Roma, 23 luglio 2018
Meglio e peggio. Si stava meglio quando si stava peggio? Ecco l'ordine di premiazione del concorso Miss Italia 1947:
1. Lucia Borloni alias Lucia Bosè
2. Gianna Maria Canale
3. Luigia "Gina" Lollobrigida
4. Eleonora Rossi Drago
Nelle posizioni di rincalzo, tra il pulviscolo delle belle concorrenti, Silvana Mangano.
La fine della guerra, l'attesa per il nuovo: l'olivo italiano, reso stento dal buio delle privazioni, riceve nuova luce; le fronde si moltiplicano, vecchie foglie, ingiallite, si staccano, le radici affondano nell'humus ingrassato dalla speranza. Signori compunti, pantaloni con la riga perfetta, cravatte e giacche in buon ordine, si acconciano a tale festa della rinascita: le ragazze italiane, la cui pudicizia tiene a freno la pur timida esuberanza, dagli occhi limpidi, un po' spaesate, son certe di un avvenire che, inevitabilmente, prima o poi, arriverà: come potrebbe essere altrimenti, dopo i morti, le distruzioni, le umiliazioni? La vita, interrotta, riprende; ciò che venne represso e costretto ritrova la via sua naturale. "The force that through the green fuse drives the flower/drives my green age", canta Dylan Thomas.
Miss 2019. Ora leggo che una delle partecipanti alla prossima edizione di Miss Italia sarà una disabile: sfilerà con un arto finto. Ancora la propaganda, invasiva, totalizzante. Il trionfo del disabile, il piagnisteo, noi siamo i buoni, viva i diversi. Mai si era assistito a una così ripugnante opera di depistaggio morale. Il potere usa stavolta il pietismo e le minoranze per annientare la morale della normalità. Il normale è il diverso, il diverso è la normalità da premiare. Annichilire ciò che è sempre stato giusto, corretto, abituale tramite l’empatia indotta per ciò che è altro, capriccioso, informe, eccentrico, contro il buon senso e la tradizione.
In tale vicenda vi sono tre vittime: l’antico ordine estetico e morale; chi viene usato per imporre la trasgressione e l’inversione (la disabile) e, per ultimo, la sincera pietà per i più sfortunati che, presa in giro in maniera così sfacciata, rischia di mutarsi nel suo opposto.
Va detto, infatti, ancora e ancora, con rinnovata forza: il potere se ne frega dei disabili e dei diversi: la vita quotidiana urla questo tutti i giorni. E però gli torna utile usare la lacrima per distruggere ogni ordine pregresso. La sinistra diffusa, un allucinante cretinismo di massa, sono lì a fare da fiancheggiatori a tale manovra disgustosa.
Chupa Chups. Una nota attrice spedisce un proprio famiglio ad acquistare Chupa Chups alla marijuana per i nipoti: "Così si abituano al gusto", commenta, rivolta agli increduli.
Pecorino? Giammai. Una giovane coppia di fidanzati gay ordina una pasta alla carbonara presso un ristorante romano; la richiesta è accompagnata da una precisa precisazione: niente pecorino! Il cameriere, che si guadagna la stozza, a luglio, camminando avanti e indietro fra le roventi cucine del disagio occupazionale e una clientela spesso volgare e unticcia, si bendispone alla richiesta; segue la pappatoria dei due; al termine della ruminazione, senza pecorino, il proletario reca lo scontrino: su di esso, sfuggito a un registratore di cassa omofobo, appare vergato il "Mane, Tekel, Fares" del peccato postideologico par excellence: l’Offesa: "no pecorino sì frocio". Froci, addirittura. Questo non è il ristorante "Da Bruno agli Incivili" in cui il commissario Auricchio/Lino Banfi viene accolto dal refrain cult: "E benvenuti a ‘sti frocioni/grandi grossi e capoccioni/e tu che sei un po‘ frì frì/dimme un po‘ che c’hai da dì' …". La minuscola goliardata ingrossa in una slavina della stupidità che coinvolge tutti, da singoli babbei di facebook alle associazioni omofile sin alle più alte cariche dell’amministrazione comunale e, ancor più su, ai consueti sfaccendati politici, di destra (la Carfagna!) e sinistra. Al rotolare del pallone di neve vittimista, gonfio di arroganza, malafede, gridolini, occhi strabuzzati e soldi di Pantalone (l’associazione “Gay Helpline“, presieduta da un tal Marrazzo, è ovviamente di derivazione pubblica), non c’è difesa: il minimo ansimo di razionalità - leggi: buon senso - viene travolto subito. La devastazione parolaia lascia sul campo l’unico fantaccino sacrificabile: il cameriere, licenziato; proprio come il vecchio domestico de Il giorno di Parini, discacciato anche lui, dopo una vita di servigi, per aver osato scalciare la "vergine cuccia", ovvero il cagnolino della signora: "L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo/udì la sua condanna. A lui non valse/merito quadrilustre; a lui non valse/zelo d’arcani ufici …".
1. Lucia Borloni alias Lucia Bosè
2. Gianna Maria Canale
3. Luigia "Gina" Lollobrigida
4. Eleonora Rossi Drago
Nelle posizioni di rincalzo, tra il pulviscolo delle belle concorrenti, Silvana Mangano.
La fine della guerra, l'attesa per il nuovo: l'olivo italiano, reso stento dal buio delle privazioni, riceve nuova luce; le fronde si moltiplicano, vecchie foglie, ingiallite, si staccano, le radici affondano nell'humus ingrassato dalla speranza. Signori compunti, pantaloni con la riga perfetta, cravatte e giacche in buon ordine, si acconciano a tale festa della rinascita: le ragazze italiane, la cui pudicizia tiene a freno la pur timida esuberanza, dagli occhi limpidi, un po' spaesate, son certe di un avvenire che, inevitabilmente, prima o poi, arriverà: come potrebbe essere altrimenti, dopo i morti, le distruzioni, le umiliazioni? La vita, interrotta, riprende; ciò che venne represso e costretto ritrova la via sua naturale. "The force that through the green fuse drives the flower/drives my green age", canta Dylan Thomas.
