13 maggio 2019

Piccoli equivoci


Lubriano, 12 maggio 2019

Un conoscente della Tuscia mi accompagna per borghi e città.
Borghi e città apparentemente ordinati, ma che patiscono, impercettibili, un avanzato stato di disgregazione.
La metafora stringente è sempre quella.
Il mobile.
Il mobile di famiglia. Solido. Avito. Lucido per tante mani, eminente nella casa, nobile, dopo aver provveduto a tante generazioni. Uomini, donne, bambini costituivano l'amabile folla dei padroni e, nello stesso tempo, la ragione insondabile della sua stessa esistenza. Esso, infatti, serviva, e in tale gesto d'altruismo trovava la causa efficiente del proprio insistere nell'essere. Il mobile, infatti, era stato costruito dalle stesse mani dei padroni; intarsi e cerniere studiate con la calma di chi sa, da secoli, e non di chi apprende sbrigativamente; il materiale, poi, veniva da alberi dei dintorni, alberi che già costituivano, da tempi remoti, il paesaggio e lo sfondo naturale di ogni attore di tale simbiosi emotivamente inestricabile.
Un giorno le cose cambiano. Uomini e donne e bambini più non si rivolgono a esso quale compagno di vita. Senza che nulla trapeli alla vista, avanza, a passi inavvertiti, il demone della dimenticanza. Nessuno ripara una scheggiatura o un battente; vengono trascurate le lucidature; altri utensili o elettrodomestici usurpano funzioni ancestrali. 
Il mobile, come un bimbo non amato, si ammala.

09 maggio 2019

L’uso improprio di Pito Pito ... l’uso appropriato di Cicciolina [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba]

La signora Staller non ha mai avuto nessun rapporto sessuale con cavalli o altri equini come per anni si è voluto far credere
Lorenzo Croce, nota gola profonda del porno all’italiana

Azz! … la liberazione sessuale.
Odio le statistiche sull’attività sessuale degli umani.
L’uomo è l’unico mammifero che conteggia i propri accoppiamenti, l’unica bestia che li suddivide in base agli orientamenti contro la sua stessa natura, santificando quelli più perversi, demonizzando quelli etologicamente normali che, contro la verginità e la castrazione morale, riempiono le culle e svuotano il paradiso.
L’uomo è un edema sulla crosta terrestre, un’eccezione animale che conosce la via della distorsione sensoriale, lastricandola di cattive intenzioni, cattivi pensieri, farneticando di uguaglianze laddove si ravvisano solo differenze, riscontrando omogeneità nel ricolmo fiorire di diversità biologiche, mentali, sociali, genetiche che definire razziali sarebbe uso corretto dell’intelletto e del sano osservare incontaminato da propaganda politica o scientifica.
Cicciolina si dimenava sui palchi e i maschi si masturbavano.


04 maggio 2019

Repetita iuvant (astenersi perditempo)


Castellaccio dei Monteroni, 4 maggio 2019

Cosa vantano in comune Emma Bonino e Michel Onfray?
Tutto.
Eppure sembrano militare su fronti opposti, inconciliabili.
Coincidentia oppositorum.
L’uno è divenuto, chissà perché, il cantore dei cosiddetti Gilets Jaunes, apparentemente sovranisti e nazionalisti, almeno nel loro corpus istintivo. Il Nostro, che si occupa di filosofia gaudente, parla un po’ qui e un po’ lì, di sotto e di sopra, ma, a ben guardare, se si possiedono bisturi taglienti e lenti d’ottima gradazione, egli si occupa solo d’un evento agognato: la dissoluzione dell’Occidente. Dissoluzione in cosa? In Qualcosa d’Altro.
L’altra Tizia o Pizia è, da quarant’anni almeno, una dichiarata nemica dell’Italia, cui mai ha tributato onori, ma esclusivamente disonori; europeista, cosmopolita, aperta a ogni refolo universalista, globalista, irenista in casa sua, massacratrice in casa d’altri; il suo unico scopo, ereditato dall’ormai Salmone Ottimo Massimo, Marco Pannella, è quello di dissolvere: Italia, Europa, Occidente; dissolverli in Qualcosa d’Altro.
Dissoluzione, infatti, è termine tecnico preciso (“dis-solvere”, da cui “dis-soluto”, “dis-soluzione” o “di-sciogliere”, disfare un tutto, frantumare un’unità, scompigliare ciò che è ordinato).
In realtà, la realtà sotto i vostri piedi, i vostri occhi e la vostra labile immaginazione, Michel Onfray ed Emma Bonino sono perfettamente consonanti.
La strategia funziona, ha sempre funzionato e sempre funzionerà, almeno contro le società deboli, confuse e prive di sentieri e cippi miliari a indicare la retta via.

