19 novembre 2018

Pasquini e pasquinate


Roma, 19 novembre 2018

La mia biblioteca si è fatta, nel tempo, via via più esigente; non vi entrano più libri senza una doverosa riflessione. Le nuove entrate le pongo in una sorta di limbo, alla rinfusa, su uno scaffale di buon legno, all’ingresso di casa. Lì gli aspiranti alla biblioteca aspettano. Mesi; o anni, addirittura. Ogniqualvolta entro o esco li nobilito di un’occhiata; intanto la vita scorre; nuove esperienze e delusioni arricchiscono o appesantiscono le mie spalle di despota bibliofilo; lo sguardo, in virtù di ciò, muta costantemente seppur in strane sfumature che sfuggono alla percezione superficiale. E accade, perciò, che un di tali libretti da limbo trovi la sua scalata al paradiso dello scaffale maggiore: è accaduto a Gómez Dávila, a esempio. Mi sono interrogato a lungo: lo promuovo o no? Quegli aforismi mi insospettivano … troppo pulviscolari … e così il buon Gomez ha soggiornato per anni sui ripiani purgatoriali finché di lui non lessi, per caso, queste fatidiche parole: “Questo secolo sprofonda lentamente in un pantano di sperma e di merda. Per maneggiare gli avvenimenti attuali gli storici futuri dovranno mettersi i guanti”; e quindi, a cascata: “I Vangeli e il Manifesto del Partito Comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia”, una profezia ampiamente esatta e che condivido a pieno: Coca Cola e pornografia, infatti, vanno delibate in poltrona, alla luce di un tramonto apocalittico; oppure: “Le verità passano, lo stile dura”: son d’accordo, poiché lo stile ordina il caos, come ebbe a riconoscere anch’Egli; e ancora: “L’uomo oggi è libero come un viandante sperduto nel deserto”: giusto, la libertà di cui conciona la sedicente democrazia questo è: un deserto, ovvero il labirinto più ambiguo, lo stesso in cui si perdono, e trovano la morte, miliardi di uomini; in cauda: “I ricchi sono inoffensivi solo dove un’aristocrazia li disprezzi”, il che è notevole poiché, per il Colombiano, aristocratico è anche il monaco (o Alceste) nella sua celletta.
Questo blog, d’altra parte, per statuto suo proprio - uno statuto cresciuto, forse,  inconsapevolmente - non ha da insegnare nulla; è solo una somma di indicazioni, talvolta fallaci, per sfuggire al deserto.

E così il buon Gomez è finito nello scaffale maggiore; allo stesso tempo intere bibliografie ne sono uscite: sempre più di frequente, infatti, accade che a tali minuscole entrate si accompagnino ben più corpose defezioni: negli ultimi anni, a esempio, la quasi totalità della letteratura del Novecento si è resa protagonista di un exeunt trionfale: centinaia di libri, libruzzi, tomi e libercoli che hanno accompagnato la mia esistenza vengono traslati, quali fetenti salme in decomposizione, presso i campi dove tale paccottiglia viene arsa, con un pizzico di retrogusto da Bücherverbrennungen, assieme a frasche e ramaglie: Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Umberto Eco, Garcia Marquez, Sartre e tutto il cucuzzaro politico-filosofico-psicologico sessantottino hanno seguito tale destino e sono, oramai, cenere.

Ogni uomo dovrebbe ambire a uno o due titoli: quelli che riassumono, intimamente, di nascosto agli occhi degli altri, la propria vita. Di una cosa sono certo: l’ombra accompagna ogni nostro gesto e la somma degli atti coscienti rimane imperscrutabile a chiunque; a chiunque e, forse, a noi stessi. Fra le mani, nell’addio estremo, stringerò, quindi, solo le Rime di Guido Cavalcanti. Perché i miei anni si compongano in tale uomo e in tali versi è forse oscuro anche a me. Sento, però, che è questo libro a dover testimoniare spiritualmente la mia concisa eredità di uomo. Guido, il primo amico di Dante, il maestro d’Amore, colui con cui Alighieri, voleva dividere un naviglio favoloso, assieme a Monna Vanna e Monna Lagia, in un sonetto che, forse, racchiude i colori tenui e simbolici del Medioevo più di tante parole e saggi; Guido, quello da cui Dante si separò concettualmente, finiti i sogni di gioventù: “I’ vegno il giorno a te infinite volte/e trovoti pensar troppo vilmente” avrà a rimproverarlo aspramente il Cavalcanti.

