08 gennaio 2020

È presente un problema che impedisce l’avvio dello strumento di risoluzione dei problemi


Roma, 8 gennaio 2020

ERRORE. Risoluzione dei problemi. È presente un problema che impedisce l’avvio dello strumento di risoluzione dei problemi”: occorre divenire dei sommelier dell’idiozia per assaporare a pieno il retrogusto di tale notifica del PC.
Si tratta di uno dei numerosi contrattempi che ostacolano il buon vivere di ogni professionista (stavo per dire: d’ogni essere umano) postmoderno.
La sua disperazione d'uomo consiste in un calcolo assai prosaico: rispetto al 1923 o al 1672 o al 132 a.C. la giornata ammonta sempre a ore 24 (ventiquattro, pari a minuti 1440 -  millequattrocentoquaranta - e a secondi 86400 - ottantaseimilaquattrocento -). Il tempo riservato a gesti o lavori utili, però, si è drasticamente ridimensionato. Oggi si dedicano alle attività più proficue un paio d’ore al giorno, sì e no.
Le ore e i minuti perduti a favore di una sempre più pervasiva imbottitura fàtica (il cui unico scopo è di mantenere in vita un simulacro di comunicazione umana: i messaggini, le mail, i salutini whatsapp) o di ovatta digitale (password, connessioni perdute e riguadagnate, portali istituzionali e privati) salgono a percentuali spaventevoli: sino a cannibalizzare l’ex orario di lavoro o il tempo da dedicare alla libertà dal lavoro.
Per tale motivo nessuno ha più un minuto da dedicare al prossimo: l’ha già sprecato tutto. Si tenta di profanare, quindi, la notte; invece di riservarla al riposo, queste ore vanno usate per fare ciò che non si è fatto di giorno, confidando che l’ossessività diurna plachi le sue ganasce almeno durante le tenebre antimeridiane.

Ma qui è in agguato, nuovamente, il digitale sotto forma di tempo libero: serie televisive e videogiochi interattivi assorbono decine di ore a settimana, una volta destinate alla famiglia, alla studio, all’otium fruttuoso. 

L’esistenza dell’homo occidentalis è stata letteralmente frantumata in schegge inutilizzabili. Si cerca di rappattumare un senso, ma un senso più non si trova. Ogni nostro atto galleggia nel mare dell’inutilità: si scrive, si risponde, ci si telefona; il lavoro, però, va alla deriva, rimane difficile rapportarsi ai compagni, la squadra della fabbrica o dell’ufficio è un branco di pecore matte senza direzione o pastore. Risulta oramai impossibile recare il prossimo a un sentire comune; si spreca il fiato, ma il prossimo non risponde, lo si nota a vista d’occhio: si parla, si ragiona, si razionalizza il futuro; il futuro, però, non interessa, si va avanti a spizzichi e bocconi, una parola detta alle undici è lettera morta a mezzogiorno; le trincee e i moli di una pur minima organizzazione cedono di fronte alle tempeste di silicio. Impiegati, segretarie, commessi, spedizionieri, postini, professionisti vagano in una nube assordante di assordante minutaglia digitale; dimenticano in fretta, non tengono fede alla parola data, si arrabattano all’ultimo minuto; un mese di tempo non basta a stilare un documento di due pagine: non ho tempo, mi serve ancora tempo, ancora una settimana, ho avuto un contrattempo.

Il tempo, il tempo, le ventiquattro ore si lacerano in istanti e rottami di tempo, staccati gli uni dagli altri, per lo più vani; passano i giorni, le settimane e non si è concluso nulla. Le riunioni e i briefing (il punto della situazione!), accesi con foga ossessiva, si prolungano sfibrando gli interlocutori: alla fine si decide, qualcosa di non decisivo ovviamente, ma pochi giorni dopo quell’aut aut è già lettera morta; la decisione, peraltro, sancita su qualche diario digitale, non si trova: su quale computer è? Su quale pen drive? L’ho dimenticata a casa, non l’ho stampata, se l’ho stampata è in una cartellina che, a sua volta, risulta introvabile.

Le riunioni, democraticissime, in cui ognuno ha la parola, non decidono alcunché: miscelare fessi, normodotati, babbei e sciacquette non aiuta, infatti, la causa. Il livellamento, per un lapalissiano calcolo aritmetico, è al ribasso. Tutti anelano, in cuor loro, un dittatore che li liberi dalla responsabilità del pensiero anche se poi, alla prova, è difficilissimo, per quel dittatore, farsi obbedire poiché la superstizione della democrazia (non puoi impormi questo!) trapela sempre; per tacere della scarsa voglia di lavorare: c’è, come detto, da mandare messaggini compulsivi.

Uffici inefficienti, bloccati, voglia di vacanza, scuole neghittose, servizi pubblici che paiono balere a inizio estate. Atmosfera di smobilitazione, in ogni dove, ansia di leggerezza. La vita va vissuta con calma, slow food, slow time, slow qualunque cosa. Un richiamo all’ordine viene inteso quale violazione dei diritti dell’uomo, l’arietta da fine settimana (prima solo la domenica, poi il week end lungo, ora quello lunghissimo) contagia il lunedì e il martedì.

I Cinesi (e ogni altro paese dell'ex Terzo Mondo) ci sopravanzano poiché la loro giornata, meno tecnologicamente infastidita, rileva a circa il quadruplo rispetto alla nostra (almeno!). Va da sé che il PIL della Cina è (almeno!) il quadruplo del nostro.

