30 gennaio 2018

Mortacci / 2 (Paralipomeni a Il respiro dei nostri padri)



Roma, 30 gennaio 2018

- Il respiro dei nostri padri
- Mortacci / 1


In un bar, sette di sera. Aperitivo. Ritualità postdemocratica.
Io, da solo; all’altro capo del tavolo lui e lei, compagni da una vita.
Un po’ giù di corda. Taciturni. Sfuggenti. Preoccupati.
Cosa sono queste ombre che intravedo nel volto dei miei amici? Anzi: dei miei conoscenti?


[Amici non ne ho più, infatti. Il significato della parola amicizia un giorno verrà riscoperto. Quelli che credevo amici sono oggi dispersi. Uno è morto. Ammetto d’essere un po’ difficile da sopportare. Non nei modi, che ritengo urbani e civili. D’altra parte mi è riconosciuto un generale disinteresse, sin alla completa mancanza d’ambizione, e una lodevole magnanimità. No, il problema risiede in ciò che penso. Posso intavolare un simulacro di relazione solo mentendo spudoratamente su me stesso. Fingere d’essere un altro, letteralmente. Ognuno riterrà ovvio come, su tale recita, non possano basarsi amicizie, ma solo rapporti fuggevoli e stranianti. Dire la verità, la verità di ciò che si pensa e di quello che interiormente consuma, reca, inevitabile, il progressivo affievolirsi d’ogni normale socialità, risiedendo ogni parvenza d’essa nella menzogna. Una menzogna che è da definirsi in modo affatto nuovo: conformismo a idee non proprie, innaturali; eppure universali. Un’etica non imposta da nessuno, insinuante e che si ritrova dappertutto, nelle forme più amabili o nei travestimenti più rassicuranti. Quando si parla, quindi, occorre obbligatoriamente far riferimento a tale corredo di idee e comportamenti prestabiliti. Prestabiliti da chi? Da nessuno. Vagano nell’aria. Vapori del sabba. Zeitgeist. Una deroga, pur debole, porta già lo stigma dell’eccentricità; il rifiuto d’essi in nome d’una personale ed elaborata visione del mondo, invece, alla solitudine].