28 aprile 2019

Cattivi pensieri


Roma, 29 aprile 2019

Le cose in Italia vanno male perché nessuno ha più voglia di lavorare” se ne esce un Tognazzi lutulento e reazionario (l’avvocato Marani!) in Cattivi pensieri.
Un film grezzo e scostante: una commedia nera, vera commedia all’italiana. La regia è dello stesso Tognazzi che qui si rivela nel suo doppio magistero di interprete e direttore d’orchestra. È nelle opere minori, così come nei dettagli, che si nasconde il diavolo, cioè la verità sul nostro destino di Italiani.
Dino Risi è maggiore di Bertolucci (di gran lunga), così come i cosiddetti registi a latere (Salce, Caprioli, Di Leo, Germi, Damiani) formano una costellazione artistica, oggi negletta, impossibile anche solo da imitare per i Sorrentino, i Guadagnino, i Garrone e gli attori di risulta con la tessera del PD (come dimostra la disastrosa cover sorrentiniana de La dolce vita, premiata, infatti, agli Oscar degli Yahoo).
Basta guardare La rimpatriata di Damiani, Io la conoscevo bene di Pietrangeli, L’uomo di paglia di Germi, Il giovedì o La spiaggia di Dino Risi, Splendori e miserie di Madame Royale di Caprioli (con un magnifico Tognazzi en travesti) oppure La cuccagna di Luciano Salce, con Luigi Tenco, per comprendere ch’essi, già in anni non sospetti, ci avevano donato i ferri del mestiere per aprire le porte dell’inferno.

24 aprile 2019

Non deleghiamo la nostra morte a nessuno [Il Poliscriba]


 [Il Poliscriba]

Un bel morir, tutta la vita onora
Francesco Petrarca

Come si moriva, quando il medico di campagna se ne andava e veniva per le cascine con capponi e tome sotto il braccio, mostrando il segno della riconoscenza più che dell’onorario?
Come si moriva, quando il prete e la processione dei paesani si apprestavano ad onorare in maniera semplice e contadina colui che se ne andava all’altro mondo, dopo aver faticosamente vissuto in questo?
Se non era la guerra a stenderti nel fango a vent’ anni, o la morte bianca nella culla a due, si crepava per lo più di lavoro, di ignoranza o di una malattia sconosciuta, nel proprio letto, con intorno i tanti figli, gli altrettanti nipoti, i fratelli, la moglie o il marito, il parroco, la famiglia e il paese, tutti radunati nella tua casa.
Poi qualcosa è cambiato, qualcosa che si chiama società, scienza medica, deontologia professionale, morale religiosa e sull’onda di costanti mutazioni giuridiche e del comune non senso della vita e della morte, ci siamo trovati, in tempi recenti, a svestire di quel manto misterioso la fine di un individuo.

19 aprile 2019

Italia est divisa in partes tres (la giugulare)


Roma, 19 aprile 2019

Auguro buona Pasqua e buone feste a tutti. Vale a dire: auguro che possiate staccare dall'andirivieni assordante per un paio di giorni.
Per tale motivo vi lascio col cuor leggero.

* * * * *

L’Italia si divide in tre parti: Patriziato, Plebe, Faticatori.
Il Patriziato è assolutamente improduttivo nel godimento dei massimi privilegi. Magistratura, politica, mondo prenditoriale, appaltatori sistemici, tifosi del disastro, papaveri militari, servizievoli segreti, giornalisti e ruffiani di varia natura, vescovi, migrantisti, gangli amministrativi e cancerosi dell’ex Stato Italiano.
La Plebe produce quel che può, relegata ai margini, senza alcun diritto. Campa di escamotage, piccola sussistenza, lavoretti manuali, terziario da sottomondo. La Plebe viene spesso aizzata (con successo) contro i Faticatori quando questi cercano di rialzare la testa. La Plebe si satolla di Champions League.
I Faticatori, in veloce estinzione, rappresentano, forse, secondo stime ottimistiche, il 25% degli Italiani; son quelli che producono reddito, capitale, lavoro; più genericamente, i figuri che pongono le basi perché il carrozzone vada avanti. I Faticatori pagano tasse e imposte e non ne ricevono alcun beneficio di ritorno. Sistematicamente negletti dallo Stato, vengono accusati dei peggiori crimini: fascismo, razzismo, evasione fiscale.
 


