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24 settembre 2019

Mio figlio è una checca e io non lo sopporto [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Profondo nord-ovest italiano, 5 luglio 2019

Mi trattengo a parlare con M. al bar sotto casa gestito dal signor Wong; sono le 8 e 30 di una calda mattina d’estate e il termometro sullo smartphone segna già 29 gradi.
M. è un buon marito, un ottimo padre, un instancabile lavoratore, un artigiano onesto, lo conosco da quindici anni.
Si è ingrigito nel tempo, come me del resto, i nostri frammenti di dialogo front-coffee negli anni si sono imbalsamati in grugniti, espressioni linguistiche più contadine che urbane, ma non è la crudezza dei discorsi che ci manca.
Abbiamo entrambi il dono della sintesi e della verità: non ci vergogniamo delle nostre condizioni di maschi flagellati da questo postmoderno che cerca in ogni istante di annullarci, di renderci un postpensiero, vecchi arnesi arrugginiti da riporre in bui scantinati.
Oggi è il suo turno, vuole sfogarsi; i suoi cinquant’anni di rughe e lavoro di idraulico si aggrumano in un ghigno a me rivolto senza nessuna affettazione… Dopo l’ultimo sorso di nero bollente, mi fa: “Devo accettarlo, mi capisci? Lo faccio per tenere in piedi il matrimonio … ma io e mia moglie eravamo più felici quando non avevamo figli”.