra parte cosa vuoi fare?
Beh, nel mio piccolo mondo antico il "cosa fare" si offre spontaneo; ci sono vanghe e zappe sempre in attesa di braccia volenterose, erbacce da estirpare, piante da potare e mille altre operazioni. l'anno scorso abbiamo messo una varietà antica, tradizionale, di grano il cui glutine è molto diverso da quello made in Monsanto, talmente diverso che non disturberebbe neanche un celiaco (sssh, non diteglielo, altrimenti ci mandano i droni o i missili terra-terrone!).
Eliminain sintesi, nel limite del possibile, aspiriamo all'autonomia alimentare e spirituale.
Le abbronzature "da campo" o "da orto", poi, sono un ottimo preparativo all'ingresso in spiaggia, altro che raggi UVA!
Alessandro70
Questo pezzo è da antologia! Arte pura e cristallina, forma e contenuto perfettamente fusi, nessun compiacimento inutile, il reale riflesso istantaneamente dalla tua sensibilità.
RispondiEliminaTanto di cappello, Alceste.
Comprendo allora quale privilegio possa essere il poter interloquire con un Uomo come te.
Con gratitudine.
"collane in avorio lavorate alla social house di Torpignattara".
RispondiEliminaApplauso.
Caro Alceste,
RispondiEliminaIeri mi sono alzata alle 3:30 di mattina per un lavoro di un'ora. Poi di nuovo a dormire per riprendere alle 6 del mattino.
Ebbene ormai non riuscivo a dormire. Vediamo cosa dice Alceste! Nell'attesa della sveglia delle 5:30 ho aperto il blog et voila'. Comincio a leggere questo post.
Ero arrivata a "immerso l’enorme braccio destro nella zuppa salina, si schizzano la schiena"...che ti arriva la scossa. La casa fa il solito tonfo dall'alto in basso e poi due tremolii. Stavo per smadonnare come quelli sull'autobus senza aria condizionata del bel commento di Sitka nel post precedente: suvvia non mi fai neanche leggere il seguito di questa appassionante descrizione dai lontani lidi italici? Non sono riuscita a interrompere la lettura haha!
Meglio cosi', era solo una scossetta magnitudo 2, le case fatte in stile origami amplificano le vibrazioni.
Poi mi son chiesta: date le condizioni in cui versano le spiagge italiche, non sarebbe meglio andarci di notte o d' inverno al mare? Almeno per un misantropo dovrebbe essere piu' salubre...
Ise
Il mare d'inverno è meraviglioso, ma ho il dovere di fingere le vacanze al mare estivo come un comune mortale.
EliminaIl mare è deprimente: entrare a Fregene, la meta popolare dei romani, e trovare un divano azzurro abbandonato con due poltrone sfondate getta nella malinconia irredimibile.
Per tacere del resto.
Grazie di esistere Alceste.
RispondiEliminaLa mia biografia in breve (52 anni) eppoi una richiesta:
dopo 14 anni da cococo per lo Stato nel bidone mi hanno cacciato.
trovai poi lavoro dall'azzeccagarbugli in nero per un paio di anni, ma poi cacciato fui per aumentare di più i suoi guadagni.
Essendo abile nuotatore il brevetto da bagnino ho preso a 52 anni pur di lavorare per campare.
Ora lavoro 9 ore al giorno da 2 mesi in un acquapark ed eccoci quindi alla richiesta di un tuo aiuto per comprendere i piercing e i tatuaggi onnipresenti della plebaglia in costume. Solo moda o c'è di più?
Cordialmente
Un vecchio lettore
All'inizio credevo che fosse pura ignoranza, ma non è così.
EliminaDi recente ho incontrato un trentenne fresco di dottorato in storia e un avvocato: entrambi coperti di tatuaggi (polpaccio, braccia, collo: erano in tenuta sportiva).
A mio avviso, come insegna James G. Ballard, stiamo regredendo nella scala evolutiva. Dapprima eliminando l'umanesimo, cioè il passato, quindi rimanendo sempre più abbacinati dalla pozza, dall'indistinto ...
Forse Bauman, colla sua società "liquida", alludeva a questo, alla fine della fiera.