Miss 2019. Ora leggo che una delle partecipanti alla prossima edizione di Miss Italia sarà una disabile: sfilerà con un arto finto. Ancora la propaganda, invasiva, totalizzante. Il trionfo del disabile, il piagnisteo, noi siamo i buoni, viva i diversi. Mai si era assistito a una così ripugnante opera di depistaggio morale. Il potere usa stavolta il pietismo e le minoranze per annientare la morale della normalità. Il normale è il diverso, il diverso è la normalità da premiare. Annichilire ciò che è sempre stato giusto, corretto, abituale tramite l’empatia indotta per ciò che è altro, capriccioso, informe, eccentrico, contro il buon senso e la tradizione.
In tale vicenda vi sono tre vittime: l’antico ordine estetico e morale; chi viene usato per imporre la trasgressione e l’inversione (la disabile) e, per ultimo, la sincera pietà per i più sfortunati che, presa in giro in maniera così sfacciata, rischia di mutarsi nel suo opposto.
Va detto, infatti, ancora e ancora, con rinnovata forza: il potere se ne frega dei disabili e dei diversi: la vita quotidiana urla questo tutti i giorni. E però gli torna utile usare la lacrima per distruggere ogni ordine pregresso. La sinistra diffusa, un allucinante cretinismo di massa, sono lì a fare da fiancheggiatori a tale manovra disgustosa.
Chupa Chups. Una nota attrice spedisce un proprio famiglio ad acquistare Chupa Chups alla marijuana per i nipoti: "Così si abituano al gusto", commenta, rivolta agli increduli.
Pecorino? Giammai. Una giovane coppia di fidanzati gay ordina una pasta alla carbonara presso un ristorante romano; la richiesta è accompagnata da una precisa precisazione: niente pecorino! Il cameriere, che si guadagna la stozza, a luglio, camminando avanti e indietro fra le roventi cucine del disagio occupazionale e una clientela spesso volgare e unticcia, si bendispone alla richiesta; segue la pappatoria dei due; al termine della ruminazione, senza pecorino, il proletario reca lo scontrino: su di esso, sfuggito a un registratore di cassa omofobo, appare vergato il "Mane, Tekel, Fares" del peccato postideologico par excellence: l’Offesa: "no pecorino sì frocio". Froci, addirittura. Questo non è il ristorante "Da Bruno agli Incivili" in cui il commissario Auricchio/Lino Banfi viene accolto dal refrain cult: "E benvenuti a ‘sti frocioni/grandi grossi e capoccioni/e tu che sei un po‘ frì frì/dimme un po‘ che c’hai da dì' …". La minuscola goliardata ingrossa in una slavina della stupidità che coinvolge tutti, da singoli babbei di facebook alle associazioni omofile sin alle più alte cariche dell’amministrazione comunale e, ancor più su, ai consueti sfaccendati politici, di destra (la Carfagna!) e sinistra. Al rotolare del pallone di neve vittimista, gonfio di arroganza, malafede, gridolini, occhi strabuzzati e soldi di Pantalone (l’associazione “Gay Helpline“, presieduta da un tal Marrazzo, è ovviamente di derivazione pubblica), non c’è difesa: il minimo ansimo di razionalità - leggi: buon senso - viene travolto subito. La devastazione parolaia lascia sul campo l’unico fantaccino sacrificabile: il cameriere, licenziato; proprio come il vecchio domestico de Il giorno di Parini, discacciato anche lui, dopo una vita di servigi, per aver osato scalciare la "vergine cuccia", ovvero il cagnolino della signora: "L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo/udì la sua condanna. A lui non valse/merito quadrilustre; a lui non valse/zelo d’arcani ufici …".
Una preclare esemplificazione di cosa sono, oggi, i diritti civili e di cosa sono, oggi, i diritti materiali.
E questa differenza, plastica, la sperimenta, dopo una vita spesa al servizio delle sciocchezzuole, l’ex deputato DS Franco Grillini, storico quanto ubiquo presidente dell’Arcigay. Il suo vitalizio, ricalcolato con perfidia gialloverde, passa da euri 4725 a euri 2486. Solo 2486! Da aggiungere alla sua magra pensioncina! E come farà? Io e molti deputati e senatori saremo travolti dall’indigenza … come potrò pagare, infatti, le cure per il mio tumore … ho lavorato in Parlamento come un matto … e ora mi ritrovo con poche migliaia di spiccioli, ha affermato, pressappoco, con le lacrime al ciglio, l’ex Arcigaio. Io, per me, posso rispondere cosa è successo, a esempio, alla madre di due ragazzi disoccupati (una era cameriera), madre che ha lavorato come una matta, per la famiglia, tutta una vita, e si è ritrovata senza vitalizio e con la pensione minima: è morta. Dopo un paio di interventi, uno più rovinoso e doloroso dell’altro. Caro Grillini, ti conforto: tu, probabilmente, non morirai. Tu. Lo spero; la vita umana è un bene inestimabile. Un cinquemila al mese, tutto sommato, permette cure di buona qualità … cinquemila rappattumate da chiunque … razzista populista, omofobo … il soldo pubblico, strappato dalle tasche altrui, non ha patria e profumo … e poi moglie non ne hai di sicuro … figli nemmeno … una carbonara (senza pecorino) la troverai sempre nella comunità LGBTQIAPK (e son già partiti gli appelli! i ricorsi causidici!). Di poco (solo di poco) le tue probabilità di sopravvivenza, certo, caleranno: succede così, spero tu lo abbia capito, nella vita reale, quando la sedicente politica conculca gaiamente i diritti materiali e passa la dolce vita parlamentare a rivendicare un bel cazzo. La signora, invece, da minime probabilità è passata a zero: l’hanno tagliata e ricucita che non riusciva nemmeno a pisciare come una cristiana, ma solo per dovere, e per farsi rimborsare le cure dalla Regione. All’ultimo, ridotta a un fagottino di ossa e pelle, invocava la morte davanti ai figli, straziata dal dolore che superava persino quello, materno e indistruttibile, di non più rivederli. E sì che li ha amati! Questa è la vita quotidiana di molti italiani, resi carne da cannone, umiliati, insultati e vituperati mentre tu o altri consimili passate il tempo a discorrere di quanto è progressista (e giusto e buono) approntare una squadra di infermiere specializzate nel fare le pippe ai disabili.
