16 luglio 2017

L'italiano: piccolo, sempre più piccolo. Microscopico


Roma, 16 luglio 2017

L'ho sempre detto: si getti a mare l'accademia e si torni alla fenomenologia più acuta. Basta panegirici: osserviamo la dura realtà. E la realtà è questa: l'italiano sta scomparendo. Non solo l'italiano che intratteneva con la propria lingua e il proprio passato un rapporto fecondo; l'italiano acculturato, in grado di compitare con sicurezza Petrarca, Leopardi e Machiavelli; che aveva ben chiare le geografie e i luoghi dell'anima (torri, casali, mura, canali, monasteri). No. A decadere è pure la figura fisica dell'italiano. Non sembra quasi più tale. Non vanta più distinzione. La forma del suo vivere è sciatta. Si veste male, casual, ciabattone, menefreghista; è loffio nei movimenti, calvo, oppure, al contrario, ostenta proliferazioni pilifere da turcomanno o un'artificiale complessione da palestra; tatuato come un maori, con movimenti da orango, maleducato, stupido come zucca lessa. Maschi e femmine tendono ad assomigliarsi nei modi: ciò che li differenzia è il diportamento da gradasso nel maschio (a simulare una virilità inesistente) e la sfacciataggine nella femmina, declinata o nei modi della donna-manager, padrona di sé stessa, indipendente e altera, o nelle smorfiosaggini da zoccola.
I gusti d'entrambi, tuttavia, maschio e femmina, ormai coincidono.
Dei giovanissini non voglio manco parlare. O sono pronti per i bonghi (alcolizzati, drogati, stravaccati) o simulano una durezza di modi solo apparente (in verità: son solo isterici o preda di quello spaesamento che nasce dall’ignoranza e reca la disperazione).

Dal primo libro dell’Hagakure:
Polso femminile. A quanto mi ha riferito un amico, risulta che un certo dottor Kyōan una volta ebbe a fare la seguente asserzione: "In medicina si distingue fra uomini e donne attribuendo loro i principii ying e yang, e quindi, in origine, le cure mediche differivano in armonia con essi. Da una cinquantina d'anni in qua, invece, il polso dell'uomo è venuto gradualmente a essere simile alle pulsazioni della donna. Accortomi di tale fenomeno, ritenni opportuno curare le malattie dei maschi con quegli stessi metodi che, prima, eran normalmente adeguati solo alle femmine. Quando provo a trattare gli uomini con sistemi terapeutici maschili, non ottengo alcun effetto. Il mondo va, invero, degenerando: gli uomini perdono la loro virilità e sempre più diventan simili alle donne. È, questa, un'assodata verità, ch'io traggo da esperienze di prima mano. Ho deciso, però, di tenere la cosa segreta al gran pubblico. Quando io - tenendo ciò presente - guardo gli uomini d'oggi a me d'intorno, spesso penso tra me: "Ah ah, ecco là un altro esempio di polso femminile". Quasi mai infatti quello che vedo è un vero e proprio uomo”.

La tragedia dell’uomo: anelare la pace, che lo imputridisce; disdegnare la guerra, che sola vivifica. E così è per l’arte tutta. Le opere durature sono forgiate in tempi infernali o come ripulsa di quei tempi. C’è bisogno di esilio e dolore per le furenti invettive, o l’elegia sublime; occorre la privazione per apprezzare l’anelito alla nobiltà del cielo o per concepire certi endecasillabi. In Dolce color d’orïental zaffiro ritrovo tutta l’Italia.