Si possono scomodare tutti gli economisti, di Chicago Vienna Gerusalemme o Calumet City ed elevarli ad advocatus diaboli contro di me. L’Italia crolla perché nessuno fa più niente o dedica alle più fruttuose occupazioni pochi e pericolanti lassi di tempo: non solo alla professione o al mestiere; anche la lettura, l’amore, l’ascolto della musica, la convivialità, il sonno ristoratore, la preghiera restringono il loro imperio per far posto all’ovatta digitale.
Inutile berciare: fatevi un esame di coscienza e vedrete. Lunghe pause caffè, smanettamenti, masturbazioni tattilo-digitali e, soprattutto, ostacoli digitali: burocratici, procedurali, gerarchici.

Anche l’acquisto di un volgare elettrodomestico si è trasformato in un tour de force che sfiancherebbe un bue maremmano: si entra nel negozio, i commessi evitano il cliente (i dialoghi imbarazzano, oramai), li si rintraccia in un angolo, spauriti, col cellulare in mano, a smanettare chissà cosa, si chiedono spiegazioni; esse sono evasive, incomplete; in realtà non sanno manco cosa vendono, questi tangheri, son lì solo a riempire la sala; i modelli sembrano tutti eguali: cambiano i prezzi e le specifiche. Si vorrebbe un consiglio, un consiglio da chi ne sa di più: purtroppo essi ne sanno quanto te e, svogliatamente, ti recano verso le praterie dell’indifferenziato elettrodomestico. Si borbuglia, di rotazioni, centrifughe, panni colorati; di lavatrici ne so quanto di salopette con le frange; e l’interlocutore, che sta lì per vendere e consigliare, è interessato a tutto tranne che a consigliare; anche il vendere gli appare di troppo, vorrebbe, in cuor suo, che tu te ne andassi, lo sento, egli anela la poltrona, a trent’anni, la barbetta bionda curatissima e un vago rimprovero sulle labbra (“Ma guarda cosa mi tocca fare il giorno della Befana! Ma cosa vuole questo? Compri un po’ quel che gli pare e sparisca”), lo sguardo che desidera il contatto col visore, ecco che freme, ma non può farlo, un residuo di vergogna gli impedisce di compulsarlo in mia presenza, la presenza di un tizio di mezza età disposto a sborsare qualche centinaio di euro e, indirettamente, a pagargli la mesata. Le lavatrici si assomigliano tutte; strette oblunghe, col cestello che si apre a destra o a sinistra o dall’alto, quali capsule spaziali. Ciò che le differenzia, oltre al prezzo, non del tutto proporzionale alla qualità, è l’ammicco modaiolo, il computerino di bordo che segnala peso, programma detersivi e ammorbidenti, diversifica sciacquature, opina su ritmi rotazionali e si incarica, altresì, dell’ecologismo in luogo del proprietario, un bruto abile a lavare calzini senza rispettare le paturnie di Greta: il tutto in uno formicolare di accensioni e spegnimenti e sonorizzazioni suadenti. Alla fine si sceglie la medietà (e ti pareva!), soppesato un bel niente: si indica il modello preferito, ma, al solito, è un salto nel buio, ci si affida all’istinto anche se già si sa che, fra cinque anni, al compimento del ciclo vitale del pezzo di ferro, inscritto, come in un codice genetico, da produttori e demiurghi, al riparo di qualsivoglia leggina europea, l’efficienza elettronica esalerà ex abrupto un inaspettato rantolo immateriale consegnando l’elettrodomestico, ancora seminuovo, alle malinconiche regioni del disfacimento. E toccherà andarlo a ricomprare di nuovo (“Guardi io gliela aggiusterei pure la lavatrice, ma ormai sti cosi so’ fatti così, la scheda è andata, per rimetterla a posto servono duecento euri … per quella cifra la ricompri ... je conviene, no? … io non la vojo ingannà’ … a meno che … c’ho un amico rumeno che le riprogramma le schede, pè’ cento euro se potrebbe pure fare …”). Terminato l’acquisto inizia l’inferno: la garanzia da estendere a tre cinque dieci anni (“Ma non c’è quella dei due anni?” “Sì, ma non copre nulla, solo il motore … mettiamo che gli si rompono le alette del cestello … in quel caso, come si fa?” “Ma perché dovrebbero rompersi le alette del cestello se è nuova?” “Sì, ma un accidente capita sempre, magari un pezzo sfortunato …”), il computer che si blocca, è impossibile sapere se c’è o non c’è in magazzino, potrei prendere, forse, un modello affine? No, voglio quello, m’impunto, non so perché visto che l’ho scelto a casaccio; una questione di principio: almeno datemi la lavatrice che chiedo! I minuti passano, dieci quindici, poi si sblocca il PC, tre quattro cinque fogli, stampa per me stampa per loro, la fattura, una per me una per loro, poi si blocca la carta, si aspetta, si sblocca, c’è da fermare le ricevutine sui fogli, alla fine si forma un canone biblico di circa quindici pagine che non so dove mettere, lo caccio in tasca, già so che non servirà a nulla, a reclamare nulla, a nulla avere come diritto; si aggiungerà, il papier, al libretto d’istruzioni di duecento pagine, solo otto scritte in italiano, assieme a librettini logorroici e inutilissimi che consigliano, in ultima analisi, di non mescolare magliette rosse e mutande bianche.

I miei diretti ascendenti stiparono, per quindici anni, ricevute, fatture, telegrammi di congratulazioni per le nozze, quietanze di condominio, lettere dall’America, attestazioni di prestiti per l’acquisto di aspirapolveri, mobili e macchine a gas in una normale scatola di scarpe. Da quando cadde il muro e ci rendemmo liberi, le scatole da scarpe proliferarono; a tutt’oggi, era digitale, era dell’immateriale e dei depositi d’informazioni su aerei cloud, posseggo circa quindici contenitori (leggi: casse) di monnezza burocratica. In uno d’essi, non so quale, rileva un contratto telefonico le cui avvertenze e avvertimenti, clausole e trabocchetti, da me debitamente sventati grazie a una fitta corrispondenza, metodicamente stampata e classificata, ha la consistenza dell’Iliade.