Anno. Si spegne Sergio Marchionne. "Huffington Post" si conduole, senza mai precisare, tuttavia, con peritosità somma, di cosa muoia il genio svizzero dell’industria; uno che, come lo svizzero De Benedetti, tanto ha dato alla Svizzera. Al pari HP rievoca, con nostalgia huffingtonesca, le mirabili imprese imprenditoriali e finanziarie e il lato umano, umanissimo, dell’uomo perché Marchionne, ammettiamolo!, è uno che viene dalla gavetta, uno che ha lavorato duro, durissimo. Gli aneddoti fioriscono dalla penna fluente di Carlo Renda; nonché resoconti di simpatiche idiosincrasie. Come quella per la cravatta, accessorio che Sergio dismise anni fa a scapito del celebre maglioncino blu; cravatta sfoggiata, in seguito, solo in un’occasione speciale: al traguardo dei zero debiti della FCA; durante tale evento Marchionne si lasciò andare a una rivelazione: “Erano 10 anni che non la indossavo, me l’anno regalata“.
Bene, bene così, via, verso il buco nero che ci inghiottirà tutti.
Il barbiere. Sabato mattina una spesa imprevista mi riduce a secco. Mi ritrovo con novantadue centesimi in tasca. C'è il bancomat! Ma il sottoscritto, da sabato a mezzogiorno, sin all'alba del lunedì mattina, applica una sorta di Ramadan burocratico. Ogni cosa che ricordi moduli, scartoffie, transazioni, firme in calce, viene preterita. E così affronto il fine settimana al verde. Residui di vettovaglie, benzina per circa settanta chilometri. E sia!
Il sabato lo passo a telefonare e ascoltare musica.La domenica esco in tarda mattinata. Il sole è già impietoso.
Decido di prendere l’auto e andarmene a Roma sud. Mentre apro lo sportello, riconosco la sagoma del mio vecchio barbiere: di lui ne parlai qui: Storia di due barbieri. Mi ha visto? Chissà. Mi ritrovo in una impasse. Tirare via o salutarlo? Mi affido al destino. Neanche il tempo di finire il pensiero e già lui mi fissa. Mi ha riconosciuto subito. Gli faccio un cenno con la testa, lui sorride. I primi convenevoli. Come va, tutto bene. Le solite cose. Entriamo in un bar, ovviamente. Sono un po' in ansia, coi miei novantadue centesimi in tasca. Ma lui mi toglie dalle ambasce: ti offro qualcosa, dice. Prendo un caffè freddo, lui un orzo. Dall'ultima volta che l'ho visto sembra un po' invecchiato, invecchiato male intendo, il passo più incerto, lo sguardo meno vivo. E ne ha ben donde. La figlia si è separata, la moglie sta male. Le spese, le spese. Le delusioni. La sua attività, che gli consentiva qualche centinaio di euro mensili, era divenuta un lusso: egli, infatti, aveva a pagare più di quanto guadagnava: ghiribizzi della burocrazia per cui il lavoro, autentico, non parassitario, è sempre visto con sospetto; o come mammella bovina da spremere in eleganti mungitoi burocratici. Oggi si barcamena fra una pensione da ottocento o poco più. Qualche volta racimola qualche decina di euro in nero poichè la vecchia clientela si affida ancora a lui. La riceve a casa, in una stanzetta fornita di toletta e specchio e della sedia anni Settanta, confortevolissima (l’ho provata mille volte), strappata alla bottega oggi silente. In quei momenti, mentre il sugo bolle in cucina, il Nostro, così ricongiunto alla prima occupazione, si sente meno inutile; parla del più e del meno; sfoga qualche frustrazione; i clienti, vecchi amici del quartiere, cresciuti con lui dal 1962, sfogano le loro, danno consigli; in fondo rendono visita a un amico più che a un artigiano; capelli e barbe sono tirati a lucido, a poco prezzo. Egli vive questo come un conforto e con un pizzico di ansia poiché i controlli sono all'ordine del giorno: basterebbe una soffiata, solo una soffiata ... e però anche quegli euro servono. Sì, il mio barbiere resiste, a settantacinque anni. Ma anche nelle sue fibre resilienti, come spesso accade, sta insinuandosi una sorta di cupio dissolvi; la certezza che ogni sforzo, pur prodigato per il meglio, equivalga a gettare acqua in un secchio sfondato frena intimamente la creatività, la voglia di fare. Conosco tale istinto. La rassegnazione che deriva dalla sicurezza di non avere futuro se non quello di un tramestio vile, un corpo a corpo con una società incolore e spietata dominata dall'utile più abietto e che nulla concede a chi cerca di vivere come ha sempre vissuto: dignitosamente.
Il bidone. Guido per circa trenta chilometri, poi lascio l'auto. Sono al Parco degli Acquedotti.
Il bidone. Guido per circa trenta chilometri, poi lascio l'auto. Sono al Parco degli Acquedotti.
Il luogo è desolante nella sua distesa di stoppie bruciate. Intorno non si muove anima viva, persino i bar delle ultime strade sono chiusi. Meglio così, che non posso permettermeli.
I sentieri che recano ai monumenti sono polverosi e luridi. Supero l'Acquedotto Claudio e Anio, su due ordini di arcate, e mi immetto lungo via del Quadraro: di qui ecco il parco di Tor Fiscale; la torre medioevale si staglia di lontano; fra ruderi di casali, erbacce e frattoni, si arriva a uno spiazzo ben tenuto, con un ristorantino in pieno verde: senza pretese eppur ameno: alle sue spalle le arcate dell'Acquedotto Felice.