Il regresso, la devoluzione, ci spinge da Aristotele alla Papuasia. La tecnica, come si vede, non preserva dalle tentazioni aborigene; un avvocato, oggi, è un insieme di nozioni tecniche. Mezzo secolo fa era costretto da una serie di catene sociali, morali, etiche, che ne facevano un borghese definito: magari da odiare, ma definito. Ora? Senza il passato si ha un flebile coacervo di nozioncine, buttate nel cesso la deontologia, la forma, la cravatta e la borsa di cuoio, emerge il legale tatuato: perché no? Così come il commercialista con i bermuda, l'architetto con i piedi sul tavolo, il milite con la trippa.
D'altra parte la macchietta dei nerd (nozioni di informatica e comportamenti da Homer Simpson) presagiva la deriva.
Prima o poi avremo dibattiti in aula mentre la giudice si fa il casco. Perché no? Dov'è il limite, il mos maiorum, il freno inibitore?
Per me sono serviti ad eliminare la sacra inviolabilità del corpo: quando ci scriveranno, con un tatuaggio, la matricola sul braccio sarà un tatuaggio come un altro, quando ci imporranno il microchip sarà una scarificazione come un'altra.
EliminaX Sandro: potrebbe essere...sdoganare é prassi, come si nota qui da tempo.
EliminaNel bosco dei bagni San Filippo e sei subito nelle Malebolge
RispondiEliminaBeato te Alce' che villeggi. Io sto lavorando ai bordi di periferia con questo caldo bestia. In mezzo a questa bolgia infernale mi sovviene un pensiero ignorante: abbiamo fatto entrare troppi negri e islamici. Te lo dico perche in questa zona fetente dove sono adesso spuntano da ogni angolo. Lo so che la mia non è nè poesia nè filosofia, ma non ho " good vibrations". C'è da aver paura a tornare a casa la sera o semplicwmente a prendere i mezzi pubblici. L'ultimo autobus che ho visto arrivare qui sembrava avesse per capolinea l'inferno. Sarà il caldo...
RispondiEliminaNo, abbiamo fatto entrare gli anti-italiani.
EliminaCon la scusa della destra e della sinistra.
x anonimo: pensieri di questo tipo vengono spesso in certi luoghi...nelle ville a Capalbio e Sperlonga stranamente no.
EliminaScusate, per errore ho eliminato un commento: quello sul "liquame" e su Bauman, per capirci.
RispondiEliminaA Roma due risorse beduine pagatrici di pensione hanno ammazzato un carabiniere. Nel frattempo la sindaca cinque stalle dice che il problema della capitale è togliere la scritta Casa Pound da un palazzo. Fa troppo caldo e la mente vacilla...
RispondiEliminaMitico Zigmunt Bauman, iper-dotto socio-filosofo fumatore di pipa recentemente scomparso: "modernità liquida" "vite di scarto" "amore liquido" ecc. E' stato vivacemnete contestato da "sinistra" (?!) per le sue posizioni conservatrici! LUI, il fossile vivente, l'ultimo SOCIALISTA degno di questo nome.
RispondiEliminaEbbene caro Alceste, anche Bauman tacciato di essere un "pessimista" e conservatore" è stato, invece, troppo ottimista. Nonostante "Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido" e tutti gli altri dotti scritti, io percepisco che è il mondo è certamente liquido carissimo esimio Zigmunt, è nella valutazione della qualità del liquido che è stato ottimista.
Acqua?
No, liquame.
Un addensato amorfo entropico.
Cordialmente
Un fedele lettore
Un pezzo splendidamente devastante!
RispondiEliminaCaro Alceste, ho guardato le ultime due giornate dei campionati mondiali di nuoto di gwangju. Da un pezzo, nemmeno lo sport mi piace più e cose come ad es. il calcio mi disgustano profondamente; ma una finale degli 800 stile libero dove una meravigiosa Quadarella arriva seconda oppure quella di Benedetta Pilato, 14 anni, seconda a un braccio dall'americana Lilly King o un Gregorio Paltrinieri...o un Caeleb Dressel l'americano che conquista nel giro di cento minuti tre medaglie d'oro ...mi hanno fatto respirare qualche ora: questi sono Ragazzi; solo per questi vale questo nome, solo questi sono ancora forme di purezza e vera vita. Nome che il vomitevole mainstream usa indiscriminatamente anche per individuare i tossici gli assassini i peggiori delinquenti: tutti ragazzi!
RispondiEliminaPure verità descritte con l'umorismo necessario. Complimenti!
RispondiElimina