Giovanni Boccaccio immortalerà Guido, sulfureo epicureo, in una novelletta del suo Decameron (giornata VI, novella IX):

Dovete adunque sapere che ne’ tempi passati furono nella nostra città assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna v’è rimasa, mercé della avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l’ha discacciate … in diversi luoghi … si ragunavano … i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate … tralle quali brigate n’era una di messer Betto Brunelleschi … [in cui] messer Betto e’ compagni s’erano molto ingegnato di tirare [uno scherzo a] Guido di messer Cavalcante de’ Cavalcanti … [che] fu un de’ miglior loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale … leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto … alcuna volta speculando molto abstratto dagli uomini divenia … Ora avvenne un giorno che essendo Guido … venutosene … a San Giovanni … [dov’erano] arche grandi di marmo … Betto con sua brigata … vedendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: ‘Andiamo a dargli briga’; e spronati i cavalli ... gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: ‘Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?’
E Guido disse: “’Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace’; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che [agilissimo] era, prese un salto e [liberatosi] da loro se n’andò”.
La brigata non comprende le parole di Guido; messer Betto sì: “Egli ci ha … in poche parole detta la maggior villania del mondo … queste arche sono le case de’ morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali … son la nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomin idioti e non letterati siamo … peggio che uomin morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra’”.
In Cavalcanti c’è già il presentimento d’una figura romantica; solitaria poiché sapiente; logica, pessimista, irridente, dolorosa.

La sapienza del mondo è riassunta in poche parole: la riflesse Dante quando esclamò: “sciaurati che mai fur vivi”; Eraclito che sentenziò: “presenti sono assenti” e pure Thomas Eliot che ne La terra desolata, riecheggiando proprio Dante, descrisse torme di zombie lungo il London Bridge: “I had not thought death had undone so many” (“gente ch’i non avrei mai creduto/ che tanta morte n’avesse disfatta”).

In Guido Cavalcanti, agile come uno spirito beffardo, fra tombe e arche grandi di marmo, rivive l’unica scienza totale, la scienza della morte; la quale non rifiuta certo lo sviluppo delle idee o la scienza, anzi, ma le concreta in un circolo severo irto di cautele e scetticismo: poiché è la morte dell’uomo, ovvero l’Eterna Natura che tutto annulla, il fondale tragico delle nostre esistenze: una sapienza solare e di stoica chiarità che noi Italiani abbiamo distillato dal mondo classico e cristiano: e lo stesso han fatto Thomas Eliot e Gómez Dávila.

Va da sé che Cavalcanti, Alighieri, Boccaccio sono Italiani; come Eliot e Dávila; Eco e Ginzburg, a esempio, no.

Sulla novelletta ci sarebbe da dire molto; ci sarà tempo per farlo, tuttavia; prima di crepare.

Ma torniamo allo scaffale purgatoriale, e di corsa, ché la prolissità, ammonisce l’Italiano di Colombia, “non è eccesso di parole, ma … carenza di idee”: e io, le sentenze dei veri Italiani, le considero e le temo.