Il Patriziato è apparentemente variegato all’interno, ma vanta alcune regole auree che, in caso di necessità, ne formano uno spirito di corpo indiscusso:

15 aprile 2019

Un bimbo non amato


Roma, 5 aprile 1969

"Stanotte, nel dormiveglia, ho avuto una di quelle illuminazioni (che in psicologia si chiamano 'allucinazioni ipnagogiche') per cui poi generalmente scrivo dei versi: la traduco ora invece in prosa.
I monumenti, le cose antiche, fatte di pietra o legni o altre materie, le chiese, le torri, le facciate dei palazzi, tutto questo, reso antropomorfico e come divinizzato in una Figura unica e cosciente, si è accorto di non essere più amato, di sopravvivere. E allora ha deciso di uccidersi: un suicidio lento e senza clamore, ma inarrestabile. Ed ecco che tutto ciò che per secoli è sembrato 'perenne', e lo è stato in effetti fino a due-tre anni fa, di colpo comincia a sgretolarsi, contemporaneamente. Come cioè percorso da una comune volontà, da uno spirito. Venezia agonizza, i sassi di Matera sono pieni di topi e serpenti, e crollano, migliaia di casali (stupendi) in Lombardia, in Toscana, in Sicilia, stanno diventando dei ruderi: affreschi, che sembravano incorruttibili fino a qualche anno fa, cominciano a mostrare lesioni inguaribili. Le cose sono assolute e rigorose come i bambini e ciò che esse decidono è definitivo e irreversibile. Se un bambino sente che non è amato e desiderato - si sente 'in più' - incoscientemente decide di ammalarsi e morire: e ciò accade. Così stanno facendo le cose del passato, pietre, legni, colori. E io nel mio sogno l'ho visto chiaramente, come in una visione".

Pier Paolo Pasolini, "Tempo", nr. 14, 5 aprile 1969

13 aprile 2019

La Spada


Roma, 13 aprile 2019

Ding-on, un artigiano del ferro e della spada, porta avanti la sua vita senza chiedere nulla a sé stesso e al passato. Lavora alla Fabbrica delle Spade, sotto un severo Maestro, già compagno del Padre defunto.
È innamorato di Ling, la figlia del Maestro, la quale, a sua volta, divide maliziosamente i favori con l’amico di Ding-on, Testa di Ferro.
Nella Fabbrica è una reliquia misteriosa: una Spada Spezzata cui si tributano celebrazioni annuali.
La Spada Spezzata ci ha recato venti anni di Pace, dice il Maestro, tra i fumi degli incensi buddisti.
La rivelazione, però, incombe.

10 aprile 2019

L'illusione di scegliere [Il Poliscriba]

 
[Il Poliscriba]

Nelle tenebre si cerca la luce, non gli occhiali
Urszula Zybura

L’illusione di scegliere s’impara disapprendendo, sottoponendosi e non imponendosi.
Ma è un discorso sul non-fare che non attiene ai corpi senz’anima.
Nella microfisiologia del potere esternato, velato, sottaciuto, si ottempera alla funzione di saper scegliere tra gesti, oggetti, occasioni, ciò che gratifica chi segna i limiti e chi li deve rispettare.
Un solco invisibile, scavato nel nostro patrimonio genetico, ci ricorda le nostre origini umane e latine, entrambe cominciate con un fratricidio, scelta-non scelta che sfoca il giudizio sulla vittima e il carnefice.
Si può essere insultati per aver letto Vae victis e condiviso molti dei ragionamenti di Erich Priebke?
Chi veramente è in grado se privo di onniscienza, infinita giustizia, infinito amore, di soppesare le colpe senza indulgenza e accanimento, decidere per l’assoluzione o la pena con infinita equità nel giudicare vincitori e vinti?
Gli infiniti ossessionano, ci conducono sulla via scivolosa delle semplificazioni, delle riduzioni, delle generalizzazioni, delle sfumature, dei colori, del dubbio, dell’imperfezione, del caduco senso del libero arbitrio, anch’esso scelta e non scelta tra Provvidenza, destino, caso e necessità.
Nel tripudio orgiastico-anarchico dell’impuro edonismo si violano le norme per il diritto di farlo, se non per il gusto amaro della frustrazione di non detenere il potere di imporle.
Ecco una spiegazione dell‘89, del ‘17 e del ‘68, numeri che si svelano grattando e perdendo in tutte le aule di tribunale sotto lo slogan murale: La Legge è uguale per tutti.
Il talento e la fede non si scelgono.
Sotto il velo di Maya tiriamo alla cieca fili nei quali ci siamo invischiati; diamo forti o deboli strattoni che pensiamo come atti del volere; ci abbozzoliamo prede del nostro falso ragionare di libertà sul tessuto diafano, imbrigliati dalla tenace stregoneria entomologica di setacciaio, vomitata dai sortilegi di uno spietato apparato boccale dell’immenso aracnide che ha nome Nulla ed è ridicolmente affine al polpo Cthulhu, in fatto di voracità.