Ma torniamo ai nostri eroi. Cos’è quell’ombra che vela i loro occhi? Forse la madre (di lui) malata? Il padre (di lei) che devono accudire? Gli anziani genitori. Il tempo che manca, il bimbetto da accompagnare a scuola, da ritirare dalla scuola, i moduli da compilare per farlo restare a scuola, le maestre, i maestri, i primi capricci capitalisti del moccioso.
Il lavoro (di lui e di lei)? I tragitti per andare e tornare dal lavoro (due ore di vita per lui e due ore di vita per lei)?
Lo sfacelo, quasi inavvertito, delle loro instabili esistenze, pressate dall’edonismo birichino h24?
La scomparsa d’ogni moralità o liturgia lustrale?
La scomparsa della gerarchia, del centro di gravità permanente? Dell’ossequio verso la maestosa oggettività della bellezza? Cosa ci dice il catalogo online di Trivago? Meglio Barcellona di Palestrina o Gubbio? Preferibili i tre giorni bianchi in Austria o il mordi e fuggi a Parigi - la romantica Parigi - rispetto alle scogliere pugliesi?
Ma no, sono proprio i genitori il cruccio. La malattia. Il decadimento. La trasformazione di chi abbiamo amato in qualcosa d’altro, uomini e donne fragili, debolissimi, che non riescono più ad alzarsi dal letto, o dalla vasca, o camminano stenti. Neanche i nipoti sono in grado di guardare! E combinano guai, tanti guai: si pisciano addosso, si rompono femori. Il vecchio cade per strada e ti avvertono sul lavoro: “Tuo padre è al Pronto Soccorso col naso e il braccio rotti!” e tu devi scarpinare veloce: ancora metropolitana, autobus, e combattere con personale sanitario neghittoso, inesistente; aspettare luminari che si degnino di scendere dai reparti per fare una lastra; tre, cinque, otto ore; tu protesti, ma è un muro, ovviamente. Vai a trovare l’origine dei tuoi giorni e lo trovi cereo, ancora più smagrito, inerme. E tu sei lui. In quella figura sofferente ritrovi il tuo declino. Accecato dal bianco ospedaliero, dai rituali della cena, coi brodini e le coscette di pollo, il caldo soffocante, l’afrore acido dei detergenti, il pavimento ignifugo, anonimo ed efficientissimo, patisci un breve mancamento; e poi hai dovuto camminare lenta lungo la camerata, cogliendo di sfuggita brevi presepi del dolore: qualche parente, le mogli, i mariti, anziani anch’essi, e uomini e donne solitari, in dormiveglia, già abbandonati al destino, le flebo che pompano acqua nelle vene esangui; le braccia smagrite e rugose, che hanno servito per anni, pulito e lavorato, ora risaltano sul candore delle lenzuola; il volto è inespressivo, girato lontano dalla folla; il corpo riposa o aspetta l’inevitabile, confortato dall’indifferente ergonomia dei letti giganteschi.
Loro non parlano, ma io so quale malinconia abbia trafitto i loro cuori.
Un mondo li lascia orfani, padri e madri, il respiro fievole dei nostri padri si fa inaudibile. Soli al mondo.
Lui quarantaseienne, lei poco meno.
Sembrano dei bambini spauriti, in realtà.
Come quasi tutti non hanno combinato niente nella vita. Prima li hanno messi alla stanga con l’utopia dello studio. Ventiquattro anni, laurea, studi post laurea, tirocinii: si arriva a trenta  - trent’anni! - gonfi di competenze e senza uno straccio di contributo. Ma la vita è bella! I genitori ancora assistono. I primi lavoricchi, lui e lei si sorprendono innamorati (sono cresciuti insieme, siamo cresciuti insieme), biasimano il tempo perduto dietro a chi li ha delusi; ecco il 2001, entra il Grande Anno dell’Euro. L’Europa si unisce, serra le fila, niente più guerre, o massacri. Le monete nuove, epifanie della Pace Eterna, cominciano a passare di mano in mano. Lei è una bella ragazza, giovanile pur oggi, biondina, magra, allenata, uno chignon aristocratico ne esalta i lineamenti delicati. Si arriva a trentacinque anni: ecco i primi stipendi veri. La banca prende a considerare finalmente i suoi clienti. La casa! Papà, mamma, fa lui! Papà, mamma, fa lei! E si compra la casa, novanta metri quadri, col mutuo ventennale, ci si carica di bollette, imposte e condominio. Arriva il figliolo, proprio mentre Romano Prodi, in un giorno di maggio, sale la dolce collina del soglio nazionale per la seconda volta. Le cose, intanto, non vanno bene nell’azienda di lui; prima gli aggiornamenti (le competenze sfioriscono presto), poi la concorrenza dei ventenni freschi laureati all’Università del Nulla, triennale e velocissima: sciocchini insulsi, ma predatori, per ottocento euri ti fanno le scarpe, non hanno casa e famiglia loro! Sì, le cose vanno male per lui; si adatta alle nuove esigenze, campicchia. Mille e cinquecento euri? Chi lo sa, ma ci si accontenta!