Sullo stesso scaffale, dicevo, ho ritrovato, nascosto dietro un ampolloso trattato su Lacan (presto alle fiamme) un libriccino di romanistica: Pasquinate del Cinquecento. E chi era Pasquino? Leggiamo dalla breve introduzione della curatrice, Maria Beatrice Sirolesi:

Pasquino è la famosa ‘statua parlante’, così detta per la tradizione che ha visto i romani affiggere su di essa per secoli frasi scherno e satire per lo più politiche. Le pasquinate ... Il torso di Parione è venuto alla luce nel 1501 durante i lavori stradali intorno al palazzo Orsini … [il] cardinal Oliviero Carafa … da gran mecenate lo fece collocare su un piedistallo come un’opera d’arte, che in realtà non è; e resta un  mistero cosa rappresenti (forse Patroclo morto sorretto da Menelao) e anche il suo nome. Tutte fantasie che lo collegano a un mastro Pasquino, proprietario di un’osteria nei paraggi, ovvero a un sarto o anche a un barbiere della zona … inizialmente … le pasquinate erano certami coronari recitati dagli studenti … poi gli epigrammi divennero maldicenze, di volta in volta più violente, scritte e affisse clandestinamente contro personaggi in vista. Erano veri e propri manifesti zeppi di ingiurie e oscenità per propaganda della classe borghese che si veniva formando [nella corte romana] … l’elezione di un papa era l’occasione più ghiotta per scendere in campo in una specie di campagna elettorale con versi e prose a base di ingiurie e diffamazioni …
Qualche pasquinata è davvero salace. Come questa, in disonore di Paolo III:

In questa tomba giace
un avvoltoio cupido e rapace:
ei fu Paolo Farnese
che mai nulla donò, che tutto prese.
Fate per lui orazione:
poveretto! Morì d’indigestione!

 
Le pasquinate, a volte letterariamente pregevoli, talaltre feroci e scombiccherate, non mancano ancor oggi; a piazza Sant’Egidio, dove si trova la statua in questione, se ne possono leggere ancora: i bersagli cambiano, da Renzi a Salvini, ma la zuppa è la stessa.

Come scrisse Claudio Rendina, tale voce maldicente: “non era mai opposizione al potere in senso lato, ovvero non aveva il programma rivoluzionario di ribaltare il sistema, quanto piuttosto quello di favorire nelle gerarchie dei personaggi benemeriti, dai quali erano stati incaricati di sputtanare in una vera intonazione coprolalica i diretti concorrenti ai vertici del potere”.

Non erano una cose serie, insomma; sgradevoli, irritanti, fastidiose, ma, una volta sbollita l’ira, innocue - talmente innocue che Sisto V dirà. “Son pasquinate e niente altro”.

I giornali di oggi son zeppi di pasquinate; il web ne tracima.
Un Sisto V di oggi, György Schwartz Soros diciamo, potrebbe dirne: “Son pasquinate!”. E avrebbe ragione. Le pasquinate web sono un semplice sfogatoio al pari delle telefonate libere di Radio Radicale di qualche decennio fa.

Sembra incredibile come il Partito Radicale, da ottimo antiitaliano qual era ed è, anticipi sempre le sconfitte e gli snodi più rovinosi dela nostra Patria. Vi rocordate? Radio Radicale che apre le dirette, senza filtri: un profluvio di berciatori, pazzi, idioti, sessuomani si accalca verso le cornette espettorando il peggio di sé. Che tempi! Fine anni Settanta, inizio Ottanta. Il cadavere di Aldo Moro, rattrappito come il sogno di Giorgio Gaber, era stato appena tumulato assieme alle nostre ultime, flebili, speranze; avanzava il nuovo; Ilona Staller aveva, da qualche anno, iniziato a lubrificare le notti dei maschi italiani socchiudendo timidamente le porte alla pornografia: il consueto lavorìo da ratti; nell’aria v’era un profumo di falsa, irresistibile, libertà: il tana libera tutti del permissivismo; Voulez vous coucher avec moi?, e giù sospiri languorosi per i Cicciolini pre-Pornhub; Avete delle domande da pòrci?, recitava un’altra rubrica. Le porte si aprivano una dietro l’altra, il sol dell’avvenire veniva da Ovest, altro che Sovieti. Il Sessantotto non aveva agito invano, dopotutto; che Ilona Staller, assieme a Adele Faccio, la superfemminista, Emma Bonino, l’abortista, Marco Pannella, l’abolizionista di ogni divieto, dalle droghe all’eutanasia sino al protezionismo economico, militasse nel medesimo fetido stambugio non è un caso. La storia del Partito Radicale è la storia della disfatta della Patria: ogni svolta presagita da Pannella, con fare pagliaccesco ed esibizionista, è divenuta realtà; l’Aleister Crowley del libertarismo dissolutorio angloamericano ambiva a distruggere l’Italia e i fatti gli han dato ragione: è morto felice: “Abbiamo vinto”, esalò.
 