Sotto tali archi viveva, sin agli anni Cinquanta, un'altra Roma. La Roma dei baraccati, che costruì proprio sotto l’opera di Papa Sisto V, abile a riadattare l’antica Aqua Marcia, le proprie trincee contro ciò che Padoa Schioppa chiamava le durezze del vivere. I poveri dell'Acquedotto Felice divennero epitome del disagio proletario delle borgate romane. Un giovane Federico Fellini, ignorato padre del miglior neorealismo, girò qui uno dei suoi primi capolavori, Il bidone. Il bidone, una storia di truffatori da quattro soldi. In una scena li si vede arrivare proprio fra i poveracci dell’Acquedotto per raggirarli con finte promesse di case popolari.
Mi aggiro con calma, camicia bianca, mani in tasca nei pantaloni scuri. Ritrovo il luogo esatto dove fu girata la sequenza, presso il vicolo dell’Acquedotto Felice: dal 1955 molto è cambiato, ma le arcate hanno il medesimo andamento; il rudere di un antico fontanile è ancora riconoscibile; infissi nel corpo dell’acquedotto possono ritrovarsi, immutati, i posatoi metallici della linea elettrica ora dismessa.
Il bidone fu giudicato uno dei film più realisti di Fellini: ciò è vero, se ci si limita alla forma esteriore. In realtà tale pellicola è la storia di un miracolo: un miracolo mancato in tal caso, a differenza de Le notti di Cabiria dove il miracolo arriva a lambire un cuore e a possederlo definitivamente.
Buonasera. Cabiria accumula soldi col lavoro di prostituta; si concede a ognuno; i risparmi le serviranno per cambiare vita, come lei dice, a togliersi dalla sua casetta abusiva nella borgata di Acilia e iniziare una nuova esistenza: magari potrà sposarsi! Questo, però, è cristianamente inaccettabile. La farina del diavolo va in crusca, recita l’antico adagio: ciò che deriva dal peccato, insomma, diverrà polvere o rinfocolerà un nuovo più grave peccato. I risparmi di Cabiria devono essere perduti o non vi sarà salvezza.
I disegni divini intervengono per vie imperscrutabili.
All’uscita d’un cinema Cabiria conosce un uomo, Oscar; sembra una brava persona; lei si fida; si instaura una parvenza di rapporto umano; un futuro, finalmente! Sì, è possibile! Cabiria vende la minuscola casa, parte con lui. Lungo il viaggio egli la reca presso un lago, ai bordi d’una pineta; la intrattiene ancora con chiacchiere, suadenti, poi i toni impercettibilmente cambiano: si rivela; mette le mani sui soldi del peccato, quindi tenta di ucciderla; qualcosa, però, lo trattiene. Fugge. Cabiria rimane con un’amarezza sconfinata: è tale scacco, tuttavia, perseguito per vie occulte, l’autentico inizio d‘una nuova esistenza. Solo a tal prezzo, ricominciare da zero, e dire no, un no che è inconfutabilmente un no, si intravede la via della salvezza. "Che il vostro parlare sia sì, sì; no, no; il di più viene dal Maligno", dichiara l’Ebreo per bocca di un altro ebreo, un mezzo usuraio. Il Cristianesimo è una disciplina dura. La parabola della fune e della cruna dell’ago è lì a testimoniarlo. Perdere ciò che si è stati, nel peccato, definitivamente: questo è rinascere in Cristo. E, infatti, la peccatrice rinasce: il prezzo della colpa è stato dilavato con un battesimo inconsapevole; non rimane che la rivelazione. Disfatta, stanchissima, Cabiria si incammina a capo chino lungo la via, con passo lento, come animata da una flebile forza latente; intanto, attorno a lei, quasi inavvertito, si forma un gruppo di giovani; festoso, di un’allegria che pare ciò che è, imbevuta nel disinteresse, un sì che è un sì; Cabiria sente di rianimarsi un poco: la sincerità dell’età verde e una musica spontanea contagiano il suo cuore semplice; dal gruppo una ragazza si volta verso di lei, sorride: "Buonasera!"; le dice, così, cordialmente, senza alcun fine. Noi sappiamo, da lettori accorti, ch’Ella è un angelo. Cabiria sorride a sua volta: è salva.
I sentieri che recano ai monumenti sono polverosi e luridi. Supero l'Acquedotto Claudio e Anio, su due ordini di arcate, e mi immetto lungo via del Quadraro: di qui ecco il parco di Tor Fiscale; la torre medioevale si staglia di lontano; fra ruderi di casali, erbacce e frattoni, si arriva a uno spiazzo ben tenuto, con un ristorantino in pieno verde: senza pretese eppur ameno: alle sue spalle le arcate dell'Acquedotto Felice.
Sotto tali archi viveva, sin agli anni Cinquanta, un'altra Roma. La Roma dei baraccati, che costruì proprio sotto l’opera di Papa Sisto V, abile a riadattare l’antica Aqua Marcia, le proprie trincee contro ciò che Padoa Schioppa chiamava le durezze del vivere. I poveri dell'Acquedotto Felice divennero epitome del disagio proletario delle borgate romane. Un giovane Federico Fellini, ignorato padre del miglior neorealismo, girò qui uno dei suoi primi capolavori, Il bidone. Il bidone, una storia di truffatori da quattro soldi. In una scena li si vede arrivare proprio fra i poveracci dell’Acquedotto per raggirarli con finte promesse di case popolari.
Mi aggiro con calma, camicia bianca, mani in tasca nei pantaloni scuri. Ritrovo il luogo esatto dove fu girata la sequenza, presso il vicolo dell’Acquedotto Felice: dal 1955 molto è cambiato, ma le arcate hanno il medesimo andamento; il rudere di un antico fontanile è ancora riconoscibile; infissi nel corpo dell’acquedotto possono ritrovarsi, immutati, i posatoi metallici della linea elettrica ora dismessa.
Il bidone fu giudicato uno dei film più realisti di Fellini: ciò è vero, se ci si limita alla forma esteriore. In realtà tale pellicola è la storia di un miracolo: un miracolo mancato in tal caso, a differenza de Le notti di Cabiria dove il miracolo arriva a lambire un cuore e a possederlo definitivamente.