05 aprile 2019

Martino Vu (divagazioni)


Roma, 5 aprile 2019

Un ragazzotto sui vent’anni o poco più mi ferma per la strada: “Mi scusi, sa dov’è il ci a ef … sta in zona … qui mi dà via martino vu, non so …”. “Il CAF di via Papa Martino Quinto, vuoi dire?”. Lui acconsente con un mezzo sorriso, come a dire: “Perché no, mi sa che è proprio quello!”. “Raggiungi la chiesa, quindi a sinistra, cinquanta metri e sei arrivato”. “Grazie!”. “Ciao, buona giornata”.

Di cosa si comporranno, poi, le buone giornate dell’omettino del futuro proprio non riesco a immaginarmelo.

Il CAF, acronimo di Centro Assistenza Fiscale, da non confondere col vero CAF, Craxi Andreotti Forlani, oggi in dimenticanza, come l’infimo rudere d’un palazzo creduto magnificente - il CAF sindacale, intendo, il bancoposta fraudolento donato dal potere in cambio dei lavoratori e dell’articolo 18 e di altri tranci legislativi che servivano a campare, nobilitato da una “ef”, pronunzia buona per il pidgin angloamericano dei micchi. “Si es ai”, CSI ovvero: “Crime Scene Investigation”; e allora “ci a ef”. Sempre meglio di “si ei ef”.

02 aprile 2019

Decostruzione del maschio occidentale secondo l'ultraliberismo [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba] 

Il circo mediatico è del tutto “incorporato” (in inglese si direbbe embedded) nelle scelte strategiche delle oligarchie finanziarie che dominano il pianeta, e parlare di “opinione pubblica” è del tutto illusorio
 Costanzo Preve

Non farò, in questa sede, una trattazione del femminismo, già ampiamente analizzato da pensatori più preparati e illustri del sottoscritto.
Mi soffermerò - nell’ambito della corretta analisi di Guy Debord ne La società dello spettacolo, a mio avviso corollario conseguente all’uomo monodimensionale marcusiano e del post-nicciano harakiri della Scuola di Francoforte (nel senso suicida della stessa di fronte all’impotenza che esprimeva con i suoi metodi e il suo lessico filosofico, già anacronistici rispetto alla filosofia stessa e ai tempi in cui si collocava, completamente e rapidamente assorbiti dalla volontà di potenza tecnica) - sulla capacità di consumo maschile, all’interno del Mondo Mercato Globalizzato e sulla sua dis-funzione estetico-etologica, funzionale all’incremento della produzione di beni  effimeri a discapito di quelli utili e duraturi. 
Voglio porre l’attenzione sulla transizione da un’economia maschile a una femminilizzante-infantilizzata, conseguenza “inevitabile” della decostruzione antropologica del maschio occidentale (europeo-anglo-americano-nipponico) e della caduta inevitabile del saggio di profitto inerente alla meccanica fordista prima e taylorista dopo. 
Una transizione che si affianca e poi si innesta al cedere degli argini di una società militare, nazionalista, patriarcale, ordinativa e di controllo statale (keynesiana o capitalismo dal volto buono) culminata con l’esondazione della teoria giuridica e nella prassi teologica dei Diritti Umani, con i suoi tribunali sovranazionali a imitazione di un processo farsa iniziato a Norimberga (come sosteneva anche e non solo J.F.Kennedy). 
Evoluzione o involuzione che si è nutrita di trascendenza-esoterica-psicologica, spazzando via i vecchi credi religiosi animisti, monoteisti e monogamici, sui quali si fondava la Sacra Famiglia, già ampiamente vivisezionata dal pensiero marxista, dirompendo nelle strutture parenterali con la disintegrazione della famiglia e liquefazione pansessuale conseguente.
Ma andiamo con ordine.