Quanto tempo ho perso in una battaglia di trincea, strenua e giocata sul filo del diritto, contro tali burocrati dell’annientamento? Giorni e giorni. Giorni che non torneranno più, purtroppo. Solo per ottenere una linea telefonica, pericolante, zeppa di problemi, dalla connettività e dalla funzionalità scarsa e insoddisfacente, incapace di interfacciarsi persino col padrone o con le estensioni dello stesso, che sarei io, ovvero il PC, il cellulare, la stampante e il vecchio fax, altra mirabilia di un tempo che sembra antidiluviano e che, invece, è appena ieri.

Per far posto a questa congerie di carta, che non è carta, ma un concentrato di bassezze da legulei e sopraffazione da multinazionale, si dovrebbe affittare un locale a parte. Ogni tanto, grazie a una severa selezione, ne faccio fuori una parte (c’è gusto a bruciarle, lo ammetto): solo il rileggere quegli scartafacci, i depliant, i pieghevoli, le intimazioni mi viene il voltastomaco: e però qualcuno deve pur farlo.

Si brucia, si brucia, e assieme si brucia anche la nostra vita. Ore, giorni, mesi risucchiati nelle more di tale postcapitalismo da cavillo. E poi i crash del PC, i messaggini, le provocazioni dell’Agenzia delle Entrate, ex Equitalia: la vita si compone di questo.

Da quando il digitale ha invaso le esistenze è crollata la cultura e la memoria ovvero, di fatto, la società. Il digitale rende imbecilli, non sono il primo a dirlo, ma, del pari, annienta la comunità, lo sguardo onnicomprensivo dei fatti, la socialità primaria.

La lettura non esiste più, inutile girarci intorno. Le statistiche valgono quel che valgono per il semplice fatto che sono artefatte. A Roma, in vent’anni, hanno chiuso quasi trecento librerie o centri affini. Studiosi col dottorato indagano le cause, ma la causa è una sola: non c’è tempo, perché il digitale ha devastato il tempo e, con esso, la capacità di attenzione e critica che abbisogna di tempo e silenzio.

Il silenzio, ecco, il convitato di pietra. Il digitale ci ha reso sempre attivi e reperibili H24 per le sciocchezze. In tal modo, però, l’organismo, lentamente, muore. Come gli arbusti d’olivo quando, in inverno, non fa abbastanza freddo. L’olivo, infatti, abbisogna di letargo, come ogni essere senziente. Cessare le funzioni vitali è necessario alla vita. Il sonno, la preghiera e la meditazione assolvono a tale compito primario. Ricacciare l’esistenza nell’inconscio è doveroso: in tali plaghe l’uomo si rigenera, dilava l’inutile, riorganizza la razionalità, si abbevera alle primarie fonti della creazione. Le famigerate categorie del dionisiaco e dell’apollineo questo sono: l’uomo accede a un mondo altro, l’Uno Primigenio, notturno, ov’è la propria scaturigine; tale lavacro lustrale lo predispone al ritorno nel quotidiano solare dove quell’Uno si plasma in simboli ed erompe in intuizioni.

Esistere in uno solo di questi mondi, però, espone alla distruzione. Nessuno può vivere sotto un sole meridiano, per sempre; del pari, nessuno può farlo nella notte indistinta, a pena di rendersi altrettanto indistinto e di perdersi nell’indifferenziato.

Va di moda dileggiare la preghiera e la contemplazione. Pochi si rendono conto, tuttavia, che tali istituti nacquero, nel tempo, onde preservare l’uomo. La preghiera è salvezza: molto giusto! Disconnettere sé stessi dal flusso di frantumaglia digitale quotidiana … pregare, dormire, meditare. Ammettiamolo: tali momenti son sempre più rari, quasi inesistenti. Vuotate il sacco: non vedete, voi, che a tali brevi oasi si arriva, spesso, per caso? Ci si sorprende di fronte a tale magnifica assenza: il silenzio casuale di pochi minuti ci rende attoniti, ci frastorna persino. La testa pare vuotarsi della spazzatura, si respira meglio, più profondamente, una piacevole spossatezza invade l’anima. La ruota, però, reclama da subito il criceto, ecco uno squillo, un messaggino …

La spensieratezza: avete mai riflettuto su questo? Si era spensierati. Negli anni Settanta si lavorava duro, almeno sei su sette, ma non v’era ossessione. Si faticava, aspettando il riposo. C’era tempo: per mettere su casa, fare figli, allevarli, progettare. Si studiava, si leggeva; residuava tempo libero. Oggi, tolto ogni gravame, non resta nulla. L’homunculus non ha figli casa lavoro; eppure gli manca il tempo. Dov’è il tempo? L’homunculus nullafacente non è mai stanco, in realtà; dilaniato, sfibrato, esausto; il sonno non gli basta a ricostituire gioia e volontà: egli ha ucciso il sonno: 

M’è parso udire una voce che gridava: ‘Non
dormirai più! Macbeth uccide il sonno -
il sonno innocente, il sonno che dipana
la matassa imbrogliata dell’ansia,
la morte d’ogni giorno di vita, il bagno
dell’amara fatica, il balsamo
degli animi feriti, la seconda portata
della grande natura, il nutrimento primo
nella festa della vita'
 
La coscienza frigge sempre, non stacca mai; i pertugi verso il mondo altro, donatoci dalla preghiera e dalla meditazione, sono inagibili, le volte crollate, le strade e i sentieri dispersi. Come i prigionieri impazziscono se esposti alla luce ventiquattro ore su ventiquattro, così noi impazziamo, immersi in un luminescenza amniotica in cui è difficile scorgere forme e confini.