Buonasera. Cabiria accumula soldi col lavoro di prostituta; si concede a ognuno; i risparmi le serviranno per cambiare vita, come lei dice, a togliersi dalla sua casetta abusiva nella borgata di Acilia e iniziare una nuova esistenza: magari potrà sposarsi! Questo, però, è cristianamente inaccettabile. La farina del diavolo va in crusca, recita l’antico adagio: ciò che deriva dal peccato, insomma, diverrà polvere o rinfocolerà un nuovo più grave peccato. I risparmi di Cabiria devono essere perduti o non vi sarà salvezza.
I disegni divini intervengono per vie imperscrutabili.
All’uscita d’un cinema Cabiria conosce un uomo, Oscar; sembra una brava persona; lei si fida; si instaura una parvenza di rapporto umano; un futuro, finalmente! Sì, è possibile! Cabiria vende la minuscola casa, parte con lui. Lungo il viaggio egli la reca presso un lago, ai bordi d’una pineta; la intrattiene ancora con chiacchiere, suadenti, poi i toni impercettibilmente cambiano: si rivela; mette le mani sui soldi del peccato, quindi tenta di ucciderla; qualcosa, però, lo trattiene. Fugge. Cabiria rimane con un’amarezza sconfinata: è tale scacco, tuttavia, perseguito per vie occulte, l’autentico inizio d‘una nuova esistenza. Solo a tal prezzo, ricominciare da zero, e dire no, un no che è inconfutabilmente un no, si intravede la via della salvezza. "Che il vostro parlare sia sì, sì; no, no; il di più viene dal Maligno", dichiara l’Ebreo per bocca di un altro ebreo, un mezzo usuraio. Il Cristianesimo è una disciplina dura. La parabola della fune e della cruna dell’ago è lì a testimoniarlo. Perdere ciò che si è stati, nel peccato, definitivamente: questo è rinascere in Cristo. E, infatti, la peccatrice rinasce: il prezzo della colpa è stato dilavato con un battesimo inconsapevole; non rimane che la rivelazione. Disfatta, stanchissima, Cabiria si incammina a capo chino lungo la via, con passo lento, come animata da una flebile forza latente; intanto, attorno a lei, quasi inavvertito, si forma un gruppo di giovani; festoso, di un’allegria che pare ciò che è, imbevuta nel disinteresse, un sì che è un sì; Cabiria sente di rianimarsi un poco: la sincerità dell’età verde e una musica spontanea contagiano il suo cuore semplice; dal gruppo una ragazza si volta verso di lei, sorride: "Buonasera!"; le dice, così, cordialmente, senza alcun fine. Noi sappiamo, da lettori accorti, ch’Ella è un angelo. Cabiria sorride a sua volta: è salva.
Il miracolo. Il fatto di cronaca da cui è tratto Le notti di Cabiria, l’omicidio di una prostituta a Castelgandolfo, viene mutato da Fellini, scientemente, nel punto essenziale.
Il protagonista de Il bidone, invece, rinnega la possibilità del miracolo. Di fronte a una ragazza storpia, provata da un’esistenza durissima, dolce e senza malizia (un angelo), egli cede, invece che alla carità, alle lusinghe del denaro: porta a compimento la sua truffa e sottrae proprio quei soldi che l'avrebbero guarita. Scelte. Libero arbitrio. La Grazia si allontana. Egli finirà come merita, con la schiena spezzata ai bordi della strada, le grida di dolore e aiuto inascoltate, in un contrappasso perfetto col rifiuto della parola di Dio. Tutto questo in Fellini rimane inavvertito; egli non rende mai evidente; è lo spettatore a dover comprendere l’intimo significato delle vicende. Il protagonista e lo spettatore, perciò, coincidono: entrambi sono posti di fronte a una verità, segreta; alla scelta.
Il bidone: l'angelo e la Grazia rifiutate |
La forma? Quelle feritoie regolari nei fianchi dei palazzi, le vetrate, la regolarità ininterrotta della sagoma. O forse la concezione d’essi, umana, umanissima, abile a donare a ciascun abitante il proprio humus vitale grazie al ritaglio di giardini interni aperti a tutti, vialetti alberati, anditi, scalette d’entrata, muriccioli; persino i nettasuole convengono a intimamente arredare quel microcosmo popolare. Era benigno, assai benigno quel demiurgo, Roberto Nicolini; egli provvide solo apparentemente alla bassa utilità; in realtà tutto ciò che realizzava, dai manufatti alle architetture, rivela uno scrupolo commovente; l’uomo che progettò tali cose possedeva, infatti, ancora un‘empatia, la preoccupazione di costruire luoghi a favore di una esistenza comunitaria. Cosa, se non tale preoccupazione, ha fatto sì che nelle borgate si riservasse spazio ai quadrati di sabbia interni ai lotti per far giocare i bambini? Oppure agli stenditoi: semplici paletti di ferro, ordinati con cura, però, e una certa rigorosa regolarità, col filo che corre umilmente dall’uno all’altro. Decine di lenzuola, e panni, e tute, una volta, venivano qui appesi, fermati da semplici mollette di legno, ad asciugarsi ai refoli delle brezze più miti; nei fine settimana, quando su ciascuno gravava meno l’impegno della scuola o del lavoro; su ogni stenditoio s’intuiva una famiglia: i pantaloni più lunghi del padre, spesso una divisa, grembiuli e sottane della madre, tovaglie multicolori, candidi strofinacci, veli e fazzoletti; e poi, decrescenti per misura, i figli: canottiere, calzini, mutandine, magliette, calzoncelli, gonnelline a fiori, pannolini; rossi sbiaditi, verdi accesi, turchesi, giallo cromo s’alternavano in un guazzabuglio multicolore.
Verità. Nel primo pomeriggio, deserte le strade, un vento improvviso, a volte, rabbuiato velocemente il cielo, interveniva a musicare quei pentagrammi: ogni tanto un lenzuolo, sferzato violentemente, si gonfiava con un rumore secco, o qualche fibbia iniziava a tinnire ritmicamente contro il ferro dello stenditoio; l’aria era risucchiata dalle scale interne provocando un lamento sospiroso lungo la vertigine della prospettiva verticale; una persiana sbatteva; il grido breve d’un uccello; i popoli delle foglie cadute a terra, rinsecchite dalla calura, crocchiavano piano, recati in piccoli mulinelli.