Lei, invece, dopo una laurea in filosofia ha lavorato presso l’ufficio del personale di una sedicente  multinazionale italiana: selezionava coglioni, la medesima umanità che ora fa le scarpe al compagno. Poi il declino della multinazionale, fra privatizzazioni, delocalizzazioni e inspiegabili ridimensionamenti. Lei non comprende: i peggiori vengono promossi; i settori più efficienti smobilitati, gli elementi migliori allontanati. “Coi migliori non si fa cassa” le dice un capomafia interno. Lei scivola in uffici periferici, la impiegano in mansioni apparentemente inutili. Vede la multinazionale, una volta florida azienda di Stato, svaporare ineluttabilmente; a ogni nomina manageriale l’assurdo irrompe, il contrario celebra i fasti. L’ottimizzazione, una sorta di riverniciatura dell’utilitarismo anglosassone, è la chiave di volta; che tale ottimizzazione rechi il peggioramento netto sul lungo termine è inessenziale; l’importante è il maquillage del breve termine, riassunto in pagine fitte di diagrammi, condensato in consuntivi falsi quanto ingegnosi, nero su bianco in cartelline scintillanti e inumane pronte a farsi rutilanti presentazioni Powerpoint che nessuno vedrà. La Borsa ci crede a tali deliri, ovviamente; d’altra parte è la Borsa stessa a richiedere lo spolpamento qui e ora: a lungo andare vi sarà il crollo, ma chiediamoci: cos’è il lungo andare? Tre, quattro, dieci anni? Secoli, millenni per il capitale liquido … quindi non preoccuparsi, spolpare, sino all’osso, senza un domani, poiché il domani non esiste più, e poi organizzare l’asta. Di cosa? Ma delle ossa, signori miei!
Lei si sente tradita e lascia. Addio stipendio sicuro! È un errore, ovviamente, dettato dall’idealismo di risulta delle generazioni senza guerra. Si riorganizza da sola, in fondo è intraprendente. Con un’amica apre una minuscola libreria in un quartierino bene. Sono molto attente le due amiche, graziose, appassionate. Compulsano il Venerdì di Repubblica, Il Corriere; seguono avidamente Fabio Fazio. Sanno che una parola scritta in tali Bibbie deciderà del successo o meno di un libro: del successo di vendite, beninteso. Fazio invita Saviano che cicala di un Autore; l’indomani la libreria si affolla di citrulli che richiedono quel preciso Autore, un imbecille a ben vedere, ma se è nella manica di Saviano … Saviano è intelligente, un pozzo di scienza, coraggioso poi, indomito, non si lascia mettere i piedi sulla testa … Saviano mallevadore, Saviano garante della letteratura italiana … un branco di sinistrati illetterati, in fondo, ma questo è il gioco. Le nostre eroine si allertano subito, l’indomani mattina ordinano la fatiche del Genio; ai magazzini se la prendono comoda; intanto gli zombie midcult sono già nella piccola libreria: “Avete il nuovo libro di Nick Colleoni?”. No, non ancora, rispondono le due con un pizzico di timore, ma è questione di ore, lo prenoti, sarà qui fra poco, la avvertiamo, via mail via telefono, questione di pochissimo … ma l’avventore fa le storie … il capolavoro lo vuole avere subito, non ci sono santi, la vuole stringere fra le mani quella risma di carta da pochi centesimi, anela la copertina che smanacciava Saviano poche ore fa, non può resistere, freme, deve … deve averla … “Ripasserò”, dice … ma, in realtà, va nella catena più fornita, dove, tra videogiochi e paccottiglia, troverà pile del libro agognato … la Casa Editrice, in combutta pubblicitaria, ha già fornito centinaia di copie … e fornito l’Autore in carne e ossa, vanaglorioso e insulso, che presenterà l’opericciola la sera stessa, fra prosecchi e croccantini da happy hour della Coop, laddove la meditazione è sempre coadiuvata dalla ruminazione. E così la piccola libreria perde un cliente. E ne perderà ancora, sino a chiudere, di lì a un annetto e mezzo, complici gli studi di settore, Amazon, Fazio, la distribuzione monopolistica, la pigione altissima. Un bagno di sangue. Le pile del libro del grande, grandissimo, ineludibile Autore italiano, giacciono ora, a un anno di mezzo di distanza (un’era, nel computo turbocapitalista), nei mercatini dell’usato, neglette, col segnalibro a pagina ventisei, a due euri la copia, le pagine mestamente spiegazzate, come il viso, pur bello, d'una cupa bellezza sfiorita, di lei. Che, con tenacia, si è riorganizzata, di nuovo. Come estetista. Ma non è caduta nelle trappole del negozio con vetrina e partita IVA. Lavora in nero, girovagando dove capita: una ceretta lì, una manicure di là. Assistita da una tizia più navigata, una volpona, che la tratta da aiutante. Una con le labbra rifatte, che posta su feisbuc cuoricini e principi azzurri, esornandoli con note a pie’ di pagina dall’ortografia pericolante, ma ha un sicuro bernoccolo per gli affari; e la nostra eroina, dimenticati la critica del giudizio e la riproducibilità delle opere d’arte nel Novecento inquieto, le sta appresso, come a una sorella più scaltrita, per attingere quegli ottocento mensili - puliti! - che fanno sempre comodo al discount.