Le pasquinate danno un gran piacere agli sciocchi. Si sentono, infatti, rivoluzionari. Anche il ciabattino Cornacchia ne L’anno del Signore si sente rivoluzionario poiché appende al torso del Parione le proprie pasquinate. Sarà egli stesso, in seguito, ad avvedersi come il potere sia di gran lunga più forte di lui; e che il popolo, che presumeva sobillare, voglia vedere non la verità, ma solo qualche bell’esecuzione pubblica: anche la suburra di allora amava stare in poltrona; al pari delle tricoteuses francesi che si sedevano a sferruzzare quando cadeva qualche capoccia. Il potere del Papa Re non lo destituì certo il Pasquino Cornacchia, ma, quarantacinque anni più tardi, un potere più forte. La breccia di Porta Pia fu aperta da cannoni con polveri a noi estranee, altro che satira e popolo.
 
Oggi ci si illude di sovvertire il mondo con le pasquinate, ma è, appunto, un’illusione. Forse persino una illusione che conviene al potere. Solo un potere nuovo e opposto potrebbe cambiare le cose. Non lo vedo, però; anzi, tutti i giorni osservo la vittoria dell’esatto contrario: l'avanzare dell’onda della pace universale, della Monarchia Unica: le notizie, quotidianamente, giorno dopo giorno, a questo tendono: dalla dismissione della difesa nazionale italiana ai guai di Benjamin Netanyahu, pressato dalla nuova Israele di pace à la Natalie Portman.

Nell’imbuto mondialista tutte le molecole vorticano regalando l’impressione dell'indipendenza, si gonfiano trucibalde, originano mulinelli, cercano addirittura di risalire quel cono scivoloso: alle fine, però, sono destinate a passare per il collo: lo Zeitgeist è questo.

Non c’è speranza, allora!
Forse. L’unica speranza è dire no. Ci si riuscirà? Dire no è difficile, quasi impossibile. Si vive male. Malissimo. Ve lo dico per esperienza. Cancellare il mondo, disprezzare il mondo, irrigidire sé stessi nel rifiuto. Essere sé stessi, invece di pasquinare … qui, in questo blog, non si diviene prolissi per saccenza, bensì per fede nell’ultimo tentativo. Ritrovare, fra le macerie, l’Italia; poiché la tradizione non impone nulla e pensa per noi; parla in nostra vece, suggerisce parole come il demone socratico, non pretende spiegazioni dotte: queste, infatti, le abbiamo già dentro di noi. A essere qualcosa, italiani intendo, si diventa duri, dei calcoli biliari, e si intasa ogni imbuto. Per liberarsi della storia italiana occorre triturarla, compito non facile per chiunque; per questo occorre ridiventarne parte e suoi alfieri. Per tale motivo perdo tanto tempo non a convincervi di qualcosa, ma a cercare debolmente di evocare ciò che tutti voi, sono sicuro, già possedete in voi. Qui si stimola una maieutica salvifica.

E però vuoi mettere i bigliettini di Pasquino?
Guido Cavalcanti contro il potere? Ma sei matto? Ma siamo matti? Qui bisogna studiare! Studiare la moneta, i flussi, i diagrammi! Conoscere! Le funzioni del monetarismo! La rigidità dei patti di bilancio! Il policy making! Saggi, papers, saggi in crucco, statistiche!

I pasquinari, di solito, ti zittiscono subito quando hanno sentore dei tuoi apparenti anacronismi. Mi lascio zittire poiché già quale sarà il mio risarcimento. Di solito basta aspettare qualche anno. Li si ritroverà, i pasquinari più fanatici, o ben pasciuti, sulla riva opposta; oppure a bofonchiare i loro apoftegmi nei giardinetti del web, come vecchi rimbambiti.
 