In quei momenti, in cui l’Italia era ancora l’Italia, si era sempre sul punto di scoprire la Verità, come se, indebolito l’inganno di Maia, Essa si concedesse in un lampo: era l’intuizione di un pertugio, d‘un passaggio felice.
Distruzione. Fra i Settanta e gli Ottanta si distrusse questo; e molto altro. Il Tiburtino III, fra gli altri. Basti guardare questa immagine del Tiburtino nel 1969 e confrontarla con l’attuale discarica architettonica lì riedificata, per comprendere, finalmente, la postmodernità.
La crepuscolare bellezza del Tiburtino III. Dal film Plagio (1969) |
Accattone 2. Senza un soldo, con la camicia appicicata alla schiena, i piedi dolenti, il sole che non concede tregua neanche ora, verso le sette, mi siedo sospirando su un muretto. Miserabile, accaldato, incarognito dalla settimana a venire, fondamentalmente senza prospettive, come è giusto che sia in una società che le ha abolite sostituendole con scadenze meschine (la partita! le vacanze!). Non si cambia mai. Capisco ora Accattone e Franco Citti, uomini senza futuro e direzioni; comprendo l’indolenza, le rimostranze vigliacche verso la moglie e l‘amante, le sbruffonate, i sotterfugi, gli abbandoni incomprensibili ai cigli della strada con la testa fra le ginocchia, i sarcasmi improvvisi, persino i gesti di generosità. Basta poco e si torna indietro … senza essere lui, però, che quella plebaglia possedeva una sua vitalità guizzante e senza indugi. Accattone! Cartagine! Bellicapelli!
92 centesimi. Eccomi a Largo Mola di Bari, davanti alla storica Madonnella.
Tiro fuori i novantadue centesimi e li impilo di fronte alla Vergine: cinquanta venti dieci dieci due.
Mo' sto bene. Riprendo l’auto, guido lungo il Raccordo, dall’uscita 21 sin alla prima.
Il catorcio risucchia le ultime gocce di benzina e riesce a depositarmi all’entrata di casa.
Entro, mi butto sul letto e amen.
Onore, ordine, disciplina,tradizione sono solo parole al vento ormai.
RispondiEliminaGuardate questo video di un prete siciliano fatto fuori dai poteri forti del regime (dal minuto secondo e dieci secondi):
https://www.youtube.com/watch?v=JDnRt3JdisE
Caro Alceste, di poche cose vale la pena di parlare, tu lo fai, e bene.
RispondiEliminaCapolavoro, e la prima e l'unica analisi onesta di Pasolini.
RispondiEliminaQuei 92 centesimi hai fatto bene a metterli li.
Per Sitka:
RispondiEliminaSu Pasolini ci sono cose che si possono raccontare solo in privato ...
Era un'anima tormentata, contradditoria, ma le cose che diceva erano parte del sincero tormento.
Lanciafiamme! Sulla retorica marcia dei disabili: ad un mio caro amico sono nate due gemelline che ad entrambe, a partire dall'ottavo mese, gli si e' bloccata la crescita celebrale. Una malattia genetica rarissima. Oggi sono cieche, non parlano, sono incapaci di muoversi autonomamente e devono essere assistite in tutto. Hanno da poco compiuto sei anni. La moglie e' quasi scoppiata, nonostante abbia due donne moldave fisse che vivono in casa e la aiutano ad accudire le piccole. Lo stato? Qualche spicciolo. Per il resto inesistente. Quindi da lanciafiamme (come un altro frequentatore del blog precedentemente ha ben suggerito). La chiesa? Chi mai s'e' presentato per dare una mano a sto cristo di uomo? Per fortuna lui ha un buon lavoro e in qualche modo riesce a sostenere i costi assurdi di una tale situazione. Ha anche le palle di sostenere umanamente questa follia! Le tasse ovviamente le paga tutte, tasse che servono prima per i parassiti infestanti lo Stato, e poi per i migranti tanto amati da (anti)papa Francesco e compagnia bella.
RispondiEliminaMarchionne. Penso fosse un'uomo tosto e capace. Gestire imperi industriali di quelle dimensioni deve essere qualcosa di folle, che trascende quasi l'umano. Ha salvato la Fiat? Di sicuro qualcuno l'ha sfilata di mano all'Italia, anche grazie a lui, e cosi' l'Alfa Romeo, la Maserati, la Ferrari. Non ho sentito la voce di un Agnelli nelle interviste di (quasi) condoglianze: solo la voce degli Elkan e dei nuovi amministratori, rigorosamente non italiani. Forse il destino della Fiat era gia' segnato prima ancora della designazione di Marchionne. Interessante il messaggio di John Elkan che, ricordandolo (quasi fosse gia' morto), lo ha definito un "dirigente illuminato". Mettiamola cosi': sappiamo (e sapremo) ben poco di cio' che realmente e' successo. Di sicuro: la Ferrari e' controllata da una holding olandese dal nome impronunciabile; Marchionne, l'ultimo dei mohicanitaliani e' fuori dai giochi e la migliore espressione del "fatto in Italia" non si sa realmente a chi appartenga. Un'Ave Maria per Marchionne e un Requiem per l'Italia.
Pasolini. Ne parlo come uno che ha amato follemente i suoi film, e meno i suoi libri. Penso che con Salo' ci abbia mostrato il volto del vero potere: quello che dal dopoguerra infesta il nostro paese e non solo. Quindi fu eliminato. Oltrepasso' quella barriera che divide l'uomo dal martire, il parassita intellettuale dal grande artista. Il suo cinema, ma anche tutto il cinema italiano del dopoguerra va preservato religiosamente. Assomiglia ad un miracolo. Per questo non trasmettono piu' nessuno dei grandi film italiani: non sia mai che qualcuno intraveda la grazia... Un bello scritto Alceste. Grazie. Un caro saluto a tutti. Anonimo di nome R
Ma perche' hanno chiamato un giornale "huffington post" in Italia?