Sì, l’economia, certo. Ma la vicenda del postmoderno è la creazione di un homo novus e, soprattutto, del tentativo, assolutamente titanico, di reciderne definitivamente le vie di salvezza; di sbarrare il passo alla fuga da questo sgomento metafisico.

L’homo novus, l’ominicchio, l’homunculus manca di personalità, perché gli è stata negata la fonte della tradizione. Essere qualcosa, qualsiasi cosa: di strutturato, definito. Essere cristiano, ghibellino, ebreo, Italiano, germanico; essere qualcosa, lo ripeto. Se si è qualcosa, ci si può ribellare a quel qualcosa. Se non si è niente ogni ribellione è impossibile. L’homunculus manca di individualità, di quella personalità forgiata nella tradizione; pertanto gli è impossibile essere qualcosa d’altro, qualsiasi altra cosa. È condannato alla serialità ch’egli scambia per costume liberamente scelto. Si è Prometeo solo perché esiste Zeus; si è liberi davvero sol quando esiste una forza che costringe; si è ribelli quando un despota ci bracca. E allora, ragiona il Potere, come possiamo fare per non avere ribelli? Semplice, togliamo di mezzo ogni Zeus! Abbasso i tiranni! Regaliamo a tutti la libertà!

E libertà ci concedono, ma esclusivamente per annullare la vera libertà. Pagherei per avere un vero tiranno contro di me e non questo mellifluo vittimismo che inneggia alla falsa libertà.

Si bombarda l’Iran. Per il petrolio? Macché, perché sono ancora vivi. Persino la calca e i morti durante il funerale del Generale rilevano quale indizio di vitalità. Essi sono qualcosa. E ciò è avvertito come intollerabile. Il Potere, infatti, esige il pietrisco postatomico. E lo avrà. Con le buone o le cattive, lo avrà.

Dovrei rileggere quel che ho scritto di getto. Non lo farò, tuttavia: non ho tempo.

22 commenti :

  1. Sottoscrivo ogni virgola, punto e virgola, accento, apostrofo, periodo, pensiero e retropensiero, conclusione.
    Sarà banale ma il Tempo, oggi più che mai, è la vera ricchezza, sola entità che ti permette di sfuggire a un destino da schiavo tecnologico, una sciccheria, un lusso primario e inaudito.
    Causa il mio telefonino (lo chiamo ancora così e mi picco!) ormai obsoleto mi hanno escluso da WSapp sul finire d'anno; una punizione terribile per i trogloditi digitali, credono Loro... Una settimana dopo mi sono accorto di essermi liberato del 99% dei rompicazzi. Lo so, non durerà ma intanto me la godo alla grande. Neanche la vita dura.

    L'unica osservazione che mi permetto di sottoporti, caro Alceste, è , chiedo venia, ancora di tipo economico: la spaventosa accelerazione tecnologica (non scientifica) che ci ha condotto in pochi decenni al comatoso, repellente stato attuale non sarebbe stata possibile se non volutamente preceduta dal Truffone monetario, la valanga di trilioni che ha inondato i canyons di Wall Street, creata dal nulla e che nulla rappresenta ma alla quale tutti devono inchinarsi. Stesso meccanismo che rese possibili 2 guerre mondiali, per l'arricchimento dei soliti pochi: stampare montagne di denaro, prestarlo creando debitori, inventando bisogni nuovi, armi nuove, computer e programmi nuovi ogni 6 mesi, in progressione geometrica.
    Forse l'evoluzione della tecnologia digitale sarebbe stata comunque inevitabile ma in tempi enormemente più dilatati, permettendo all'umano una comprensione più lenta e meglio meditata che impedisse lo sradicamento attuale. In fondo l'uomo sa adattarsi a tutto ma l'elemento tempo è fondamentale per adeguarsi…
    Invece non passa giorno che non ci cada un qualche 5G addosso ed esistono i nativi digitali...
    Ormai la frittata è fatta, le uova...vattelapesca!
    Concludo con una nota di ottimismo: non tutto il Vecchio Mondo sta andando in malora poiché l'Oro, la reliquia barbarica, il sasso da compagnia, come dicono Loro, vale oggi 1600 dollari l'oncia (31 grammi), pur in questo mondo tutto digitale…
    Che qualcuno abbia la coda di paglia? Che la realtà, prima o poi, presenti il conto?
    Ti rinnovo i miei poveri complimenti!

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  2. Bravo... Che dire? Hai individuato una matrice della decadenza; se già l'essere umano ha bisogno di illusioni per campare, l'era digitale ne ha servito un'altra manciata, sempre più eterea, inconsistente, racchiusa in pochi megabyte. L'illusione di contare qualcosa, l'illusione di essere connessi, di avere successo, di avere il mondo in mano, tramite uno schermo dalle infinite immagini, infinite possibilità.
    Ci si riempie di nulla, e così non si ha più tempo, e presto la capacità, per le connessioni fondamentali.
    La libertà è una trappola, la più grande illusione, chi sceglie la libertà sceglie il deserto.

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    1. E bravo Dennis... La sindrome di Stoccolma ha colpito ancora!
      Scegliamo la schiavitù, così almeno possiamo credere di averla scelta...noi!