Essere qualcosa, essere ciò che si è stati, questa soluzione non gli va, loro vogliono pasquinare su twitter e facebook, divenire capi di fazioni che raggrumano partiti da percentuali infinitesimali; la pasquinata soddisfa il narcisismo, illude con la malia dell’antagonismo vittimista o della rivelazione mirabolante. E se il popolo non li segue (è inevitabile: non vuole la verità) mandano tutti al diavolo (sindrome di Sansone) o si ritirano nell’eremo con qualche cenobita adorante (sindrome della torre d’avorio) oppure si rifugiano in poltrona (col popcorn) pregustando il grande botto apocalittico (sindrome del fungo atomico, del 1929 planetario: eventi che li risparmieranno, ovviamente).

E però, riflettendo, forse so perché io sono contenuto nelle Rime di Cavalcanti. Lo so, ma l'ho dimenticato.
L'indicibile nostalgia per qualcosa che preme nell'animo e a cui non riusciamo a dare un contorno o un volto.
I chirurghi psicostorici hanno operato su di noi tali resezioni nichiliste che non ricordiamo nulla; e però le nostre budella lo fanno per noi, oscuramente, a tratti. Come il paziente HM (Nexus 6) che si commuoveva per un parente amato di cui aveva dimenticato tutto: il solo nome lo faceva lacrimare. Chi sei? Chi sei? E però piangeva. Poi veniva avvolto di nuovo dall'oblio. Finché il nome, il solo nome, un puro suono perso nelle nebbie dell'indistinto, lo tangeva nel profondo.
E piangeva. 
Se solo avesse potuto ricordare.

11 commenti :

  1. Caro Alceste,
    se possedessi le tue doti di colto e veggente prosatore avrei potuto scrivere io stesso il tuo post, tanto ricalca la mia esperienza di accanito lettore. Corrispondono persino i nomi di alcuni "scrittori" da te citati! Questo iniziava ad accadermi quando tu, come mi dicesti una volta, frequentavi la Pantera Studentesca ed io, già da molti anni, ero "inserito nella personale fatica quotidiana" (cfr Gaber!): allora i miei unici "svaghi" erano la lettura e la musica, mentre altri colleghi giocavano a golf (sul tema vedi G.B. Shaw).
    Fra i libri sopravvissuti al rogo mi sono particolarmente cari, perché non so, Gargantua e Pantagruele (trad. Frassineti), Giuseppe e i suoi Fratelli (trad. Arzeni) e Il Circolo Pickwick (trad. Dettore): ti garbano? Naturalmente ho quasi tutto, compreso il Cacciatore di Androidi, di Dick.
    Grazie per avermi segnalato Gómez Dávila: non lo conosco ma mi metterò a cercarlo sperando di riuscire a leggerlo...in tempo!
    Vale!
    Hermannus Contractus

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  2. Una massa di libri disorienta; perciò, dato che non puoi leggere tutto ciò che possiedi, basta che tu possegga quanto sei in grado di leggere. “Ma – mi dici – ora voglio sfogliare questo ora quest’altro libro”. [E io ti rispondo:] è tipico di uno stomaco svogliato assaggiare di tutto: cibo che, di natura varia e opposta, alla fine intossica più che nutrire.

    Recede in te ipse quantum potes; cum his versare qui te meliorem facturi sunt, illos admitte quos tu potes facere meliores. Mutuo ista fiunt, et homines dum docent discunt.
    SENECA, Lettere a Lucilio

    Lui consolando con la cava testuggine il suo amore sofferto
    te, dolce sposa, te, solitario sul lido deserto,
    te al venire, te al calare del giorno cantava.
    Entrò nelle gole di Tenaro, porta profonda di Dite,
    e nel bosco fosco di buio terrore,
    s’appressò ai Mani e al sovrano terribile,
    a cuori incapaci di pena a preghiere di uomini.
    Ma spinte insieme dal canto, fuor dalle sedi profonde dell’Erebo
    salivano ombre leggere e fantasmi che più luce non hanno -
    a mille a mille, quanti uccelli nascosti tra fronde
    allor che Vespro o pioggia invernale giù dai monti li spinge:
    madri e mariti e corpi usciti di vita
    di magnanimi eroi, bimbi e fanciulle ignare di nozze,
    giovani deposti su roghi sotto gli occhi dei genitori -
    tutt’intorno il fango nero li avvolge
    e orrido di Cocito il canneto
    e l’odiosa palude con l’onda sua lenta,
    e lo Stige con nove cerchi insieme li stringe.