RispondiEliminaAmmesso e non concesso l'anglicismo, che cavolo significa? Dov'e'\chi e' huffington??? Perche' mi dovrei sentire attratto a comprare il giornale di una testata cosi' denominata? dov'e' il gioco di parole? il calembour? Perche'? Perche' huffington post in italia? perche'? mi fa incazzare anche il solo doverlo vedere citato come fonte, e succede spesso leggendo sui blog. Chi ha avuto la benemerita idea di chiamarlo huffington post? quando e' cicciato questo ennesimo bubbone?
La stranissima morìa degli Agnelli mi ha sempre insospettito.
RispondiEliminaMarchionne era un abile finanziere (e per abile intendo perfetto nella sua materia), ma ha accettato il patto col diavolo ed è morto.
A quei livelli, a volte, si esige qualche cosa in cambio.
Mi stupisce, molte volte, il cursus honorum di questa gente. Elon Musk, Zuckerberg: ma chi sono?
Una cosa è sicura: la FIAT non è più italiana da molto tempo. L'Italia non controlla più nulla.
Per Barabba:
RispondiEliminaHP è solo la versione italiota di HP yankee, blog democratico americano.
Gli Americani i blog li sanno fare, qui da noi arrangiano queste robe qui.
Su huffington post:
RispondiEliminava bene, ma perche' il partito democratico americano dovrebbe avere una testata qui da noi? qui non lo si puo' votare.
E anche se fosse, non potrebbero prendersi la briga di localizzare almeno il titolo? Mimetizzare un po' la colonizzazione culturale, invece di spiattellarcela in faccia cosi? E' arrogante, fa un po' incazzare le folle, non credo solo a me. Ah gia', ma a loro delle folle che gli frega, sono di sinistra...
Le colonie leggono ciò che si deve leggere ... sono operazioni di conquista. HP infatti è citato sempre anche se ha l'autorevolezza di una gallina.
EliminaPer quanto riguarda il cameriere, al netto del fatto che se lo poteva risparmiare (bisognerebbe vedere poi chi erano i due, e come si sono posti, e come si è posto il cameriere, una tale eco mediatica non ha precedenti...omofobo si dice, perché bisogna dirlo, come è andata non lo sa nessuno) noto una generale tendenza nel mettere la gente alla berlina che mi inquieta un pochino...chissà, se i giornali non avessero fatto il nome del ristorante forse i gestori non si sarebbero neanche sentiti in dovere di licenziarlo...chi può dirlo. Nel dubbio i giornali (gli stessi che trent'anni fa davano del culattone a Pasolini, con ammiccamenti da caserma) lo hanno fatto subito, il nome, e l'indirizzo anche...Io so solo che la cara sindaca romana ha recentemente pubblicato (postato, anzi) un video di un malandrino che si faceva il carburante di Ama. Seguivano inviti alla delazione, di dipendenti "infedeli" (il termine per descrivere il ladro era proprio questo) additando tali atti (piena retorica grillina) come causa delle pene "senior" inflitte al bene comune...che dire...
RispondiEliminaLa stessa Raggi usa lo stesso linguaggio di chi le liscia il pelo, poi...ricordo un articolo di qualche settimana fa: morta per "Colpa" della buche. Testuale. Avevano emesso la sentenza, il giorno dopo...si accusa facile facile...
È stato un gesto di estrema maleducazione. Si doveva finirla lì, a quattr'occhi, esigendo le scuse da tutti. Invece si deve fare la caccia alle streghe ideologica ...
EliminaEsatto, è il mondo al contrario come dici tu, i deprecabili diventano criminali,.i criminali deprecabili...il cameriere oramai è bollato...i palazzinari hanno diritto alla difesa, alla smentita etc.
EliminaApplausi Alceste!
RispondiEliminaLa Strada
"Io t'osservavo dalla finestra, questa sera, quando tornato da casa del maestro tu hai urtato una donna. Bada meglio a come cammini per strada. Anche lì ci sono dei doveri.
Se misuri i tuoi passi e i tuoi gesti in una casa privata, perchè non dovresti far lo stesso nella strada, che è la casa di tutti?
Ricordati, Enrico. Tutte le volte che incontri un vecchio cadente, un povero, una donna con un bimbo in braccio, uno storpio con le stampelle, un uomo curvo sotto un carico, una famiglia vestita a lutto, cedile il passo con rispetto: noi dobbiamo rispettare la vecchiaia, la miseria, l'amor materno, l'infermità, la fatica, la morte.
Ogni volta che vedi una persona a cui arriva addosso una carrozza, tiralo via, se è un fanciullo, avvertilo, se è un uomo; domanda sempre che cos'ha al bambino solo che piange, raccogli il bastone al vecchio che l'ha lasciato cadere. Se due fanciulli rissano, dividili; se son due uomini allontanati, non assistere allo spettacolo della violenza brutale che offende e indurisce il cuore. E quando passa un uomo legato tra due guardie, non aggiungere la tua alla curiosità crudele della folla. Cessa di parlar col tuo compagno e di sorridere quando incontri una lettiga d'ospedale, che porta forse un moribondo, o un convoglio mortuario, chè ne potrebbe uscir uno domani di casa tua. Guarda con riverenza tutti quei ragazzi degli istituti che passano a due a due: i ciechi, i muti, i rachitici, gli orfani, i fanciulli abbandonati: pensa che è la sventura e la carità umana che passa. Fingi di non vedere chi ha una deformità ripugnante o ridicola. Spegni sempre ogni fiammifero acceso che trovi sui tuoi passi, che potrebbe costar la vita a qualcuno. Rispondi sempre con gentilezza al passeggero che ti domanda la via. Non guardar nessuno ridendo, non gridare ... Rispetta la strada!
Dove troverai la villania per le strade, troverai la villania nelle case.
E studiale le strade; studia la città dove vivi; se domani tu ne fossi sbalestrato lontano, saresti lieto d'averla presente bene alla memoria, di poterla ripercorrere tutta col pensiero - la tua città, la tua piccola patria - quella che è stata per tanti anni il tuo mondo - dove hai fatto i primi passi al fianco di tua madre, provato le prime commozioni, aperto la mente alle prime idee, trovato i primi amici. Essa è stata una madre per te: t'ha istruito, dilettato, protetto. Studiala nelle sue strade e nella sua gente - ed amala - e quando la senti ingiuriare, difendila."