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  3. hai poco da rileggere se copi e incolli un intero capoverso da uno scritto precedente...comunque ti voglio bene, la fine è vicina maestro, apocalipse tomorrowland di san giovanni ti darà ragione..besos and sum sum cordaz, ma non ti impiccare.. firmato
    un micco digitale qualsiasi ma tua vecchia conoscenza soto alter nick

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  4. Io compro sempre lavatrici modello base, quelle più semplici che costano meno. Meno roba c'è meno roba si rompe. Se si rompe e l'assicurazione è scaduta butti via e ricompri. Riparare non conviene più. Oggi mi raccontava un elettricista che prima le lampadine avevano i filamenti più grandi e si rompevano meno (e costavano anche meno). Ora sono a risparmio energetico, non durano niente e costano un sacco.
    Sono stato ad un aperitivo ed era pieno di apolidi, emigranti senza terra, italiani senza vita e senza patria. Il nuovo che avanza in mezzo a lavori inutili e fasulli di un terziario sempre più assurdo nella sua diabolica follia.
    A lavoro ho riscoperto le classi sociali, la democrazia ha solo sostituito i nobili con raccomandati più o meno stronzi che sguazzano nel privilegio mentre il popolino a malapena mugugna prendendoselo in saccoccia. Comandati da borghesi da due soldi che al posto del sangue blu hanno l"acqua lievemente frizzante (gli venisse un embolo...).
    Stamani all'alba una cinquecento abbard mi sorpassa a cento all'ora su una strada urbana. Era di un marocchino che andava a reclutare manovalanza al nero per lavorare a giornata. Per poco non mi tampona il motorino.
    Sempre un marocchino scopro aver violentato tre mesi fa una delle signore delle pulizie dell'ufficio mentre tornava la sera a casa.
    Come disse Forrest Gump:" Sono un po' stanchino..."

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  5. Ricordiamoci che l’ora et labora (prega e lavora) di San Benedetto da Norcia è uno dei pilastri della civiltà cristiana: la nostra.
    Conosco una coppia (marito e moglie) che, da qualche anno in pensione, pare abbia messo in pratica tale regola, pur non pregando in senso tradizionale, ma dedicando con passione le proprie giornate al lavoro: coltivazione dell’orto, pulizia bosco con taglio della legna, a seconda della stagione, e nei fine settimana sostegno alle nipoti in un agriturismo. Prima di Natale, lui ha ammazzato venti capponi, mentre lei dava una mano nelle cucine.
    Posseggono un vecchio cellulare a tasti e forse un tablet per avere un minimo di contatto con il mondo, ma non partecipano ai fiumi di chiacchiere dei social network: non ne hanno il tempo.
    Anche loro non hanno tempo, ma, contrariamente ai videodipendenti, questa è la loro salvezza.
    Certo, qualcuno dirà che, essendo in pensione, queste persone hanno a disposizione tutto il tempo che vogliono; ma quanti pensionati decidono di impegnarlo nella fatica?
    Alceste, la Sua penna sagace, ironica, arrabbiata, ardente, sensibile, fluentissima e padrona della lingua ha ben descritto la realtà attuale, ma la salvezza (terrena e ultraterrena, per chi ha fede) è individuale, non collettiva.

    Anna

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    1. "Posseggono un vecchio cellulare a tasti"

      Perché, ne esistono anche senza? Ma chi è che si riduce a comprare un telefono senza tasti? :-D

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  6. Una vocina suadente pronuncia l'abracadabra della modernità:"google assistant...atmosfera natalizia", magicamente si abbassano le luci, si accende l'albero e parte la musichetta natalizia;
    Compiaciuto il micco si gode il progresso tecnologico, le tante ore passate a programmare la baraccata, il successo di questo modello di civiltà illuminata e smart capace di dialogare con la macchina.
    Cambia scena e dal medico di base (ex di famiglia, ex condotto, ex della mutua) per ottenere due agognati foglietti di carta con prescritte le analisi del nonno, assisto alla titanica lotta dello scienziato che tenta di domare la macchina.
    Dopo due bestemmie, il nostro cede, deve capitolare alla stampante che si è bloccata e rifiuta di sputare fuori i due foglietti.
    Suo malgrado, a malavoglia prende in mano la penna, verga incerto sul foglietto, sbuffa, deve scrivere pure il codice fiscale:"lo mette lei?"
    Di episodi del genere pullula la quotidianità di ognuno di noi, bloccati, schiavi e ostaggi della nuova divinità, che promette di renderci uomini migliori rispetto ai nostri lari, cavernicoli e ignoranti.
    Così muore una civiltà...lentamente avvelenata dalla modernità, alla quale abbiamo tutto delegato

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  7. Nessuno ti guarda più in faccia in uno scompartimento del treno.
    Hanno tutti 100 amici su facebook ma non il tempo di scampiare due parole.
    « Ma che tempo è, quello che “non ha tempo”? »

    Riguardo al lavoro, non credo che a mancare sia la voglia, piuttosto la motivazione. Un conto è avere un lavoro che consente avanzamenti di livello e un futuro certo, altro conto è arrabattarsi tra lavoricchi con contratti di due mesi, senza prospettive nè giusta retribuzione.
    La differenza tra noi e cinesi è questa: non speriamo più di un futuro migliore.

    Ringrazio di nuovo Alceste per questa oasi di umanesimo
    che ci restituisce il tempo della riflessione. Non è poco.