Qualche giorno fa seguivo un breve documentario su Giacomo Leopardi. Recente. Lì la differenza fra italiano del vecchio ordine e del nuovo ordine saltava all'occhio.
Bastava osservare il conduttore, un insignificante coso in maniche di camicia, capace di snocciolare banalità liceali, impermeabile alla bellezza, che cianciava in un italiano basico ed effettistico, manco che il Giacomo nazionale fosse il protagonista del giallo di Avetrana; oppure limitarsi a osservare il montaggio, buono per un thriller postmoderno tipo Seven o Saw, l'enigmista; oppure compulsare gli esperti (accademici) chiamati a rinforzo: un hipster dalla barbetta stitica e una sgallettata; oppure ammirare, fra lo sgomento e la rassegnazione, la recitazione delle poesie da parte di una ex attrice.
Bastava confrontare questa Italia con quella che emergeva da un filmato di repertorio che gli autori avevano incautamente incastonato nel loro filmino.
Vi appariva, infatti, Natalino Sapegno. Natalino Sapegno, figura grave e compunta, lievemente ansante, giacca e cravatta d'una eleganza modesta, naturale, composta, felice di passare inosservata, sguardo pensoso aggirantesi fra le pietre recanatesi. Serioso, meditativo, immune dai toni ridanciani, dallo scherzo, dalle deviazioni.
Fra Natalino Sapegno e l'oggi passa appena mezzo secolo e una mutazione antropologica devastante.
La preterizione della cultura classica, la predominanza della tecnica a discapito della scienza, la goliardia portata dalla pace, la libertà pervertita in ozio – tutto questo ha forgiato tali omiciattoli, insulsi e profondamente ottusi.
C'è ancora qualcuno che vuole fare la rivoluzione in Italia?
E con chi?
Con questi arnesi?
Per fare la rivoluzione, l'ho già detto, servono uomini, possibilmente maschi, che facciano poche o nessuna domanda, e perseguano i fini con una volontà magnanima e inflessibile.
Ma con questi che vuoi fare? Con questi saputelli parastatali.
Abolita la leva obbligatoria, eliminati i riti di passaggio, la caccia, il servizio militare e lo sfondo selvaggio delle campagne ci si ritrova fra le mani solo materiale umano inservibile.
Gli unici capaci di rivoltare la frittata sarebbero i militari di carriera, ma questi sono ben incistati nel patriziato italiano e, satolli, sembrano più realisti del re.
Vogliamo i colonnelli! Ma stanno così bene i colonnelli, tra ferie indennità e orari laschi, che non hanno voglia di sparare manco col fucile a tappo.

9 commenti :

  1. Grande Alceste! Ho da poco scoperto che i suoi scritti sono "migrati" su questo blog. Mi ero permesso di scrivere su pauperclass che c'era bisogno di "più Alceste per tutti", e di tale tenore erano i commenti di altri lettori.
    E' sempre un piacere leggerla, ci sarà tempo e occasione per commenti più critici. Saluti e un virile abbraccio, Moravagine.

    RispondiElimina
  2. Poiché il blog di Eugenio Orso, che ringrazio, ha qualche problema tecnico mi sono spostato qui. Non per tentare avventure, ma per smaltire qualche scritto in eccesso. Niente di che. Un saluto

    RispondiElimina
  3. Mi aggiungo a Moravergine, felice di leggerti ancora Alceste.
    Un caro saluto
    Arianna

    RispondiElimina
  4. Buonasera, un saluto di cuore anche a te.

    RispondiElimina
  5. scusatemi - errata corrige: - moravagine
    saluti
    arianna

    RispondiElimina
  6. "Orfana" di pauperclass, mi imbatto per caso in questo blog. Complimenti! Commentò il post un po' datato, solo per dire che condivido incondizionatamente le ultime 6 righe. Inutile fare affidamento sui colonnelli. Lo so. Li conosco bene. Ne ho sposato uno 30 anni fa. Li vedo alle loro festicciole. Non c'è speranza.

    RispondiElimina
  7. Se la passavano bene prima, se la passano alla grande adesso. Così come maggiori, tenenti e marescialli. Hanno voglia di fare la rivoluzione come ce l'ho io di andare a un comizio di Alfano.

    RispondiElimina
  8. Grande Alceste, ti leggo da tempo, prima su pauper class ed ora qui. Sono curioso di sapere chi sei perché mi pare di intuire una certa somiglianza con te in merito a origini ''etniche'', esperienze, percorsi ''culturali'', epoche vissute e altro. Io sono un uomo di 75 anni, nato a Tuscania da madre tuscaniese e padre tarquiniese, cresciuto a Viterbo, studi universitari a Roma e servizio militare espletato al Distretto Militare di Milano come ''S.Ten. Med. cpl. Dirigente il Servizio Sanitario'' dello stesso, nei miei 15 mesi di ferma, tra il 1968 e il 1969 (gli anni della cosiddetta contestazione generale, con gli assalti di Vale Giulia etc. etc).Da allora, per motivi matrimoniali e di opportunità professionali vivo nella Padania Felix ma sempre memore e nostalgico delle mie radici etniche e culturali. Paradossalmente, se così si può dire, mi ritrovo pienamente nelle tue ''riflessioni'' : io che ero iscritto alla FGCI e sono stato tra i fondatori della Cellula PCI della Facoltà di Medicina a Roma nel 1961!!
    Continua così

    RispondiElimina
  9. Ho qualche anno meno di Lei, ma sia le radici etrusche che quelle politiche sono comuni. Inutile raffrontare gli anni Sessanta all'oggi: c'è stata una precessione degli equinozi e i sessantottini di allora hanno vinto la battaglia: ed eccoci qua. In fondo Renzi e compagnia sono dei goliardi. Il PCI fu liquidato già nei primi anni Ottanta assieme agli uomini migliori. Quel cambio di paradigma (dal socialismo dei diritti veri alla sinistra dei diritti fuffa) ancor oggi domina la scena.

    RispondiElimina

Siate gentili ...