Decifrare il passato (e il presente)

Racconti e improvvisazioni

Novità sconsigliate ai puri di cuore

22 aprile 2018

Lebbra sulle labbra [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

A forza di scrivere il dai e dai della vita, si diventa dei forzati del blabla e si pretende, impunemente, di essere liberati dai lettori.
Che narcisismo mal simulato il pontificare su questo e quello.
Poi ti viene in soccorso l’intimismo, la diaristica agostiniana o ti dai al confessionale laico: puro distillato d’arte linguistica.
Ci sei tu, il monitor, le tue stracche considerazioni sulla vita, sul trememondo, sul florilegio di sessi che si accoppano preterintenzionalmente.
Ergo, ti ergi ad accusatore, difensore, giudice di stramaledette intonazioni dies irae: scorregge intellettuali da una testa borlotto immersa in una zuppa demografica indigesta.
Fuori dal proprio pandemonio, incastrato tra le orecchie e il collo, esiste un circondario infestato da bipedi a te estranei, una sorta di centro smistamento frutta e ortaggi, ma tu credi di essere la bilancia, il sacchettino bio da 0.02 cent che abbatte il massacro ecologico o il guanto trasparente non riciclabile che riporta la plastica in auge sui profili social.
Tasto numero 9 … scontrino.
Siete stati pesati e siete stati trovati insufficienti.
Altro che spade di Damocle!


In giro è tutto un sospingersi di culi infilzati da qualcosa, una riedizione calcistica dei mondiali di Spagna, quando si vociferava che, agli azzurri, si somministravano purganti per farli toreare meglio sotto rete.
Dalla finestra il voyeurismo è assicurato, anche dal desktop.
Addossato al davanzale, scorgo l’uomo monocita che striscia da zombie a passo di zumba, esaltando la collettivizzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti, rantolando selfie. S’infila dentro al carnevale, ai coriandoli ammucchiati nella favela, lanciandosi in un barcollante samba cannibale tra moschee d’accatto, centri commerciali e ammiccamenti anarchici, poco erotici, che peggio di Kubrick non si può.
Bisogna decidersi da quale parte NON stare: sfruttatori o sfruttati? papponi o puttane? vittime o carnefici? consumatori o produttori? me stesso o altro da me?
Lo spicciolo nel taschino del portafoglio ci informa sempre sui padroni occulti, su quel sangue esattoriale che cachiamo dalle feci, che portiamo in laboratorio e ficchiamo anonimi nell’urna elettorale, impauriti dall’eventualità dell’ennesima neoplasia plutocratica.
Tsé… tsé! È il negro islamico il grosso problema, mica l’ebreo internazionale o la culona inchiavabile o il nanetto francese che si faceva prestare i soldi dal beduino, già morto e ammazzato per volontà della Elf e dei mondialisti.
Leggere di Velenia, la donna più potente delle neocosche siciliane, rimette in ordine lo stomaco e tutto quel ciarpame polcor femminista e femminilizzante.
Montalbano, a questo punto, si deve ricredere, e con lui il cav. Camilleri … minchia mammà!
Si scivola all’ombra dei muri insozzati da Acab, dentro il ventre verminoso del leviatano urbano spiaggiato sopra una merda di PRG (Piano Regolatore Generale)
Nessuno prende più mazzette?
Parola del M5S, un partito sano, nato in provetta, assemblato artificialmente dal seme di Casaleggio  e dal movimento dei movimenti: quella roba uscita dalla grammatica generativa universale di Chomsky, per gentile intercessione della sua stagista Klein, molto  no logo a procedere, tutti  ectoplasmi   brandizzati dalla controeditoria ebraica, e da quel Soros che per le corna non si riesce a prendere, perché la demonocrazia non è esorcizzabile.
La pena è cominciata da un pezzo, in Alexanderplatz; non se ne vede la fine, ma si sente un vomitar di jazz, un New York, New York stonato, uno sfottò variegato dalle dragqueens, Fassbinder e Döblin, che si esibiscono davanti a fosse comuni, in giarrettiere e cilindro, pronte ad essere occupate dai prossimi intellettuali organici … Auf Wiedersehen, Lola Lola.
Un’Eco post mortem tracima livore semiologico da un foro occipitale e, dalle pareti di una trincea infangata di antifascismo in assenza totale di fascismo, s’ode un lamento: “Sono l’affare Dreyfus, il mio espresso ha deragliato dopo un devastante  scontro ravvicinato del terzo schifo con dei falsi Protocolli dei Savi di Sion, ed ora, morto e sepolto come sono, sotto un metro di terra nel cimitero di Praga, me ne frego!”.
La mano mozza di Cendrars pende da un epitaffio in onore di d’Annunzio mostrando il dito medio: dannato nunzio sistolico di una pericardite eroica, vate sconsiderato, sciolto da pioggia acida o arso morto in un vittoriale pineto, infiammato da una piromania di mezz’estate, commissionata da Laqualunque Cetto, seduto in cima ad una montagna di pilu che ha dato buca a Maometto.
A furia di pogo mi stacco dal davanzale, chiudo il foro occipitale: lisergico anal-ogico dal piatto m’assale God save the Queen del morto Sid.

7 commenti:

  1. Cambiate città che Roma era troppo bella per vederla ridotta così..mi rifiuto di andarci da 10 anni, troppo dolore, meglio Napoli o qualunquemente altro

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  2. Incredibile! Ti leggevo e pensavo a "la pioggia nel pineto", pensavo: "qui sotto scorre una musica, un ritmo" e alla fine mi citi D'Annunzio! Complimenti!!

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  3. non sò perchè volevo commentare. non è il momento. a più tardi

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  4. Per Adriano Dragotta

    Odi barbariche, non proprio 'l Mal de' fiori del Carmelo apparso alla Madonna... Grazie.

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