E questi due relitti psicostorici - lui e lei - ora mi stanno davanti. Li com-patisco, dai recessi crudeli della mia scepsi. Il padre di lei, infermo, esige una badante: ucraina nella fattispecie, mille euro al mese in bianco. Contributi, malattia, ferie pagate per un mese all’anno; seconda badante, amica della prima, a sostituirla, in nero per fortuna. E lo spettro della morte. La morte dei genitori, sui cui si può contare, ancora. Spezzati quegli aliti, però? Soli, di fronte al mondo. E i funerali, e le tasse mortuarie. Quattro per tremila, già fatti i conti. Dodicimila euri, più di una precaria annualità (in nero) di lei, poco meno di un’annualità - in bianco - di lui. C’è l’eredità, però! Sì, e tuttavia modesta, come modesti furono gli impieghi dei vecchi che, però, grazie agli affitti bloccati e al welfare riuscirono a risparmiare, a farsi casa e a far studiare i figli. I figli dottori. I figli che sono andati all’estero. I figli con il cappello da laureati nelle fotografie di parenti e familiari, foto oggi perdute negli schedari della memoria. I lasciti, qualche decina di migliaia di euro, che si portano appresso altre tasse e imposte di successione e, soprattutto, l’incubo delle case, le maledette case: IMU a tre zeri annuale poiché ingigantita da un'aliquota a doppia cifra. Con relative, ulteriori  imposte. E allora? Allora dismettere il patrimonio di famiglia, al più presto, regalare quasi. Ma tutto questo quando avverrà? Prima si dovrà salire il Golgota della sofferenza, anno dopo anno, senza welfare, senza cerchia familiare, soli, soli … di fronte a un mondo anempatico, freddo … che pressa ogni giorno colle sue offerte da saltimbanco e le cattiverie da strozzino. Già le vedo tali sofferenze, nei loro occhi, occhi perduti, raggelati dalle responsabilità, dalla burocrazia, dalla miseria quotidiana. Il pensiero li schiaccia, li devasta. Chiedo notizie, faccio finto di interessarmi, con cautela, non voglio ridestare ciò che essi vorrebbero seppellire, la realtà … amore e odio per quei vecchi, che non si decidono a morire, e che sono l’unico ombelico a un mondo felice … papà, mamma, le gite nelle campagna romana, la casetta affittata al mare, le estati lunghissime, l’odore delle matite temperate, le giustificazioni al liceo, le tombolate … so cosa sentono … il dileguarsi di un’epoca che hanno contribuito a dissolvere e di cui provano nostalgia: contraddizione mirabile. Papà, mamma … sento questo richiamo nelle loro teste … vi amiamo, papà, mamma … non siete un peso per noi eppure … vorremmo che non ci foste ora, è troppo …  troppo … il futuro è troppo per noi … l’odore dei gessetti … Emanuela, ti ricordi l’odore dei gessetti? Il grembiule bianco, la dottrina, le sfuriate alle prime uscite la sera … eri bella … Carlo, ti ricordi l’inverno? Avevo pochi anni più di te. Siamo fratelli nella memoria. Si rabbrividiva la mattina, ci si risvegliava con l’alito condensato in nuvolette … lo specchio dell’unico bagno s’appannava e bisognava per forza perdere tempo a disegnare qualche ghirigoro … il latte nel bricco ammaccato, la rosetta abbrustolita sul gas. Il fiocco bianco. Un cornetto cento lire. La strada per la scuola era fradicia di foglie e pioggia … i doppi turni, a volte … si usciva alle sette di sera, le luci della sera, le ricordi? L’odore di minestra per le vie del quartiere? Ti ricordi? Vi ricordate le pezze al culo, i vestiti smessi dei cugini? Ma, allora, vi chiedo, avevate paura? No, e non perché si era bambini.
Ma ora il terrore vi sovrasta, mentre la notte avanza ecco a interrogarvi quale forma assumerà l’indomani, liquido e cangiante. Il petto dei padri e della madri intanto si alza e si abbassa a un ritmo stento, orribile.
Quei palpiti, irregolari come fiammelle, sussurrano un futuro che non vorremmo.
Torniamo indietro, torniamo indietro!
Perché il futuro non esiste, è tenebra, pronta a farsi tutto.