Tuo Padre
("Cuore", E. De Amicis)
Spettacolare Lucia Bose'! Dio e la grazia esistono. Un caro saluto a tutti. Anonimo di nome R
RispondiEliminaTorno su Marchionne. Tutto molto strano. Lui che va in ospedale per una operazione banale e poi tutto d'un tratto viene dato per gia' morto. L'immediata sostituzione con managers tutti stranieri (Italia out!!!). La defenestrazione del suo braccio destro Altavilla, il siparietto dei valori azionari che crollano ieri e oggi tutti su.... Sembra un putsch vecchio stampo travestito da fatalita'! I copioni per le masse sono scritti molto ma molto bene. Magari e' solo un mio stupido pensiero ma poco tempo fa Marchionne aveva dichiarato di non volere investire nell'auto elettrica perche', cito testualmente "le emissioni di un'auto elettrica quando l'energia e' prodotta da combustobili fossili, nelle migliori delle ipotesi, sono equivalenti a quelle a benzina" (Rovereto, 1 ottobre 2017 al conferimento laurea honoris causa in ingegneria meccatronica. Il Sole 24 ore, 2 ottobre 2017). Le elites stanno spingendo forsennatamente sulle auto elettriche, che inquinano ovvio anche piu' di quelle diesel. La faccenda e' quantomeno curiosa. Comunque sia niente paura: e' arrivato Ronaldo a Torino! Un caro saluto a tutti. Anonimo di nome R
RispondiEliminaMa sì, può essere. Ma gli Elkann in tal caso sono complici? Gli Elkann sono imprenditori o finanzieri? La FCA vende auto o ideologie? Il progresso esiste? L'Ipod è meglio del registratore a cassette? La Tesla meglio della Fiat Panda Fire?
EliminaAlceste, ma ha conosciuto Pasolini personalmente?
RispondiEliminaNo, avevo sette anni quando è morto. Ho interrogato i testimoni delle borgate che lo conobbero e certi ambienti comunisti che collaborarono con lui. È una figura mai incline al compromesso, dolorosa, sincera e carica di un lato oscuro che mi piace poichè parla di una sinceritá non da santino.
EliminaOgni giorno esco fuori, sempre in cerca d’altro,
RispondiEliminaA lungo ho interrogato tutti i sentieri del luogo;
Io ricerco ogni ombra, le fresche alture
E le fonti; in alto e in basso erra lo spirito
Implorando la pace; così fugge nelle selve, colpita, la fiera,
Dove a mezzogiorno sostava sicura nell’ombra,
Ma il verde giaciglio non dà più
ristoro al suo cuore,
Fra lamenti e insonnia la spinge a vagare il dardo.
Né l’aiuta il calore della luce né il fresco della notte,
E nelle onde del fiume inutilmente immerge le ferite.
E come invano la terra le sue liete erbe salubri
Le porge, e alcuno zefiro lenisce il sangue in fermento,
Così, miei cari, sembra sia di me, e nessuno
Può togliermi dalla fronte il triste sogno
Friedrich Hölderlin
Leggendo il racconto della sua gita, non so perche mi e'venuta in mente questa canzone:
RispondiElimina"Cerco un po'd'Africa in giardino
Tra l'Oleandro e il Baobab
Come facevo da bambino, ma quì
C'è gente non si può più
Stanno innaffiando le tue rose
Non c'è il leone, chissà dov'è"
Anche Il ragazzo della via Gluck ci sta bene. Saluti
EliminaSe scrivi "frocio" su uno scontrino (trovata sicuramente di cattivo gusto, ma rovinare un'esistenza per questo è una roba fuori dal mondo) sei rovinato a vita, se invece inciti all'insurrezione (armata?) contro un governo legittimo, puoi continuare a scrivere stronzate su un quotidiano nazionale e a dire corbellerie in televisione. Viene in mente Pio VII, con la frase rivolta al Marchese Onofrio Del Grillo: "la giustizia non è di questo mondo, ma dell'altro...".
RispondiEliminaLo spirito dei tempi uccide più delle guerre. Bisogna resistere.
EliminaNo.... Celentano canta bene, ma non lo sopporto: si prende sempre la gloria per pezzi scritti da altri....
RispondiEliminaMentre tanfo e grandine e cumuli di guerra
RispondiEliminaMentre tutto trema nel delirio del clima
e brama di uccidere maligna inventa inventa
Rari sono i luoghi in cui resistere
luoghi dove muse si danno convegno
per mantenere l’eco di un’armonia
per ricordarci ancora che esiste il sublime
per riesaltare gli antichi splendori ed accogliere nuove vie di Beltà
Raro pur sempre e sepolto nelle selve d’ombra di armi totali
un Luogo e ora rinasce e tenta difenderci dall’ira del cosmo.
da Conglomerati –
Andrea Zanzotto
Seglalo su youtube:
RispondiEliminaAgnelli 2017 film completo
Un caro saluto a tutti.
Anonimo di nome R
In certe occasioni, di fronte agli eventi, noi sappiamo di dover rifiutare. Il rifiuto è assoluto, categorico. Non si discute, né sente ragioni. Anche quando, se occorre, si palesa solitario e senza parole alla luce del sole. Gli uomini che rifiutano, legati dalla forza del rifiuto, sanno di non essere ancora insieme. Il tempo dell’affermazione comune, per l’appunto, gli è stato tolto. Ciò che gli resta è il rifiuto irriducibile, l’amicizia di questo No sicuro, irremovibile, rigoroso, che li rende uniti e solidali.
RispondiEliminaIl movimento del rifiutare è raro e difficile, benché costante e uguale in ciascuno di noi dal momento in cui lo facciamo nostro.
Maurice Blanchot, Il rifiuto
Uno degli scritti più Belli da me letti nell'ultimo decennio. Degno dei Grandi.
RispondiEliminaProsit.
Roberto T.
Grazie e buona domenica.
EliminaTi ringrazio.
RispondiElimina