    Virgilio, Georgiche

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  3. Caro Alceste,

    in qualche modo evochi sempre qualcosa (di molto italiano) in me, quindi ben vengano la tua pazienza e 'perdita' di tempo!
    La liberta' sara' pure diventata un deserto, per quelli che hanno delegato anche la loro immaginazione, ai media, ai divertimenti di massa, al porno, insomma a tutto il pre-disposto, pre-fabbricato e pre-pensato per noi. Per altri, essa e' divenuta la necessita' di liberarsi di tutte le suddette cose, in maniera Radicale ahah!

    Le pasquinate sono come i due minuti di odio, inutili per noi, utili al potere. Ci fanno dimenare, per affondare meglio verso il collo dell'imbuto. Creano sotto-poteri, capi di fazioni e piccoli greggi al seguito, e siamo da capo. Finiscono per odiarsi, o odiare l'Italia, nutrire superbia, orgoglio, rancore, perdono del tutto la visione d'insieme e quella della loro singolare miseria.
    Qua ci facciamo i 5 minuti di amore per l'Italia, almeno, sicche' "di stare insieme crescesse 'l disio"?

    Ps. Ma Costanza Papagno da' anche qualche suggerimento su come rinverdire la Memoria?
    Ise

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  4. Era presente ad atreju 2018 con un completo marrone e un borsellino nero? Complimenti, eccellente prognosi ma diagnosi e cura le vorrei ancora approfondire..

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  5. Hermannus:

    Gargantua e Pantagruele lo conosco nella versione di Bonfantini. Sono legato a diversi passi di quel libro: la scena della tempesta, Panurge che dimostra come il debito sia essenziale all'economia, il personaggio di Fra Giovanni Fracassatutto ...

    Giuseppe:

    ottima la citazione da Seneca. Ha ragione lui, però te ne accorgi sempre troppo tardi.

    Ise:

    Il libro della Papagno non dà consigli, però fa capire molte cose su come funziona il potere (non che fosse nelle sue intenzioni). L'amore per l'Italia è una cosa che ho sempre avuto in me, ma non sapevo di possederla.

    Anonimo delle 10.20

    No, non ero presente ad Atreju ... per quanto riguarda diagnosi e cura occorre leggere tutto il cucuzzaro, purtroppo ...

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    1. Sig. Alceste, la seguo da poco e silenziosamente e non so se ha già risposto alla stessa domanda: ha mai desiderato di andar via dall'Italia? Da ciò che resta,dal deserto che dipinge? La ringrazio dell'eventuale risposta.
      Stefano

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    2. A dir la verità, mai.
      Posso dare questo umile consiglio: meglio morire nel proprio letto, nel luogo in cui si è nati: è meno doloroso.
      E poi ci sono centinaia di luoghi ancora incorrotti da visitare, da apprezzare, da ricordare.

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  6. https://youtu.be/FSnGV2wsr78

    Però scemo scemo non era...er "core" ci frega ancora adesso. Parlo dei pochi in buona fede...ovviamente.

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  7. ché la prolissità, ammonisce l’Italiano di Colombia, “non è eccesso di parole, ma … carenza di idee”
    Mi piacerebbe leggere l'aforisma completo (se di aforisma si tratta) di Gomez Davila, visto che qui non è chiaro se si tratti solo di un estratto o meno.
    Grazie.

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    1. L'aforisma completo è: "La prolissità non è un eccesso di parole, ma una
      carenza di idee"; lo trovi a pagina 41 de "In margine a un testo implicito".

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Siate gentili ...