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    1. Hai colto nel segno sui cinesi. Sperano in un futuro migliore: il nostro; solo senza gli stessi tempi di maturazione, il freno di un'etica, una fede o una tradizione che smorzino gli effetti dell'arrivismo selvaggio, senza welfare di salvataggio, ma con la tecnologia piu' avanzata. A fronte di una competizione feroce che inizia da asili e scuole elementari, vi e' l'offerta abbondante di possibilita' di arricchirsi senza limiti. Ci ho vissuto parecchi anni e, tra i problemi nel luogo di lavoro, vi era quello dell'impiegato che non voleva limitarsi alle ore giornaliere standard, ma agognava a lavorare 24H per guadagnare tutto il guadagnabile. Se gli si impediva di aumentare i suoi introiti lavorando 24H 7/7 nella stessa ditta (guai a dargli il giorno di riposo), faceva illegalmente due, tre o quattro lavori...oltre che vendere sottobanco informazioni sensibili, prendere mazzette ove possibile, cercare sempre ulteriori fonti di guadagno. Da anni sono molto piu' "tecnologicamente infastiditi" di noi, ovunque. Queste cose le ammettono anche quelli tra loro con minimo senso critico. Questa e' la realta', che piaccia o meno, non e' letteratura.
      Saluti,
      Ise

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  8. Alceste tocchi un tasto dolente!
    Bello il titolo, le tecnologie non sono la soluzione, ma parte del problema: se lo dicono da sole. Comunque sia, al problema dei sempre maggiori ostacoli digital burocratici (non si possono non vedere) sara' data la soluzione del chip integrato nel nostro sottopelle che lavora in automatico, cosi' non dovremo piu' affaticarci dietro tali guazzabugli. 

    Ricordo con chiarezza il tempo in cui non si era rintracciabili 24H e ne godevo i frutti. Meno di 30 anni fa, il sabato appena pranzo scappavo da casa per lunghe passeggiate, col fine precipuo di evitare le puntuali telefonate a casa delle amiche lamentose, del tipo "Che fai? Hai fatto pranzo? Che farai oggi pomeriggio? Che facciamo stasera? E domani, perche' non vieni da me cosi' poi pensiamo a cosa fare? Che barba che noia..." Io avevo tanti progetti per il weekend, per conto mio, e certi divertimenti annoianti volevo solo evitarli. Poi vennero i primi telefononi portatili e quando vedevo per strada i businessmen con la 24H tirar fuori tali arnesi ingombranti per parlarci dentro pensavo "Fortuna che sono ancora libera e non mi rendo cosi' ridicola!"
    Mio padre e' stato l'ultimo uomo capace di usare la macchina da scrivere fino alla fine, ben oltre l'alba del computer. I suoi figli cercarono invano di sedurlo alle meraviglie di Word: le fatiche che avrebbe risparmiato, senza bisogno di nastro cancellino o di riscrivere l'intera pagina piu' e piu' volte, etc., ma beato lui!

    Poi e' arrivato il lavoro moderno ahh: no stupidphone 24H per tutti, no lavoro! Ora per lavoro devo essere connessa quasi 24H (anche se meta' e' ancora a contatto umano e mi piace). Tra un'interstizio digitale e l'altro che fai? Non e' abbastanza lungo per una passeggiata o una lettura rilassata di tomi edificanti...che barba, che noia, che faccio?...mi metto a smanettare! Fortuna ci sono Alceste, Blondet e qualche occasionale lume della ragione che andrebbe pure coltivato, ma mica ho tutto questo tempo. 

    Mesi fa qui c'e' stato un tifone che ha causato un black-out, capita spesso. Poi si e' estinta anche la linea telefonica tutta, il segnale era morto. Per la prima volta dopo tanto tempo non ho sentito piu' quella sottile perenne interferenza del segnale che resta in circolo subliminale anche quando gli apparecchi sono temporaneamente spenti; era una nuova (la vecchia) sensazione di irrintracciabilta' e sconnessione totale. La mia gioia fu accolta in casa da esclamazioni rassegnate e pessimistiche "Tra qualche ora sara' tutto ripristinato e tutto tornera' come prima". "Che catastrofisti! Prima o poi i fischi del vento e le nubi che si addensano nere all'orizzonte arriveranno accompagati dal suono delle trombe!"

    Cari Saluti,
    Ise

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  9. In un libro di fantascienza, Dune, scritto da F. Herbert, si rammenta nel passato della vicenda narrata uno Jihad volto alla distruzione di tutte le macchine concepite ad imitazione del cervello umano, favorendo così lo sviluppo delle nostre capacità mentali.
    Una saggia proposta.

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  10. Alceste... la smetta di scrivere...non serve a niente -


    Chi di noi ci sarà ancora-
    vecchio, rintontito, annebbiato –
    ma con tanta voglia di parlare degli amici morti?
    Parlare e parlare, come un rubinetto che perde.
    Di modo che i giovani di allora,
    pieni di rispetto e di toccante curiosità,
    si scopriranno commossi
    delle nostre rievocazioni.
    Dalla semplice menzione di questo
    o di quel nome e di quello che abbiamo fatto insieme.
    (Cos’ come noi siamo rispettosi, ma anche curiosi
    ed emozionati, nell’ascoltare qualcuno parlare
    dei morti illustri che ci hanno preceduto.)
    Di chi di noi racconteranno
    ai loro amici:
    conosceva il tal dei ntali! Era amico di …
    e passavano parecchio tempo assieme.
    Ha partecipato a quella grande festa.
    C’erano tutti. Hanno festeggiato
    e ballato fino all’alba. Si sono presi sottobraccio
    e hanno ballato tutti insieme
    finché non è spuntato il sole.
    E adesso non c’è più nessuno.
    Di chi di noi si dirà:
    lui li conosceva? Gli ha stretto la mano,
    li ha abbracciati, è stato ospite
    della loro calda casa. Gli voleva bene!