28 commenti :

  1. Agghiacciante, ma come fa a scrivere cose cosi, ha le manie suicide?
    Qui credo tutti vorrebbero essere suoi amici, ma poi, anche tra chi ha le stesse idee, invariabilmente si bisticcia, perché si ritiene di saperle meglio degli altri... ed è allora che si realizza questo e ci si sente perduti

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    1. Ovviamente parlo della vita quotidiana. Nel blog, che è un confessionale, dico la verità.

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  2. Quanta realtà in questo quadro, incastonati in mezzo alla realtà la storia, la vita e i pensieri...molto bello. L'ultima parte mi ricorda una canzone di Renato (e per me non è sminuire), qualcuno potrebbe accusarti di nostalgia, ognuno ha il suo cantuccio, o più d'uno, nel passato, ma il punto interessante è: non è perché si era bambini, che non si aveva paura, non per quello.
    Barabba, purtroppo l'istruzione a volte fa danni incalcolabili. Ci si allena a essere i primi, il più delle volte fallendo perpetuamente, ma a disprezzare gli ultimi lo impari presto.

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    1. Era un'altra vita, più dura e più semplice.

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    2. Infatti, mi fece pensare in quello speciale su Pasolini la frase di quel vecchio: "io tutto quello che ho fatto lo rifarei, non cho rimorsi". Ho pensato quanti potrebbero dirlo oggi? Anche solo dai 20 ai 40...

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    3. Nessuno, a parte stupidi e bugiardi. Se rinascessi farei l'operaio, il falegname, il muratore.

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  3. Buonasera Alceste,
    leggo sempre i suoi post ed ogni volta vorrei commentare, ma rinuncio poichè non sò cosa scrivere di preciso. I suoi scritti illuminano e confondono al tempo stesso. Confondono perchè troppo netti. Quando una persona pensa delle cose e in seguito trova conferma di ciò che pensa nella lettura (e in questo caso poco conta che sia un blog o un trattato filosofico), sorge uno sgomento momentaneo che suona più o meno in questo modo: "ma allora è davvero così?". Trovare una conferma di ciò che si pensa su questi argomenti è disarmante, lascia spiazzati. Spesso desidero, spero quasi, di essere il solo o fra i pochi ad avere una visione così drastica del nostro tempo. Spero che gli altri, almeno chi mi è caro, abbia una visione meno disperata e disperante, anche se magari meno verace. La consapevolezza d'essersi giocati l'eternità, quella terrena, quella che si conservava e alimentava generazione dopo generazione, fatta di esempi, costumi, gesti e tradizioni per un pugno di mosche pret-a-porter buone adesso e tra mezz'ora scadute è disperante quanto vero.

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    1. Ma sì, spero che altri si divertano pure. Qui siamo in quattro gatti, però, e dobbiamo dire la verità.

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  4. Alceste, io altro giorno ho scritto " mi rintano in casa ogni giorno che passa, senza rapporti senza amici donne libri; i pensieri non sono ancora terribili ma la disperazione cresce ...smisuratamente." 2 righe con grande fatica e lei compone sullo stesso tema un poema magnifico....immagini chi dei due si dovrebbe annientare prima?

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  5. Alceste...questo è lei, vero? la sua vita?

    Non è agghiacciante - è l'Italia che se ne è andata -l'Italia che hanno e che abbiamo fatto distruggere -
    e non sono manie suicide - E' un canto di dolore l'urlo della sconfitta...c'è il pugnale sul tavolo ma non abbiamo il coraggio di usarlo - tra poco purtroppo ricomincia la giornata -
    ps. "Posso intavolare un simulacro di relazione solo mentendo spudoratamente su me stesso"
    come ha fatto a descrivermi così bene senza conoscermi?

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    1. Evidentemente ci somigliamo, avendo perso tutto. Comunque l'ho detto: in tristitia hilaris, si resti in vita per far quattro risate.

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  6. Questo scritto mi ha fatto venire il magone. La parte sull'amicizia la sento particolarmente mia, anche se sono molto più giovane. Mi viene in mente l'incipit di "Amici Miei", con la voce narrante di Renzo Montagnani (che doppiava il Perozzi): "Ma i vecchi del gruppo eravamo noi. Amici di scuola, di caserma, e quindi, amici per tutta la vita". Io non ho fatto la caserma e gli amici di scuola si sono volatilizzati. Non voglio farne una questione di generazione, dev'essere probabilmente un problema personale di chi non riesce a mentire a sé stesso (anche se che zingarate vuoi fare ai tempi di Instagram?). Si guarda indietro perché davanti c'è un mondo privo di senso, con il frigo parlante e un sacco di gente in mezzo alla strada. Ah, il sol dell'avvenire...

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    1. In un romanzo di Philip Dick ci sono le porte parlanti: se non metti soldi non ti fanno passare.

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  7. Altra grandissima perla, nera, incastonata nella chiara luce dell'incubo...