28 marzo 2019

Negri


Roma, 28 marzo 2019

I primi negri furono i Polacchi.
Si era allo smiagolare degli anni Ottanta, ultima decade spensierata.
Dominava, incontrastato, quale Pontefice della Romana Chiesa, Karol Wojtyla, noto come Giovanni Paolo II. Egli succedeva a Giovanni Paolo I, ultimo Pontefice Italiano, rimasto in classifica un mese circa (33 giorni di regno), sino al ritrovamento nel suo letto, con le unghie nere, schiantato da un provvidenziale infarto. Il 28 settembre 1978.
Aldo Moro, ultimo pontefice italiano, primo papa polacco.
Forse sarà meglio tradurre in date, ascendenti, questi fatti: 9 maggio 1978, 28 settembre 1978, 16 ottobre 1978. E 33, come i giorni di pontificato di Albino, uno degli  ultimi conati dell’irredentismo italiano.
Si potrebbero fare altri nomi, a caso: Ivo Zini, Lupi Grigi, pista bulgara, Leonardo Sciascia, Gladio, Cristiano Fioravanti.
Vi dicono nulla questo?
A gran parte di voi no: il passato, infatti, è una terra straniera e necessita di aruspici ben più del futuro.

25 marzo 2019

Da Mishima a Venner. Apologia di suicidi inutili che non hanno arrestato quello collettivo della specie umana [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba]

Martedì 21 maggio 2013, circa alle ore 16 (un secolo fa per il web, mai accaduto per l’ignoranza insita o indotta nella specie italica/europoide) nel coro della cattedrale di NÔtre-Dame a Parigi, lo storico del diritto e saggista Dominique Venner (classe 1935), si suicidò sparandosi un colpo in bocca.
Poco prima dell'atto, Venner pose sull'altare un testo che doveva o avrebbe dovuto spiegarlo a chi lo conosceva e a chi di lui si ricordava soltanto come oppositore della legge in favore del matrimonio omosessuale, che fu adottata e promulgata dal Parlamento francese  il 17 maggio del 2013, quattro giorni prima dell’estremo  gesto.
La lettera:

"Perché mi do la morte?
Sono sano di spirito e di corpo e sono innamorato di mia moglie e dei miei figli.
Amo la vita e non attendo nulla nell'al di là, se non il perpetrarsi della mia razza e del mio spirito.

21 marzo 2019

Io sono leggenda


Roma, 22 marzo 2019

Io sono leggenda. L’ultimo uomo della terra ancora lotta per l’umanità. Non sa di essere l’ultimo sopravvissuto della sua razza; per questo trova in sé, continuamente, a prezzo di sacrifici psicologici e fisici tremendi, la forza di contrastare la devastazione; di uccidere. In nome di cosa? Di un senso di appartenenza ch’egli ancora ricorda con vividezza. La propria casa, la città in cui ha vissuto, le strade, i palazzi, divengono il terreno di scontro fra lui e un nuovo e repellente ordine di viventi: vampiri, esseri ciechi, che, a notte, escono dalle rovine di ciò che, una volta, aveva un senso e ora decade, preda del kipple, l’entropia di Philip K. Dick: rifiuti, pulviscolo, putrefazione. I vampiri sono numerosi, compattati da un animalesco istinto gregario; si fiutano l’un l’altro, gli aliti fetidi condensati in vapori caldi nel freddo della notte; il buio è il loro elemento; la muffa, la disfatta, il vento che sibila fra i lacerti dei palazzi municipali e delle fontane essiccate, perno di arenghi ormai deserti, vigilati da centinaia di bocche mute, la dolce melodia che accresce una voglia di sangue inestirpabile. L’istinto li domina mentre assediano la casa dell’ultimo uomo. Vogliono farla finita, una volta per tutte.

Eloì, Eloì, lama sabactàni. I padri ci stanno abbandonando. E così le madri. Proprio mentre scrivo queste righe, inutili ovviamente, arriva la notizia che un altro padre è morto. Un parente stretto. La figlia non si capacita, urla, si ribella, rovescia tavoli. Ma è così. Cosa si intuisce di irreconciliabile dietro questi lutti? Il senso di una perdita generazionale che non potrà mai venire lenita: un’epoca scivola via per sempre.