    Amici, vi voglio bene, davvero
    E spero d’essere abbastanza fortunato, di avere il privilegio
    di videre a lungo ed esservi testimone,
    Credetemi, dirò solo le cose più
    esaltanti di voi e del tempo che abbiamo passato qui!
    Anche il superstite deve avere qualcosa
    cui aspirare. Invecchiare,perdendo tutto e tutti.

    Raymond Carver, Orientarsi con le stelle

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  11. Mi viene in mente il “De vita solitaria” di Petrarca. La contrapposizione tra l’uomo di città, agitato, sempre impegnato in affari frenetici, circondato da falsi amici sempre pronti a tradirlo, incapace di riposarsi e dormire, ladro, furfante, corruttore, che non è in grado di stare in silenzio, di vivere nel silenzio, e l’uomo di campagna, calmo, sempre in contatto con Dio e il Religioso, fedele, lavoratore, amante dell’ozio (quello vero, il “lavoro” spirituale), parco, moderato, morigerato, riconoscente a Dio per ciò che gli è stato donato. Oggi una vita solitaria non è possibile, prima di tutto perché è stato reciso ogni contatto con Dio e poi perché il rumore ci circonda, ci sommerge, ci asfissia. L’hai notato? Non è possibile stare in silenzio, avere il silenzio. Sul pulman, sul treno, dal fruttivendolo, al bar, perfino in strada ci sono altoparlanti che gracchiano continuamente qualche stronzata o quelle idiozie musicali. Neanche in macchina si può stare tranquilli. Non si può fare un viaggio di dieci minuti senza che un passeggero inizi a lamentarsi del “mortorio”, “ma dai, che vogliamo stare in silenzio fino a quando arriviamo? Cos’è un funerale? Accendi la radio!”. Il punto, però, è che quello che si ascolta non interessa. Per l’uomo medio non è importante ascoltare qualcosa, l’importante è avere quel continuo brusio indistinto di sottofondo. Va bene tutto, si può sentire qualsiasi cosa, indifferentemente, purché non si stia in silenzio. Personalmente non riesco a sopportare questo continuo frastuono. Mi fa stare male, fisicamente. Quando cammino in un posto sovraffollato, mi viene il capogiro, mi si annebbia la testa, non riesco più ad essere lucido. Sono anacronistico.
    A proposito di solitudine (quella distruttiva, quella moderna), ho leggiucchiato nel rapporto istat di fine anno, che un terzo degli italiani vive in totale solitudine. Una volta si chiamavano scapoli o celibi (le donne signorine o zitelle), poi con l’avvento dell’inglesorum si sono chiamati “single”, oggi si chiamano “famiglie unipersonali”. Ci può essere qualcosa di più deprimente del termine “famiglia unipersonale”? Ma come si può chiamare una persona che vive da sola “famiglia”? Probabilmente anche questo linguaggio rientra nella Strategia. Quella che mira alla distruzione della famiglia, appunto. Ma oramai c’è poco da distruggere ancora.
    Saluti ed auguri per le feste fatte,
    Enrico.

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  12. Ma certo che rientra nella Strategia. Famiglia unipersonale e' una contraddizione in termini, come matri-monio omosessuale (termine a sua volta di dubbio significato, il sesso funzionando con polarità opposte) etc. etc.
    La parte sulla radio che non può stare spenta mi ha raggelato il sangue. Succede proprio così. L'avevo notato anche io ma avevo sempre ricacciato indietro il pensiero.

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  13. "[...] uno Jihad volto alla distruzione di tutte le macchine concepite ad imitazione del cervello umano, favorendo così lo sviluppo delle nostre capacità mentali."

    Infatti caro Anonimo, la distruzione delle facolta' mentali e' la pars destruens speculare alla costruzione delle macchine che si vuole sostituiscano il cervello umano (diverse da quelle sostituenti mansioni meccaniche dietro istruzioni da un cervello umano); si puo' notare come gia' molti prendano istruzioni dal proprio cellulare. Il problema non e' piu' la mancanza di etica, ma la mancanza della capacita' di distinguere cio' che e' giusto da cio' che non lo e'.

    Parlavo con un parente che ha avuto un bambino. Mi dice: "So che non sarai contenta ma sto andando a fare i vaccini al bambino.". Gia' il fatto che si preoccupasse che non fossi contenta io, invece di preoccuparsi se lo potesse essere suo figlio, mah...In precedenza mi aveva detto che era seguito da un pediatra, scelto perche' sosteneva chi rifiutava l'obbligo vaccinale; costui sulla questione alla fine gli aveva detto "Va beh, ma falli sti vaccini, ormai...che te frega!" Che dire.
    Abbiamo ripreso la conversazione qualche tempo dopo:"Quanti vaccini ha fatto dunque?", "solo due ne ha fatti, e ci volevano pure fregare, fare quelli facoltativi ma fortuna abbiamo scoperto che erano facoltativi!". "E quali sono questi due vaccini?", "L'esavalente e blablabla". Le mie conclusioni ad alta voce: "Ti credi furbo perche' hai evitato i facoltativi ma eri andato senza neanche informarti di quali fossero obbligatori e quali no? Dici che hai fatto "solo" due vaccini, mentre in realta' ne ha fatti sette, ci sei o ci fai?" 