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  8. Mi permetto un piccolo addentellato: mi sono sempre chiesto se il sommo vate Saviano abbia mai veramente girato sotto scorta, visto l'indubbia artificiosità del personaggio (un santino per gli allocchi).

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  9. Che gli uomini che lo scortano siano anch'essi parte della recita?

    Ma poi da dove spunta Saviano? Chi l'ha creato? E perché?

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    1. Questa è la domanda delle domande. Perchè si diventa famosi?

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  10. L’angelo della morte ammaliatore
    con occhi celesti
    con chioma castana
    accorre danzando.
    Le labbra sue, gioia,
    la lingua nelle orecchie sue, delizia,
    lo sguardo suo, luce
    di piena primavera.
    E mi toccò
    e mi baciò
    e ritornai
    al mio inizio.

    Non essere, non soffrire,
    non causare dolore.
    Cancellare tutta
    un’esistenza,
    affinché non rimanga
    notizia di me,
    né ricordo,
    nulla.

    Affinché il mondo sia ancora
    come quest’angelo della morte,
    perfetto, sereno
    e beato.


    Affinché il buio sia placato. Parto presto,
    vado, perché tormentato da sogni
    che mi imprigionano in ciò che già fu
    in un colpevole e amaro rimestio della memoria.

    Mi affanno su per l’erta, aspiro la fragranza delle foglie,
    arranco in mezzo ai pruni e all’erbe secche,
    ma la vetta è pur sempre lontana. E mi ghermisce
    implacabile il buio, e ogni giorno comincio da capo.

    Czesław Miłosz

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  11. Un Saviano in altri tempi meno famoso fece una sorta di auting. Saviano non nasce come romanziere di inchiesta ma come aspirante romanziere. Lui voleva vendere libri, tanti, fotteva sega della camorra. Scelse lo stile "sangue e merda" noir ma non era abbastanza, gli editori volevano qualcosa in più, gomorra nasce cosi, la pseudo inchiesta romanzata funzionava. C'era la novità da proporre al grande pubblico: "a Napoli ce la camorra". La mondadori disse si, lo voglio. In questo auting diceva anche che non si aspettava tutto il successo che poi effettivamente ebbe. Da qui la fama e la scorta, vittima insomma della sete di successo, e non della sete di denuncia. Una volta, tanto tempo fa lo ammise,non ricordo dove. Oggi non lo farebbe mai, ma all'epoca non era ancora in odore di santità. Che poi sia davvero tutto qui, non so. Perché si scelga di proposito di pompare le banalità è una domanda non banale, io non credo che sia solo per accontentare il pubblico, il pubblico lo educhi, lo abitui. Ma il mercato non ha tempo. Credo faccia parte della risposta a breve termine sul range di distribuzione di mercato. La casa editrice sapeva che gomorra "poteva" avere abbastanza successo in breve,forse non sapeva quanto, perché le sue caratteristiche (linguaggio banale, frasi brevi ad effetto, parolacce) soddisfacevano una media ampia, già educata ad esse...l'acquirente medio disse si, ecco nato Saviano.

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  12. Questa del mercato che da alla gente ciò che la gente vuole è la favola dello spacciatore...ricordo anche un Barnard che asseriva che l'Inghilterra è un grande paese perche li la tv non passava solo tette e culi e quindi, di conseguenza, significa che la gente non voleva solo quello...share alla mano...ma caro Barnard e cari tutti, il pubblico si educa, ci vuole tempo, tempo, non lo share...è chiaro il sig. Rossi di Caserta se torna a casa la sera stanco e deve scegliere tra un culo e la quinta di Mahler sceglie il culo,giustamente. Ma magari se la sera dopo becca uno spettacolo di Edoardo si vede quello, se becca un carosello di musica tradizionale, nella Sua lingua, vede quello etc...quindi sono di questa opinione, il pubblico si educa e i posti sono diversi è perché hanno avuto TEMPI e storie diversi.

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    1. Qui bisogna rimettere il maestro Manzi in prima serata ... quello che insegnava la lingua. Tutto è una questione politica: mettono culi perché devono imporli.

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  13. Bellissimo articolo.
    Di nuovo grazie Alceste.
    Cordialmente
    Federico

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  14. http://giorgio.cadorini.org/uni/kurzy0607/pasolini070325.html
    Pasolini, I giovani infelici -

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Siate gentili ...