    Non posso esagerare nell'esprimermi, perche' con queste persone non ho mai risparmiato la mia pacata opinione sul fatto che fossero divenute deficienti (mancanti delle basilari facolta' mentali e decisionali) e per questo sono stata messa alla gogna eterna. Poi pero', siccome sono regredite all'eta' infantile, mi cercano come si cerca una mamma che li rimproveri. Sottolineo "divenute" perche' fino a tempo fa davano prova di essere intelligenti, poi non so cosa sia successo. Oggi si credono ancora intelligenti, perche' si confrontano solo con persone di livello uguale o minore: quelle che vivono nel mondo immaginario sinistro dell'open society, si atteggiano ad animali "social-i", hanno ancora il coraggio, o meglio, la convenienza di frequentare eventi, aperitivi ed altre armi di distrazione, e profittare quanto piu' possibile della nuova totale liberta'. Sono felici, poi, che qualcuno abbia anche pensato di dar loro un reddito per godere del far nulla e imparare nulla; pagato dagli ultimi della catena di sopravvivenza del paese, che loro disprezzano, nonostante abbiano coerentemente deciso che e' vietato odiare. 

    Poi il discorso e' ampio: la confusione e' creata a tavolino con dosi di paradossi e contraddizioni per deviare la percezione della normalita' e abituare alla schizofrenia come regola; immancabilmente la colpa e' nostra che siamo analfabeti funzionali...ma che dire dei ragionamenti dissonanti ed ebeti mandati in onda ossessivamente su tv e giornali? Quelli non hanno come obiettivo il rendere gli individui disfunzionali? La famiglia unipersonale e il matrimonio gay fan parte di cio'. In termini globali e' di moda il pensiero schizofrenico che vede l'uomo come un cancro del pianeta, e nel contempo come un dio quando capace di creare macchine a sua immagine e somiglianza preposte alla sua distruzione. Il risultato e' il tiepidismo sociale (un gradino sotto la schizofrenia): meglio due placide lamentele insieme che una vera resistenza ai margini della societa' malata.
     
    Ise

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    1. Ottima Ise, al solito: tiepidismo sociale...mi viene in mente un passo dell'Apocalisse, mal citato a memoria: "Fossi tu almeno o caldo o freddo. Perché non sei ne caldo ne freddo ti ho vomitato dalla mia bocca".
      La meraviglia inusitata delle alcestiane sottigliezze ben si confà alla faticosissima ricerca delle nostre provvisorie e individuali verità, un volta faticosamente attinte le quali bisogna decidersi senza tepidezza, per una praxis definitiva, sia essa calda o fredda, pena lo straniamento e la liquefazione dell'Io.
      Perciò valgono le soluzioni solo individuali, oggi almeno, forse non per sempre…
      Impreciso anche chiamarle "soluzioni"; semplici scudi ma in fusione di bronzo.

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    2. Cara 'nipote' Ise,
      quanto hai scritto corrisponde, ormai da anni, alla percezione che ho della società (?) odierna e che ha stravolto ogni mio precedente rapporto umano (ma adesso abbbiamo a che fare con veri esseri umani...?).
      Per fortuna la mia patologia mi avvicina sempre più al ''Tuba Mirum'' e forse sfuggirò alla cattura della Polizia Polcor.
      Un caro saluto.
      'Zio' Hermannus C.

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    3. La cosa bella, caro Loris, e' che la liquefazione e' un inganno, deve essere artificialmente indotta, altrimenti non prevarrebbe; ergo quello liquido non e' l'unico mondo possibile, ma uno dei tanti potenziali.
      Alcuni sperano che arrivi l'apocalisse a fare pulizia, per me e' come sperare di poter smettere di sperare rimanendo in vita. Se invece accettassimo di piu' la nostra responsabilita', consistente nel capire cosa causi le nostre azioni o comportamenti, quindi quanto siano autenticamente nostri, e quali saranno gli effetti se messi in atto, forse si eviterebbe una buona percentuale di nichilismo; potremmo anche renderci conto di quanto siamo condizionati. Esercizio per nulla facile e sempre perfettibile. Se poi rispondessimo anche degli effetti delle nostre azioni, forse si dissolverebbero il relativismo e il tiepidismo.
      La soluzione puo' essere individuale nell'ottica che sia di esempio ad altri; siamo esseri gregari, fatti per vivere in gruppo, aiutandoci e migliorandoci l'un l'altro, c'e' poco da fare!

      Caro "Zio" Hermannus C., 
      riesce sempre a farmi invidia la tua ottima salute mentale, cose d'altri tempi!
      Per me una societa' che premia e sponsorizza solo atteggiamenti criminali e psicotici, mentre punisce quelli onesti, crea mostri che non torneranno piu' umani spontaneamente: o perche' tossico-dipendenti dall'apprezzamento altrui, o perche' inconsapevoli e convinti di operare il bene, o perche' (i furbi) non avrebbero nulla da guadagnare nell'essere puniti. Per questo a volte sogno di un patriota o pater severo (dittatore, direbbero alcuni), che si prenda la briga di vietare e punire certe mostruosita', per invertire la rotta.

      P.S.: visto che sei stato del settore, avrai notato il pensiero forte del pediatra, descrittomi per almeno 5 minuti come il miglior guru locale contro l'obbligo vaccinale, che dire...un vero guerriero, groarrr, che paura!

      Un caro saluto a entrambi,
      Ise

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  14. Ah dimenticavo.
    Mentivo quando dicevo di non voler tornare in Italia per non vedere la nullafacenza criminale colorata importata che gira per le nostre strade: quelli, almeno, col loro sorriso da Stregatto del Cheshire, mi ricordano sempre che sono nel paese distopico delle Meraviglie. Non torno per non vedere come si sono ridotti quegli altri, gli autoctoni, col loro sorriso ebete, che negano il paese distopico in cui vivono, e vogliono costringere tutti a credere che si stia realizzando un'utopia. 
    Ise

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  15. Quando ad una società civile si sotituisce un sistema economico, ecco i risultati.

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Siate gentili ...